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The true lord: Plaingrass serie- Libro II
The true lord: Plaingrass serie- Libro II
The true lord: Plaingrass serie- Libro II
E-book333 pagine4 ore

The true lord: Plaingrass serie- Libro II

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Info su questo ebook

Proprio quando il rapporto tra Astrid e Byron stava per prendere una svolta positiva, forze esterne mettano a rischio la loro felicità. Tra tentati omicidi, ritorno di personaggi poco graditi e sconvolgenti rivelazioni, la coppia verrà messa ancora una volta alla prova, e salvare il matrimonio non sarà l’unico dei loro obbiettivi.
Cosa nasconde veramente l’animo tormentato di Byron? Astrid sarà pronta ad affrontare tutta la verità?
Inaspettatamente, l’aiuto potrebbe venire da molto lontano: perfino dal passato.
LinguaItaliano
Data di uscita7 feb 2020
ISBN9788835368854
The true lord: Plaingrass serie- Libro II

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    Anteprima del libro

    The true lord - Chiara Rossi

    Chiara Rossi

    The true lord

    Plaingrass serie - Libro II

    L'opera è di proprietà dell'autrice

    ©Chiara Rossi 2020 tutti i diritti riservati

    La copertina è stata realizzata dall'autrice con l'uso d'immagini prese da Pixabay, sito che mette a disposizione foto e immagini free, senza l'uso di crediti. Per alcune componenti decorative, invece, i crediti vanno ad Obsidian Dawn .

    UUID: 71919880-8c66-4f0a-b2b3-c1991edca82e

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Caro lettore

    Capitolo I

    Capitolo II

    Capitolo III

    Capitolo IV

    Capitolo V

    Capitolo VI

    Capitolo VII

    Capitolo VIII

    Capitolo IX

    Capitolo X

    Capitolo XI

    Capitolo XII

    Capitolo XIII

    Capitolo XIV

    Capitolo XV

    Capitolo XVI

    Capitolo XVII

    Capitolo XVIII

    Capitolo XIX

    Capitolo XX

    Capitolo XXI

    Capitolo XXII

    Capitolo XXIII

    Capitolo XXIV

    Capitolo XXV

    Capitolo XXVI

    Capitolo XXVII

    Capitolo XXVIII

    Capitolo XXIX

    Capitolo XXX

    Epilogo

    L'autrice

    Link utili

    Ringraziamenti

    Caro lettore

    A te, che ami sognare...

    Caro lettore,

    Per favore, non scaricare questo libro illegalmente.

    Se vuoi sostenerci, compra i nostri scritti, in qualsiasi formato tu preferisca.

    Se lo farai, non solo io ma tutti noi autori, te ne saremo grati.

    Chiara

    Capitolo I

    La carrozza si fermò proprio davanti alla tenuta Devenport quando la neve aveva ricominciato a scendere dal cielo. Ad accogliere gli ospiti c’era lord Byron in persona, signore di quelle terre. Purtroppo di signorile e autoritario non aveva proprio nulla in quel momento, e quando il futuro duca scese dalla sua carrozza fu la prima cosa che notò.

    Il volto pallido, gli occhi rossi e stanchi di chi aveva pianto così tanto da non avere più lacrime e uno sconforto nell’atteggiamento che era palpabile anche dall’esterno. Sembrava più l’ombra del conte che tutti conoscevano e per lui, che poteva dire di essere quasi uno di famiglia, fu dura vederlo in quello stato.

    Dopo aver aiutato sua moglie a scendere dal mezzo, andò da colui che considerava come un fratello e, incurante di qualsiasi regola di galateo, lo strinse a sé in un abbraccio. La cosa ancora più strana fu che Byron non si oppose a quel contatto così inusuale. Certo, non lo contraccambiò, ma rimase immobile come una statua di cera. E quando lord Joseph si allontanò per guardarlo bene in faccia, l’espressione che il conte aveva in volto lo fece gelare fino alle ossa. Con i suoi occhi color del ghiaccio fissava un punto non ben preciso nella foresta di fronte a loro. Il suo sguardo era spento e vacuo, come se non fosse realmente lì con loro. I coniugi si scambiarono qualche sguardo eloquente, preoccupati per il loro amico che sembrava sul punto di svenire. Byron si rese conto delle loro espressioni e del loro strano silenzio. Si voltò a fissarli, come se avesse realizzato che non era da solo, e chiese con voce flebile: «Che cosa vi porta da queste parti?».

    S’intuiva che non gli importasse nulla di sapere degli affari dei suoi amici, lo aveva chiesto solo perché le buone maniere glielo imponevano. I suoi pensieri e le sue preoccupazioni erano altrove e lord Joseph poteva solo immaginare che cosa stesse provando in quel momento.

    «Eravamo nei paraggi e siamo venuti a conoscenza della precaria salute di vostra moglie», cercò di spiegare l’uomo, ma s’interruppe quando si rese conto che Byron non lo stava più ascoltando e si era di nuovo perso nella distesa di neve davanti a lui. Sembrava quasi ci fosse qualcosa di davvero importante da osservare, e osservare per ore, in quel paesaggio. Senza sapere bene che cosa fare, perché nessuno può insegnarti come confortare una persona in un momento simile, lord Joseph e la moglie lo videro sospirare sofferente. Come se avesse un forte dolore, probabilmente al cuore. Poi tornò di nuovo fra loro e si rivolse solo a Carolyn, con un tono che lasciava intendere quanto la faccenda gli fosse indifferente: «È nella nostra camera da letto, se volete farle visita». Le indicò la porta di casa come se non fosse abbastanza ovvio e non la degnò neanche di uno sguardo mentre lei lo superava ed entrava. Si voltò a fissare lord Joseph, con occhi ancora privi di vitalità ma più presenti mentre indicava lui il sentiero che conduceva alle coltivazioni e gli sussurrava: «Venite con me, devo parlarvi». Un po’ titubante, Joseph lo seguì lontano dalla villa, chiedendosi cosa mai volesse in un momento del genere. Lo considerava come un fratello, quindi avrebbe fatto tutto ciò che era possibile per aiutarlo, ma era anche convinto che non poteva fare nulla per risolvere il suo problema. Neanche i medici avevano capito che cosa avesse Astrid, perciò lui poteva fare ben poco per il suo caro amico.

    «La vostra presenza qui potrebbe essermi molto di aiuto, per quanto vi fermerete?», iniziò Byron.

    «Tutto il tempo necessario, se è quello che volete».

    Qualcosa nelle sue parole, o nella sua ingenuità, fece sorridere Byron. Quasi venne un colpo al povero ragazzo nel vedere quell’espressione divertita sul volto segnato dal dolore del conte. Più confuso che mai si fermò a guardarlo, immaginando che forse stava lentamente impazzendo a causa di quello che era successo. Invece Byron, che aveva compreso perfettamente la natura della sua espressione, parlò con pacatezza: «Senza nulla togliere alla vostra piacevole compagnia, amico mio, ma non è per questo che voglio voi e vostra moglie in casa mia...».

    Le sue parole, ancora più misteriose, ebbero l’effetto di confondere di più Joseph, che alla fine decise di farsi guidare il più lontano possibile dalla villa e ascoltare i farneticanti discorsi di Byron.

    «Sono due giorni che Astrid non si sveglia, ma quando aveva ancora la forza abbiamo perfino parlato... E lei mi ha messo in guardia», fece una breve pausa per puntare gli occhi sulla dimora di sua proprietà e Joseph seguì il suo sguardo fino a una finestra precisa. Per un istante credette che fosse quella della loro camera da letto. Ma quando osservò meglio si rese conto che una donna li stava osservando da dietro una tenda, e non poteva certo essere Astrid, visto che ormai da due settimane giaceva senza energie in un letto. Quella donna che li fissava quasi con sospetto era lady Penelope. Joseph ebbe quasi un brivido nell’incontrare il suo sguardo freddo e calcolatore, ma subito se ne dimenticò, troppo attento a ciò che Byron aveva iniziato a dire: «Mi ha detto che crede di essere stata avvelenata da mia madre e sapete, io le credo».

    La notizia colse così impreparato il futuro duca che per poco non scoppiò a ridere in faccia all’amico. L’unica cosa che lo frenò fu vedere la sua espressione seria e convinta.

    «Non state scherzando, vero? Che cosa ve lo fa pensare?». Non avrebbe mai creduto a una storia del genere, come non aveva mai pensato che potessero essere vere tutte quelle dicerie che giravano sulla madre di Byron. Eppure lui ne era così certo che probabilmente avrebbe convinto anche il più scettico.

    «Qualche tempo fa mia madre è venuta da me e mi ha detto che era disposta a liberarsi di Astrid, se lo avessi voluto...», vedendo l’espressione scioccata di Joseph, Byron aggiunse quasi a chiarimento: «Naturalmente le ho detto che non doveva neanche pensarci, e la cosa per me è passata in secondo piano. Ho creduto che avrebbe fatto davvero come le avevo ordinato, e invece avrei dovuto immaginare che lei fa sempre quello che più le aggrada. Non so perché ora si sia messa in testa che mia moglie debba morire, ma è ovvio che devo fermarla, e voi mi darete una mano!».

    Il tono sicuro con cui aveva parlato sembrava che volesse dire di essere pronto a iniziare una guerra. Per questo Joseph si fermò sul posto e con le mani avanti cercò di frenare i suoi istinti omicidi: «Calmatevi, lord Byron! Ragionate, siete veramente sicuro che vostra madre sia capace di fare una cosa del genere? Non state diventando un po’ paranoici, voi e Astrid? Capisco che quello che sta succedendo è terribile e che stiate cercando una soluzione a questa strana malattia, ma...».

    Non riuscì a finire la frase perché venne interrotto dall’irruenza di Byron, che gli puntò il dito contro e quasi urlò, con gli occhi fuori dalle orbite e una vena sul collo che pulsava: «Non è una malattia, e non trattatemi come un bambino a cui si deve addolcire la pillola perché non riesce a sopportare la realtà».

    La sua reazione, così improvvisa, aveva spaventato il giovane, che era perfino arretrato di due passi. Ma quando vide il conte tornare in sé tirò un sospiro di sollievo. Nonostante sapesse di aver parlato con il cervello, cercando di far ragionare l’amico, si rese conto che in quel momento usare quelle parole era stata la scelta sbagliata. Per questo era sul punto di scusarsi con lui, per avergli dato dello stolto, quando Byron riprese a camminare e anche a parlare, più calmo e quasi calcolatore.

    «Credo a mia moglie, ma questo non significa che voglio andare da mia madre e accusarla di avvelenamento senza neanche uno straccio di prova. So che pensi che stia perdendo la testa». Joseph fu sul punto d’interromperlo per smentire le sue parole, ma Byron non glielo permise perché lo fulminò con lo sguardo e aggiunse: «Non mentite, ho visto come mi avete guardato, voi e vostra moglie. Ma anche se pensate che io sia un folle, posso assicurarvi che in realtà sono in grado ancora di ragionare».

    Naturalmente Joseph si tenne per sé il pensiero che gli passò nella mente in quel momento, pensando agli strani comportamenti che aveva Byron e ai suoi sbalzi di umore.

    «Che cosa volete che faccia?». Lo disse quasi rassegnato perché tanto sapeva che non sarebbe riuscito a convincerlo a desistere, tanto valeva partecipare a qualsiasi cosa aveva in mente così da poterlo tenere d’occhio. E il sorriso diabolico che comparve sul viso di Byron lo spaventò ancor di più.

    «Dopo che Astrid mi ha messo la pulce nell’orecchio ho cercato d’indagare. Ma è impossibile entrare nelle sue stanze perché lei è sempre lì, si è trincerata lì dentro e non esce più».

    «Ma se non esce mai dalle sue stanze, come ha fatto ad avvelenare Astrid?», chiese Joseph, più scettico dell’amico.

    Solo che Byron sembrava davvero cieco di fronte alla realtà. Anzi, perfino si adirò di nuovo dopo quella sua domanda, intuendo che stesse cercando di farlo desistere dai suoi piani. «Be’, questo non lo so, non ho mica le risposte a tutto. Forse le ha versato tutto il veleno una sola volta in... che ne so, nel tè. Non è importante questo, adesso, devo scoprire se ha avvelenato mia moglie, ma soprattutto quale veleno ha usato. Se c’è anche solo una possibilità che Astrid si possa salvare, io devo prenderla in considerazione».

    Dal tono nervoso e furioso con il quale aveva iniziato, verso la fine era passato a uno così disperato che Joseph non aveva potuto fare altro che accettare la sua sconfitta e passare dalla sua parte, anche se ancora era convinto che fosse una pazzia. Non gli servì ribadire che fosse dalla sua parte, bastò solo un gesto affermativo con la testa e Byron capì che finalmente era pronto ad ascoltare il suo piano.

    «Dicevo, mia madre non esce più dalla sua stanza da giorni, e così io non ho modo di controllare se nasconde qualcosa... Ma ora che voi siete qui, non potrà negare la sua presenza, soprattutto perché ci tiene molto a rispettare il galateo! Quello che dovrete fare voi e vostra moglie è tenerla occupata mentre io controllo».

    Una parte di lui, quella che ancora usava un po’ il cervello e non si faceva condizionare dalle emozioni, era convinta che fosse tutto frutto della sua immaginazione. Si era persuaso che sua madre fosse il nemico perché era più semplice così.

    Più facile immaginare che potesse esistere un antidoto a un fantomatico veleno che stava uccidendo sua moglie, piuttosto che ammettere il fatto che non c’era cura per quello che aveva colpito Astrid. Per due settimane la sua vita si era fermata, nulla aveva avuto più senso da quando lei aveva iniziato a stare male e poi era peggiorata. Vedere il suo corpo perdere la vitalità giorno dopo giorno era stato come perdere un pezzo di se stesso, lentamente e dolorosamente. In preda alla rabbia aveva distrutto il suo studio, buttando all’aria carte importanti e infrangendo in mille pezzi cimeli di famiglia appartenuti a suo padre e suo nonno. Perché ce l’aveva con il mondo, con la vita che di nuovo gli stava donando un’altra delusione. Si era perfino dato dello stupido per essersi fatto incantare di nuovo, preda della dolcezza e dell’insistenza di Astrid. Mai come in quei momenti pieni di solitudine e dolore aveva pensato che l’amore portasse alla rovina. La notte non riusciva a dormire e passava il suo tempo sveglio a osservare sua moglie, attento a ogni suo piccolo movimento, ascoltando il suo respiro per paura che cessasse da un momento all’altro. Era diviso dalla voglia di non vederla morire, e quindi passare il suo tempo fuori da quella stanza che per lui era diventata l’inferno, e la consapevolezza che forse non aveva molto tempo per stare insieme a lei. Per questo cercava di non perdersi neanche un attimo, ma negli ultimi due giorni Astrid si era addormentata e non si era più svegliata. Il medico, un uomo che tra l’altro Byron non aveva mai visto e che non era il loro dottore di fiducia, gli aveva assicurato che stava solo dormendo e poteva anche accertarsene dal suo fragile petto che si alzava e di abbassava. Ma vederla in quel modo, come se fosse in una sorta di limbo tra la vita e la morte, per lui era troppo. Per questo negli ultimi giorni aveva iniziato a passare il suo tempo libero, perché tanto comunque non sarebbe stato in grado di fare alcunché con quei pensieri negativi in testa, girando per la tenuta senza una vera meta. La notte, mentre la osservava, piangeva in silenzio e pregava un Dio a cui raramente aveva chiesto aiuto.

    «Mi aiuterete?», chiese per conferma a Joseph, ormai con le lacrime agli occhi ma deciso ad andare avanti fino alla fine.

    Joseph non riuscì a non appoggiarlo, ma in quel momento pensò all’istante in cui Byron avrebbe finalmente realizzato che niente e nessuno avrebbe potuto salvare Astrid. Questo per lui sarebbe stato un vero colpo a cuore, un dolore impossibile da lenire. E quindi sarebbe stata anche la causa della sua rovina.

    Ma visto che entrambi non avevano scelte, si ritrovò a stringere la mano dell’amico, sperando con tutto il suo cuore che la sua folle idea avesse un qualche fondamento di verità. Perché se così non fosse stato, Byron probabilmente sarebbe morto insieme a sua moglie.

    Quella sera, di nuovo a stomaco vuoto, Byron tornò nella sua camera da letto e, come ogni notte, da quando Astrid si era sentita male, ci trovò anche Heath, seduto al suo capezzale che la guardava come se fosse il centro del suo mondo. In un’altra occasione non gli avrebbe permesso di stare nella loro stanza come se niente fosse, ma quando era entrato il primo giorno senza neanche farsi annunciare, con un’urgenza palpabile e ben leggibile nella sua espressione e due occhi da cane bastonato, Byron gli aveva permesso di restare.

    Avrebbe dovuto essere geloso del suo migliore amico, ed effettivamente ribolliva dalla rabbia, ma da quando Astrid era svenuta, quella mattina di due settimane fa, aveva accantonato qualsiasi cosa non servisse ad aiutarla. Compresa la sua gelosia. Doveva ammettere che gli dava parecchio fastidio il fatto che Heath riuscisse a restare tutto il giorno nella stessa camera con lei mentre lui, dopo qualche ora, non riusciva più a sopportare la vista di sua moglie come se fosse un cadavere.

    Ogni volta che rientrava in quella stanza, la stanza che da poco aveva iniziato a vedere come un luogo da condividere con lei, era come se l’odore di morte e desolazione lo accompagnasse ovunque. Aveva sentito lo stesso odore e provato le stesse sensazioni quando suo padre se ne era andato.

    Si tolse la cravatta e la lasciò cadere a terra, ignorando l’amico seduto vicino al letto, che fece lo stesso. Come ogni sera prima di andarsene, aveva deciso di leggere qualche pagina ad Astrid, nel tentativo di scuoterla un po’, ma la ragazza rimaneva sempre immobile. A volte Byron si chiedeva davvero se fosse ancora viva, se potesse sentirli e percepirli o se in realtà solo il suo lento respiro era l’unica testimonianza che non fosse passata a miglior vita.

    Andò alla finestra per chiudere le tende e non permettere al sole che stava tramontando di entrare nella stanza, e questo impedì a Heath di concludere la sua lettura perché calò il buio.

    «Perché lo hai fatto?», chiese offeso e anche un po’ arrabbiato, come se avesse il diritto di dettare legge in casa sua, nella sua camera da letto.

    Byron si limitò solo a dire, quasi come se fosse una scusa: «Sono tremendamente stanco, vorrei dormire se non ti spiace».

    Invece di essere uniti nel dolore della quasi perdita di una persona amata, i due amici si erano allontanati ancora di più. Heath lo guardava come se fosse colpa sua, e non poteva certo biasimarlo. Non era stato un buon marito, non aveva dato ad Astrid tutto quello di cui aveva bisogno e non si era reso conto in tempo che c’era qualcosa che non andava in casa. I segnali li aveva avuti tutti, eppure si era ostinato a non volerli vedere. Anche lui era infuriato con se stesso, e proprio per questo non riusciva neanche a guardare in faccia il suo migliore amico, perché era l’unico che non lo commiserava ma gli buttava in faccia tutte le sue colpe. Il giorno prima avevano perfino avuto una tremenda litigata ed erano quasi finiti alle mani. Erano volate parole molto dure di cui entrambi, se non fossero stati troppo presi dal loro dolore, si sarebbero dovuti pentire.

    Heath in quel momento si alzò e lo fulminò con lo sguardo, come se fosse l’uomo più orribile del mondo. «Non sono io il tuo nemico, vogliamo la stessa cosa», annunciò con voce stanca, così vicino alla porta che gli bastava un passo per considerarsi fuori dalla stanza.

    Byron neanche lo guardò in faccia mentre a carponi si sdraiava accanto a sua moglie. Ma quando si rivolse a lui allora alzò i suoi occhi ghiacciati e con una sola frase enigmatica lo pietrificò sul posto: «È proprio quello che vuoi che mi spaventa di più».

    La velata insinuazione fece montare la rabbia di Heath, fino al punto che era quasi pronto ad andare da lui a prenderlo a pugni come non aveva fatto il giorno prima. Sapeva che parlava in quel modo solo perché era accecato dal dolore e dalla gelosia, ma non riusciva comunque a giustificarlo, non quando Astrid era in quel letto, morente, e solo a causa sua e della sua negligenza. Per questo si voltò, senza dire più niente, e uscì da quella stanza, lasciandolo da solo a tormentarsi per ciò che aveva fatto, o meglio, ciò che non aveva fatto.

    Finalmente, senza orecchie indiscrete ad ascoltare, Byron poté lasciarsi andare a un pianto senza fine. Finiva ogni sera allo stesso modo, per lui ormai era così catartico che non poteva più farne a meno. E tra le lacrime, tra una preghiera e un’altra, rivolgeva le sue scuse a un corpo quasi senza vita che stentava a riconoscere come quello di Astrid. Dolcemente le accarezzava i capelli, cercando d’ignorare quanto fosse fredda la sua pelle, e alcune lacrime cadevano sul suo volto scavato dalla malattia. Prometteva a lei e al mondo intero che sarebbe stato migliore, chiedeva una seconda possibilità a Dio per permettergli di cambiare e non portargli via l’unica cosa che ormai era diventata importante.

    Capitolo II

    Come aveva previsto, alla notizia della visita dell’erede del duca e di sua moglie, lady Penelope era finalmente uscita dalla sua stanza e, dimentica di tutto, era tornata la padrona di casa di un tempo. Troppo presa a far stare bene i suoi ospiti, non si era resa conto delle occhiate di sincero interesse di suo figlio e aveva iniziato ad abbassare la guardia. Così Byron aveva potuto agire indisturbato. Prima di tutto aveva licenziato il nuovo dottore assunto da sua madre, perché una strana sensazione lo pervadeva ogni volta che parlava con lui.

    Era un bugiardo nato, perciò aveva anche imparato a riconoscere le menzogne quando gli venivano rifilate e passate come verità. E quell’uomo mentiva ogni volta che apriva bocca. Ogni sua domanda combaciava con una risposta falsa. Anche il fatto che lady Penelope non avesse deciso di chiamare il loro medico di famiglia gli era suonato strano fin dall’inizio. Così aveva mandato una lettera a quell’uomo, chiedendogli di raggiungere la tenuta il più in fretta possibile per visitare sua moglie e dirgli la verità sulle sue condizioni di salute. Ma non riusciva a restarsene seduto alla scrivania, nel suo studio quasi del tutto a pezzi, ad aspettare la risposta e la venuta di un medico che tardava a raggiungerli.

    Doveva attuare il suo piano, dal momento che ne aveva l’occasione. Si fece dare il passe-partout da uno dei domestici della casa che, nonostante il modo ambiguo in cui lo guardò, non fece alcuna domanda. Una parte di lui, quella che pensava di conoscere ancora la donna che lo aveva messo al mondo, si sentiva un po’ in colpa per quello che stava facendo. L’altra, quella convinta che sua madre era una serpe velenosa e alquanto pericolosa, voleva solo una scusa per le terribili condizioni della moglie.

    Andare contro lady Penelope era qualcosa di davvero estraneo a lui, era successo solo una volta prima della festa di compleanno del duca. Per tutta la vita aveva creduto che lei fosse la sua colonna, così simili da non avere dubbio di essere madre e figlio. Perciò ammettere che ci poteva essere la possibilità che avesse avvelenato Astrid era difficile, e per questo era combattuto. Ma non abbastanza da non fare irruzione della camera di sua madre senza il suo permesso, mentre lei era lontana.

    L’ultima volta che era entrato era stato per osservare suo padre morire e, nonostante tutto, provava ancora quell’oppressione e frustrazione nel vedere il letto dove lord Stephan aveva abbandonato il mondo dei vivi.

    Cacciò i brutti pensieri con una scrollata del capo, deciso a non tornare sui ricordi che lo affliggevano per il poco rapporto avuto con il genitore perso. Se stava mettendo in discussione quello che c’era sempre stato tra lui e la madre, forse sarebbe stato il momento anche di rivedere la tormentata e burrascosa relazione con il padre. Ma quelli non erano né il luogo né il momento.

    Chiusa la porta alle sue spalle, iniziò a frugare tra le cose di sua madre senza il minimo rispetto per la donna che l’aveva messo al mondo. Non riusciva a vedere più niente se non il fatto che Astrid stava morendo e che doveva trovare una risposta a tutto questo. Perché era convinto ci fosse una risposta.

    Come un pazzo controllò ogni angolo di quella stanza, ogni cassetto e perfino sotto il materasso, correndo da una parte all’altra della camera come un ossesso. Stava quasi rinunciando all’impresa, dopo aver messo a soqquadro tutto, incurante che ne avrebbe dovuto rispondere a sua madre stessa. Sconfitto, credendo che ormai tutto era perduto, la rabbia gli salì fino al cervello, oscurando ogni possibilità di ragionamento e, come era successo nel suo studio, iniziò a buttare a terra ogni cosa a suo tiro. Prese un cassetto del comodino di lady Penelope, lo tirò fuori con forza e lo scaraventò dall’altra parte della stanza con un urlo disumano.

    Lanciando per sbaglio uno sguardo all’ultimo cassetto buttato a terra, qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcosa che riaccese la possibilità di scoprire la verità, qualcosa che mise da parte la furia per qualche istante, usurpata del suo posto dalla sete di sapere. Si avvicinò meglio per controllare cosa di strano avesse così attirato la sua attenzione e, quando si chinò per osservare, si accorse che il cassetto aveva uno scompartimento nascosto. Nel lanciarlo contro la parete si era formata una crepa nel legno, scoprendo il segreto che lady Penelope nascondeva con tanta cura. Quasi con timore tolse il pannello di legno, le mani che gli tremavano.

    E non gli servì alcuna spiegazione, quando davanti ai suoi occhi si ritrovò tre boccette di vetro, miracolosamente rimaste intatte dopo la sua furia cieca. Non aveva bisogno di sapere che cosa contenessero, di certo non profumo perché altrimenti sua madre non le avrebbe nascoste così bene. Quella scoperta ebbe l’effetto che proprio lui si aspettava, e che tanto temeva. Tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento era solo un piano malsano di sua madre.

    «Purtroppo non abbiamo potuto organizzare la festa di Natale quest’anno, per ovvi motivi», stava spiegando con finto rammarico lady Penelope, seduta al tavolo con i suoi ospiti e intenta a consumare un pasto abbondante. Ma la frase le si mozzò

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