La Salutatrice
5/5
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Info su questo ebook
Stretta nel chiuso di una relazione sentimentale senza prospettive, trova conforto in un lavoro che si inventa per caso: saluta coloro hanno uno sfrenato bisogno di compagnia; sono i passeggeri in arrivo e in partenza dalla stazione di Napoli.
Proprio qui, seduta ad un tavolino di un bar, si presenta una persona del suo passato.
L’incontro è decisivo, tutto sarà rimesso in discussione.
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Recensioni su La Salutatrice
1 valutazione1 recensione
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Una professione originale in un contesto descritto meravigliosamente. Una storia scritta come vento che soffia piano.
1 persona l'ha trovata utile
Anteprima del libro
La Salutatrice - Cristiana La Capria
La salutatrice
Cristiana La Capria
© 2019 Koi Press
Koi Press è un marchio editoriale di Openmind Srls
Via Volta 72, 20013 - Magenta (MI)
www.koipress.it/
Progetto grafico: Koi Press
Immagine in copertina: Pexels.com
Tutti i diritti sono riservati
ISBN 9788885769168
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
1
Si girava e rigirava nel letto. Le zanzare non le davano tregua, quel ronzio nelle orecchie era snervante anche più delle molle che cigolavano a ogni suo minimo movimento. Alla fine, Gianna aprì gli occhi. Il caldo era feroce, dalla finestra spalancata entrava in abbondanza la luce del sole, setacciata da quella sottile rete che secondo Francesco era una zanzariera, ma non serviva a niente, era smagliata e lasciava entrare puntualmente gli insetti della notte per tormentare lei, mica lui che ancora stava dormendo placido, voltato dall’altra parte del letto.
Erano le otto. Rimase ancora qualche minuto stesa, con le braccia piegate dietro la testa a fissare davanti a sé la cima dell’albero di fichi in giardino, non vedeva l’ora che arrivasse settembre per raccogliere i suoi frutti così gustosi, mancavano tre mesi.
Si alzò senza fare rumore.
Entrò in bagno, fermò svogliatamente i capelli con un elastico, qualche ricciolo scivolò sulla fronte. Gettò sulla faccia tanta acqua che scorreva a fiotti irregolari, era tiepida: con quel caldo le tubature erano già roventi. Si contemplò gli occhi, due chiazze blu scuro che il padre diceva essere del colore del mare di Capri. E chi ci era mai stato a Capri? Era già una fortuna se anche quell’estate poteva andare a farsi un bagno al lido di Varcaturo, a due chilometri da casa. Si asciugò, si pettinò, si vestì con i jeans e la canottiera a fiori del giorno prima, poi, con le mani sui fianchi, lanciò un sorrisetto verso lo specchio: la giornata sarebbe stata lunga, meglio affrontarla con allegria.
Tornata in camera, chiamò a voce alta il fidanzato: – Checco svegliati!
– Buongiorno – mugugnò Francesco stirando le braccia verso l’alto – Adesso mi alzo.
Intanto dal cortile Ivan abbaiava contento.
Gianna spalancò le imposte del balcone della sala, si affacciò e, rivolgendosi al cane – Ivan, buongiorno. Hai sentito che ci siamo svegliati? – La bestiola agitava la coda, si sollevava su due zampe mantenendosi in equilibrio, faceva l’acrobata per farsi lodare.
– Tra poco vengo a salutarti, aspettami – lo rassicurò Gianna.
Il cane era un incrocio di stazza media, le orecchie a punta come quelle di un volpino, il pelo fulvo, con un collare di pelle che aveva indosso il giorno in cui Gianna e Francesco lo avevano trovato abbandonato in strada e se lo erano portato a casa. Era diventato il principino della casa. Non poteva entrare nelle camere però, la signora Anna non lo permetteva, Ivan aveva la cuccia ai piedi dell’albero di limoni che il caro signor Nino aveva piantato con tanta cura davanti all’atrio.
Bisognava raccoglierli i limoni, pensò Gianna, qualcuno era già caduto sul tavolo dove la domenica, un tempo, si pranzava tutti insieme: la signora Anna, il signor Nino, Francesco, lei e le vicine, la signora Rosa e sua figlia. Si mangiava la pasta lavorata a mano il giorno prima, condita con il ragù cotto a fuoco lento per ore e un grande piatto di mozzarella in carrozza, si brindava con il vino rosso, fermo, di quelli che facevano girare la testa facilmente, mentre Ivan fissava ipnotizzato il cibo sulla tavola sperando in un miracolo. Che nostalgia.
Gianna notò che nell’orto intorno alla casa i pomodori erano diventati troppo rossi, pure le zucchine e le ciliegie erano ormai mature. Bisognava trovare il tempo per raccogliere tutto, magari ci sarebbe riuscita il sabato successivo.
Un odore intenso di caffè arrivò dal piano di sotto, era il momento di scendere a fare colazione.
– Checco sei pronto? – Gianna richiamò il fidanzato.
– Eccomi! – Francesco uscì lentamente dalla camera da letto in tuta e pantofole, i capelli ancora disfatti, lo sguardo assonnato, gli occhiali rotondi sul naso, aprì la porta di casa e scese le scale. Gianna sospirò e lo seguì.
Dalla porta spalancata del piano di sotto arrivava un odore di latte bruciato, la TV a tutto volume trasmetteva le notizie meteo.
– Buongiorno! – trillò la signora Anna dal suo tavolino da lavoro, sprofondata in mezzo a campioni di stoffa di vario tipo. Si svegliava presto la mattina e cominciava a tagliare e a cucire, riparando e confezionando i vestiti che le portavano gli abitanti del quartiere. Si sfilò gli occhiali e chiese – Checco hai dormito bene?
– Sì, sì – fece lui stropicciandosi gli occhi.
– Avrai studiato tutta la notte, figlio mio. Ma vedrai che l’esame andrà bene. Quando hai il prossimo appello?
– Tra un paio di settimane – rispose in fretta Francesco, entrando in cucina. Sedette davanti alla tavola già apparecchiata con due tazze, un pacco di tovaglioli di carta, un bricco di caffè, un barattolo di plastica con dentro lo zucchero e una vecchia scatola di latta ricolma di frollini al cacao.
– Giannina vuoi controllare il latte? Me lo sono dimenticata sul fuoco – gridò la signora Anna dall’altra stanza mentre metteva da parte la macchina da cucire. Gianna si avvicinò ai fornelli, il latte era fumante come al solito, le pareti del pentolino erano incrostate di marrone. Versò il latte nella tazza di Francesco che stava ruminando un altro biscotto, per sé versò solo del caffè ormai tiepido e diede un morso a uno di quei frollini troppo secchi e troppo dolci. Intanto la signora Anna entrò pure lei in cucina, si tolse il grembiule che le impicciava i movimenti, si versò dell’acqua in un bicchiere e si sedette di fronte al figlio. Gianna la osservava mentre fermava con una pinza i capelli rossicci e umidi di sudore, aveva un bel viso ovale la signora Anna, i lineamenti delicati, il naso piccolo, gli occhi verde scuro e molte linee accentuate sulla fronte, a causa delle preoccupazioni.
Da quando suo marito Nino era morto, tre anni prima, aveva mantenuto intatte le sue abitudini dentro quella casa. L’avevano cercata apposta su due livelli. Il loro progetto era che, quando il figlio si fosse fatto grande, sarebbe andato a vivere al piano di sopra. E così era accaduto. La signora Anna non si era fatta scoraggiare dalla perdita del suo amato marito, aveva resistito e continuato a rimanere sempre in movimento; chi si ferma è perduto
, diceva sempre. Oltre a portare avanti il lavoro di sarta, rassettava l’appartamento suo e quello dove Francesco era andato a stare con la fidanzata, preparava la colazione e la cena per tutti, faceva la spesa. Il figlio aveva ventotto anni, doveva finire assolutamente l’università e diventare avvocato.
– Allora Checco, secondo me hai fatto bene a rifiutare quel 22 – incalzò la signora Anna con le braccia incrociate sul tavolo – il professore di diritto penale ha sbagliato proprio a darti quel voto così basso, non te lo meritavi.
– Dai, ma’, non fa niente. Il prossimo appello andrà meglio – reagì Francesco dopo aver deglutito l’ennesimo biscotto, finì di bere il latte e fece per alzarsi da tavola.
– Checco, aspetta – intervenne Gianna fermandogli il braccio – non ho ancora messo in ordine in sala, dammi cinque minuti, vado di sopra, pulisco il tavolo, rimetto i tuoi libri in ordine così puoi studiare meglio.
– No, no, non ti preoccupare Giannina, me ne occupo io – irruppe la signora Anna – invece tu resta ancora qui un momento – la signora Anna appoggiò i gomiti sul tavolo incrociando le mani e di nuovo si sporse in avanti: – Tu lo sai che Francesco deve concentrarsi sullo studio, gli manca poco alla laurea, non può distrarsi. Però voi avete bisogno di soldi per campare, e in questa fase tu ti devi dare da fare di più, secondo me. Quello che guadagni non basta.
Gianna la guardava con le labbra serrate.
La signora Anna proseguì: – Ieri al mercato del pesce ho incontrato Rita Pasquillo, la sorella di Rosa, la vicina, e sai che mi ha detto? Che alla sede di vendita all’ingrosso della Metro
, a Pozzuoli, in via Campana, cercano una cassiera per sostituire una dipendente in maternità. Di questi tempi è una buona occasione, non è neppure lontano da qui. Dovresti proporti.
– Va bene. Appena posso mi do da fare – rispose Gianna lanciando uno sguardo a Francesco che continuava a trascinare il cucchiaino sul fondo della tazza vuota, senza dire una parola. Gianna allora prese la sua tazzina e la sciacquò nel lavello, si asciugò le mani: – Adesso però devo andare al lavoro, – annunciò.
– Al lavoro? Ma perché, il tuo è un lavoro? – rintuzzò subito la donna con un mezzo sorriso. Il figlio non si smosse, era ancora occupato con il cucchiaino. Gianna non raccolse la sfida, rispose che l’indomani avrebbe trovato il tempo per mettere nelle ceste la frutta e gli ortaggi maturi che avrebbe