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Gli architetti di Auschwitz
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Gli architetti di Auschwitz
E-book343 pagine4 ore

Gli architetti di Auschwitz

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La vera storia della famiglia che progettò l’orrore dei campi di concentramento nazisti

Questa è la storia scioccante di come furono creati i forni crematori e perfezionate le camere a gas che permisero l’eliminazione di milioni di persone durante l’olocausto. Alla fine dell’Ottocento, la Topf & Figli era una piccola e rispettata azienda a conduzione familiare con sede a Erfurt, in Germania, che produceva sistemi di riscaldamento e impianti per la lavorazione di birra e malto. Negli anni Trenta del secolo scorso, tuttavia, la ditta divenne leader nella produzione di forni crematori e, con l’avvento della seconda guerra mondiale, si specializzò nella produzione di forni “speciali”, destinati ai campi di concentramento. Durante i terribili anni dell’Olocausto, la Topf & Figli progettò e costruì i forni crematori per i campi di Auschwitz-Birkenau, Buchenwald, Belzec, Dachau, Mauthausen e Gusen. Gli uomini che concepirono queste macchine di morte non furono ferventi nazisti mossi dall’ideologia: a guidare i proprietari e gli ingegneri della Topf & figli furono piuttosto l’ambizione personale e piccole rivalità, che li spinsero a competere per sviluppare la migliore tecnologia possibile. Il frutto del loro lavoro riuscì a superare in disumanità persino le richieste delle SS. Ed è per questa cieca dedizione al lavoro che i fratelli Topf passarono alla storia con infamia. Il loro nome è ancora impresso sulle fornaci di Auschwitz.

Dall’autrice del bestseller Sopravvissuta ad Auschwitz
Ai primi posti delle classifiche italiane

«Karen Bartlett descrive con dovizia di particolari il modo in cui un’ordinaria impresa manufatturiera divenne il perno della produzione di strumenti di morte, incurante del fatto che fosse un business disumano. Una lettura dura ma necessaria.»
Jerusalem Post

«La storia della famiglia Topf, magistralmente raccontata dall’autrice, è un perfetto esempio di come Hannah Arendt avrebbe descritto la banalità del male.»
The Jewish Chronicle

«Una storia, quella della famiglia Topf, che fa venire i brividi per l’ordinaria quotidianità con cui il male era perpetrato. L’inchiesta dell’autrice toglie ogni dubbio sul fatto che l’azienda operasse sotto la minaccia dei nazisti: la normalità con cui le macchine di morte venivano create è una delle tante immagini inquietanti raccontate in questo libro.»
Publishers Weekly
Karen Bartlett
Scrittrice e giornalista, vive a Londra. Ha collaborato con varie testate («The Sunday Times», «The Times», «The Guardian», «Wired»), ha prodotto e condotto alcuni programmi sulla BBC Radio e in passato si è impegnata anche come attivista politica. Con la Newton Compton ha pubblicato Sopravvissuta ad Auschwitz (scritto insieme a Eva Schloss) e Gli architetti di Auschwitz.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2018
ISBN9788822725301
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    Anteprima del libro

    Gli architetti di Auschwitz - Karen Bartlett

    Capitolo 1

    Nato e cresciuto alla Topf & Figli

    Erfurt. Inverno, 1941

    Due anni dopo che la Germania aveva lanciato una vasta campagna di espansione in tutta Europa, scatenando la seconda guerra mondiale, i cittadini di Erfurt, una piccola città vicino a Weimar, nella Germania centrale, erano ancora convinti che il conflitto fosse in loro favore. La Francia era stata conquistata, ampie zone dell’Europa orientale erano state riunite sotto il controllo nazista, la Gran Bretagna era stata sconfitta sulle proprie coste. Gli articoli locali della «Thüringer Allgemeine» riportavano ancora con fiducia dettagli della vita quotidiana e culturale: le mogli dei soldati tedeschi in vacanza in Italia che si divertivano a trascorrere il loro tempo con i figli su spiagge assolate; i terreni che dovevano essere preparati per l’inverno; il sindaco di Erfurt che intimava ai suoi cittadini di tenere alto il buon nome della città mantenendo le strade pulite.

    Tuttavia, anche i nazisti più compiacenti e devoti stavano cominciando a percepire un certo disagio. All’inizio di dicembre, Hitler sosteneva che la Germania avrebbe dichiarato guerra anche agli Stati Uniti dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor. Nel cuore dell’inverno, in Russia, le forze tedesche si erano lanciate in una marcia rischiosa e senza precedenti verso Mosca. Il quotidiano «Thüringer Allgemeine» aveva iniziato a pubblicare i servizi fotografici del fronte orientale, dedicando numerosi articoli in prima pagina alle notizie sui combattimenti. Tutto appariva «eroico» e «vittorioso»: la guerra era ormai di vaste proporzioni. Storie sul successo in Crimea, sull’affondamento delle navi britanniche, sulle enormi perdite sovietiche venivano sfornate ogni giorno, seguite da mappe dell’Asia che illustravano il vasto progresso giapponese. Nessun cittadino comune poteva non vedere che, come era successo per l’ascesa al potere nel 1933, il regime nazista continuava ad alzare la posta in gioco, puntando sempre più in alto e muovendosi insaziabilmente e senza sosta verso un obiettivo finale.

    Per gli ebrei d’Europa, l’orrore di questo obiettivo si faceva sempre più evidente: dal 1933 al 1939 gli ebrei tedeschi erano stati sistematicamente privati di ogni diritto umano e civile, non potevano esercitare quasi nessuna professione, non potevano detenere proprietà, non potevano frequentare le scuole, né sposare un non ebreo o camminare per le strade in sicurezza, ed erano costretti a portare con sé un passaporto o una carta d’identità con una grande lettera J. Le famiglie ebree avevano assistito con orrore alla Kristallnacht (La notte dei cristalli) del 9 ottobre 1938, quando più di settemila imprese, case e sinagoghe ebraiche furono saccheggiate e bruciate. Il terrore si diffuse in tutta Europa, mentre la prepotenza dell’occupazione nazista portò alla creazione di massicci ghetti ebraici in Polonia e nel resto dell’Europa orientale, insieme ai piani di insediamento degli ebrei europei nelle terre dell’est.

    Il proposito di Hitler di sterminare gli ebrei d’Europa non era mai stato tenuto nascosto. Nel 1945 l’ex giornalista e maggiore dell’esercito Josef Hell affermò che, già nel 1922, Hitler gli aveva detto:

    Una volta che sarò veramente al potere, il mio primo e più importante compito sarà l’annientamento degli ebrei. Non appena avrò il potere di farlo, farò costruire delle file di patiboli - per esempio nella Marienplatz di Monaco - nella misura consentita dal traffico. Poi gli ebrei saranno impiccati indiscriminatamente e rimarranno appesi fino a quando non puzzeranno; rimarranno appesi fino a quando non rappresenteranno un pericolo per l’igiene. Non appena saranno stati rimossi si procederà con l’impiccagione del gruppo successivo, e così via, fino a quando l’ultimo ebreo di Monaco non sarà stato sterminato.²

    Fin dall’estate del 1941, i nazisti si interrogavano su come Hitler avrebbe attuato la «soluzione finale della questione ebraica», e nell’agosto di quell’anno scoprirono una verità agghiacciante. Nel testare un sistema di disinfestazione, il gas Zyklon B, sui prigionieri di guerra sovietici in un campo di prigionia della Slesia conosciuto come Auschwitz, si accorsero che la sostanza nociva aveva la capacità di uccidere tutti coloro che ne respiravano i fumi. Nell’inverno del 1941, il capo della polizia tedesca e delle ss, Heinrich Himmler, chiamò a Berlino il comandante del campo di Auschwitz, Rudolf Höss, per rispondere a quella che i nazisti consideravano una questione vitale, cioè quale fosse la via migliore per realizzare lo sterminio. Il 20 gennaio 1942, mentre i giornali si concentravano sulla raccolta di tessuti di lana per lo sforzo bellico e celebravano i successi dell’ingegneria tedesca e dell’Autobahn (autostrada), Himmler ospitò la famigerata conferenza di Wannsee. «Gli ebrei devono essere raggiunti con ogni mezzo e devono essere eliminati», disse Himmler a Höss, «senza eccezioni»³.

    La soluzione che i nazisti metteranno in pratica sarà una commistione disumana di ingegnosità tecnica e assenza di qualsiasi scrupolo morale, pianificata non in una pianura paludosa e fredda della Polonia, ma, in parte, in un comodo ufficio di una delle città più piacevoli della Germania. Un ufficio con tavoli da disegno e vista sulla montagna di Ettersberg, dove uomini di mezza età con i colletti bianchi rigidi erano impegnati a escogitare orrori, uno più folle dell’altro.

    Sono gli uffici della Topf & Figli, orgogliosa azienda locale nota per la sua competenza nella fabbricazione di attrezzature agricole per la produzione di birra e malto. La Topf & Figli ha lavorato con i nazisti da quando, il 17 Maggio 1939, l’ingegnere Kurt Prüfer realizzò il disegno per un forno mobile di cremazione riscaldato a olio, assicurandosi la prima commissione dell’azienda con le ss. I forni saranno utilizzati per incenerire il crescente numero di corpi nei campi di concentramento, compreso il vicino campo di Buchenwald. Sebbene l’ordine iniziale fosse solo di tre forni mobili, l’azienda, producendoli, aveva già oltrepassato un invisibile confine morale. I forni si basavano sul progetto di Kurt Prüfer di un inceneritore mobile di rifiuti, destinato esclusivamente all’uso animale e che pertanto non soddisfaceva i rigorosi requisiti tecnici necessari per le camere di cremazione umana. Secondo le norme tedesche, quando si inceneriva un corpo umano, questo non doveva mai entrare in contatto diretto con le fiamme, ma doveva essere cremato in aria surriscaldata. Alla fine del 1941, la Topf & Figli ha già prodotto forni mobili e statici a muffola singola e doppia per quattro campi di concentramento nazisti, e ha progettato una nuova serie di forni a muffola tripla per soddisfare le esigenze delle ss di Auschwitz, dove gli amministratori nazisti calcolavano che i prigionieri sovietici sarebbero morti al ritmo di mille al giorno.

    (La muffola era la camera di incenerimento, un forno a due muffole avrebbe dovuto avere una fonte di fuoco per ogni camera, ma il progetto di Prüfer per un forno a tripla muffola rompeva la convenzione utilizzando solo due fonti di fuoco per le camere esterne e permettendo alle fiamme di bruciare il corpo nella camera centrale passando attraverso fessure nelle pareti).

    Era un lavoro di cui l’azienda sembrava essere orgogliosa: invece di arretrare di fronte alla natura evidente di questi orrori, il 4 dicembre 1941 il direttore Ernst Wolfgang Topf scriveva alle ss di Auschwitz per spiegare che il nuovo progetto «migliorerà l’efficienza», anche tenendo conto del maggior consumo di carburante impiegato per i cadaveri «congelati».

    «Siate certi», scriveva Ernst Wolfgang, «che forniremo un sistema adeguato e ben funzionante, e ci raccomandiamo a voi con un "Heil Hitler"». Erano così orgogliosi del loro lavoro che un mese dopo, il 6 dicembre, Kurt Prüfer coglieva l’occasione per scrivere a Ernst Wolfgang e Ludwig Topf chiedendo più soldi per il suo progetto: «Sono stato io a capire come creare i forni per la cremazione a tre e a otto muffole, lavorando anche nel tempo libero», si vantava. «Questi forni sono davvero rivoluzionari, e posso supporre che mi concederete un bonus per il lavoro che ho fatto»⁴.

    Questo scambio epistolare incredibilmente disumano sembra ben lontano dalle origini della J.A. Topf & Figli, fondata a Erfurt sessant’anni prima, nel 1878, dal maestro birraio Johann Andreas Topf. Tuttavia, l’azienda è stata caratterizzata fin dall’inizio dagli stessi elementi: innovazione tecnica, alterne fortune commerciali e un ceppo di instabilità mentale tra i suoi fondatori.

    Johann Andreas (J.A.) Topf nacque a Erfurt nel 1816, figlio primogenito del contadino Johann Sebastian Topf e della moglie Maria Magdalena, che faceva parte della famiglia Schlegel, mastri birrai della città.

    Accanto alla soffiatura del vetro, in quei giorni l’industria della birra era una delle poche attività in crescita. Vivere a Erfurt, o in qualsiasi altro luogo della Germania, a quel tempo, significava vivere in un piccolo mondo. Erfurt era una «città di lavoratori» che si era arricchita nel xiv e xv secolo grazie al commercio del guado, una pianta a fiori gialli utilizzata nella tintura delle stoffe, per ottenere il colore blu. Rispetto ai suoi vicini rivali, Erfurt non aveva né le delizie culturali e letterarie di Weimar, che nella sua epoca d’oro aveva dato in natali a Goethe e Schiller, né la tradizione universitaria di Jena. La definizione «città di lavoratori» era abbastanza impropria, tuttavia, e un visitatore vi avrebbe potuto trovare tra le strade tortuose anche piccole imprese artigianali, e fonti di reddito controllate da corporazioni rigide che in pratica gestivano tutto il commercio locale. La stessa Germania (che era ancora un insieme di piccoli stati che avevano appena iniziato a tracciare le linee guida burocratiche per la creazione di uno stato unitario) era considerata dagli altri cittadini europei un paese addormentato, una terra di poeti e sognatori, popolata di «pittoresche casette di legno», e «un paese i cui prodotti industriali erano ancora considerati, negli anni Settanta del xix secolo, di scarso pregio»⁵.

    J.A. Topf viveva con i genitori e cinque fratelli al numero 34-35 di Krämpferstrasse, dove la famiglia continuava a gestire la propria fattoria. A quattordici anni lasciò la scuola e intraprese il servizio militare. Successivamente iniziò l’apprendistato come birraio con suo zio Johann Caspar Schlegel e, dopo averlo terminato, J.A. Topf si mise in proprio, trasferendosi a Stolberg, in Sassonia. A trentasei anni era pronto a sposarsi, e scelse la figlia di un maestro panettiere locale, più giovane di lui di nove anni: Johanne Caroline Auguste Reidemeister. La coppia andò ad abitare nella casa di famiglia Topf a Erfurt ed ebbe cinque figli, quattro dei quali raggiunsero l’età adulta. Gustav nacque nel 1853, Albert nel 1857, Max Julius Ernst nel 1859 e Wilhelm Louis, conosciuto come Ludwig, nel 1863.

    Tornato a Erfurt, J.A. Topf iniziò a produrre birra nella fabbrica di famiglia, ma si dimostrò un uomo d’affari inetto. Il primo tentativo di Topf di fondare un’industria di birra nella proprietà di famiglia naufragò quando – secondo il figlio di Topf, Julius – il suo partner commerciale si rivelò essere un truffatore e la famiglia perse sia la proprietà che tutti i fondi, tra cui la dote di Johanne Topf. Ricordando le «grandi difficoltà della famiglia»⁶, Julius Topf disse che la povertà mise a dura prova i quattro figli, soprattutto nel confronto con alcune famiglie ricche con cui erano in relazione. La situazione era così disastrosa che persino il panettiere si rifiutava di fare credito ai Topf per comprare il pane.

    Dopo la perdita della casa, la famiglia si trasferisce a un altro indirizzo, mentre J.A. Topf prova a coltivare semi di ortaggi e a guadagnare denaro come tecnico di caldaie autonomo. Sebbene le sue capacità imprenditoriali fossero limitate, Topf aveva scoperto che il suo vero talento risiedeva nell’invenzione e nell’innovazione. Nel 1867 iniziò a pubblicizzare i suoi servizi di ottimizzazione delle caldaie e dei forni e due anni dopo convinse il noto produttore alimentare di Erfurt, Casar Teichmann, a produrre insieme una birra di alta qualità utilizzando i metodi di produzione Topf. La birra, che si chiamava Nestor, ebbe un tale successo che Teichmann acquistò la vecchia proprietà della famiglia Topf in Krämpferstrasse e vi stabilì la propria fabbrica di birra, con J.A. Topf come mastro birraio. Ma ancora una volta la collaborazione fallì quando Teichmann chiese a Topf di lavorare a metà del suo stipendio precedente a causa della sua età avanzata. Julius Topf più tardi affermò che Teichmann non aveva apprezzato «lo spirito fortemente innovativo» di suo padre e i due si divisero, con Topf che scelse di provare nuovamente a capitalizzare la propria esperienza tecnica.

    All’età di sessantadue anni era una mossa audace, e uno dei suoi figli non fu d’accordo. Nonostante la loro opposizione, nel luglio 1878 J.A. Topf spostò la famiglia di nuovo, al 10b di Johannesflur, e riprese l’attività con il suo brevetto del sistema di cottura utilizzato nel processo di fabbricazione della birra. Con questo sistema, il malto veniva macinato e poi cotto nella pentola insieme all’acqua e al luppolo. Il sistema di cottura di Topf era innovativo e più efficiente, in quanto necessitava di una minore combustione alla base delle pentole di cottura, da cui conseguiva un minor consumo di carbone. Le generazioni future della famiglia avrebbero considerato il 1878 come l’anno ufficiale della fondazione, ma, nonostante l’aggiudicazione di alcuni contratti nella regione della Turingia, l’azienda era ancora in difficoltà.

    Nel 1884 il penultimo figlio di J.A., Julius, entrò a far parte dell’azienda. Julius, che sarebbe diventato il nonno di Hartmut Topf, aveva abbandonato la formazione come impiegato pubblico e una futura carriera di frutticoltore e giardiniere per diventare un tecnico dei forni. Un anno dopo, il fratello più giovane, Ludwig, si unì a lui nell’azienda, e nel 1885 fondarono la J.A. Topf & Figli come specialisti in sistemi di riscaldamento e impianti di produzione di birra e malto, assumendo un disegnatore e trasferendo l’azienda fuori dalla casa di famiglia, in uffici in affitto.

    Julius sentiva di aver sollevato i genitori da un peso, assumendo la direzione dell’azienda, soprattutto perché suo padre era ormai mentalmente instabile. Racconta che i «tempi duri» e le preoccupazioni che il padre aveva sopportato ne avevano prosciugato lo spirito, scrivendo poi alla moglie che mentre il padre non era più «au fait» abbastanza per lavorare, quando veniva lasciato ai suoi pensieri «diventava quasi pazzo» e dava prova di una «enorme vanità» che spesso rasentava la megalomania.

    Quando J.A. Topf morì, nel 1891, non si può dire che avesse raggiunto il successo, ma aveva fondato un’azienda e le sue innovazioni tecnologiche gli sarebbero sopravvissute. Durante la sua vita travagliata, la Germania aveva subito una trasformazione profonda ed era passata dall’essere un paese che, al momento della sua nascita, aveva l’aspetto di una fiaba dei fratelli Grimm (un luogo di boschi oscuri, lupi e agguati, dove la gente era spesso povera, affamata, e costretta a subire violenze) allo status di nazione vera e propria. Anche se il processo di unificazione, durato un decennio a partire dal 1860, fu essenzialmente opera dello statista prussiano Otto von Bismarck, è innegabile che la spinta unificatrice beneficiò del rinnovato dinamismo sociale ed economico da cui emerse una nuova classe di commercianti, banchieri e produttori. Uomini simili a J.A. Topf, ma che ottennero maggior successo.

    Erano gli anni dell’industrializzazione esplosiva della Germania e dello sviluppo della borghesia innamorata della tecnologia e del progresso. In Prussia, la produzione di carbone era quadruplicata tra il 1849 e il 1875, così quella del ferro grezzo e dell’acciaio. Vennero fondate e fiorirono le aziende che diventeranno sinonimo di tecnologia e produzione tedesca, tra cui la Hoechst, la Bayer e la basf, mentre la forza lavoro dell’industriale Alfred Krupp passa da sessanta uomini nel 1836 a sedicimila nel 1873.

    Il saggista Otto Gildemeister scrisse nel 1873: «Non è esagerato affermare che, in materia di commercio, comunicazioni e industria, il divario che separa il 1877 dal 1773 è maggiore di quello che separa il 1773 dall’età dei Fenici»⁷.

    Lo storico David Blackbourn sostiene che si tratti di un’esagerazione, ma che al contempo riassuma perfettamente lo spirito del tempo. Nelle città e nelle province di tutta la Germania i piccoli imprenditori erano rimasti a galla grazie a una «crescita a fungo» di fabbriche, gasdotti, acquedotti e ferrovie. Particolarmente prospera era la produzione alimentare, la molitura e la fabbricazione di birra, fortunatamente per la Topf & Figli, poiché quello era il loro settore di attività.

    Mentre J. A. Topf non era stato in grado di cogliere questi vantaggi per sé stesso, negli anni tra il 1885, quando i fratelli Topf rifondarono l’azienda, e la fine del ventesimo secolo, sarebbero state gettate le basi per il futuro successo commerciale. Altri due fratelli, Albert e Gustav, si unirono all’azienda, rafforzandone il prestigio. Gustav infatti, in qualità di chimico e biologo, istituì un laboratorio all’interno della fabbrica per testare macchinari innovativi. L’impresa avrebbe inoltre concluso una serie di partnership commerciali di successo che le avrebbero consentito di espandersi e prosperare. La prima di queste vide la più antica azienda di lavorazione dei metalli di Erfurt, la J.A. John &. Co., occuparsi della lavorazione, della fatturazione e della fornitura di tutti i prodotti Topf. Nel giro di pochi anni, il successo commerciale permise alla Topf & Figli di ampliarsi, aggiungendo anche forni per il malto alle loro competenze e trasferendo i locali per ben quattro volte prima di costruire un nuovo edificio amministrativo fuori città, vicino alla stazione ferroviaria.

    Dal 1889 la sede dell’azienda fu stabilita a Daberstedter Feld (oggi Sorbenweg), dove la Topf continuerà ad operare fino alla fine della seconda guerra mondiale. In un primo momento l’edificio amministrativo prevedeva un ufficio al piano terra, con annesso alloggio per la famiglia Topf. Il sito conteneva anche gli impianti di produzione, un capannone merci e un luogo dove gli operai potevano cambiarsi e lavarsi. I fratelli Topf avevano scelto bene: le mura di Erfurt erano state abbattute dopo la fondazione del Reich nel 1873, con l’apertura di nuove aree di territorio che favorirono il crescente sviluppo industriale. Durante questi decenni, Erfurt aveva visto raddoppiare la propria popolazione, ottenendo nel 1906 lo status di città.

    La morte di Albert e Gustav Topf, rispettivamente nel 1893 e nel 1896, portò Julius e Ludwig Topf a dirigere l’azienda per i successivi otto anni. Nel giro di tre anni, l’azienda iniziò a produrre le proprie attrezzature e stabilì una nuova partnership produttiva con il costruttore di mulini Reinhold Matthias – la cui attività in seguito rileverà interamente – e la Beyer, una fabbrica di macchinari azionati a vapore. La Topf & Figli investì anche in un’impresa sorella, che successivamente rilevò: la Topf & Stahl, specializzata in apparecchiature per la produzione di malto e ventilazione. La J.A. Topf & Figli era ora composta da una divisione malto e da una divisione caldaie, con l’impiego di cinquanta installatori. Questo periodo di rapida espansione, consolidamento e successo fu simboleggiato dalla decisione, nel 1899, di registrare un marchio di fabbrica nel quale le lettere del nome Topf formavano una pentola (Topf significa pentola in tedesco). Con il tempo, naturalmente, questo marchio diventerà famoso.

    Dopo alcuni anni di successo, Julius Topf decise di abbandonare il suo ruolo nell’azienda il primo gennaio del 1904, per «motivi di salute». In realtà, dedicò il resto della vita alla sua passione per la coltivazione degli alberi da frutto e al suo lavoro nel consiglio comunale come massone. Aveva avuto nove figli dalla moglie Babette, tra cui Albert, che sarebbe poi diventato il padre di Hartmut Topf. Nel frattempo, la famiglia si era trasferita dallo stabilimento Topf alla casa al numero 4 di Nonnerain, dove avrebbe giocato solo un ruolo marginale nella storia dell’azienda.

    A partire dal 1904, infatti, la Topf & Figli fu sotto il controllo esclusivo del fratello di Julius, Ludwig Topf Sr, e dei suoi eredi. La decisione di Julius di abbandonare l’attività coincise con la nascita del primo figlio di Ludwig Sr, battezzato Viktor, ma conosciuto con il suo terzo nome, Ludwig, appunto. Nel 1901, l’allora trentottenne Ludwig Sr sposò una donna di diciannove anni, Pauline Else Getrud Kuhnlenz, conosciuta come Else. Celebrarono il loro matrimonio con una festa aziendale e con un comunicato che mostrava la coppia circondata da cuori fiammeggianti da un lato e dalle immagini delle officine Topf & Figli dall’altro. La loro prima figlia, Johanna, nacque l’anno successivo, nel 1902, seguita da Viktor Karl Ludwig nel 1903 e poi da Ernst Wolfgang nel 1904.

    Come dimostrato dalla festa per il matrimonio, svoltasi presso lo stabilimento, la vita della famiglia Topf era ormai legata al successo e al prestigio della società, e la nuova generazione di bambini Topf visse fin dalla nascita negli alloggi dell’edificio amministrativo Topf. Ernst Wolfgang dirà più tardi che era «nato e cresciuto alla J. A. Topf». A quel punto, comunque, Ludwig Sr era uno dei sette uomini d’affari più ricchi di Erfurt, guadagnando uno stipendio di diecimila marchi all’anno (dieci volte di più di quello che guadagnava un falegname o un minatore in quegli anni), oltre ovviamente a una quota dei profitti dell’azienda. Nel 1909 la famiglia si era trasferita dall’edificio amministrativo in un appartamento in affitto nel centro della città, ma Ludwig Sr era determinato a non permettere che i suoi figli fossero viziati dalla ricchezza: per questo motivo insisteva perché visitassero le case dei lavoratori e gli ospedali, e mandava il giovane Ludwig a trascorrere le vacanze estive con la famiglia di un lavoratore, dove doveva addirittura condividere il letto con un ragazzo della stessa età.

    Una stravaganza di Ludwig Sr fu di stabilire una residenza estiva, in una zona con un parco a soli dieci minuti a piedi dalla fabbrica. Topf costruì una casa nel terreno tra Hirnzigenweg, Rubensstrasse e Wilhelm-Busch-Strasse, e creò una serie di lotti intorno al confine del parco per i lavoratori della Topf e per i loro figli. Le assegnazioni erano in linea con un pensiero diffuso dell’epoca, secondo cui i lavoratori venivano incoraggiati a coltivare piccoli appezzamenti di terreno con i propri ortaggi e a rilassarsi. Tutto questo dimostra anche un forte legame tra la famiglia Topf e i dipendenti, che si estendeva ben oltre il lavoro in fabbrica. Ludwig Sr creò un fondo pensioni per il personale, introducendo bonus natalizi e fondando una cooperativa edilizia senza scopo di lucro. In occasione del venticinquesimo anniversario dell’azienda, nel 1903, annunciò di considerare se stesso e i suoi fratelli, come «i primi operai dell’azienda» e, per ringraziarlo, i costruttori di forni Topf gli regalarono un calice d’argento con la raffigurazione della famiglia Topf e dei suoi operai. Alla presentazione, un operaio recitò una poesia che aveva scritto, proclamando che sperava che sia la birra che la Topf & Figli sopravvivessero per mille anni.

    Per il decennio successivo, Ludwig Sr visse appieno la vita di un uomo d’affari dei primi del Novecento: fu membro del consiglio di amministrazione della Società degli industriali della Turingia e vicepresidente della Camera di commercio di Erfurt. La sua società trasse vantaggio dal clima politico stabile e dal boom della produzione di birra in Germania, crescendo fino a diventare un’impresa di medie dimensioni che nel 1914 contava 517 dipendenti. La Topf & Figli era allora il leader mondiale nella fabbricazione di sistemi di produzione del malto, e offriva prodotti brevettati di alta qualità attraverso una rete di vendita internazionale che si estendeva fino a cinquanta paesi, con uffici tecnici in tutta la Germania, in Polonia, Austria e Belgio.

    Quest’epoca d’oro per la Topf & Figli rifletteva uno spirito di naturale ottimismo, uno sviluppo urbano e un sentimento nazionale che erano emersi prepotentemente in Germania. L’«ottimismo per la civiltà meccanica, l’orgoglio per la cultura tedesca, l’importanza di mobilitare energie civiche e la fiducia nel miglioramento sociale e morale»⁸ sono andati di pari passo con una seconda rivoluzione industriale incentrata sulla chimica, l’elettronica, gli strumenti di precisione e l’ottica. La Germania era a quel tempo leader mondiale nella tecnologia, nella filosofia, nel diritto, nella medicina, nella biologia, nella chimica e nella fisica. Fu una rivoluzione guidata da una classe in espansione di lavoratori dipendenti che ogni giorno si recavano a lavorare in uffici moderni, come quelli dell’edificio amministrativo della Topf & Figli, e che, grazie ai loro stipendi, potevano permettersi cibi e bevande migliori.

    Poi, il 15 febbraio 1914, Ludwig Sr si suicidò. Fu la fine scioccante di una vita apparentemente di successo. In una generazione aveva trasformato un’azienda traballante in una realtà internazionale consolidata, cementando il suo ruolo di leader civico di Erfurt. Nonostante i giornali locali descrivessero Ludwig Sr come un vero e proprio modello del «magnate cittadino», a cinquantun anni si tolse la vita mentre si trovava, a causa di un esaurimento nervoso, presso un sanatorio sui monti Harz. Come era accaduto a suo padre prima di lui, sembrava che la tensione per la gestione della Topf & Figli fosse diventata troppa da sostenere, tanto che aveva a lungo parlato di vendere una delle due divisioni dell’azienda. Pur lasciando un’azienda florida, la morte improvvisa di Ludwig Sr sconvolse la vita

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