Il siluro del Po
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Anteprima del libro
Il siluro del Po - Dario Frignani
633/1941.
Fiume Po, curva del Bosco di Porporana. Ferrara. Ferragosto.
«Non tirare troppo la lenza, lascialo stancare!»
Sergio, il più vecchio dei due pescatori, stava dando consigli al suo amico Filippo che, con la canna in mano, stava lottando con un pesce di notevoli dimensioni che aveva abboccato al suo amo.
«E' lui che tira, deve essere bello grosso!»
Filippo faceva un certo sforzo nel trattenere la canna che il pesce sembrava volergli strappare di mano. Con le gambe aperte ed il corpo piegato all'indietro stava contrastando l'azione dell'animale che, attraverso la lenza e la canna, trascinava la barca dirigendosi deciso verso valle. Sergio, senza usare il motore e neppure i remi, si limitava ad osservare; la barca veniva così trascinata secondo la volontà del grosso esemplare. Solo dopo più di un 'ora di lotta il pesce cominciò a stancarsi rallentando la sua corsa subacquea. Adesso cambiava spesso direzione continuando a puntare verso il fondo.
Il pescatore, con movimenti rapidi della canna ed azionando il mulinello, cominciò a recuperare la lenza nel tentativo di fare emergere il pesce. Cercava d'indebolirlo ulteriormente facendogli respirare un po' d'aria.
Finalmente la manovra riuscì, il pesce emerse per un attimo lasciando a bocca aperta i due pescatori.
«E' un siluro enorme!» gridò Sergio.
«Sarà più di un quintale!» ripose Filippo con la voce affannata.
Dopo parecchi minuti il pesce, ormai esausto, fece qualche altro tentativo di allontanarsi poi si arrese rimanendo in superficie.
Le sue dimensioni non consentivano di salparlo con la solita manovra usando un guadino o un raffio;Sergio capì subito cosa bisognava fare:
«Lo dobbiamo arenare sulla spiaggia!»
Con l'aiuto del motore, mentre Filippo teneva in tensione la lenza, raggiunsero lentamente la spiaggia, un isolotto sabbioso che si era formato quasi al centro del fiume.
Quando la prua della barca toccò il fondo, Sergio scese nell'acqua con il raffio in mano:
«Attento, che non ti dia uno strappo!»
Filippo non rispose nemmeno, concentrato com'era nel tenere la canna.
Il siluro tentò gli ultimi deboli guizzi ma Sergio con un colpo deciso lo agganciò saldamente per una branchia ; intanto Filippo continuava a tenere in tensione la lenza. Con un notevole sforzo di entrambi, finalmente il pesce fu portato all'asciutto.
Rimasero entrambi in silenzio ammirando il pesce, non certo bello, ma enorme, quello sì!
«Per un bel po' avremo il record del siluro più grosso pescato nel Po!»
disse Sergio con un certo orgoglio.
Misurarono e fotografarono l'animale poi decisero di portarlo al molo. Non senza fatica trasportarono il siluro legandolo lateralmente alla barca.
«Lo venderemo a qualche rumeno, però dobbiamo togliere le interiora per evitare che imputridiscano»disse Filippo, che non aveva ancora tolto gli occhi dalla sua preda.
Dopo un'altra faticata per distendere il pesce sul molo cominciarono ad aprire il ventre.
A quel punto l'avventura si trasformò inaspettatamente:lo stomaco appariva pieno. Per la curiosità di sapere cosa avesse mangiato il mostro, tagliarono anche quello. Ne uscì, come una molla, una cosa allungata, parzialmente digerita ma ancora riconoscibile. Davanti agli occhi inorriditi dei due pescatori, si rivelò essere un braccio umano.
I primi problemi arrivarono con i Carabinieri. Il brigadiere Esposito, parlando col cellulare dall'argine, non riusciva a capire perché non si potesse recuperare l'arto «senza toccare niente». Non si poteva portare sull'argine il pesce con il braccio infilato nello stomaco come chiedeva il brigadiere, che non aveva idea di come fosse grosso il pesce!
I due pescatori raggiunsero il carabiniere che non si spostava dalla strada sull'argine e, dopo avere spiegato la situazione, lo invitarono a scendere fino al molo.
Dopo una lunga consultazione con il suo superiore, il maresciallo Santini, che a sua volta aveva contattato il comando Provinciale, il braccio venne recuperato e portato a Ferrara.
In attesa di ordini, il reperto venne inviato al RIS di Parma, come di consueto. Per conoscenza, una comunicazione venne inviata a Bologna, al Comando Legione Carabinieri Emilia-Romagna.
Quantico, Virginia. 12 marzo 2016. Jennifer
Il tenente dei carabinieri Massimo Carletti stava seguendo un corso internazionale sulle nuove tecniche investigative che lo avrebbe impegnato due mesi nell'accademia della FBI a Quantico.
Con lui dall'Italia, erano venuti due giovani agenti della Polizia di Stato, tutti e tre impazienti di poter accrescere il loro bagaglio di conoscenze.
Carletti non aveva mai avuto una relazione seria, a causa della carriera militare, dell'accademia e dei frequenti spostamenti, diceva, ma in realtà era per la sua indole, non incline a facili innamoramenti.
Una sera, nel ristorante dove si recava spesso in compagnia degli altri due italiani, la vide:sedeva sola ad un tavolo poco distante dal suo, concentrata alternativamente sulla sua insalata e sul tablet. Non alzava mai lo sguardo, dando l'impressione che si trovasse in un luogo deserto invece che in un locale affollato.
Carletti aveva annuito senza aggiungere nulla agli scontati commenti sulla bella bionda che i suoi colleghi, ovviamente, non lesinavano.
Per caso, finita la cena, si alzarono contemporaneamente dai rispettivi tavoli, come attratti da un'invisibile calamita; i loro sguardi, per un attimo, s'incontrarono. Carletti balbettòò un good night mentre lei si limitò ad un sorriso.
La super sfruttata definizione di fulmine a ciel sereno, questa volta, era veramente azzeccata.
La sera dopo, trovando un coraggio inaspettato, ignorando i risolini dei due colleghi, le chiese di sedersi al suo tavolo. Fu quella l'ultima volta che la nuova coppia venne vista in quel locale.
L'amore travolgente che era nato, li tenne lontani ;le cene successive furono molto veloci per non rubare tempo prezioso al resto della notte. Jennifer viveva da sola e Carletti non aveva nessun obbligo di rientrare in albergo.
I giorni passarono rapidamente, il giorno della partenza si avvicinava inesorabile. Lui le chiese di seguirlo in Italia ma lei, pur rammaricandosi, rifiutò. Avrebbe dovuto interrompere la sua carriera lavorativa e lasciare i suoi genitori con problemi di salute ma, forse, non era abbastanza innamorata. Carletti non conobbe mai il vero motivo.
Tornò in Italia carico di conoscenze, aveva anche migliorato il suo inglese ma, in cambio, lasciava un bel pezzo del suo cuore in Virginia.
Ferrara. Comando Provinciale Carabinieri. 12 settembre.
Il colonnello Parisi aveva appena finito il suo caffè quando suonò il telefono:»Parisi, sono Dal Bianco, buon giorno. «
«Buon giorno signor Generale, mi dica. «
«Si ricorda quella vicenda. . . non mi ricordo la data. . . . , quel ritrovamento di un braccio umano. . . ?»
Il colonnello guardò il soffitto pensando che nelle alte sfere, evidentemente, non avevano di meglio da fare.
«Si, si mi ricordo, quel corpo mangiato dai pesci. . . . «
«Ci sono degli sviluppi sull'indagine?»
Il colonnello guardò di nuovo il soffitto:
«No, signor Generale, il nostro reparto investigativo non lo ha ancora preso in esame;sa, con tutte quelle indagini in corso, non c'è stato ancora il tempo. . . . «
«Bene, domani verrà a Ferrara il tenente Carletti, si occuperà lui di quel caso. «
«Ma, signor Generale, non credo che …. . «
Alzando leggermente la voce il generale lo interruppe :
«Parisi, mi ascolti, questa decisione viene dall'alto;il tenente Carletti è un giovane brillante ufficiale che ha fatto un corso di specializzazione in America :è giusto che faccia qualche esperienza sul campo. Il tenente opererà autonomamente, i suoi uomini, già cosi impegnati, non dovranno occuparsene ma faccia il possibile per fargli avere tutto l'appoggio necessario. Suo zio, il Generale Simoni, apprezzerà!»
Ferrara, Comando Provinciale Carabinieri. 13 settembre. L'investigatore
Poco prima di mezzogiorno, il tenente Carletti, in borghese, guidando la sua BMW, arrivò al Comando di Ferrara, parcheggiando all'esterno della caserma. Poi si presentò al comandante. Parisi
guardò l'uomo che si era fermato sulla porta dell'ufficio: poteva avere ventisette, ventotto anni, un metro e settantacinque circa, un gradevole aspetto oltre ad avere (lui) molti capelli(ed ancora) neri.
Il suo portamento non era proprio quello marziale tipico dei militari ma non mancava di una certa eleganza. Sembrava ostentare una sicurezza che ancora non poteva definire arroganza e che non sapeva se derivasse dalla sua competenza o piuttosto dalla protezione che aveva in alto loco.
Dopo quella sua valutazione, durata pochi secondi ma non per questo ritenuta meno valida, il colonnello cercò, comunque, di mostrarsi cortese facendogli cenno d'entrare:
«Bene arrivato tenente, venga, venga, arriva da Bologna?»
«No, direttamente da Roma, dal Comando generale, sono partito presto e. . . eccomi qui»
«Quindi è tornato a casa?»
«In un certo senso sì, sono nato a Ferrara ma manco da molti anni, da quando mio padre fu trasferito a Milano, qui non ho più parenti né amici. «
«Ma la città se la ricorderà?»
«Si certo. . «In realtà il tenente ebbe una fugace visione della città, di estati afose e di strade acciottolate. Vedeva tutto vago, era passato molto tempo e lui, quando lasciò la città, non aveva ancora otto anni. Degli altri bambini non ricordava né i nomi né i visi. Una meno sfumata reminiscenza era quella dei giochi al parco Massari, quando vi andava con i suoi genitori la domenica d'estate ;ma del parco ricordava solo il nome.
Il castello estense, non lo aveva dimenticato, certamente non nei particolari, ma l'imponenza di quella strana costruzione circondata dall'acqua del fossato era l'unica immagine di Ferrara che aveva lasciato una traccia indelebile nella sua memoria.
«Bene, vedrà che è ancora bella, la periferia si è molto ingrandita e trasformata ma il centro storico è ancora quello, certo che la criminalità …. . ma questo è un altro aspetto. . . «
finì la frase con un sospiro, poi proseguì:
«Il brigadiere Cirelli le darà il fascicolo con tutte le informazioni che le serviranno, abbiamo un ufficio vuoto e la sua camera sarà pronta al più