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The masked lady: Plaingrass serie - Libro I
The masked lady: Plaingrass serie - Libro I
The masked lady: Plaingrass serie - Libro I
E-book424 pagine6 ore

The masked lady: Plaingrass serie - Libro I

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Info su questo ebook

Astrid sogna la sua vita da sposata fin da quando era poco più che una ragazzina. S'immaginava un matrimonio d'amore, con un uomo affascinante e premuroso. S'immaginava un idillio perfetto, tra lei e suo marito. Ma non aveva fatto i conti con la realtà. Catapultata nella vita vera si ritrova sposata con Byron Devenport, un uomo freddo, cinico, incapace di provare amore e con il vizio per l'alcol e il gioco che l'ha sposata solo per i suoi soldi. I due non potrebbero essere più diversi. E per un motivo a lei ignoto, Byron si comporta come se la odiasse. Con il cuore a pezzi e con tutte le sue aspettative infrante, Astrid si mette in gioco per trovare un modo affinché il suo matrimonio funzioni. Perché anche se non ha scelto lei l'uomo della sua vita crede che un futuro felice per loro sia ancora possibile. Confusa e senza sapere come rendere il suo matrimonio simile a quello di una favola, una visita inattesa le sconvolgerà la vita e le darà lo spunto per mettere in atto un piano geniale. Riuscirà a far cadere il suo glaciale marito nella trappola? O tutto le si rivolterà contro?
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2019
ISBN9788834184325
The masked lady: Plaingrass serie - Libro I

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    Anteprima del libro

    The masked lady - Chiara Rossi

    Chiara Rossi

    The masked lady

    Plaingrass serie - Libro I

    L'opera è di proprietà dell'autrice

    ©Chiara Rossi 2019 tutti i diritti riservati

    La copertina è stata realizzata dall'autrice con l'uso d'immagini prese da Pixabay, sito che mette a disposizione foto e immagini free, senza l'uso di crediti. Per alcune componenti decorative, invece, i crediti vanno ad Obsidian Dawn .

    UUID: 219fb946-7e36-436c-814d-35013d6592ad

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Caro lettore

    Capitolo I

    Capitolo II

    Capitolo III

    Capitolo IV

    Capitolo V

    Capitolo VI

    Capitolo VII

    Capitolo VIII

    Capitolo IX

    Capitolo X

    Capitolo XI

    Capitolo XII

    Capitolo XIII

    Capitolo XIV

    Capitolo XV

    Capitolo XVI

    Capitolo XVII

    Capitolo XVIII

    Capitolo XIX

    Capitolo XX

    Capitolo XXI

    Capitolo XXII

    Capitolo XXIII

    Capitolo XXIV

    Capitolo XXV

    Capitolo XXVI

    Capitolo XXVII

    Capitolo XXVIII

    Capitolo XXIX

    Capitolo XXX

    Capitolo XXXI

    Capitolo XXXII

    Capitolo XXXIII

    Capitolo XXXIV

    Capitolo XXXV

    Capitolo XXXVI

    Capitolo XXXVII

    Capitolo XXXVIII

    L'autrice

    Link utili

    Ringraziamenti

    Caro lettore

    A te, che ami sognare...

    Caro lettore,

    Per favore, non scaricare questo libro illegalmente.

    Se vuoi sostenerci, compra i nostri scritti, in qualsiasi formato tu preferisca.

    Se lo farai, non solo io ma tutti noi autori, te ne saremo grati.

    Chiara

    Capitolo I

    Aveva passato tutto il giorno a scegliere l’abito giusto, rivoltando completamente l’armadio da cima a fondo e rovesciando tutto il contenuto sul grande letto a baldacchino. Nonostante avesse una vasta scelta, improvvisamente uno era troppo corto, un altro troppo lungo, l’altro era troppo pudico e un altro ancora troppo lascivo. Il desiderio di apparire nella sua forma migliore l’aveva resa incontentabile. Tutto per affrontare quell’importante passo della sua vita. Il giorno in cui avrebbe conosciuto il suo futuro sposo. La bellezza era l’unica arma su cui potesse contare, per fare bella impressione. E l’ansia per la scelta del vestito giusto era proporzionata all’agitazione che provava all’idea di parlare con lui per la prima volta.

    Era stata educata per affrontare conversazioni piacevoli e per sembrare agli occhi di un uomo la più interessante possibile, ma di fatto non aveva ancora mai comunicato con un membro del sesso opposto che non facesse parte della sua famiglia. Una fanciulla rispettabile stava alla larga da simili situazioni sconvenienti. Perciò si sentiva una totale inesperta, completamente in balia di emozioni troppo sconvolgenti. Sentiva di perdere il controllo, su tutto, e l’unica cosa che potesse davvero concedersi era la scelta dell’abito da indossare.

    Tra le tante possibilità, il fortunato fu uno color rosa pastello, una tonalità delicata e appropriata per la sua pelle candida. Il corsetto se lo fece stringere dalle domestiche, a tal punto che faceva perfino fatica a respirare. Ma solo così poteva mettere in mostra la sua vita, piccola e fasciata dal tessuto. La crinolina le limitava un po’ i movimenti, rendendole difficile anche solo sedersi, ma dava alla gonna un aspetto voluminoso. E, guardandosi allo specchio, accarezzò proprio il tessuto che scendeva verso terra, ricamato finemente a mano con motivi floreali. Con le dita sfiorò i merletti sulle maniche larghe e i fiocchi sul petto, sorridendo ingenuamente. Si era fatta arricciare delicatamente i capelli castani, che le accarezzavano la schiena e le spalle, e aveva perfino accettato di adoperare un po’ di trucco sul viso.

    A lavoro concluso si guardò di nuovo riflessa, sorpresa nel vedere una ragazza completamente diversa ma allo stesso tempo così simile a lei. Le guance piene e rosse, dovute sia ai cosmetici sia all’imbarazzo, e gli occhi, sbarrati come due grandi finestre sull’oceano, rispecchiavano in pieno l’agitazione del momento e le davano ancora di più un’aria fragile. La paura di non piacere al futuro sposo era tanta, per questo il cuore batteva a mille, come impazzito.

    Il suo non era stato un fidanzamento scelto da lei, come a volte si usava fare, bensì programmato dalle famiglie di entrambi. Né lei né lui avevano avuto voce in capitolo. La sua preoccupazione più grande era scoprire di dover vivere, infelice, di fianco a una persona che non sarebbe potuta diventare neanche un caro amico, figurarsi il proprio amore. Ed era sola ad affrontare tutto questo.

    Fece un lungo respiro, nell’istante in cui un paggetto, bussando alla porta, entrò annunciando: «Vostro padre e gli ospiti vi stanno attendendo nella sala piccola, lady».

    Non potendo, e non volendo, farli aspettare, fu letteralmente spinta fuori dalla stanza per raggiungerli al piano di sotto. Mentre scendeva le scale, stringendo le dita della mano sul corrimano, la paura d’inciampare, o peggio di perdere i sensi, la fece restare vigile.

    Non ebbe il tempo di riflettere a lungo, su cosa fare o dire una volta al cospetto del futuro marito. Come non ebbe il tempo di porsi tutte le domande curiose, tipiche di una ragazza giovane come lei. Quando raggiunse la sala piccola, nome che in fondo vi si addiceva molto, si fermò davanti alla porta semiaperta. Davanti a lei, un piccolo ambiente con un camino, due divani e una poltrona; un luogo che di solito sir Crowell usava come sala di attesa per i suoi ospiti. Ed erano tutti lì, ad attenderla. Suo padre e i due invitati erano seduti e le davano le spalle, mentre suo fratello maggiore, sir Maximiliam Crowell, era in piedi vicino alla finestra che dava sul portico. Poteva vedere solo il suo profilo, accentuato dall’espressione di solita superiorità che lo rendeva poco piacevole. Osservò tutti per qualche istante, indecisa se tornare indietro, fuggire da quella casa per sempre, oppure affrontare il suo destino. La testa le diceva di fare la cosa giusta, avanzare di qualche passo all’interno della stanza e palesarsi. Ma il cuore e le gambe le imponevano di restare immobile davanti all’entrata.

    «Astrid, mia cara, entrate pure», la incitò il padre dopo averla vista, con un sorriso affabile che non usava molto spesso.

    Tutti si voltarono immediatamente nella sua direzione, ma il primo sguardo che incrociò fu quello del fratello. Con un sorriso di circostanza, osservava il resto dei presenti con condiscendenza e un pizzico di compiacimento. Astrid si accorse che anche il padre si poneva con lo stesso atteggiamento, e si chiese se quel matrimonio non fosse fin troppo un affare di famiglia.

    Distolse in fretta gli occhi dai suoi parenti, per poterli posare sugli altri due uomini. Lord Stephan Devenport, conte di Nassex, e suo figlio maggiore, sir Byron Devenport. Il primo, anche più anziano del padre, con la chioma completamente grigia e il viso solcato dalle rughe, si alzò per andarle incontro, zoppicando visibilmente e aiutandosi con un bastone da passeggio.

    «Piacere di rivedervi, lady Astrid. Siete ancora più bella di quanto ricordassi», la lusingò, sfiorandole impercettibilmente la mano con le labbra e chinandosi, quanto l’età glielo permettesse, al suo cospetto.

    Lei si profuse in un sorriso educato mentre rispondeva: «Il piacere è tutto mio, lord».

    «Venite, figlio mio, venite a fare la conoscenza della vostra incantevole futura sposa». Lord Stephan incitò il figlio, con un gesto leggero della mano, a farsi avanti, perché fino a quel momento il ragazzo aveva preferito restare in disparte.

    Solo quando le fu abbastanza vicino, Astrid si permise di osservarlo meglio. Più grande di lei di qualche anno, era ancora comunque nel pieno della giovinezza. Spavaldo anche nel modo di avanzare, ad Astrid sembrò perfetto nei lineamenti, nonostante una cicatrice sul labbro inferiore a conferirgli un’aura misteriosa. I capelli erano scuri, neri come il carbone, e ben pettinati all’indietro tranne che per un ciuffo, ribelle, che gli cadeva sulla fronte.

    Anche lui si era preparato al meglio per quell’incontro. Indossava un tailcoat nero a doppio petto abbottonato completamente, dal quale si potevano intravedere un panciotto color crema con rifiniture argentee e una camicia bianca; mentre al collo portava una cravatta bianca ben legata con un semplice nodo all’orientale. I pantaloni erano in stile cavallerizzo, corti e aderenti fino alle ginocchia e di color beige. Ai piedi portava degli alti stivali neri, anche questi da cavallerizzo; teneva in mano un cappello a cilindro nero con un nastro rosso e alle mani indossava dei guanti dello stesso colore dei calzoni.

    La fissava di rimando, senza pudore, con una tale sicurezza da far arrossire anche le più audaci. E visto che Astrid non lo era, si sentì subito in soggezione di fronte a tanta supponenza, abbassando lo sguardo. Lui approfittò della sua debolezza, le prese la mano e, senza mai distogliere gli occhi da lei, si profuse in un inchino seguito da un baciamano sbrigativo.

    Era impossibile riuscire a capire cosa passasse per la testa del giovane lord. E quando Astrid rialzò la testa, per poterlo guardare ancora, i suoi occhi vennero catturati da quelli di lui. Chiari, anzi glaciali, di una tonalità che lei non aveva mai visto. Suggestionata, rabbrividì e, un po’ impaurita, ritrasse la mano.

    «Sono lieto di fare ufficialmente la vostra conoscenza», asserì lui, con un tono freddo, impassibile. Eppure ad Astrid sembrò di vederlo sorridere, sorridere quasi compiaciuto per la reazione ottenuta da lei.

    «Mai quanto me», si azzardò a dire, con un ardore che raramente – anzi mai – aveva. E se ne pentì immediatamente, nonostante avesse visto guizzare un lampo di curiosità negli occhi cinici del suo futuro sposo.

    Non conosceva bene sir Byron, ma quello che dicevano di lui le bastava per diffidare. Lo aveva spesso osservato, in disparte e da lontano, durante le feste, e aveva sempre ascoltato con interesse tutti i pettegolezzi su di lui e la sua famiglia. E anche per questo non capiva come suo padre, uomo con fin troppo giudizio, avesse deciso di instaurare un legame di parentela proprio con loro.

    «Bene», interruppe il suo flusso di pensieri proprio il padre. «Ora che vi siete presentati ufficialmente, sarà bene sedersi e parlare nel dettaglio di questo affare».

    L’ultima parola che usò, in riferimento al matrimonio, fece storcere il naso perfetto di Astrid, che comunque rimase in silenzio e accettò l’invito del padre a sedersi accanto a lui, proprio di fronte agli ospiti, che avevano ripreso posto. Restò in silenzio ad ascoltare gran parte delle trattative, cercando di trattenere la frustrazione e di non scoppiare in lacrime davanti a tutti loro. Non riuscì a staccare gli occhi dal suo promesso sposo, anch’egli abbastanza interessato a lei, cercando di intuire che cosa pensasse di tutta quella situazione. Perché era chiaro anche a un cieco che Astrid avrebbe preferito di meglio per il suo futuro. Ma nell’espressione di sir Byron non traspariva nulla. Neanche quando sir Crowell parlò direttamente, senza mezzi termini: «Converremo tutti quanti che l’accordo che ho da offrirvi è vantaggioso per entrambi. A noi serve un titolo, un’autorità maggiore per aumentare il nostro prestigio». Fissò intensamente il giovane Devenport mentre aggiungeva, rivolto però al padre di quest’ultimo: «E a voi invece servono più soldi».

    Lord Stephan non riuscì a trattenere lo stupore nell’ascoltare l’audacia con la quale sir Crowell parlava dei loro problemi personali.

    «Cosa ne sapete voi delle nostre finanze?». Cercò di non mettere troppa rabbia nel suo tono di voce, ma il conte era un uomo molto orgoglioso e tutto poteva sopportare fuorché essere trattato da inferiore.

    Con affabilità, il barone Crowell aggiunse: «È nota a tutti la tendenza del vostro primo figlio a sperperare senza giudizio i soldi di famiglia».

    Sir Byron non batté ciglio, nonostante si stesse parlando di lui. Sembrava non gli importasse nulla, neanche di apparire un inetto di fronte alla famiglia della sua futura sposa. Indifferente, cinico e freddo proprio come raccontavano.

    «Le voci girano in fretta, lord», continuò il barone: «e non sarà facile, in una situazione simile, trovare un uomo disposto a concedere una delle proprie figlie a voi».

    Se lord Byron era veramente preoccupato per il suo futuro, non sembrava darlo a vedere. Al contrario del padre che, invece, si agitava leggermente nervoso sul suo posto.

    A quel punto sir Maximiliam prese la parola, per la prima volta da quando Astrid era entrata, e, in linea con il pensiero del padre, disse: «Ma ciò che più preme alla mia famiglia è il titolo nobiliare e l’autorità che ancora, nonostante tutto, possiede la vostra famiglia in questi territori».

    Non c’era bisogno di aggiungere altro. I Devenport erano molto intimi con il duca di Dexforshire, il vero signore di tutte quelle terre, e la sua famiglia, ed era proprio questo privilegio a cui ambivano il barone e suo figlio. D’altro canto, al conte facevano comodo i soldi dei Crowell, che negli ultimi due decenni avevano accumulato ricchezze senza precedenti.

    «So quanto è difficile riuscire a sistemare i propri figli. Si pensa sempre che il lavoro più faticoso sia con le femmine, ma anche i nostri giovanotti dovranno prima o poi mettere su famiglia», rincarò la dose il barone. Nessuno meglio di lui poteva sapere come riuscire a firmare un contratto di matrimonio il più vantaggioso possibile. «E oltre alla giovinezza e alla bellezza, mia figlia possiede una terza, invidiabile, qualità». Le mise una mano dietro la schiena, avvicinandosi di più, quasi a volersi mostrare affettuoso. Ma Astrid si irrigidì, poco abituata a quel contatto con il genitore. Ancora più infastidita dalle sue successive parole: «Possiede una dote molto cospicua».

    Non aveva voluto aggiungere altro, lasciando con il fiato sospeso i suoi interlocutori. Lord Stephan era interessato fin dal primo istante, quando l’aveva vista entrare, ma sir Byron si mostrò finalmente incuriosito solo in quel momento. Si raddrizzò e la fissò con più partecipazione. E fu proprio lui a chiedere, senza il minimo pudore: «Cospicua quanto?».

    Astrid si permise di incenerirlo con lo sguardo, anche se avrebbe voluto dirgli qualcosa. Si diede perfino della stupida, mentalmente, per essersi premurata così tanto ad apparire bella e presentabile. Per un ragazzo viziato che pensava solo ai suoi soldi. Per qualche istante si era illusa di poter accettare un matrimonio con quell’uomo. Ma più passava del tempo in quella stanza, meno ne era convinta.

    «Non credo che questa sia la sede adatta per parlare di soldi. Ma vi basti sapere che, insieme a mia figlia, avrete in dote anche una parte della tenuta di campagna di famiglia e una distilleria di profumi, ereditati da tutti i miei figli alla morte della madre», affermò lord Crowell, rimanendo comunque sul vago.

    Lo faceva sempre quando si trattava di parlare di quei possedimenti. Perfino Astrid ne era all’oscuro, nonostante fosse una delle poche cose che aveva ricevuto in regalo dalla madre. Era morta dopo la sua nascita e lei non aveva avuto alcuna occasione per conoscerla. Le uniche cose che sapeva di lei erano quelle che le venivano raccontate da chi era stato abbastanza fortunato da incontrarla.

    Il padre di Astrid era un ottimo politico, in grado di trattare e contrattare con i propri clienti. Molto abile a incuriosire le persone, a catturare la loro attenzione fino poi a convincerli a fare tutto ciò che imponeva. Con la stessa facilità con la quale stava per concludere quell’affare, era riuscito a far sposare la sua prima figlia, Camille, con un marchese imparentato con il duca. Era stato fermo e deciso allora, e lo era anche in quel momento, di fronte a una famiglia che, di fatto e per titolo, era molto più superiore della sua. Eppure erano i Devenport quelli in difficoltà, mentre il barone appariva completamente a suo agio.

    Sir Byron si sporse leggermente, appoggiando un gomito sul ginocchio e avvicinandosi così a lady Astrid, proprio di fronte a lui. La osservò ancora una volta, ma in modo diverso. La stava esaminando, cercando di studiarla come se fosse un animale in vendita. I suoi occhi color del ghiaccio la misero a nudo e la fecero così tanto innervosire che fu costretta a restare seduta al suo posto solo dalla mano del padre, che la tratteneva in basso. Era abituata a restare in silenzio, anche quando avrebbe voluto far valere la sua opinione. E, ancora una volta, mise a tacere la sua indole nascosta, quella più sconveniente, e sorrise amabilmente al ragazzo.

    Per anni le era stato detto di essere gentile e affabile, perché era ciò che ogni uomo desiderava da una moglie. E per quanto lady Astrid potesse odiare l’idea di sposarsi per convenienza, sapeva benissimo che non poteva restare senza marito ancora a lungo.

    Riuscì a tirare un sospiro di sollievo solo quando lui distolse lo sguardo per puntare sul futuro suocero e chiedergli, con tono tagliente: «E voi, barone, volete farmi credere che l’unica cosa che interessa alla vostra famiglia è l’autorità che vi potrà concedere la mia?».

    Fin da subito lord Crowell avrebbe dovuto sapere che sir Byron non era affatto uno stupido. Un uomo con il vizio del gioco d’azzardo, dell’alcol e delle belle donne, certo, ma non uno stolto.

    «Sicuramente ambite a qualcosa di più, da questa felice unione, oltre che a un po’ di gloria», insinuò sir Byron. Neanche lui poteva ben capire che cosa stesse passando per la testa del barone, ma non era del tutto convinto delle sue ambizioni.

    Il padre di Astrid non si sbilanciò troppo, giocando con le lusinghe: «Suvvia, sir Byron, sapete bene che il potere è tutto ciò che conta ai nostri tempi. Non posso inoltre desiderare di meglio che far parte della vostra famiglia». Si allontanò leggermente dalla figlia, togliendo la mano dalla sua schiena e aggiungendo: «La mia famiglia ha già il nome, ha il titolo e anche i soldi. Ma il mio titolo non potrà mai valere come quello della vostra famiglia».

    Non riusciva a nascondere quanto gli pesasse avere un una posizione inferiore rispetto ai Devenport. Non riusciva neanche a contenere il disprezzo che provava nei confronti di quel giovane lord, che un giorno avrebbe ereditato il titolo del padre senza aver fatto nulla oltre a lasciarsi andare ai piaceri della vita.

    E sir Byron era consapevole dell’astio del suo futuro suocero, ma, invece che preoccuparsene, parve perfino compiaciuto. Se c’era una cosa in cui era bravo, era riuscire a risultare sgradevole.

    «Bene, allora possiamo dire di avere un accordo». Si alzò all’improvviso, sbrigativo come quando era entrato. Costrinse così anche gli altri ad alzarsi, ma si rivolse solo e unicamente ad Astrid, con un tono quasi sarcastico: «Sarebbe consuetudine che io vi corteggi e poi chieda la mano a vostro padre, ma credo che possiamo anche saltare tutti i convenevoli». Si chinò per farle il baciamano, senza aspettare che fosse il padrone di casa a concludere la loro chiacchierata, e aggiunse: «Spero di poter passare più tempo con voi, per conoscervi meglio, prima del matrimonio».

    Le sue parole avrebbero dovuto lusingare Astrid, e invece la lasciarono un po’ indispettita. Perché in realtà non riuscì a capire se dicesse sul serio o se la stesse prendendo in giro. Lo vide raggiungere la porta, senza curarsi di essere accompagnato da qualcuno, con una certa fretta. Non diede neanche la soddisfazione al barone convenendo con lui e con le sue parole. Perfino, non salutò né lui né il figlio maggiore, dando prova di sentirsi superiore in tutto e per tutto a quelle persone.

    Al contrario del conte, che invece rispettò il galateo, ringraziò per l’ospitalità e poi si rivolse a lady Astrid: «È stato davvero un piacere per me fare la vostra conoscenza. Sono sicuro che vi troverete bene con la nostra famiglia».

    Le sue parole sembrarono quasi profetiche, e anche un po’ di malaugurio. Ma lady Astrid ebbe a malapena il tempo di rifletterci perché anche l’anziano se ne andò, cercando di raggiungere il figlio con altrettanta fretta. E lei rimase da sola con il padre e il fratello.

    «Si può dire che anche questo contratto è stato concluso», gongolò sir Maximiliam, soddisfatto come non mai, ottenendo dal padre un simile sguardo compiaciuto.

    Astrid era l’unica a essere infastidita da tutta quella situazione e, lontana dallo sguardo irriverente e paralizzante del futuro sposo, riuscì finalmente a dire ciò che pensava. «Immagino che io non abbia altra scelta, giusto?» Voleva far capire quanto fosse in disaccordo con quella decisione, perciò incrociò le mani al petto e assunse sul viso un’espressione contrariata.

    «Ma certo, sorella, l’ultima parola spetta sempre a voi», ironizzò il fratello con voce vellutata, quasi a volerla accontentare come se fosse una bambina capricciosa.

    Prima ancora che potesse ribattere a tono, il padre si affrettò ad aggiungere: «Ma se non accetterete questo matrimonio, sarò costretto a rifiutare qualsiasi futura proposta dei vostri contendenti».

    Una velata minaccia che rischiava di farla rimanere rinchiusa in quella casa per il resto della sua vita. E per quanto una parte di lei fosse ben tentata di disubbidire al padre, alla fine fece ciò per cui era stata educata fino a quel momento. Chinò la testa e acconsentì silenziosamente.

    «Non siate così triste, sorella mia, sir Byron è un promesso sposo molto ambito. Giovane, a quanto dicono piacente, e molto discreto». Sir Maximiliam le si fece più vicino e, con finto fare fraterno, le circondò le spalle con il braccio, stringendola a sé. «E sono sicuro sia un uomo molto influenzabile».

    Lady Astrid non aveva la più pallida idea di ciò che avessero in mente suo padre e il fratello, ma un brutto presentimento le faceva intuire che non era niente di buono. E soprattutto aveva capito che volevano coinvolgerla in quella faccenda, nolente o volente. Ricambiò il sorriso solo perché sapeva di doverlo fare, ma si sentì immediatamente a disagio.

    Non conosceva lord Byron, e una parte di lei lo aveva perfino trovato sgradevole, ma dal momento in cui sarebbe diventata la signora Devenport, non avrebbe mai pensato di poterlo tradire, in alcun modo. Neanche per favorire la sua famiglia. In quel preciso istante, arresa ormai al destino che non aveva programmato, prese due decisioni. La prima fu che non si sarebbe mai fatta mettere in mezzo tra la sua famiglia e il suo futuro marito. E la seconda fu che, nonostante fosse costretta a sposare un uomo che non amava, si sarebbe impegnata con tutta se stessa per far sì che le cose andassero nel modo giusto. Non era una ragazza che si accontentava, né tanto meno che si faceva abbattere alla prima difficoltà. Nolente o volente, lord Byron avrebbe ceduto. E lei avrebbe ottenuto quello che sognava fin da bambina: un amore da favola.

    Capitolo II

    Cavalcare era una delle poche cose in grado di tranquillizzarlo, e poi sentiva il bisogno di passare un po’ di tempo lontano dalla tenuta di famiglia. Per questo si era fatto sellare il suo cavallo, pronto a inoltrarsi nei meandri della foresta che circondava i territori dei Devenport. Ma non poté desiderare di restare da solo, con i suoi pensieri, perché venne subito raggiunto da una voce a lui nota: «Dov’è il futuro maritino dell’anno?».

    Byron alzò gli occhi al cielo, disgustato anche soltanto per aver sentito quell’epiteto, e neanche si voltò per fissare il nuovo arrivato. Tornò a sistemare la sella dell’animale aspettando che fosse lui a trovarlo.

    «Ho parlato con Alfred e ha detto che ci sono stati dei piccoli alterchi tra te e tuo padre», esordì il signor Heath non appena lo trovò nella stalla, per poi aggiungere con un sorriso divertito: «A quanto pare non hai scelta, amico!».

    Conosceva abbastanza bene sir Byron da trovare tutta quella faccenda esilarante, e non si premurò di nasconderlo. Tanto che che sir Byron, sbuffò, e invece di rispondere alle sue provocazioni, gli ordinò, indicando la stalla accanto alla sua: «Sali sul cavallo e vieni con me».

    «Ce n’è già uno sellato?», chiese scettico il signor Heath, dopo essersi sporto a osservare l’animale pronto per lui.

    Lord Byron lo fissò con un mezzo sorriso, schernendolo: «Sei così prevedibile, Heath». Detto ciò salì sul suo animale e uscì dall’edificio senza attendere una risposta dell’amico, che lo seguì qualche istante dopo. Lo rincorse al galoppo fin dentro il bosco.

    Dopo svariati minuti, lord Byron rallentò, portando il cavallo a un passo sostenuto, e aspettò che l’amico lo raggiungesse. Era ben visibile, anche al più cieco degli uomini, quanto Byron fosse fuori di sé. E Heath poteva solo immaginare il motivo.

    «È davvero così brutta?», gli chiese all’improvviso, come se fosse l’unico problema che un uomo nella sua situazione potesse riscontrare.

    «No, affatto. È bella e graziosa», asserì fra i denti. Gli pesava perfino ammetterlo. Non aveva mai fatto troppo caso a lei, durante le feste, perciò fino al momento del loro incontro era stato davvero preoccupato per il suo aspetto. «Ed è anche molto ricca, abbastanza da poter risolvere i problemi finanziari della mia famiglia».

    «Problemi causati dai tuoi vizi», gli fece notare Heath senza mezzi termini. Tra di loro c’era sempre stato un rapporto di totale sincerità, in ogni situazione. E l’amico era anche l’unica persona dalla quale non si sentisse giudicato, per questo era così facile parlare con lui.

    «Comunque ciò che mi preoccupa non è né il suo aspetto, né tanto meno il suo denaro». Ignorò palesemente la sua provocazione, focalizzandosi solo su ciò che lo tormentava. Di solito non lasciava intravedere i suoi veri sentimenti, ma in quell’occasione gli era impossibile trattenersi.

    Ed era proprio a causa di ciò che l’amico era preoccupato per lui. «E allora di che si tratta?», gli chiese, sperando di riuscire a farlo aprire. Ma quando lord Byron decise di restare in silenzio, continuando a spronare il cavallo affinché avanzasse tra gli alberi, Heath aggiunse: «Con me puoi parlare di qualsiasi cosa».

    Ed era la verità, Byron lo sapeva. Per questo, dopo aver tirato un lungo sospiro, ammise: «È solo che mi è stato imposto di sposarla. Non ho altra scelta, capisci, Heath? E la colpa è solo mia».

    Non rifletteva mai prima di agire e, quando poi doveva pagarne le conseguenze, di solito era suo padre a occuparsi di tutto. Come in quell’occasione. Era stato lui ad avere l’idea del matrimonio e a trovare la giusta pretendente, in grado di risolvere il loro problema economico. E a sir Byron non restava che ubbidire, cosa insolita per lui.

    «Capisco che tu voglia sentirti libero di prendere le tue decisioni, ma devi anche considerare che hai delle responsabilità come primo figlio maschio della tua famiglia».

    Le parole, troppo serie anche per essere pronunciate da uno come Heath, suonarono strane all’orecchio di Byron che, in tutta risposta, si voltò a fissarlo. «Adesso sembri proprio mio padre», lo schernì con un sorriso malefico.

    E se c’era una cosa che entrambi avrebbero voluto evitare, era proprio quella di seguire le orme dei rispettivi genitori.

    Invece di offendersi, come avrebbe dovuto, sir Heath ricambiò il suo sorriso e aggiunse: «Sei davvero incredibile, Byron. Ti consegnano una bella e giovane fanciulla su un piatto d’argento, per di più ricca, e tu fai i capricci, come un bambino, per sposarla? Non capisco proprio che problemi hai».

    Byron ignorò ancora una volta le sue domande, tornò a fissare la strada davanti a loro e insistette: «Non la conosco, ma dovrò passare il resto della mia vita con lei. E se la trovassi fastidiosa fino alla morte?».

    Non era esattamente la sua preoccupazione maggiore ma, riflettendoci, poteva essere uno scenario plausibile.

    Heath era lì anche per rassicurarlo, per questo rispose: «O magari sarà affabile e docile come un coniglietto».

    Non sfuggì all’amico il tono accondiscendente, e anche un po’ malizioso, con il quale pronunciò quelle parole. E nonostante non provasse nulla per lady Astrid, si sentì infastidito. Al punto da incenerire il ragazzo con lo sguardo e aggiungere, tra i denti: «Sono sicuro che mio padre l’ha scelta apposta per farmi un torto».

    Non specificò a cosa si stesse riferendo con precisione ma Heath conosceva ogni scheletro dell’armadio di Byron, e non faticò a intuire la sua vera preoccupazione. «La tua paura più grande è che alla fine possa piacerti».

    «E ti sorprendi? L’amore sa solo farti soffrire, hai visto come è andata a finire con mio padre». Sprezzante, spronò il cavallo ad andare più veloce, continuando a guardare davanti a sé.

    «Stai parlando della prima moglie di lord Stephan?».

    Tutti in paese conoscevano la triste storia del duca e dell’unica donna che lui avesse mai amato. Ma sir Byron non voleva neanche sentirne parlare, e ogni volta che qualcuno tentava anche solo di menzionarla, si chiudeva e rispondeva a mezza bocca. Come quel pomeriggio.

    «Se crede che farò il suo stesso errore, allora è un povero stolto. Dovrebbe conoscermi abbastanza bene da sapere che so imparare la lezione dai miei sbagli».

    Dire che odiava suo padre forse sarebbe stato un po’ troppo eccessivo, ma era ovvio a tutti che il genitore si aspettava da lui qualcosa che non poteva dargli. Lo deludeva spesso, così spesso che con il tempo aveva iniziato a farlo apposta, solo perché non sapeva fare di meglio.

    Testardo come un mulo, perfino per Heath era impossibile fargli cambiare idea. Ma non per questo si arrese, cercando di puntare più sul sarcasmo: «Dovresti affrontare tutta questa faccenda con un po’ più di tranquillità. Spero per la tua futura moglie che non sarai sempre così intrattabile, altrimenti, poveretta lei».

    Prima ottenne una fugace occhiataccia, che venne però ben presto soppiantata da un lungo sospiro rassegnato e da uno sguardo quasi colpevole.

    Lord Byron poteva essere molte cose. Un vero mascalzone, un giocatore d’azzardo incallito, un patito del bourbon e un amante insaziabile. Poteva essere insopportabile, prepotente e presuntuoso. Sapeva anche essere perfido, quando lo chiedeva la situazione. Ma aveva anche lui un cuore. Intrappolato in una spessa lastra di ghiaccio all’interno del petto, ma vivo.

    «Hai ragione, in fondo non è colpa sua se è costretta a passare il resto dei suoi giorni in mia compagnia. È nella mia stessa situazione, e invece che vederla come nemica dovrei iniziare a pensare di poterla avere come alleata». Meditò sul loro incontro. Doveva ammettere, almeno a se stesso, di essersi incuriosito. «Sembra una fanciulla davvero a modo, ma ho notato che fremeva dalla voglia di intervenire. Non approva questa unione quanto me, e questo potrebbe essere un vantaggio».

    Per tutto il tempo non aveva fatto altro che scrutarla e studiarla, perché se doveva sposarla almeno voleva carpire le sue debolezze, così da poterle usare al momento del bisogno. A prima vista le era sembrata come tutte le altre ragazze della sua età. Ma c’era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che lo spingeva a volerne quasi sapere di più.

    Anche Heath era sorpreso quanto lui dal suo interesse. «Di’ la verità, ti piace?». Gli sorrise e ammiccò nella sua direzione, alludendo con lo sguardo a qualcosa di lascivo e molto intimo.

    Lord Byron si prese troppi istanti per riflettere, perché in realtà non sapeva cosa dire. Convinto che avrebbe perso l’attrazione nei suoi confronti molto presto, come succedeva sempre, si concesse infine di ridere alle parole dell’amico. «Ma figurati, è solo una ragazzina». Scacciò il pensiero di lei in veste di donna sensuale e provocatrice con un gesto della mano, tornando a pensarla come in realtà era. Una giovane fanciulla di buona famiglia cresciuta con dei sani principi morali.

    «Una ragazzina molto bella, però», aggiunse Heath. Non aveva mai avuto il piacere d’incontrarla, ma spesso frequentava ragazze del suo stesso salotto, e se una cosa aveva capito delle donne, era che quando sparlano tanto di qualcuno era perché in realtà erano invidiose. E di lady Astrid Crowell lo erano molto.

    Byron, infatti, non smentì la sua affermazione, non poteva farlo perché significava mentirgli; però aggiunse, come se fosse stato suo dovere mettere in chiaro la situazione: «E anche molto ricca, ricordati che è la cosa più importante».

    Non gli interessava di apparire venale agli occhi del suo amico perché la realtà era che avevano bisogno di soldi. E nessun buon proposito o fiaba romantica avrebbe potuto cambiare quella situazione.

    «Non la sposerei se non fosse così», aggiunse, con una tale freddezza che Heath quasi rabbrividì.

    Poi però tornò a sorridere. «Vorresti restare solo per il resto della tua vita?».

    Naturalmente stava scherzando, ma sir Byron era serio come la morte quando rispose. «Non sarei solo, avrei le ragazze dell’Enchanting», concluse voltandosi nella sua direzione e ammiccando.

    Heath, un po’ confuso dal suo repentino cambio di umore, restò al gioco, prendendolo in giro: «Madame Devoux sarà ben felice di saperlo, sei uno dei suoi clienti più assidui».

    «Che strano, ogni volta che sono lì mi sembra di vedere anche te», rispose lui ironizzando sulla loro frequentazione della casa di tolleranza.

    Ma Heath ignorò la provocazione e tornò serio: «Potrai comunque

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