La morte coi capelli rossi
Di Luciano Masi
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Anteprima del libro
La morte coi capelli rossi - Luciano Masi
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Il dott. H uscì presto dal piccolo albergo di montagna in cui si trovava dal giorno precedente. Il custode ancora sonnecchiava su una poltrona nascosta quasi alla vista, dietro il banco dell’accettazione. Si sentiva l’aroma del caffè, in preparazione, proveniente dalla saletta della colazione. I vetri erano ancora bagnati dalla brina notturna e il sole era di un pallore quieto e discreto. Nessuno voleva svegliare la natura che pigramente riprendeva a vivere. Anche lui, quindi, si mosse in punta di piedi, come per non disturbare qualche misteriosa divinità dei boschi.
Dalla piccola radura davanti all’albergo si poteva vedere una macchia di abeti e larici che ogni tanto scuotevano le loro chiome, all’arrivo di un venticello, come puledrini irrequieti.
Di fronte, lo scenario delle alte vette, alcune delle quali ancora innevate, toglieva il respiro. La nebbia avvolgeva le alture, le carezzava, poi le lasciava splendere ai timidi raggi in arrivo; si insinuava, subito dopo, nelle gole, come a nascondersi per pudore o per qualche misterioso senso di colpa; indi riappariva, come un serpente argenteo, e tornava a coccolare le superbe rocce che, precedentemente, l’avevano rifiutata. Sembrava un gioco di seduzione e di corteggiamento o, almeno, il dott. H lo percepiva in tal senso.
Era stato sempre un romantico, quello strano psicologo, un po’ scienziato e un po’ artista, per niente sussiegoso come, invece, si sarebbe richiesto al suo ruolo: La sua passione era la montagna e, quando poteva, ci faceva un salto, anche se gli impegni del suo lavoro non gli consentivano lunghe vacanze. Quella volta si era concessa una settimana, in un luogo a lui sconosciuto, ma vivamente consigliatogli dal suo amico Giorgio, che lo aveva invitato per fare assieme delle escursioni. Con Giorgio si trovava bene. Erano entrambi bislacchi e portati più a sognare che a ragionare. Si erano conosciuti ai tempi del servizio militare, nel Corpo degli Alpini, e la loro amicizia non si era mai incrinata. Giorgio era in pensione: una scelta voluta con forza, con valenze esistenziali profonde, dopo una vita un po’ burrascosa nel campo affettivo e anche dopo alcune delusioni lavorative che lo avevano motivato a tirare i remi in barca
. Era stato un industriale di medio livello, nella produzione dell’alluminio, ed aveva accumulato una discreta fortuna. Anche se doveva passare dei robusti alimenti all’ex moglie, si poteva permettere di vivere di rendita. Il dott. H, invece, aveva intenzione di lavorare a vita. Percepiva il suo lavoro non tanto come una missione, ma come una straordinaria occasione per esplorare i misteri del mondo (della materia, dello spirito, della vita, della morte), attraverso il continuo viaggiare
nell’inconscio dei pazienti. Era sposato con una donna dolce e paziente, insegnante in pensione, che tollerava le sue stravaganze e che si dedicava ai suoi numerosi interessi (giardinaggio, ceramica, ricamo, giochi di carte con le amiche). Sia Giorgio che il dott. H avevano due figli (entrambi un maschio e una femmina), già sposati, e dei nipotini (due il primo e tre il secondo).
Avevano quasi sessant’anni, i due amici ex-alpini, ma nel loro cuore c’era ancora una freschezza adolescenziale che li portava a godere delle cose pure e semplici, di cui l’ambiente montano era ampiamente provvisto. Naturalmente, i caratteri erano diversi. Più irrequieto e dinamico Giorgio, più riflessivo e pacato il dott. H. Entrambi, però, erano ironici ed autoironici e questa caratteristica li univa non poco. Come già detto, erano tutt’e due portati a sognare ad occhi aperti e a fantasticare e, a volte, sembravano due bambini troppo cresciuti che andavano, con meraviglia, ad esplorare il mondo.
Una forte differenza c’era, nelle abitudini giornaliere: Giorgio era un dormiglione e si sarebbe svegliato alle dieci del mattino. Il suo amico, invece, alle sei era già in piedi ed iniziava a prepararsi per la giornata. Anche quel giorno, il nostro psicologo aveva lasciato il suo collega di avventure fantastiche a godersi un’altra fase REM 1 in più, mentre lui i suoi sogni li avrebbe fatti con gli aghi dei pini scintillanti al sole e con le larghe foglie del farfaraccio bagnate dall’acquerugiola mattutina.
Mentre osservava le magie dell’alba alpestre, aspettandosi di veder uscire qualche scoiattolino dal fogliame circostante e, forse, qualche marmottina dalla sua tana erbosa, scorse il capitano Fedele T., seduto su una roccia, a fumare una sigaretta. Si avvicinò all’ufficiale che aveva conosciuto la sera prima, nella hall, con la sua bella fidanzata inglese (secondo Giorgio era solo l’ultima di una lunga serie). Il capitano era assorto a guardare i monti, con un maglione sportivo e dei jeans di color verdastro e non si accorse del sopraggiungere del dottore. Fece un balzo quando percepì che qualcuno si avvicinava a lui. È lei dottore? Mi ha fatto sobbalzare… ero assorto nei miei pensieri.
Sta pensando a come fare per smettere di fumare?
, disse il dott. H. Fedele e rise di gusto: No, dottore, non mi convincerà mai… è l’unica cosa rilassante che ho.
L’unica?
Beh, non l’unica, anche le passeggiate sui monti mi distendono.
E l’amore non la distende?
, disse furbescamente il dott. H. No di certo. Le donne, certo, ci danno tante gioie, ma anche tanto stress. Vede, quando accendo una sigaretta, Jenny mi caccia dalla camera.
Mi risulta che lei abbia avuto molte donne. Erano tutte così?
Peggio… le donne sono tutte stressanti
, disse Fedele con tono definitivo. Venite con noi oggi?
, proseguì il dott. H. Abbiamo intenzione di andare al Pizzo di mezzo
. No, grazie
, rispose Fedele, ci verrei volentieri, ma Jenny non è abituata alle scalate.
Poi, ridendo a mezza bocca, proseguì: Vuol dire che faremo il sentiero dei pensionati, fino al rifugio Genziana.
Il dott. H salutò l’ufficiale e se ne andò verso l’albergo, col proposito risoluto di buttare Giorgio dal letto, anche con le maniere brusche. Possibile che quel pigrone del suo amico gli facesse sistematicamente perdere le ore mattutine?
Vide, con la coda dell’occhio, Fedele che buttava la cicca per terra, calpestandola. Non era un comportamento corretto per un capitano dei Carabinieri, per lo più comandante della Compagnia di quella zona. Ognuno ha le sue stranezze
, pensò il dott. H. Si avvicinò al citofono della hall e chiamò il suo amico: Cosa c’è?
, disse Giorgio. Spicciati a scendere, altrimenti me ne andrò da solo… Jenny mi ha invitato a fare un’escursione…
Ti piacerebbe, eh? Vengo subito.
Lo psicologo fece colazione con calma. Sapeva che subito
, per Giorgio, significava dopo un’ora
.
Si accomodò nella civettuola saletta e cominciò ad organizzarsi per una gustosa colazione: caffè lungo, all’americana, brioche col miele, una fetta di crostata, due fette bruscate con burro e marmellata. Molte calorie, certo, ma la scalata che aveva intenzione di fare le richiedeva tutte.
Vide entrare, alla spicciolata, tutti (o quasi) gli ospiti dell’albergo. Due romani di mezza età, marito e moglie, salutarono a gran voce e poi cominciarono a preparare, un po’ rumorosamente, la loro colazione (era la donna che ordinava
all’uomo quello che doveva mangiare). Poi vennero i fidanzati toscani, ancora assonnati per la sveglia precoce e, forse, per le ore tolte al sonno a vantaggio dell’amore. Poi venne la bellissima Jenny, da sola, col suo passo felpato e la gonna svolazzante. Evidentemente, non era pronta per le escursioni e probabilmente si era anche scocciata di aspettare il compagno, più fedele
alla sigaretta che a lei.
Prima di sedersi, Jenny sussurrò al dott. H: Poi noi dobbiamo parlare, dottore
. Volentieri
, rispose lo psicologo, contraccambiando il grande sorriso che lei gli aveva lanciato. Evidentemente, le cose con il capitano Fedele non andavano nel migliore dei modi, probabilmente a causa del carattere scontroso di lui e anche delle sue cattive abitudini.
Pian piano arrivarono tutti gli ospiti (altre cinque coppie, più l’anziana professoressa in pensione che veniva lì tutti gli anni). Mancavano solo i due tedeschi (lui un omaccione biondo e lei una donna formosa, coi capelli rossi), e il suo amico Giorgio. Fedele era fuori dalla saletta. Si sentiva la sua voce forte indirizzata al portiere, anche se non si capivano le parole. Evidentemente, pensò H, non voleva far vedere a Jenny che aveva fretta di incontrarla.
Dopo un po’, Fedele entrò e non rivolse alcun saluto alla bella inglese. Forse era geloso, forse gli seccava il fatto che lei fosse gentile con gli uomini (e anche un po’ civettuola) o forse, molto più probabilmente, non voleva che la sua donna fosse anche una specie di mamma, che lo riprendesse continuamente.
I commensali mangiarono rapidamente e si allontanarono quasi tutti. Rimasero solo i due fidanzati toscani che si avvicinarono al dott. H, un po’ intimiditi, chiedendogli: Quando farà la conferenza, dottore? E dove? Ci piacerebbe venire a sentirla.
Sarà per sabato, alle 21, nella sala comunale di D.
Non la fanno riposare, dottore, ma che vuole, noi siamo curiosi.
Il dott. H sorrise. Sì, è vero, appena il sindaco di D. ha saputo che soggiornavo da queste parti mi ha subito incastrato… ma lo faccio volentieri.
Aspettando il suo amico, il nostro psicologo rifletteva sui vantaggi e gli svantaggi della fama. I suoi libri, soprattutto i suoi romanzi a sfondo psicologico, lo avevano fatto conoscere al grande pubblico. Ciò comportava un’aggressione continua e strisciante alla sua privacy. Non poteva più passare inosservato e, di conseguenza, anche i suoi comportamenti pubblici dovevano essere in linea con le aspettative del pubblico. Addio goliardia
, pensò, non me la posso più concedere.
Poi, riflettendo, concluse: Del resto, non posso incolpare il destino… me la sono cercata.
Mentre salivano verso il Pizzo di mezzo, il sole stava facendo sparire tutta la nebbia La roccia acuta che si stagliava tra tutti i rilievi montuosi brillava, a volte, ai raggi che le provenivano dalle spalle, dando