Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Coppia di due
Coppia di due
Coppia di due
E-book226 pagine2 ore

Coppia di due

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Se il destino ti ha riservato il ruolo di un due di picche in una mano di poker, non puoi che prenderne atto.
Ma se la vita ti fa incontrare un due di fiori, devi esserne contento: da soli non valete molto, ma insieme potete tentare di sfidare la fortuna. Se poi sapete bluffare...
Questi due racconti parlano di una coppia di due, delle loro storie, delle loro debolezze e di un legame che, quanto più appare controverso, tanto più è forte.
Se trovi irresistibile questa coppia non perderti "La cifra corretta" Simone Palmanti autore. 
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita8 lug 2020
ISBN9788833665979
Coppia di due

Correlato a Coppia di due

Titoli di questa serie (18)

Visualizza altri

Ebook correlati

Noir per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Coppia di due

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Coppia di due - Simone Palmanti

    così...

    COPPIA DI DUE

    Simone Palmanti

    A Licia, mia mamma. Se è vero quello che ci dicono, ora ti stai godendo il tuo meritato premio.

    A Sergio, mio padre. Sei una roccia e un grande uomo. Spero di assomigliarti almeno un poco.

    A Vincio, grande amico e ottimo bassista.

    Se dove ti trovi ora dovessi incontrare la Licia, sappi che vi troverete bene insieme.

    UNA ONOREVOLE SCONFITTA

    Se domani, dopo la vittoria di stanotte, contemplandoti nudo allo specchio scoprirai un secondo paio di testicoli, che il tuo cuore non si gonfi di orgoglio, figlio mio, vuol semplicemente dire che ti stanno inculando

    Daniel Pennac

    PARTE PRIMA:

    Bologna

    1.

    Man mano che riprendo i sensi mi rendo conto che non stavo veramente litigando con il Mahatma Gandhi, era un sogno.

    È certo che lo fosse, altrimenti quel mingherlino vestito solo di un lenzuolo non sarebbe riuscito a suonarmele come se fossi un tamburo.

    Sono seduto in una pozzanghera di vomito e sangue. A giudicare dal fatto che anche la parte davanti della mia camicia è completamente fradicia delle stesse sostanze, devo dedurre che sia tutta roba mia.

    Non sento nessun odore sgradevole. Capisco perché quando porto lentamente l’unica mano che riesco a muovere verso il naso, scoprendo che è stato sostituito da una patata sanguinolenta, storta verso sinistra. La patata potrebbe quindi essere la fonte dell’abbondante epistassi.

    Sta albeggiando: devono essere circa le sette del mattino. Non so da quanto io sia in questo stato, ma penso non da poco.

    Devo avere un occhio gonfio e chiuso, ma rimando il check-up di ogni singola porzione del mio corpo ad un momento più favorevole.

    Mi guardo intorno e penso di riconoscere il posto dove ho passato le ultime ore: il vicolo nel retro del pub ‘finto irlandese’.

    Provo a rialzarmi facendo leva con una gamba ed il braccio che riesco a muovere, ma scivolo sul mio vomito e ricado a sedere.

    Fanculo.

    - Ragazzo, sei messo una merda, – mi dice una voce che sembra venire dall’aldilà.

    Non realizzo subito che si stia parlando di me, ho quarant’anni e del ragazzo che fui è rimasto poco.

    Cerco di dirigere l’occhio buono verso la fonte della frase muovendo il minimo indispensabile la testa ed il collo, mi fanno un male cane.

    Ruotando il bulbo oculare nell’orbita cerco di inquadrare e mettere a fuoco l’imponente figura che mi sta davanti.

    Mi sembra un essere umano, altezza circa un metro e novanta, cappotto di loden verde scuro lungo fino alle ginocchia, cuffia di lana nera calcata sugli occhi e sciarpa grigia arrotolata a coprire la bocca.

    Quindi non ho freddo solo io.

    - Speravo di incontrarti, ma non pensavo che ti avrei trovato in queste condizioni. Dopo tutti gli sforzi che abbiamo fatto... – continua la voce dell’aldilà.

    - Chi cazzo sei?

    - Una volta avevi dell’intuito e della memoria, eri uno sbirro fatto e finito.

    - Una volta, poi mi hanno cacciato perché stavo sulle palle a qualcuno. Da quel momento non sono stato più uno sbirro, – biascico.

    L’essere umano mi allunga una mano per aiutarmi, mi aggrappo e, rischiando di scivolare ancora, riesco a mettermi in piedi.

    L’uomo estrae due fazzoletti di carta da un pacchetto, uno lo allunga a me e l’altro lo usa per pulirsi la mano con cui mi ha aiutato. Posso capirlo, faccio schifo anche a me.

    - Sei il buon samaritano del cazzo? – gli chiedo.

    - Comunque ti hanno cacciato perché facevi colazione con la grappa e quando entravi in servizio facevi fatica ad esprimerti. Figurati se ti lasciavano una pistola attaccata alle braghe, o peggio ancora in mano, – mi dice per tutta risposta.

    Appena si scopre la faccia dalla sciarpa lo riconosco. Vista la situazione incresciosa in cui sono avrei preferito trovarmi davanti Satana in persona. Invece è il commissario in pensione Alvaro Mantini, mio capo fino a che mi hanno permesso di prestare servizio, nonché mio tutor durante il periodo della disintossicazione.

    L’uomo mi osserva, nel suo sguardo percepisco compatimento. Proprio quello che mi serve...

    - Comunque non era grappa con cui facevo colazione, era sambuca... giusto per correggere il caffè...

    - Hai pestato i piedi a Tyson in persona questa notte?

    - Mi ricordo solo Gandhi che mi prendeva a randellate.

    - Gandhi? Non è morto?

    - È la stessa cosa che pensavo di te.

    Dal movimento della mano che tiene in tasca, che si sposta verso la zona della patta dei pantaloni, capisco che sta facendo il più classico degli scongiuri italici.

    - Non ancora, – mi risponde, – ma sembra che ci sia più vicino tu che io.

    Touché...

    Mi sorregge e ci incamminiamo verso non so dove, ma non riesco a fare altro che seguirlo.

    Entriamo in un bar poco distante, il barista mi osserva inorridito ma non dice nulla, il commissario (ex) Mantini mi guida fino al corridoio in fondo al locale e grida al barista – Gino, preparami per favore un ettolitro di tè, forte.

    Mi fa entrare nel bagno riservato ai disabili – Lavati per bene che altrimenti fai scappare i clienti e Gino è un mio amico, non posso fargli anche questo dispetto. Togliti quella camicia che la porto nel bidone della spazzatura e lavati, puzzi.

    Esce dal bagno e mentre chiude la porta scorrevole mi dice: – Non bloccare la porta con il catenaccio, se no, quando riesco ad aprirla, e ti garantisco che ci riesco lo stesso, ti sparo.

    Mi disinteresso saggiamente del catenaccio, apro il rubinetto del grande lavabo ed infilo la testa sotto l’acqua gelata.

    Il freddo dirada un poco la nebbia che ho in testa ed i ricordi della notte precedente iniziano a riaffiorare.

    Nell’ordine:

    La bottiglia di Kilbeggan appoggiata sul mio tavolo, piena

    La bottiglia di Kilbeggan appoggiata sul mio tavolo, con metà del contenuto, mentre cerco, senza successo, di conversare con una bellissima ragazza rossa seduta nel tavolo di fianco al mio

    La bottiglia di Kilbeggan appoggiata sul mio tavolo, vuota, mentre un armadio a tre ante, rasato e pieno di piercing, seduto di fianco alla ragazza rossa, mi urla qualcosa di incomprensibile

    La mia faccia ed il pugno dell’armadio che si scambiano poco amichevolmente impressioni sull’andamento della serata.

    Quindi non è stato Gandhi. Lo sapevo.

    Mantini torna, apre la porta mentre mi sto asciugando con uno di quegli asciugamani di stoffa che si svolgono e riavvolgono automaticamente dopo alcune frazioni di secondo. Li odio. È già difficile usarlo solo per le mani, figuriamoci quanto può essere agevole asciugarsi dopo aver fatto quasi il bagno come un canarino nella sua ciotola.

    - Bravo, adesso mettiti questa, – mi dice porgendomi una maglietta bianca con un disegno sul davanti, - ti ho anche recuperato una giacca, così forse riusciamo a non farti prendere una polmonite quando usciamo.

    L’asciugamano si riavvolge per l’ennesima volta catturandomi la mano dolorante. Imprecando mi libero, la maglietta che il commissario mi ha lanciato mi si adagia piano sulla testa.

    La indosso e mi guardo allo specchio.

    Cazzo.

    Il disegno rappresenta la faccia di Peppa Pig.

    Rientro nella sala principale del bar, gremita di avventori, tenendo le braccia incrociate sul petto per nascondere quanto più possibile l’immagine stampata sulla maglietta.

    Come varco la soglia, il vocìo dei pensionati intenti a giocare a carte cessa di colpo e tutti si girano a guardarmi.

    - Oh, Alvaro, – grida in dialetto Gino il barista, – quast que chi el? Al ‘pungbol’ di ninén ? – e aggiunge subito, in italiano per sottolineare la battuta, – chi è, il sacco da boxe dei maiali?

    Tutti ridono, tranne uno. Io.

    Il commissario (ex) mi guarda con un sorriso sardonico, porgendomi un piumino della Coca Cola.

    - Tieni anche questo e ringrazia Gino che ti ha regalato un po’ dei gadget che gli lasciano i fornitori, altrimenti ti toccherebbe andare in giro a torso nudo. Adesso bevi tutto il tè, poi andiamo.

    Mi siedo sullo sgabello davanti al bancone ed inizio ubbidientemente ed in silenzio a bere tutto il mio ettolitro di tè, forte.

    Poi andiamo.

    Quando il taxi arriva, il commissario (ex) mi chiede se voglio andare a casa mia o a casa sua.

    - La mia governante potrebbe non aver finito le pulizie giornaliere, puoi ospitarmi per alcune ore a casa tua? – chiedo.

    Mantini fornisce l’indirizzo della sua abitazione al tassista e partiamo. Io mi addormento quasi subito.

    Entriamo nel suo appartamento in Bolognina. È in una vecchia palazzina vicino al Dopo Lavoro dei Ferrovieri, primo piano. L’unica piccola rampa di scale che ho fatto mi ha prostrato come se fossi salito sulla Torre degli Asinelli.

    L’appartamento è carino, in confronto al mio sembra palazzo Re Enzo.

    Mi stendo sul divano e vorrei continuare quanto ho iniziato appena salito sul taxi.

    Mantini però non è dello stesso avviso.

    - Perché ti sei ridotto così?

    - Mi hanno picchiato, saranno stati almeno sei...

    - Non intendo questo, lo sai. Eravamo quasi riusciti ad uscirne. Perché hai rovinato tutto? Perché ti sei fatto cacciare in quel modo?

    - Cos’è, un interrogatorio? Vogliamo continuare con le domande? Pensi che non sia capace anche io di farne? Da chi pensi che abbia imparato?

    -Lo sai che ho fatto tutto quello che potevo per aiutarti? Che iniziando a bere ancora dopo la disintossicazione mi hai messo in difficoltà con tutti? Soprattutto con i miei capi e con i tuoi colleghi? Che mi hanno rinfacciato quello che hai fatto, ogni giorno? Fino a che non sono andato in pensione? Che un tuo collega ha rischiato di morire perché eri troppo sbronzo per tenere in mano la pistola senza sparare a vanvera? Lo sai vero che sei una testa di cazzo?

    È un professionista, non posso competere, soprattutto in queste condizioni.

    - Ma sei in pensione, vivi la tua vita, – gli rispondo con un filo di voce, – non hai niente di meglio da fare che torturarmi con delle domande? Trovati un impegno, fai volontariato, gioca a carte al bar come gli altri vecchietti, prenditi un cane, un gatto, un virus intestinale, ma non rompermi i maroni.

    - Un impegno ce l’ho, mi hanno chiesto un favore ed io devo chiedere aiuto all’unico amico vivo che mi sia rimasto.

    -... e chi sarebbe questo amico?

    - Tu.

    - Oh, allora anche tu sei messo male, molto male...

    Si alza e sposta la sedia su cui è seduto vicino al divano, di fronte a me, molto vicino, troppo.

    Allunga le mani verso il mio viso.

    - Sarò pure l’ultimo amico vivo che ti è rimasto, ma mica mi piaci. Non sono abituato alle dimostrazioni di affetto, tanto meno da un vecchietto come te.

    Come se non mi avesse sentito Mantini mi appoggia le mani ad entrambi i lati del naso, mi sorride e con un brusco movimento verso la mia destra me lo raddrizza.

    Il rumore che fa la frattura ricomponendosi è l’ultima cosa che sento prima di svenire.

    2.

    Mi risveglio ed ho la lingua attaccata al palato. Devo aver respirato solo con la bocca per parecchio tempo, è secchissima.

    Sul tavolino di fianco al divano c’è una bottiglietta di acqua. La prendo non senza sforzi e dolore, bevo un sorso.

    Mi duole tutto il corpo ma, ironia della sorte, il naso è la parte che mi fa meno male.

    Provo a toccarlo, è ancora molto gonfio e dalle narici mi escono due cose strane. Sono tamponi di cotone idrofilo.

    Tento di estrarle ma vedo i fuochi artificiali dal dolore, quindi desisto di buon grado.

    La stanza è in penombra, l’unica fonte di luce è una abat-jour sul tavolino. Fuori è buio.

    Quanto ho dormito? Varie ore suppongo.

    Sento dei rumori provenire dalla cucina. Mi alzo lentamente e caracollo fino alla porta.

    Mantini è in piedi vicino ai fornelli.

    - Ecco il brutto addormentato, – mi dice, – ma sei brutto anche da sveglio.

    - Hai qualcosa da bere?

    - Lì ci sono i bicchieri e quello è il rubinetto, non ho acqua minerale in casa.

    - Intendo qualche cosa di ‘vero’ da bere.

    - L’acqua è vera. Anzi, a proposito di acqua: ti ho messo in bagno degli asciugamani puliti, una tuta che era di mio figlio ed una maglietta seria. Fatti una doccia e cambiati che con le ore il tuo odore non è migliorato. Quando ti sei rivestito buttiamo la tua roba in lavatrice a duemila gradi e vediamo di sterilizzarla.

    Non ho la forza di ribattere.

    Quando esco dal bagno, e dopo aver messo i miei vestiti in lavatrice, torno nel soggiorno.

    Effettivamente la doccia calda mi ha giovato, non solo dal punto di vista olfattivo.

    Mi soffermo davanti ad un muro su cui sono appese delle foto, alcune molto vecchie, altre più recenti.

    C’è quasi sempre Mantini, in divisa, in borghese. Accompagnato da varie persone. In una riconosco Tommaso, il figlio di Mantini.

    Anche lui è in divisa, sorridono entrambi.

    Bravo ragazzo Tommaso, siamo stati nella stessa compagnia per circa un anno. Poliziotto figlio di poliziotto, dal padre aveva preso l’acume ed il rispetto per le persone.

    Durante un inseguimento l’auto di pattuglia su cui si trovava, scartando bruscamente per evitare un furgone fermo, non è riuscita ad evitare un TIR in sosta, infilandosi sotto al rimorchio. Il collega, seduto al posto del passeggero, se l’era cavata con varie fratture gravi e mesi di riabilitazione. Tommaso no.

    Al suo funerale c’era tantissima gente. Mi ricordo Mantini in divisa che sosteneva la moglie. Mi ricordo l’espressione del commissario: dura, ferma, immutabile per tutta la cerimonia.

    La moglie è morta poco dopo e Mantini si è rimesso a dedicarsi anima e corpo al lavoro. E a me, che ero già un disastro.

    Chissà quante volte, mentre cercava di aiutarmi a lasciarmi alle spalle i miei problemi di alcolismo, si è chiesto perché era toccato a Tommaso e non a me. Chissà cosa pensava quando, dopo un periodo abbastanza lungo senza alcolici, ho iniziato nuovamente a bere, senza che io avessi una valida ragione, solo perché mi mancava.

    Solo perché sono una testa di cazzo, come mi ha ricordato poche ore fa.

    - Mi piacerebbe dire che erano bei tempi quelli, - mi dice Mantini, – ma non ne sono più sicuro. Tutto quello che c’era, tutte le persone che mi erano vicine sono andate... a parte te...

    Non riesco a non sentire la nota malinconica nella sua voce, ma la malinconia non è sufficiente a tenere del tutto a fondo la rabbia che cerca insistentemente di emergere.

    - Quale è stato l’ultimo giorno in cui sei riuscito a non bere quella merda? – mi chiede – Riesci a ricordarlo?

    No, non ci riesco. L’anno scorso, o forse sono passati due anni. Che differenza fa?

    - Sei stato a Genova di recente a trovare la tua famiglia?

    Non ce la fa a non fare

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1