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Inganno nel deserto: Harmony Collezione
Inganno nel deserto: Harmony Collezione
Inganno nel deserto: Harmony Collezione
E-book164 pagine6 ore

Inganno nel deserto: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Dal loro primo difficile incontro al loro ultimo ardente bacio, i rapporti tra Sylvie Devereux e Arkim Al-Sahid sono sempre stati complicati, e non possono essere di certo migliorati ora, dopo che Sylvie ha interrotto la celebrazione del matrimonio dello sceicco. Con queste nozze combinate, Arkim sperava di guadagnarsi una rispettabile reputazione in società, e ora ha tutte le intenzioni di vendicarsi della bella Sylvie per avergli fatto fallire quel piano: la attirerà con l'inganno nel suo palazzo nel deserto, e lì troverà con calma il modo migliore per sfogare la propria frustrazione.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2017
ISBN9788858963593
Inganno nel deserto: Harmony Collezione
Autore

Abby Green

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Inganno nel deserto - Abby Green

    successivo.

    Prologo

    Il prete spalancò gli occhi mentre osservava la scena lungo la navata, ma non incespicò nelle parole. Una figura snella, interamente vestita di pelle nera, si stava avvicinando all'altare con il viso coperto da un casco da motociclista. Si fermò alle spalle degli sposi e si tolse il casco. Lo stupore del prete aumentò e i suoi occhi si spalancarono ancora di più, quando apparve una giovane donna con una folta cascata di capelli rossi, che le ricadde sulle spalle, proprio mentre lui sentiva la propria voce, un po' più flebile del solito, pronunciare le fatidiche parole: «... o taccia per sempre». Il viso della donna era pallidissimo, ma risoluto e anche molto, molto bello. Scese un silenzio assoluto e poi una voce cristallina risonò forte nella grande chiesa. «Io mi oppongo a questo matrimonio, perché la notte scorsa quest'uomo era nel mio letto.»

    1

    Sei mesi prima

    Sylvie Devereux si preparò a quello che sicuramente sarebbe stato un altro brutale incontro con il padre e la matrigna. Mentre camminava lungo il maestoso viale dell'enorme casa di Richmond, ricordò a se stessa che stava solo facendo un atto di presenza per amore della sorellastra Sophie, l'unica persona al mondo per la quale avrebbe fatto davvero di tutto. Le luci si diffondevano tutto attorno e una musica jazz proveniva dal giardino sul retro, dove era stato istallato un tendone per l'orchestra. La festa di mezza estate di Grant Lewis era un'istituzione nella stagione mondana di Londra e ogni anno era presieduta da Catherine Lewis, matrigna di Sylvie e madre di Sophie. Una sagoma apparve alla porta d'ingresso e, dopo un urlo eccitato, la bionda Sophie Lewis si lanciò sulla sorella maggiore. Sylvie lasciò cadere la borsa e la strinse forte, lottando per rimanere in piedi e soffocando una risatina nei morbidi capelli di seta della sorella. «Credo significhi che sei felice di vedermi, Soph?»

    Sophie, più giovane di sei anni, si tirò indietro con una smorfia sul bel viso. «Non ne hai idea! Mamma è ancora peggio del solito, mi sta letteralmente gettando tra le braccia di ogni uomo, a suo dire, papabile e papà è rintanato nel suo studio con una specie di sceicco che è il tipo più minaccioso, ma anche più affascinante, che io abbia mai visto. Peccato un simile spreco...»

    «Eccoti qua, Sophie...» La frase s'interruppe di colpo, quando la matrigna di Sylvie realizzò con chi fosse la figlia. Erano sulla porta d'ingresso e la snella figura di Catherine Lewis si stagliò contro le luci dell'interno, che illuminarono i capelli biondi sempre perfettamente acconciati. La sua bocca si serrò disgustata. «Oh, sei tu! Non pensavamo arrivassi.»

    Intendi dire che speravi non ce la facessi, si trattenne dal replicare Sylvie. Si sforzò di sorridere e di ricacciare indietro il dolore che ormai, a ventotto anni suonati, avrebbe dovuto avere superato. «Felice come sempre di vederti, Catherine.»

    La sorella, solidale, le strinse un braccio.

    Catherine indietreggiò riluttante. «Tuo padre è con un ospite. Dovrebbe liberarsi tra poco.» Poi la matrigna si accigliò, quando la luce rivelò l'abbigliamento di Sylvie. Lei provò una fugace soddisfazione, davanti a tanta disapprovazione, ma si sentì anche stanca di quella continua battaglia.

    «Se lo desideri puoi cambiarti nella stanza di Sophie, immagino tu sia venuta direttamente da uno dei tuoi... ehm... spettacoli a Parigi?»

    In effetti era così. Uno spettacolo pomeridiano, ma lei se n'era andata in jeans e maglietta e poi si era cambiata sul treno, durante il tragitto. Di colpo la sua stanchezza svanì. Posò una mano sul fianco e lo sporse in fuori. «È il regalo di un fan» squittì. «So quanto tu ci tenga all'eleganza dei tuoi ospiti.» L'abito in realtà apparteneva alla sua coinquilina Giselle, che aveva un paio di misure di reggiseno meno di lei. Sylvie lo aveva preso in prestito, sapendo che effetto avrebbe avuto. Si rendeva conto di quanto fosse infantile quell'impulso di scioccare, ma ne valeva la pena. Proprio in quel momento ci fu un movimento lì accanto, Sylvie seguì lo sguardo della matrigna e vide suo padre che usciva dallo studio, accanto all'ingresso principale. Era insieme a un uomo molto alto, scuro e possente, il maschio più incredibile che lei avesse mai visto. Il suo viso sembrava scolpito, privo di qualunque accenno di dolcezza, con vistose sopracciglia scure, che in quel momento parevano più corrugate e contrariate che mai. Potere e carisma sembravano una forza tangibile attorno a lui, insieme a un magnetismo indiscutibilmente sensuale. Indossava un abito a tre pezzi grigio chiaro, con una cravatta scura. Era perfetto. Il candore impeccabile della sua camicia, faceva risaltare ancora di più la pelle scura. Aveva capelli nerissimi e corti, gli occhi erano altrettanto scuri e indecifrabili. Lei rabbrividì. I due uomini la stavano osservando e Sylvie non dovette nemmeno guardare il viso del padre per sapere quale fosse la sua espressione: un misto di dolore, delusione e timore. «Ah, Sylvie! Sono felice che tu sia riuscita a farcela.»

    «Ciao papà, mi fa piacere vederti.»

    Il suo benvenuto fu solo leggermente più caloroso di quello della matrigna, un bacio asettico sulla guancia. Vecchie ferite si risvegliarono, ma Sylvie le scacciò per indossare la maschera di indifferenza che negli anni aveva affinato. Alzò lo sguardo sull'uomo e sbatté le ciglia, flirtando spudoratamente. «E chi abbiamo qui?»

    Con palese riluttanza, Grant Lewis rispose: «Ho il piacere di presentarti Arkim Al-Sahid. Stavamo discutendo una comune iniziativa imprenditoriale».

    Il nome le fece risuonare un debole campanello, ma Sylvie non riuscì a mettere a fuoco nulla. Stese la mano. «È un grande piacere, ma non trova noiose le discussioni d'affari a una festa?» Avvertì il moto di riprovazione della matrigna dietro di lei e sentì qualcosa di simile a un ansito strozzato da parte della sorella. L'espressione dell'uomo divenne più severa e di colpo qualcosa nel profondo di Sylvie tornò alla vita, spingendola ad avvicinarsi ancora di più a quel tipo, mentre ogni suo istinto le gridava di voltarsi e fuggire. Aveva ancora la mano stesa e le narici dell'uomo fremettero, quando infine si degnò di salutarla. Una mano molto grande inglobò la sua e Sylvie fu sorpresa di sentire che aveva la pelle leggermente callosa, mentre quelle lunghe dita brune stringevano le sue. Di colpo tutto divenne sfuocato, come se un velo fosse calato tutto attorno. Un fremito violento s'impossessò di lei e una serie di reazioni incontrollate la afferrò così velocemente che non riuscì a dare loro un senso. Un insolito calore, misto a uno strano languore la pervase e provò un desiderio incontrollabile di stringersi a lui, sempre insieme a quell'impulso di fuggire, che ora era più forte che mai. Poi, bruscamente, lui ritirò la mano e ruppe il contatto. Confusa, Sylvie quasi incespicò all'indietro.

    «È un vero piacere.» La voce dell'uomo era profonda, con un lieve accento americano. Il suo tono sembrava asserire il contrario. Le linee sensuali della sua bocca si stesero e quello sguardo scuro si posò su di lei, come respingendola. Immediatamente Sylvie si sentì più volgare di quanto le fosse mai accaduto in vita sua. Era ben consapevole di quanto fosse corto l'abito dorato e sapeva di essere troppo formosa per indossarlo. Ora si sentiva davvero a disagio. Era anche consapevole dei suoi capelli ribelli, la cui tonalità rossa naturale era davvero vistosa. Aveva fatto del non indossare quasi nulla un'abitudine di vita e, per occultare la propria innata timidezza, si era imposta di divenire insensibile. Eppure, in quel momento, l'atteggiamento sprezzante di quell'uomo aveva mandato in frantumi quel muro così attentamente costruito. Erano bastati solo pochi secondi e con un perfetto sconosciuto. Sylvie indietreggiò, terrorizzata nel rendersi conto che stava provando di nuovo quel temuto senso di rifiuto, contro cui aveva sviluppato un istintivo meccanismo di difesa per impedirsi di soffrire. Si sentì invadere dal sollievo quando sua sorella apparve, prese a braccetto il padre e osservò con forzata vivacità: «Vieni papà, i tuoi ospiti si staranno chiedendo che fine hai fatto».

    Lei li osservò andarsene, seguiti dalla matrigna e da quell'inquietante sconosciuto che le rivolse a malapena un cenno. Tremante, seguì il gruppo all'aperto e decise di tenersi alla larga da quell'individuo, rimanendo attaccata a Sophie e al suo gruppo di amici. Poche ore dopo, tuttavia, si ritrovò a desiderare un momento di pace, lontana dallo sguardo critico della matrigna e da quello teso del padre. Vagando in giardino, Sylvie trovò un posticino tranquillo in fondo, vicino al gazebo, dove scorreva un fiume. Sedette sull'erba, si tolse le scarpe e infilò i piedi nella fresca acqua corrente, sospirando sollevata. Fu solo dopo che, rovesciata indietro la testa, stava contemplando la luna piena, bassa nel cielo, che ebbe la consapevolezza di non essere sola. Si guardò attorno e scorse un'ombra alta e scura che si spostava verso un albero lì vicino. Soffocando un grido, si alzò di scatto e chiese: «Chi è là?». L'ombra si avvicinò, aumentando il suo impulso di fuggire e lei si chiese perché aveva una tale reazione confusa davanti al misterioso sconosciuto.

    «Lei sa esattamente chi è.» Fu l'arrogante risposta.

    Sylvie riuscì a distinguere il luccichio di quegli occhi scuri. Sentendosi in svantaggio, si alzò e infilò i piedi nelle scarpe, ma i tacchi affondarono nel terreno morbido, facendola barcollare.

    «Quanto ha bevuto?» Lui sembrava disgustato.

    Davanti a quell'accusa ingiusta, Sylvie, furiosa, si mise le mani sui fianchi. «Una magnum di champagne! È questo che si aspetta di sentire?» In realtà non aveva bevuto nulla, perché era ancora sotto antibiotici per guarire un'infezione alle vie respiratorie, ma non aveva alcuna intenzione di rivelargli quel dettaglio personale. «Per sua informazione» continuò, «io sono venuta qui perché credevo di starmene da sola, quindi la lascerò alle sue arroganti supposizioni e leverò subito il disturbo.»

    La giovane fece per andarsene e solo allora notò che erano così vicini che Arkim Al-Sahid avrebbe potuto toccarla, solo sporgendosi. Il che fu proprio ciò che fece, quando i tacchi di Sylvie sprofondarono di nuovo nel terreno e lei cadde in avanti con un grido di sorpresa. Lui le afferrò il braccio con una presa così salda che per un attimo lei oscillò e infine atterrò direttamente sul suo petto. La sua prima impressione fu di stupore per quanto era solido, come un blocco di cemento. Di colpo dimenticò perché se ne stesse andando. «Mi dica» ansimò, «lei odia chiunque, o solo me?»

    «Io la conosco, l'ho vista appiccicata per tutta Parigi su quei manifesti. Per mesi.»

    Sylvie trasalì. «Fu un anno fa, all'inizio del nuovo spettacolo.» E quella in realtà non ero io. Era stata scelta solo per il servizio fotografico, dato che era più formosa delle altre ragazze, ma in realtà era quella che si spogliava meno di tutte. Sapeva che avrebbe dovuto allontanarsi da quell'uomo, ma non sembrava in grado di riuscire a trovare le forze necessarie per muoversi. Perché lui non la spingeva via? Ovviamente era uno di quei puritani che disapprovava che le donne si spogliassero negli spettacoli. La sua silenziosa critica la fece infuriare ancora di più.

    «Quindi si tratta di questo? Vedermi di persona non ha fatto altro che confermare i suoi peggiori sospetti?» Sylvie scorse il suo sguardo abbassarsi dove i seni premevano contro di lui e si sentì avvampare. La voce dell'uomo risuonò roca. «Bisogna ammettere che c'è un sacco di carne da vedere, ma scommetto che non è nemmeno la metà di quanta di solito è in mostra.»

    Questo cancellò ogni illusione. Sylvie si liberò dalla sua presa e si puntò contro il suo petto per fuggire, ma era troppo arrabbiata per non rispondergli prima di andarsene. «La gente come lei mi dà la nausea. Giudicate e condannate, senza avere idea di ciò di cui state parlando.» Fece di nuovo un passo in avanti e gli ficcò un dito nel petto. «Per sua informazione L'Amour revue è uno degli spettacoli di cabaret più esclusivi al mondo. Noi siamo ballerine con una formazione di prim'ordine, non si tratta certo di uno dei tanti squallidi strip club.»

    «Ma vi spogliate, no?»

    «Ebbene...» Il numero di Sylvie non richiedeva di svestirsi completamente. Pierre preferiva le ragazze dal petto più piatto per il nudo.

    Arkim Al-Sahid fece un verso di disgusto e poi aggiunse: «Non potrebbe importarmene di meno se lei si spogliasse nuda e si appendesse a testa in giù su un trapezio nel suo spettacolo. Per quanto mi riguarda questa conversazione è finita».

    Sylvie si trattenne dal precisare che, in realtà, quello era il numero di Giselle. L'uomo si era voltato e si stava allontanando, senza darle il tempo di aggiungere altro. Lei ribolliva di indignazione e orgoglio ferito, oltre a qualcosa di più profondo. Una sorta di bisogno di non essere giudicata così su due piedi, anche se l'opinione di quel tizio non avrebbe dovuto importarle. Senza riuscire a trattenersi, lei sbottò e gli gridò dietro parole irripetibili. Lui si fermò di colpo e lentamente si voltò, con dipinta sul viso un'assoluta incredulità.

    Per un momento Sylvie soffocò una risatina isterica.

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