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Il Nobile e la Rockabilly
Il Nobile e la Rockabilly
Il Nobile e la Rockabilly
E-book162 pagine2 ore

Il Nobile e la Rockabilly

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Info su questo ebook

Anni ’50.
Anni di trasgressione in pieno stile Rockabilly. 
Nives Jonson, ribelle per eccellenza.
Thomas William Bailey, nobile e acquirente del Rock’n’Blue un volta appartenuto al padre di lei.
Tra i due non scorre buon sangue, riusciranno ad andare oltre le divergenze di un mondo che pone solo disuguaglianze? 
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita17 nov 2021
ISBN9791254580325
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    Anteprima del libro

    Il Nobile e la Rockabilly - Erminia Iacono

    Prologo

    New York, Manhattan, USA.

    14 Aprile 1951.

    Apro il portone di casa, quindi lo chiudo alle mie spalle dopo aver salutato mia madre. Mary dovrebbe essere qui a momenti. Ci siamo dati appuntamento alle ore 16:00 a casa di Mark. Dopo qualche minuto scorgo la sua figura, ancora un po' lontana.

    «Scusa il ritardo! Doveva accompagnarmi Steven ma ha auto impegni col padre. Come stai?» chiede Mary, abbracciandomi.

    «Come al solito. Anche questa sera devo lavorare.»

    Si ferma di scatto. La guardo confusa. Sospira.

    «Niv, quando la smetterai? Tuo padre di sicuro capirà.» bisbiglia.

    Scuoto la testa, mostrandomi contrariata. La mia coda di cavallo si muove ritmica al mio andamento, vagando da destra a sinistra. Oggi l’aria è piacevole, i Levi’s sono confortevoli e la t-shirt con lo scollo a V mi rinfresca. Il ticchettio delle nostre scarpe, seppur diverse, è udibile da miglia.

    «Mary, apprezzo la tua preoccupazione. Non posso lasciare che chiuda il locale.» spiego brevemente.

    «Sì, ma... andiamo, vuoi davvero sprecare tutta la tua vita a fare la cameriera, cantando qualche sabato, solo per attirare più clienti?» chiede, gesticolando.

    «Certo che no, ma, per ora, questo ho in mio possesso, pur di guadagnarmi da vivere. La signora Polly e i suoi cinque gatti non erano di aiuto. I nobili, non li capirò mai.» gesticolo, quindi caccio una sigaretta dal pacchetto giacente nel taschino del mio giubbotto di pelle nera.

    Sospira, lasciando che il suo petto si alzi più del dovuto. Mi rivolge un tenero sorriso, quindi espone i suoi pensieri poco dopo.

    «Hai ragione. I nobili sono i peggiori. Ti trattano come se fossi spazzatura.»

    Arriviamo fuori casa di Mark, quindi bussiamo. Getto quel che rimane della sigaretta sull’asfalto, alitando in fretta per non destare sospetti alla signora Brown. Ad aprirci e accoglierci, con il suo enorme e caloroso sorriso, è la madre di Mark. Come mi aspettavo. Sempre pronta ad accogliere anche il Papa in persona, con tutta la cura che ha per sé stessa e il suo gusto fine e raffinato, si stira con i palmi delle mani la gonna beige che ha abbinato ad una camicia bianca con sopra dei fiori rosa. I suoi capelli sono raccolti in una crocchia ordinata dando modo di osservare i suoi orecchini di perla.

    «Buonasera signora Brown. Come sta?» chiediamo all'unisono.

    «Bene, grazie! Mark è di sopra; preparo un tè?»

    Annuiamo ringraziandola, quindi entriamo in casa. Il suo sguardo, questa volta, ricade su di me. Non ha mai mandato giù lo stile 'Rockabilly". La casa della signora Brown è sempre pulita e profumata. Ha candele sparse dovunque e i centrini sempre diversi ogni settimana, ma tutti esattamente coordinati in base al colore e alla forma. Sui quadri non si è mai rivelato un lieve accumulo di polvere; deve davvero pulire tanto per avere questo gioiellino. Saliamo le scale, dirigendoci verso la camera di Mark. Bussiamo. Pochi secondi dopo la sua sagoma appare, lasciandoci entrare.

    «Finalmente Mark!» esclama Mary, portando le braccia in aria.

    «Che rompipalle.» ribatte.

    Mary si gira di scatto.

    «Ah! Non si dicono le parolacce, Mark! Ricordi cosa ti disse tua madre?» ride, prendendolo in giro.

    «Non ti ci mettere anche tu, Mary. Scommetto sta per salire con quella merda inglese e quei biscotti secchi.» dice, quasi disgustato, il biondo.

    Annuiamo entrambe, creando sul volto del figlio dei Brown un’espressione rassegnata e frustrata.

    La madre di Mark, Grace, è sposata con un inglese, il signor Richard Brown. Entrambi sono molto legati alle origini del signor Brown. Perciò, sin dalla nascita di Mark, hanno provato a educarlo con quel tipo di educazione e tradizione, ma niente ha fatto sì che risultasse positivo il tutto: Mark è l'esatto opposto di come loro vorrebbero che sia. Gli anni '50 sono per tutti noi giovani l'anno della svolta. Ma questo sembra che a loro poco interessi, soprattutto dopo aver visto lo stile del figlio: jeans con risvoltino di circa 7/10 centimetri, canotta bianca, giubbotto di pelle nera, Converse, capelli gelatinati ai lati e bombatura sul ciuffo. Naturalmente è da sottolineare i tatuaggi che ci contraddistinguono dal resto della popolazione, ma per ora Mark è ancora imprigionato dalla sua famiglia.

    «Ancora senza ciuffo?» chiede Mary, portando la testa di lato.

    Mark scuote la testa, lasciando così capire di aver avuto un'altra ramanzina dalla madre.

    «Cosa c'è che non va?» chiedo, quindi mi siedo sul suo letto, appoggio i palmi delle mani sulle mie guance. 

    Sospira, gettandosi di petto sul suo letto.

    «Lei vorrebbe che io frequentassi gente per bene. Oh, non che voi non lo siate. Però...» 

    «Però il nostro stile di vita non le va giù. Tranquillo, Mark. Non devi preoccuparti. Se non ti va di vestirti come noi puoi fare come Mary.» continuo la frase per lui.

    «Appena sposerò John sarò libera di vestirmi come voglio, anche di dire le parolacce!» esclama la biondina sognante vicino a me.

    La famiglia di Mary è molto simile a quella di Mark. Entrambe detestano il nostro stile, la nostra sete di libertà, di trasgressione. Mary, però, a differenza di Mark, non ha saputo tenere testa al padre, che così facendo ha obbligato di vestirsi adeguatamente, come una signorina dovrebbe fare, altrimenti l'avrebbe cacciata di casa. Quindi, eccola qui: abito rosa fino alle ginocchia, colletto bianco merlettato, calze e scarpe chiuse classiche ai piedi, bianche, con qualche centimetro di tacco. Io e Mary abbiamo in comune solo una cosa: le bandane. Entrambe ne abbiamo sempre una tra i capelli. I boccoli di Mary, però, sono tenuti di lato, la fascia le tiene il ciuffo che, anch'esso, porta al lato. I suoi orecchini sono delle perle bianche, come per la collana.

    «Dovrei vestirmi da prete, Nives?» sbotta Mark.

    Mary spalanca la bocca, picchiettando il braccio di Mark varie volte.

    «Mi stai dando della suora?» boccheggia Mary.

    Rido, godendomi lo spettacolo che hanno appena creato. Adoro la nostra amicizia: così diversi eppure così affiatati e uniti.

    «No, assolutamente no! Però i tuoi vestiti mi sanno di brava ragazza.» spiega, puntandole il dito sugli abiti.

    «È quello che devo sembrare agli occhi dei miei genitori.» sbuffa, roteando gli occhi al cielo.

    La signora Brown bussa, per poi entrare in camera. Sul vassoio ha tre tazze di tè nero e i suoi famosi biscotti.

    «È davvero molto gentile, signora Brown. Questo tè lo adoro!» dico, provando a ricavare un po' di stima verso i miei confronti.

    Mi sorride, ma capto al volo la falsità che si nasconde dietro a quest’ultimo. Lascio correre, quindi mi accingo ad aiutarla a posizionare il vassoio sul letto.

    «Beh, almeno qualcuno qui apprezza queste cose. Vi lascio parlare.» sbotta, congedandosi.

    La sua figura elegante sparisce dietro alla porta bianca che chiude alle sue spalle.

    «Almeno qualcuno qui apprezza queste cose!» dice Mark, imitando la madre.

    Ridiamo entrambe.

    «Dai, Niv. Sappiamo tutti che detesti queste cose da nobili famiglie ricche.» ammette, sorseggiando dalla sua tazza di porcellana decorata.

    Sbuffo.

    «Ma perché tutti credete che io ce l'abbia con i nobili?» chiedo, corrucciando la fronte.

    Sorseggio il mio tè, ancora molto caldo. Ho quasi paura di rompere la tazza in porcellana così delicata.

    Mary e Mark si guardano, poi rivolgono lo sguardo verso me. Il biondo si schiarisce la voce.

    «Hai forse dimenticato quella volta in cui hai aggredito verbalmente l'ex fidanzato di Catherine? Il nobile dai capelli biondi e occhi azzurri che fece impazzire tutta Manhattan!» spiega.

    «Ma la tradiva! Cosa dovevo fare? Lasciarlo lì con la speranza che gliel'avrebbe detto?» sbotto, nel tentativo di difendere le mie azioni.

    «Ma non è gente per noi, Nives! I nobili sono nobili per un motivo. Noi siamo dei semplici cittadini che devono rispettare le regole e sperare di non essere uccisi di questi tempi. Ho sentito parlare della Guerra Fredda.» dice Mary, rabbrividendo.

    «Mary, noi siamo l'opposto delle regole.» ribatto, sempre più convinta delle mie azioni.

    Forse Mary ancora non ha chiara la nostra vita. Noi siamo l'eccezione, siamo la ribellione. Decido di interrompere il discorso, quindi chiedo a Mark di prestarmi un po' della sua brillantina. Ho portato dietro anche il rossetto e il pettine.

    Mark acconsente, cacciandola da una scatola che tiene nascosta dietro al suo armadio in legno. La sua camera è ricoperta da carta da parati blu cobalto con dei pois gialli, il suo è un letto singolo, posizionato vicino al suo armadio, affiancato da un comodino giallo. È molto semplice e a giudicare i gusti della madre, deve davvero aver fatto un patto da mantenere sino al giorno della sua morte, per concedergli tutti questi colori non eccessivi e basici.

    «Non fare domande.» ordina.

    Alzo le mani, di sicuro non voglio rinunciare alla mia acconciatura. Slaccio la bandana e slego la coda di cavallo. Mi aiuto col pettine, spruzzo il contenuto su tutta la cute e tiro su. Lascio che la bombatura sia bella in vista, quindi lego i capelli in una coda, aggiungendo, poco dopo, la bandana nera. Do un ultimo sguardo al mio riflesso nello specchio. Porgo la brillantina a Mark, è il suo turno. Spruzza generosamente su tutti i capelli, lasciando che il pettine stiri il tutto; ad eccezione dei due ciuffetti che gli ricadono sulla fronte. Con la mano appiattisce i capelli negli angoli, facendo qualche smorfia con la bocca.

    «Dobbiamo passare per la lavanderia, devo prendere i miei vestiti. Non dite niente a mia madre.» ci avverte a bassa voce.

    «Hai paura di mammina, Mark?» lo provoco.

    «No, Niv. Ma odio andare al locale incazzato. Su, andiamo.» ordina.

    Sorrido, adorando la ribellione che man mano caccia. Prende le sigarette e l'accendino, lasciandole cadere all’interno della tasca dei pantaloni.  

    «Almeno su queste hanno acconsentito.» dice, indicando le sigarette.

    Prendo il vassoio con le tazze vuote e chiudo la porta della camera di Mark alle mie spalle, dopo aver fatto passare anche Mary. Scendiamo le scale, quindi salutiamo la signora Brown. 

    «La ringrazio per il tè, signora Brown. Era squisito!» dico, quindi le porgo il vassoio.

    Mi sorride.

    «Andiamo a fare un giro, a dopo.» informa Mark.

    La signora Brown comincia a ricordargli di non frequentare i nostri locali, di stare attento e ritornare puntuale per l'ora di cena. Usciamo da casa, salutandola.

    «Fanculo!» impreca Mark, non appena chiudo il portone alle mie spalle.

    Mary ride, così anche io.

    «Il signorino si sta svegliando.» dico, prendendolo in giro.

    Sorride leggermente.

    Le occhiatacce delle persone che ci incontrano sono evidenti, ma sono abituata. Un bel terzo dito e tutto passa.

    Dopo dieci minuti siamo davanti alla lavanderia 'da Rosie'. Entriamo.

    Mark saluta Rosie, la proprietaria. È davvero una brava donna. Ha sessant'anni e questa è una delle lavanderie più antiche di tutta Manhattan. I suoi capelli grigi sono sempre stati corti, un po' mossi. Il suo viso, seppur anziano, è ancora liscio sulle guance, poco rosate. Gli orecchini di perla bianca li avrà dal giorno in cui l'ho conosciuta.

    La notiamo prendere una busta nera, facendomi capire che sono gli indumenti che ben presto ritroveremo su di lui. Cosa non si fa pur di vestirsi da Rockabilly.

    «Mark, lo sai, ti ho cresciuto. Ma devo fare attenzione quando lavo abiti come questi. La clientela potrebbe calare.» sussurra, porgendogli gli abiti in una busta nera.

    Mark annuisce, rassicurandola.

    «Tranquilla Rosie, quanto ti devo?»

    «Il solito.»

    Il Brown la ringrazia, quindi ci

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