Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tu mi parli, io ti bacio: Harmony Jolly
Tu mi parli, io ti bacio: Harmony Jolly
Tu mi parli, io ti bacio: Harmony Jolly
E-book185 pagine2 ore

Tu mi parli, io ti bacio: Harmony Jolly

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Non tutti credono all'amore a prima vista. Come definire, allora, quella strana sensazione che prende la bocca dello stomaco quando due sguardi si incrociano e non si lasciano più?


Josephine Peterson mai si sarebbe aspettata quel regalo dai suoi fratellastri: un soggiorno tutto spesato in un luogo da sogno nella campagna australiana. Il cottage prenotato a suo nome è un piccolo gioiello, così come la vista mozzafiato, ma...
In effetti un ma ci sarebbe.
Josie ama stare in mezzo alla gente, chiacchierare, e lì l'unica persona con cui poter fare conversazione pare essere il proprietario della sua casetta, Kent Black, tanto bello quanto asociale.
Josie ora sa quale sarà la sua missione: coinvolgere Kent in una sana conversazione e non solo.
LinguaItaliano
Data di uscita11 giu 2018
ISBN9788858983874
Tu mi parli, io ti bacio: Harmony Jolly
Autore

Michelle Douglas

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

Leggi altro di Michelle Douglas

Autori correlati

Correlato a Tu mi parli, io ti bacio

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Tu mi parli, io ti bacio

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tu mi parli, io ti bacio - Michelle Douglas

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Loner’s Guarded Heart

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2008 Michelle Douglas

    Traduzione di Alessandra Carli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-387-4

    1

    «C’è qualcuno?»

    Josie Peterson si avvicinò alla finestra socchiusa e chiamò, poi bussò di nuovo alla porta.

    Nessun movimento. Nessun rumore. Niente.

    Mordendosi il labbro, fece un passo indietro e osservò la facciata del cottage, rivestita di assi di legno dipinte di bianco. Tende di cotone grigie a quadri erano appese alle finestre.

    Grigio? Sospirò. Era stanca del grigio. Voleva balze. E colore. Voleva allegria e fantasia.

    Le pareva che il grigio la soffocasse.

    Si girò e si guardò attorno. I sentieri erano puliti, i prati ben curati, ma non c’era nemmeno un’aiuola a spezzare la monotonia. Né un vaso di fiori. In quel momento, Josie avrebbe dato chissà cosa per vedere anche una sola gerbera colorata.

    Sul pendio intorno al cottage si ergevano sei chalet di legno. Nulla si muoveva. Nessun segno di vita. Non c’erano macchine, né biancheria ad asciugare sulle verande, né biciclette o mazze da cricket appoggiate al muro.

    Nulla e nessuno.

    Allegria e fantasia non erano esattamente ciò che quel posto desolato evocava.

    L’erba attorno agli chalet, tuttavia, era verde brillante e sembrava tagliata di recente. Era evidente che qualcuno si occupava della manutenzione.

    Se solo fosse riuscita a trovare quel qualcuno.

    Il paesaggio attorno era un mosaico di prati verdeggianti ed eucalipti tra i quali serpeggiava in lontananza un fiume, simile a un lampo argentato che scintillava nella luce soffusa del tardo pomeriggio.

    Josie provò l’assurdo desiderio di piangere, ma non volle arrendersi.

    Cosa diavolo era passato per la mente a Marty e Frank?

    Eri tu che dicevi di volere un po’ di pace e di tranquillità, si disse, accasciandosi sul primo scalino e appoggiando il mento sulle mani.

    Sì, ma un conto erano pace e tranquillità, un conto era quel luogo deserto.

    Nei dintorni non si scorgeva nessun’altra abitazione.

    Josie nascose il viso tra le mani. Marty e Frank la conoscevano abbastanza bene da sapere che quella non era la sua vacanza ideale, vero?

    Sentì una stretta allo stomaco e alzò la testa. Lei cercava pace e tranquillità, ma la desolazione di quel luogo era davvero eccessiva: nemmeno il telefonino prendeva.

    Lei voleva stare con la gente. Avrebbe voluto stendersi, chiudere gli occhi e sentire la gente che rideva e viveva, vedere la gente che rideva e viveva. Avrebbe voluto...

    Basta! Quella era la prima cosa carina che Marty e Frank avevano fatto per lei da...

    Cercò di ricordare da quanto, ma non ci riuscì. Va bene, forse non erano i fratelli migliori del mondo, ma proporle una vacanza era stato un gesto carino. Come poteva essere così ingrata?

    Altri avrebbero dato chissà cosa per essere al suo posto. Molte persone avrebbero fatto carte false per trascorrere un mese nella meravigliosa Upper Hunter Valley, nella campagna del Nuovo Galles del Sud, senza nulla di cui doversi preoccupare.

    Si guardò attorno con aria malinconica.

    Si pulì le mani sui jeans e si alzò. Non sarebbe stata lì senza far niente. Secondo la mappa c’era una città qualche chilometro più avanti. Poteva andarci in macchina ogni volta che lo avesse voluto, e magari avrebbe fatto qualche amicizia.

    Era stanca. Nient’altro. Il viaggio era stato lungo, era molto tardi e forse era per quello che il proprietario non l’aveva aspettata per accoglierla.

    Si chiese che tipo di persona fosse disposta a vivere lì da sola. Sperava fosse qualcuno che l’avrebbe presa sotto la propria ala, le avrebbe presentato qualche amico ed elencato con entusiasmo tutte le attività che era possibile svolgere in quella natura incontaminata. Magari davanti a una tazza di tè e dei biscotti.

    Provò un moto di impazienza. Ruotò le spalle, pestò i piedi e fece un profondo respiro. Ma i profumi secchi e pungenti che le penetrarono nei polmoni erano così diversi dall’aria umida e salata di Buchanan’s Point, sulla costa. La sua terra.

    Sentì un’altra stretta allo stomaco.

    Era un’estranea, lì.

    «Sciocchezze.» Con una risata cercò di scacciare quella strana sensazione, ma fu assalita da un’intensa nostalgia di casa. Il grigiore la soffocò ancora di più. Scese in fretta i tre gradini e percorse il sentiero, sperando che un po’ di moto aiutasse a scacciare quei brutti pensieri. Si girò da una parte, poi dall’altra. Decise di dare un’occhiata sul retro. Forse il padrone di casa stava lavorando in una rimessa o in un orto o qualcosa del genere.

    Desiderosa di trovare un essere vivente, Josie corse sul lato della casa. C’era un cancello. Armeggiò con la serratura, ansiosa di trovare compagnia, di comunicare con qualcuno. Il cancello finalmente si aprì e si ritrovò in un giardino ben curato.

    Di nuovo, nessun’aiuola né vasi di fiori a offrire una macchia di colore e di allegria, ma l’erba era tagliata e i cespugli erano così curati che sembrava fossero stati potati con l’ausilio di una squadra.

    Lo steccato era dipinto di bianco, come la casa, e in mezzo al prato c’era uno stendino per la biancheria. Era di acciaio, piuttosto antiquato, simile a quello che Josie aveva a casa: la presenza di quel banale oggetto familiare la rassicurò un po’. Guardò i jeans sbiaditi, la camicia di jeans e i pantaloncini navy appesi ad asciugare e dedusse che il padrone di casa era un uomo.

    Perché non aveva chiesto il nome a Marty o Frank?

    Forse perché era successo tutto troppo in fretta. I suoi fratelli le avevano fatto quella sorpresa la sera precedente e avevano insistito perché lei partisse alle prime luci dell’alba della mattina successiva. Ma poi la signora Pengilly si era sentita male e lei aveva dovuto ritardare la partenza. Josie si mordicchiò un labbro. Forse sarebbe dovuta rimanere e...

    Un ringhio basso e feroce la fece fermare all’improvviso. Un brivido gelido le percorse la schiena.

    Per favore, no.

    Non c’era un cartello con scritto Attenti al cane sul cancello. Josie non lo aveva visto, e lei faceva attenzione a certe cose. Molta attenzione.

    Giunse un nuovo latrato, e vide l’animale: il cuore prese a batterle così forte che temette potesse scoppiare. Cominciarono a tremarle le ginocchia.

    «Bel cagnolino» tentò lei, ma la lingua rimase incollata al palato, rendendo le parole inintelligibili.

    In risposta il cane ringhiò. No, non era un bel cagnolino e, anche se non era grosso come un Rottweiler o un Dobermann, era robusto. Quando digrignava i denti sembrava ugualmente pericoloso.

    Josie fece un passo indietro, il cane uno avanti.

    Lei si fermò, lui si fermò.

    Il cuore le martellava in petto, si sentiva svenire, ma non distolse gli occhi da quelli dell’animale.

    Lui abbassò il muso e mostrò di nuovo i denti. I peli sul collo si rizzarono.

    Oh, non era un buon segno. Josie sarebbe voluta scappare verso il cancello e la salvezza, ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Il cane le sarebbe saltato addosso ben prima che lei potesse riuscire a mettersi in salvo. E quei denti...

    Deglutì e fece un altro passo indietro. Il cane rimase fermo.

    Un altro passo. Il cane non si mosse. I peli sul collo però non gli si abbassarono.

    Con un sussulto, Josie fece uno scatto di lato e in qualche modo riuscì ad arrampicarsi sullo stendino.

    «Aiuto!» gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.

    Qualcosa le solleticò il viso. Una ragnatela! Cercò di toglierla, ma le rimase appiccicata sul volto e sul collo. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Scoppiò in lacrime.

    Il cane si fermò proprio sotto di lei. Alzò il muso e ululò. Josie pianse ancora più forte.

    «Cosa diavolo...?»

    Grazie a Dio era arrivata una persona. Finalmente un volto amico. Si girò verso la voce, quasi cadendo dallo stendino per il sollievo.

    Guardò.

    Il cuore continuò a batterle forte.

    Ma il sollievo durò solo qualche istante. Quello non era un volto amico!

    Fu scossa da altri singhiozzi. Il cane emise di nuovo il suo ululato funesto.

    «Per amor del...»

    L’uomo la guardava con aria minacciosa, con le mani sui fianchi.

    «Perché diavolo sta piangendo?»

    Lei avrebbe preferito vedere un sorriso, anche solo abbozzato, piuttosto che quei fianchi stretti, il ventre piatto e quelle gambe lunghe e muscolose.

    Ma lui non sorrise. Josie osservò i lineamenti duri di quel viso e dubitò che quell’uomo potesse mai apparire amichevole. Non c’era un solo tratto gentile sul suo volto. Nemmeno uno. I suoi occhi non avevano un briciolo di dolcezza o di calore. E lei scommetteva che diavolo non fosse neanche il termine peggiore che avrebbe potuto usare.

    Santo cielo. Quello non era di certo un uomo disposto a prenderla sotto la propria ala. Una risata isterica le salì dalla gola. «Lei è il proprietario di questa casa?»

    Lui la guardò di traverso. «Lei è Josephine Peterson?»

    Lei annuì.

    «Sì.» Aggrottò la fronte. «Piacere, Kent Black.»

    Non le porse la mano, anche se Josie doveva ammettere che poteva essere complicato, considerando che era appollaiata su uno stendino.

    «Le ho chiesto perché sta piangendo.»

    Rivolta da un’altra persona la domanda sarebbe potuta sembrare premurosa, ma non da parte di Kent Black. E forse sarebbe stato più opportuno chiederle cosa diavolo facesse sul suo stendino.

    «Allora?»

    Le sfuggì un singhiozzo. «Perché sto piangendo?»

    Sicuramente quel tipo pensava che fosse pazza.

    «Sì» sibilò lui.

    «Perché sto piangendo?» La sua voce si alzò di un’ottava. «Glielo dico subito. Sto piangendo perché, be’, guardi questo posto.» Alzò le mani. «È ai confini del mondo.» Gli rivolse un’occhiataccia e solo quello le impedì di scoppiare di nuovo a piangere. «Come hanno fatto Marty e Frank a pensare che mi sarei trovata bene?»

    «Guardi, signorina Peterson, credo che dovrebbe calmarsi...»

    «Oh, no. Lei ha fatto una domanda per cui mi sembra il minimo che ascolti la risposta.» Gli puntò il dito contro come se fosse personalmente responsabile di tutto ciò che era andato storto quel giorno.

    «Non solo sono qui relegata ai confini del mondo... ma sono relegata su uno stendino ai confini del mondo. E come se non bastasse, mi sono anche persa mentre cercavo di arrivare in questo posto maledetto e sono finita a Timbuktu, dove mi si è bucata una gomma. Poi il suo cane mi ha costretto ad arrampicarmi fin quassù e ci sono ragnatele ovunque!» La sua voce si alzava a ogni parola lasciando attonita persino lei stessa, ma per qualche strano motivo non riusciva a controllarsi. «E la signora Pengilly ha avuto un malore questa mattina e ho dovuto chiamare un’ambulanza... e ho seppellito mio padre due settimane fa e...» La sua rabbia esplose. Chiuse gli occhi e abbassò la testa. «E mi manca da morire» finì con un sussurro quasi impercettibile.

    Dannazione. Con riluttanza aprì un occhio e lo sorprese a fissarla come se fosse una folle. Aprì l’altro occhio e si raddrizzò. Si sistemò i capelli. Non era pazza. E, nonostante quello sfogo, non aveva nemmeno voglia di scusarsi. Quell’uomo non aveva un’espressione che rendeva semplice scusarsi. Sospirò e incontrò il suo sguardo.

    «Ha paura del mio cane?»

    Josie sollevò un sopracciglio. Pensava che si fosse arrampicata lì per divertimento? «Anche ai confini del mondo si dovrebbero mettere dei cartelli ai cancelli per avvertire le persone della presenza di cani feroci.»

    Lui continuava a guardarla con un viso così arcigno che Josie si sentì arrossire. Con un sospiro, alzò la maglietta mostrando la cicatrice bianca che le attraversava il fianco destro fino allo stomaco. Avrebbe potuto tracciarla a occhi chiusi. Ma l’uomo non sembrava esserne affatto turbato.

    «Quanti anni aveva?»

    «Dodici.»

    «E ha paura di Molly?»

    Non era ovvio?

    Diede un’occhiata al cane. Molly? Quel nome non aveva nulla a che fare con Killer o Frantumaossa o Tritacarne, vero? E, con Kent Black lì accanto, l’animale non aveva più l’aria minacciosa di un momento prima. Josie sussultò.

    «È una femmina?»

    «Sì.»

    Il cane che l’aveva attaccata da ragazzina era un grosso Dobermann. «Ringhiava.»

    «Certo, lei l’ha spaventata.»

    «Io?» Quasi cadde dallo stendino.

    «Le sarebbe bastato battere le mani e dire buu per farla scappare via di corsa.»

    Oh, questa sì che era bella.

    Lui fece una smorfia, ma non fu un sorriso. «Molly.» Il cane scodinzolò e gli corse vicino. Kent la grattò dietro le orecchie. «Giù, ragazza.»

    La sua voce fu bassa e gentile e Josie

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1