Emergenza in alto mare: Harmony Bianca
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Anteprima del libro
Emergenza in alto mare - Scarlet Wilson
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
An Inescapable Temptation
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2013 Scarlet Wilson
Traduzione di Monica D’Alessandro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-878-6
1
«Aiuto!»
Gabriel si voltò, cercando di capire da dove provenisse quel grido, in mezzo alla folla di persone che si accalcavano su un lato del porto. Il terminal Venezia Passeggeri era gremito, soprattutto di personale dell’equipaggio e del porto. Carrelli pieni di bagagli dei passeggeri e un enorme quantità di cibo stavano per essere caricati a bordo della nave da crociera davanti a lui, bloccandogli la visuale.
«Aiuto! Quaggiù. Qualcuno mi aiuti!»
Il grido si propagò attraverso la folla, mentre le persone si voltavano in direzione del punto da cui proveniva l’urlo. Gabriel impiegò solo alcuni secondi per capire che il grido proveniva dal bordo della banchina. Lasciò cadere la borsa e si fece largo tra i presenti. Lì in piedi c’era una donna, il viso pallido, la respirazione accelerata. Con la mano che le tremava indicava verso l’acqua.
Gabriel vide un bambino, un adolescente, dibattersi tra le onde che sembravano già avere la meglio su di lui. Doveva essere appena caduto, ma quella parte del porticciolo turistico si trovava proprio nella periferia di Venezia, più vicino al mare, e le onde non facevano che portarlo su e giù rispetto alla superficie, spingendolo al largo, mentre lui tossiva e sputava acqua.
Gabriel non rifletté nemmeno. Si tuffò subito nelle torbide acque di Venezia.
Nuotò rapidamente verso il ragazzo. Appena pochi secondi dopo, desiderò di avere avuto il tempo di togliersi le scarpe e la giacca dell’uniforme bianca, che non facevano che trascinarlo giù.
Il ragazzo continuava ad affondare davanti ai suoi occhi, le onde lo sovrastavano mentre lottava per respirare. Gabriel fece un balzo in avanti, ansioso di raggiungerlo prima che scomparisse di nuovo dalla sua vista.
Lo raggiunse in meno di un minuto, ma il ragazzo era stato ormai sommerso dalle onde. Gabriel fece un respiro profondo e andò sott’acqua. Sfiorò qualcosa con le dita, e cercò invano di afferrarlo. Niente.
Si sentì preda della frustrazione. Il suo viso riemerse sulla superficie dell’acqua e lui annaspò in cerca di aria. Cercò di togliersi le scarpe, spingendole via prima con un piede, poi con l’altro. Era un gesto che compiva ogni sera nella comodità del suo attico, mentre era seduto sul divano, ma farlo per restare a galla era molto più difficile. Alla fine, provò un gran sollievo quando le sue scarpe di cuoio da cinquecento euro, fatte a mano, affondarono. Adesso sarebbe riuscito a trovare il ragazzo.
Si immerse di nuovo sott’acqua, allungando le mani, cercando di abbracciare lo spazio sotto di lui. Questa volta sentì qualcosa sbattergli contro la mano e lui l’afferrò forte prima di nuotare verso la superficie. Entrambi sbucarono all’improvviso oltre le onde, ma il ragazzo agitava scompostamente le gambe e le braccia.
Gabriel riusciva a vedere il molo. Delle sagome gridavano verso di lui, ma non riusciva a sentire una parola. La corrente era molto forte in quel punto e non riusciva quasi a credere quanto in fretta si erano spostati dalla banchina.
Cinse il petto del ragazzo con entrambe le braccia e lo fece aderire al proprio torace, cercando di nuotare per entrambi mettendo in pratica la classica manovra di salvataggio.
Ma il ragazzo era sempre in preda al panico. Le onde erano violente, l’acqua continuava a sommergerli, inducendo il ragazzo a dibattersi tra le braccia di Gabriel mentre cercava di respirare. Un’ombra apparve in lontananza dietro di loro.
Le braccia gli facevano male mentre lottava per tenere entrambe le loro teste al di sopra della superficie.
Non aveva mai effettuato un salvataggio a mare prima di allora. L’ultima volta che ne aveva visto uno era stato in televisione. Era sembrato tutto tanto più semplice, allora. I bagnini in TV non mettevano sempre le persone a pancia in su e le trascinavano a riva? Non sembrava funzionasse per lui. E avevano quello strano oggetto di plastica rossa ad aiutarli. Dov’erano le cinture di salvataggio? Ogni porto non doveva forse esserne provvisto?
Cosa diavolo stava facendo? Era pazzesco. Essere un dottore a bordo di una nave da crociera avrebbe dovuto essere semplice. Non sarebbe dovuto morire il primo giorno di lavoro.
Eppure, aveva capito fin dall’inizio che accettare quel lavoro era una cattiva idea. Essere un dottore di una nave da crociera difficilmente era il ruolo ideale per un pediatra.
Ma la famiglia veniva per prima.
E quello era stato il primo lavoro che era stato in grado di trovare in così poco tempo. Abbastanza vicino a Venezia se ci fosse stato bisogno, ma abbastanza lontano da non attirare l’attenzione indesiderata dei mass media.
La salute di suo padre stava lentamente, ma inesorabilmente peggiorando. E il richiamo degli affari di famiglia, quelli di cui non aveva mai voluto interessarsi, stava diventando sempre più forte. Essere lontano quattordici ore di volo non era più possibile. Né era stato possibile trovare nei paraggi un posto nel suo campo di specializzazione.
Se avesse fatto domanda per un posto come pediatra sei mesi prima, con la sua preparazione e la sua esperienza, lo avrebbe quasi sicuramente ottenuto. Ma tutti i posti migliori erano già stati occupati e sarebbero passati altri sei mesi prima che fossero di nuovo disponibili.
Si trattava di un compromesso. Solo non era previsto che quel compromesso lo uccidesse.
Vide una piccola barca in lontananza. Sembrava si muovesse molto lentamente attorno alla carena della nave da crociera, come se stesse strisciando verso di loro come una tartaruga. Ogni muscolo del suo corpo iniziava a bruciargli. Le braccia erano come blocchi di piombo. Le sagome sul molo continuavano a gridare contro di loro e l’ombra comparve di nuovo.
Gabriel si sforzò di voltarsi mentre il muro compariva sopra di loro. All’improvviso, il pericolo divenne evidente. La forte corrente li stava trascinando dritti contro di esso, e dato che Gabriel aveva entrambe le braccia strette attorno al torace del ragazzo non c’era nessuna possibilità che riuscisse a sollevarle per proteggersi la testa.
E tutto questo per essere lì, con l’intenzione di stare vicino alla sua famiglia. E poi, all’improvviso, tutto divenne buio.
Francesca era annoiata. Moriva di noia. L’espressione preferita della madre.
Sorrise e fece un cenno con il capo quando qualcuno camminando la superò, sentendosi a disagio nella sua uniforme. Quella era la parte del suo lavoro che odiava. Tutto il personale la odiava. Tanto che tiravano a sorte ogni volta che il comandante insisteva che un membro dello staff medico stesse in piedi vicino al banco accettazione del terminal.
Stare in piedi di fronte a una bandiera della Silver Whisper in un’area di sosta non era la sua idea di divertimento. Il comandante pensava che ciò facesse apparire il personale medico più accessibile.
Francesca guardava i passeggeri che venivano a guardare ammirati il lato della nave. Appena spuntavano, i membri dell’equipaggio addetti all’intrattenimento si mettevano a fare loro un sacco di feste, cacciando tra le loro mani brochure delle escursioni che la nave da crociera organizzava in ogni porto in cui si fermava. Francesca sospirò e guardò l’orologio. Sarebbe stata una lunga giornata.
Si diede un’occhiata intorno. Non c’era nei dintorni nessuno dei membri del personale di grado più elevato. Chi se ne sarebbe accorto se se la fosse svignata per qualche minuto? Un sorriso balenò sulle sue labbra. Attraversò a lunghi passi l’edificio del terminal, uscendo da una porta secondaria che la condusse alla banchina dove la nave era ormeggiata.
La banchina era stipata di valigie e di membri dell’equipaggio sudati che faticavano per caricarle a bordo. Il cervello di Francesca passò automaticamente alla modalità lavoro, rimproverando nella sua testa chi non si era presentato alle visite mediche richieste.
Girovagò lungo il passaggio pedonale, accennando saluti nei confronti dei membri dell’equipaggio che le erano familiari, apprezzando la sensazione del sole sulla pelle. Come ogni giorno, si era spalmata la protezione solare. Tuttavia, la sua pelle dalla carnagione mediterranea raramente si bruciava e il più leggero tocco del sole sembrava esaltarne la luminosità.
Quella sì che era vita. Lavorare su una nave da crociera le era sembrato un sogno e una buona manovra diversiva. Aveva la possibilità di utilizzare tutte le competenze che aveva appreso lavorando nell’Unità Coronarica e al Pronto Soccorso, oltre alla possibilità di sfruttare il suo stato di infermiera con preparazione avanzata, e tutto in un ambiente rilassato e sicuro.
Ma le lunghe ore e le continue notti in servizio stavano iniziando a fare sentire il loro peso. Per fortuna, aveva un’ottima équipe che lavorava con lei e l’aiutava. Un’équipe che la stava lentamente aiutando a riacquistare la fiducia in se stessa. Quella nave era un buon posto, anche se un po’ noioso, in cui provare a imparare a fidarsi di nuovo del suo istinto di infermiera. Era arrivato il momento di ricominciare daccapo. In definitiva, si trattava soltanto di una sistemazione temporanea, mentre aspettava di ricevere il visto lavorativo per l’Australia. Ma c’erano stati ritardi dopo ritardi, e due mesi erano diventati tre e poi quattro. Sembrava che stesse aspettando da sempre la possibilità di spiegare le ali e volare lontano. Una possibilità di fuggire dai ricordi della sua casa.
«Infermiera! Infermiera!»
Si voltò in fretta nella direzione da cui proveniva l’urlo. Veniva dalla fine del molo, dove si era riunita una piccola folla che indicava e guardava verso il mare. Francesca iniziò a correre.
Riusciva a sentire l’adrenalina che iniziava a scorrerle nelle vene. Quando era stata l’ultima volta che aveva avuto a che fare con un’emergenza? Sarebbe stata in grado di farlo di nuovo? Aveva iniziato a lavorare in un’Unità Coronarica, dove gli arresti cardiaci erano stati all’ordine del giorno. Poi si era trasferita al Pronto Soccorso per accrescere le sue capacità. Lì c’era da aspettarsi l’inaspettato, era questo che le aveva detto la suora con cui aveva lavorato.
E aveva avuto ragione. Dai bambini con una varietà di oggetti domestici conficcati nel naso alle vittime di incidenti stradali, non poteva mai sapere chi sarebbe entrato dalla porta. Fino a quel momento aveva goduto della relativa calma della nave da crociera. Poteva sembrare un po’ banale ogni tanto distribuire pillole contro il mal di mare, avere a che fare con problemi digestivi e dare consigli sulle scottature. Forse le cose stavano per ravvivarsi?
Raggiunse il bordo del molo e seguì le dita che indicavano le due sagome in acqua. Uno sembrava un bambino. Un motoscafo li stava raggiungendo. Trasalì quando vide le violente onde che li trasportavano contro il muro del porto. Anche se si trovava a centinaia di metri, poteva quasi sentire lo schianto.