La Montagna della Morte: L'incidente del passo Dyatlov
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Recensioni su La Montagna della Morte
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Anteprima del libro
La Montagna della Morte - Keith McCloskey
Ringraziamenti
Per prima cosa sono grato soprattutto a Christopher Jeffery per aver reso possibile l’intero progetto e per il non indifferente finanziamento che le ricerche nella Federazione Russa hanno richiesto. Allo stesso modo non sarebbe stato possibile produrre il libro senza il notevole apporto da parte di Yury Kuntsevich, presidente della Dyatlov Memorial Foundation di Ekaterinburg.
Parallelamente all’aiuto di Yury è stato encomiabile per la traduzione il supporto di Marina Yakhontova.
Marina è un traduttore di prima classe ed è anche estremamente ben informata su tutta la vicenda del Passo Dyatlov.
La sua gentile assistenza ed aiuto durante la mia ricerca in Russia sono state profondamente apprezzate nell’etere.
Sono anche grato a: Alexander Gulikov del Dyatlov Memorial Foundation per il permesso di accludere una versione condensata della sua teoria ‘Una lotta nelle alte sfere del potere’ e a Yury Yakimov per il permesso di includere la sua teoria intitolata ‘Gruppi di Luci’, che è una traduzione condensata di un articolo apparso per primo su www.Russia-paranormal.org.
Il mio ringraziamento va anche a Gillian McGregor e Peter J. Bedford (HM Coroner per Berkshire); Natalia Elfimova per la sua pazienza ed aiuto; al dottor Milton Garces PhD; Michael Holm; Dr Gabor Szekely; Pavel Ivanchenko; il direttore del Museo di URFU (ex UPI), Julia Borisovna Shaton, e il curatore, Irina Alexandrovna Kashina, che sono stati molto disponibili e piacevoli durante la nostra visita; Paul Stonehill e Philip Mantle; Galina Kohlwek; Olga Skorikova e il mio editore a The History Press, Lindsey Smith.
Menzioni speciali anche per l’ultimo sopravvissuto del gruppo Dyatlov, ed in ultimo Yury Yudin, che ha chiarito alcune zone d’ombra e nella mia ricerca ha risposto a quelle che gli devono essere sembrate come una serie di domande molto noiose; Leah Monahan per la sua tecnica magica ed allegra pazienza; Triona McCloskey per la correzione. Un ringraziamento speciale a mia moglie Moira per tutto il suo aiuto e il sostegno instancabile.
E finalmente, il Consolato Britannico a Ekaterinburg per la migliore tazza di tè bevuta a est de gli Urali.
INTRODUZIONE
Sono onorato di scrivere su richiesta di Enrico Baccarini un’introduzione a questa edizione italiana del "Il Monte dei Morti".
L’incidente Dyatlov è un mistero come nessun altro ed è per questo motivo che ha catturato l’immaginazione di migliaia di persone.
Avrebbe costituito tra i tanti un enigma intrigante se la tenda danneggiata fosse stata trovata senza alcun taglio e nessuna traccia degli escursionisti, ma è proprio perché i corpi furono trovati in certe condizioni questo incidente diviene una storia avvincente.
Il nucleo del mistero vive sulla domanda di cosa successe, perché Igor Dyatlov e gli altri otto del gruppo fuggirono da un luogo sicuro verso una morte quasi certa in condizioni climatiche estreme come quelle degli Urali settentrionali nella notte tra il 1° e il 2° febbraio 1959?
Il mistero si infittisce ulteriormente quando vengono esaminate le reali cause della morte. Mentre alcuni del gruppo morirono per ipotermia, altri perirono per le gravi lesioni interne subite, in particolare Semyon Zolotarev e Luda Dubinina. L’autopsia ha dimostrato che la lingua di Lyuda mancava, il che aggiunge un ulteriore ombra a questa strana storia.
Ciò che ho deciso di compiere in questo libro è stato di presentare al lettore la storia per poi procedere attraverso tutte le ipotesi possibili su ciò che può essere accaduto. Ho cercato di mantenere una mentalità aperta senza giudicare le diverse teorie, nondimeno ho fatto presente ciò che poteva essere ovvio. Per esempio l’assenza di segni di morsi o arti rescissi o qualsiasi altro danno che indicherebbe un attacco di un orso o di lupi.
Sono stato fatto oggetto di qualche critica da parte di alcuni lettori per aver incluso nel libro la teoria di Yury Yakimov. Taluni pensavano che fosse una mia ipotesi e che la proponessi come la causa della morte del gruppo. Non è così.
Ho accluso la teoria di Yury Yakimov perché l’ho trovata interessante avendo lui stesso vissuto e lavorato negli Urali settentrionali per tutta la vita.
Quello che mi aveva attirato della sua teoria era il riferimento alle luci di cui aveva parlato, bagliori nel cielo nella zona della tragedia che costituiscono una parte integrante della storia. Ho incontrato Yury Yakimov durante la mia ultima visita in Russia e ho trovato che fosse un uomo intelligente ed interessante. Vorrei dire al lettore di analizzare il capitolo mantenendo una mente aperta, tale teoria non è un elemento vitale nella vicenda ma, nondimeno, è interessante.
Si dovrebbe, per formarsi un’opinione su ciò che potrebbe essere successo, mettersi a sedere nella tranquillità di una poltrona e leggere la storia del gruppo Dyatlov. Tuttavia è un’altra realtà vedere oggi il luogo dove concretamente sono morti.
Nell’agosto del 2015 ho trascorso dieci giorni al Passo Dyatlov. Il gruppo con cui ero, aveva viaggiato da Ekaterinburg dalla stessa stazione ferroviaria da cui era partito il gruppo Dyatlov.
Vedere la vecchia stazione ferroviaria di Ivdel, dove il gruppo trascorse la notte giungendo da Serov poco dopo la mezzanotte del 24/25 gennaio 1959, è stata un’esperienza incredibile.
L’edificio della stazione originale di Ivdel, costruita nel 1940, è rimasto immutato da quei giorni. È stato anche molto interessante vedere i luoghi della tenda e dove furono trovati i corpi.
Prima del mio arrivo mi ero già formato un’idea su ciò che poteva essere successo al gruppo. Tuttavia, quando sono giunto nel punto sotto il crinale della montagna in cui si trovava la tenda, ho dovuto esaminare nuovamente tutte le prove, perché nulla è mai così semplice come sembra dalla lettura di un libro, guardando internet o delle fotografie. Forse una delle possibilità più naturali è quella della valanga. Questa teoria è stata la prima conclusione a cui sono arrivate molte persone, in particolare coloro che praticano l’alpinismo invernale e, nel libro, ho approfondito anche le ragioni che contraddicono questa ipotesi.
È possibile che una valanga possa essere stata responsabile della morte ma nessuno lo può sapere con certezza. Tuttavia, quando mi sono trovato nel punto in cui era stata posta la tenda e ho guardato lungo il crinale posto sopra di essa, non ho potuto ravvisare come una valanga avrebbe potuto creare tali ferite e costringerli a fuggire fuori dal loro ricovero.
Semplicemente non sembrava possibile per mancanza di un sufficiente dislivello nell’altezza tra la cima della cresta montana e la tenda stessa nonché per il basso angolo di pendenza.
Gli Urali settentrionali hanno, per la maggior parte, dei pendii abbastanza dolci e non vi sono montagne come le Alpi che richiedono adeguate abilità di alpinismo e di attrezzature. Di conseguenza negli Urali ci sono poche valanghe.
Ho chiesto ad un certo numero di persone della spedizione, che stavano presso il sito della tenda, cosa ne pensassero della teoria della valanga e la maggior parte di loro ha concordato con me per i motivi che ho appena detto.
Molte persone hanno chiesto "Cosa pensi che abbia provocato la loro morte?". Credo che le morti siano state dovute ad un’origine antropica e che siano il risultato di un incidente, non di un omicidio. Credo anche che la risposta si possa trovare approssimativamente a 32 chilometri di distanza, a sud-est dal Passo Dyatlov, sul Massiccio Chistop.
Nonostante le continue smentite che in questa zona isolata e solitaria non vi fosse mai stata una qualsiasi attività militare, è stato scoperto che il massiccio Chistop non possiede solo una stazione militare abbandonata ma vi siano anche le prove di possibili attività militari precedenti.
Parte del problema per verificare che tipo di attività vi possano essere state e quando siano iniziate non è di facile risoluzione, data la natura e la segretezza che circondano le questioni militari.
Naturalmente, molti paesi proteggono le proprie operazioni militari per una buona ragione. Nondimeno leggi abbastanza recenti approvate in Russia dichiarano reato rilasciare per il dominio pubblico informazioni militari senza le debite autorizzazioni ed un certo numero di persone ha subito pesanti pene detentive per aver pubblicato qualsivoglia elemento riguardasse documentazioni storiche sovietiche.
Vale la pena notare che gli archivi militari a Podolsk possiedono nei loro cataloghi grandi comparti riguardanti la Seconda Guerra Mondiale (nota in Russia come la Grande Guerra Patriottica del 1941-45), che non sono mai stati resi pubblici ai ricercatori.
Quindi, esaminare o verificare qualsiasi teoria che possa riguardare i militari sovietici, è e sarà estremamente difficile.
Naturalmente, ognuno possiede le proprie teorie su ciò che può essere accaduto al gruppo Dyatlov ed è per questo che ancora oggi questo caso è ancora un mistero così affascinante.
La mia intenzione è stata quella di presentare al lettore la storia unitamente alle teorie proposte e lasciare che il lettore stesso si potesse formare la propria idea su ciò che può essere accaduto.
Spero che vi appassionerete nel leggere questo intrigante mistero e che vi possiate formare le vostre conclusioni su ciò che può essere stata la causa della tragica morte di queste nove persone nel fiore della loro vita e la cui esistenza è terminata in un modo così terribile.
Keith McCloskey
Dicembre 2015
Prefazione
Nel febbraio 2013 sono trascorsi 54 anni da quando avvenne la tragedia Dyatlov occorsa nei monti Urali settentrionali. Ciò che è venuto alla luce sembra costituire l’equivalente russo del mistero della Mary Celeste e, per cercare di spiegare cosa sia successo la notte tra il 1 e il 2 febbraio 1959, sono state avanzate innumerevoli teorie ma siamo davanti ad un caso che sembra sfidare qualsiasi spiegazione razionale con ipotesi che spaziano dal plausibile all’assolutamente ridicolo.
Ho incluso tutte quante (almeno le teorie note al momento della stesura, tra cui una che è emersa mentre stavo preparando il libro). È importante mantenere una mente aperta e vale anche la pena considerare che la causa delle morti può coinvolgere più di una teoria o essere anche una combinazione di ipotesi assieme.
Il nucleo del mistero non è tanto il come
i vari membri della spedizione morirono, ma cosa
abbia causato la loro fuga dalla salvezza della loro tenda in ciò che appare essere stato un panico incontrollato, un terrore per la propria vita.
La teoria del ‘panico’ coinvolge anche una scuola di pensiero che suggerisce che le morti siano avvenute da un’altra parte e che i corpi siano stati collocati alle pendici del Kholat Syakhl (il Monte dei Morti).
Il reale problema è che ci sono così poche evidenze per andare avanti, ogni cosa è solo una congettura. Parte del problema per trovare una risposta risiede anche nell’ossessione dell’ex Unione Sovietica per la segretezza e la sicurezza. Nonostante la caduta dell’ex regime comunista, l’apertura degli archivi ed una differente prospettiva delle giovani generazioni, certe vecchie attitudini persistono ancora in molte aree della burocrazia.
Ho anche tentato di dare in queste pagine un’idea del background dove ebbe luogo la tragedia. In altre parole, la Guerra Fredda, che ha dominato la vita di ognuno tra Oriente e Occidente in quel momento. Ho anche cercato di analizzare brevemente il ruolo che lo ’sci turistico’ aveva in quel tempo nell’Unione Sovietica.
L’unico dato certo è che nove giovani individui nel fiore delle loro vite morirono in modo cruento e, come nel caso della Mary Celeste, è probabile che la verità su cosa sia realmente accaduto non verrà mai alla luce.
Note sul testo
* In molti articoli e pubblicazioni è menzionata la parola ’turismo’ e i membri del gruppo Dyatlov sono stati indicati come ’turisti’ o ‘turisti sportivi’. Questo era un termine vagamente indicativo e una sua definizione sintetica nel 1969 recitava: "Il turismo comprende viaggi con l’obiettivo di riposo attivo e il miglioramento della propria salute e l’esecuzione di lavori socialmente utili". Una parte importante delle attività turistiche si muove intorno alle camminate, agli sci, alla bicicletta o alla barca come al superamento di ostacoli naturali spesso in condizioni climatiche estremamente difficili e anche in situazioni di pericolo come, ad esempio, nell’alpinismo o nell’arrampicata su roccia ... Molti percorsi turistici coinvolgono il ‘fai da te’, come ad esempio organizzare un campo, un fuoco, il cibo e la lavanderia. Il turismo sportivo comprende anche l’alpinismo e l’orientamento. La classificazione della All Union Sport include la complessità dei percorsi, il numero di viaggi, la lunghezza dei viaggi e le difficoltà degli ostacoli naturali che il turista deve considerare al fine di ottenere una graduatoria.
G.D. Kharabuga, Teoriya I metodika fizicheskoi kul’tury
(Moscow 1969)
*41° Kvartal (‘quartiere’ o ‘piazza’) - Kvartal nella silvicoltura è una parte di una zona boschiva definita da fasce tagliafuoco artificiali o caratteristiche naturali del terreno come fiumi. I Kvartal sono un elemento importante nei catasti, nelle mappature, nell’economia e nella gestione delle foreste. I Kvartal possono essere di dimensioni diverse per esempio 4x4km, 8x8km o più grandi a seconda delle dimensioni della foresta.
Le Kvartal sono numerate in direzione da NW a SE. I quattro poli ai passaggi di una corsia possiedono orientamenti sui loro lati con una numerazione anche nelle altri direzioni. I ranger, i geologi e i turisti li usano per trovare le loro posizioni sulle mappe. Il 41° Kvartal, a cui il testo si riferisce, è un insediamento boschivo sito nella 41° foresta Kvartal.
* Kholat Syakhl - significa nella lingua Mansi ’Montagna Morta’ ma, a seguito delle morti che vi hanno avuto luogo è oggi conosciuta come la ’Montagna della Morte’.
* Taiga – è un termine usato per descrivere la foresta boreale. La Taiga è un bioma o un ecosistema che consiste principalmente di foreste di conifere e copre una vasta area nel nord della Russia.
* Gulag - acronimo (in russo - Glavnoe uplavrenie Lagerei, significa Amministrazione Principale del Campo) riferita al sistema dei campi di prigionia utilizzato in tutta l’URSS per incarcerare i criminali e i prigionieri politici ed in cui venivano utilizzati come schiavi.
* I nomi – ho evitato per quanto possibile l’uso del tradizionale patronimico russo e ho usato semplificare i nomi, al fine di rendere più facile la lettura.
* Yekaterinburg/Ekaterinburg - non è motivo di questo libro spiegare le varie ragioni per cui esistono due grafie diverse per la città: ho scelto Ekaterinburg. Tra il 1924 e il 1991 la città era chiamata Sverdlovsk.
* Oblast’ - regione amministrativa del governo.
* Mansi - tribù della regione degli Urali settentrionale.
* Khanty - tribù degli Urali settentrionali, legati ai Mansi.
Prologo
Nel gennaio del 1959 dieci studenti del Politecnico degli Urali di Sverdlovsk organizzarono ciò che speravano sarebbe stato un viaggio emozionante e una prova delle loro competenze nei remoti Monti Urali settentrionali, quasi 400 miglia a nord della città dove avevano vissuto e studiato.
Per quanto fosse pieno inverno, e le condizioni si preannunciassero rigide, il viaggio fu il pretesto per una pausa dalla dura routine quotidiana dei loro studi.
Il leader del gruppo era Igor Dyatlov che aveva appena compiuto 23 anni un’affabile ed esperto sciatore, escursionista ed esperto nell’orientamento.
Nel gruppo erano presenti due ragazze con una grande forza di volontà, Lyudmila Dubinina e Zinaida Kolmogorova.
C’erano anche sette uomini: Yury Yudin; Rustem Slobodin; Semyon Zolotarev, un duro veterano della Seconda Guerra Mondiale ed esperto in combattimenti a mani nude; Alexander Kolevatov; George Krivonischenko; Yury Doroshenko e Nicolai Thibeaux-Brignolle, nato in uno dei Gulag di Stalin dove suo padre, un comunista francese, era stato imprigionato e giustiziato.
L’intero gruppo era composto da esperti escursionisti e sciatori in piena forma. Solo l’anno precedente, Igor Dyatlov aveva guidato un gruppo sullo stesso percorso erano pertanto sicuri che non ci sarebbero stati problemi che non avrebbero saputo affrontare.
Lasciarono in treno Sverdlovsk e viaggiarono verso nord, poi su un camion e infine a piedi e con gli sci. Il 27 gennaio raggiunsero un villaggio abbandonato composto da case di legno, usato in precedenza da alcuni geologi. Vi trascorsero la notte e fu in questo posto che il giorno seguente (il 28 gennaio), un membro del gruppo, Yury Yudin, decise di tornare indietro perché ammalato.
Il loro obiettivo era quello di raggiungere il Monte Otorten di 1.234m (che tradotto dalla locale lingua Mansi significa ‘non andateci’), ma finirono sulle pendici del monte Kholat Syakhl, 1.079m, (tradotto dalla lingua Mansi in ‘Montagna della Morte’).
Ogni evento riguardate il viaggio del gruppo Dyatlov può essere verificato indipendentemente fino al 28 Gennaio del 1959. Dopo tale data, e nonostante la presenza di un diario e fotografie del gruppo, nulla può più essere più verificato.
Viaggio verso il Monte dei Morti
Gli eventi che sono occorsi tra la notte del 1 e del 2 febbraio 1959 sono stati ricostruiti, per quanto possibile, da quello che è stato ritrovato dai gruppi di ricerca arrivati sul posto e dalle ultime annotazioni sul diario del gruppo Dyatlov del 31 Gennaio 1959, scritte dallo stesso Igor Dyatlov.
Questo capitolo è anche una ricostruzione di ciò che successe secondo il punto di vista ufficiale.
Il 23 gennaio 1959, il gruppo di dieci sciatori trascorse la giornata nella camera 531 presso l’Ural Polytechnic Institute (UPI) a Sverdlovsk. Erano tutti membri dell’UPI Sports Club e stavano freneticamente preparando gli zaini e imballando la loro attrezzatura in attesa del treno da prendere. Assistiti dal Zavchoz, il responsabile dell’università per la distribuzione delle provvigioni, avevano messo in valigia vari oggetti tra cui farina d’avena, 3kg di sale, coltelli, stivali di feltro e altri accessori necessari per il viaggio¹.
La conversazione era impostata su un livello molto superficiale e, nonostante i loro preparativi al viaggio tutti fremevano con animi che iniziavano a stressarsi. Zina Kolmogorova espresse la sua frustrazione per non essere in grado di impacchettare una bilancia a molla. Rustem Slobodin chiese se sarebbe stato in grado di suonare il suo mandolino sul treno - domanda a cui Zina bruscamente rispose: ‘Certo!’ poiché consideravano il mandolino uno degli oggetti più importanti tra le attrezzature per il viaggio in quanto sarebbe stato la loro principale fonte di intrattenimento.
Luda Dubinina contò i soldi che avevano raccolto insieme. Il denaro era poco. Erano stati donati 1.000 rubli da parte del comitato dell’Unione per il commercio presso l’Università ma dovettero aggiungervi dai propri risparmi. Erano allegri e non vedevano l’ora di partire per la loro spedizione, nonostante la corsa dell’ultimo minuto per assicurarsi che tutto fosse a posto e di non aver dimenticato cibo o attrezzature.
Quel giorno, il 23 gennaio, fu il primo in cui fu scritta una voce nel diario del gruppo, compito in cui si sarebbero alternati durante tutto il periodo della spedizione. La prima annotazione fu scritta da Zina che si domandava cosa li avrebbe attesi durante il viaggio - anche se in quel momento non avrebbe potuto avere la minima idea di ciò che sarebbe accaduto².
Il loro percorso prevedeva un viaggio in treno fino alla città di Ivdel, via Serov, e poi un autobus che li avrebbe portati direttamente a nord in un piccolo insediamento, a Vizhay sul fiume Auspia.
Da Vizhay il gruppo avrebbe proseguito su un camion a noleggio, poi a piedi e con gli sci fino al Monte Otorten. L’intero percorso da Sverdlovsk al monte Otorten, con delle fermate intermedie, era in linea d’aria, da nord a sud, di circa 550 km.
Dalla partenza al loro arrivo a Sverdlovsk era stato previsto un viaggio di ventidue giorni. In questo momento un’altra persona aveva aderito al gruppo, Nicolai Popov, soprannominato ‘il tizio cupo’, che aveva concordato con il leader del gruppo Igor Dyatlov di procurarsi indipendentemente le proprie forniture e attrezzature.
Popov era già laureato presso l’Università e non era più uno studente. Fortunatamente per lui, perse il treno. Il gruppo partì dalla stazione ferroviaria principale di Sverdlovsk e percorse 324 km a nord verso la città di Serov. I giovani del gruppo fecero alle due ragazze una solenne promessa: non avrebbero fumato per l’intero viaggio. Zina dubitava molto che avrebbero avuto la forza di volontà per mantenere la loro promessa per tanto tempo. Una volta che il treno partì per il lungo viaggio verso nord, si accomodarono nei loro sedili e Rustem Slobodin tirò fuori il suo mandolino. Assieme cantarono delle canzoni che conoscevano e ne composero di nuove. Semyon Zolotarev non era ben integrato con gli altri ma si amalgamò velocemente al gruppo conoscendo un vasto repertorio di canzoni, molte delle quali sconosciute agli altri studenti.
In ragione della sua maggiore esperienza di vita gli fu concesso subito un rispetto incondizionato, in particolar modo perché era stato, durante la Seconda Guerra Mondiale, un soldato in prima linea, oltre ad essere stato un capo Komsomol (l’organizzazione giovanile Sovietica). Si è speculato molto sul ruolo di Zolotarev così come su ciò che sarebbe successo al gruppo e che per molti versi rimane un enigma.
Mentre cantavano con il mandolino, il buio scese ed il treno proseguì il suo lungo viaggio verso nord.
Si affacciarono ai finestrini e ai loro occhi la Taiga sembrò un orizzonte senza fine partendo dagli Urali sulla sinistra e perdendosi sul lato opposto nei vasti spazi vuoti della Siberia.
Oltre la comparsa occasionale, tra Sverdlovsk e Serov, di qualche piccola Severny (insediamento), passarono diverse basi militari (o aree connesse ai militari).
Durante l’attacco