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Il destino viaggia in mercedes: eLit
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E-book166 pagine2 ore

Il destino viaggia in mercedes: eLit

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Info su questo ebook

In un momento di temporanea follia Baily Monohan ha fatto ai suoi genitori una promessa. Okay, una stupida promessa. "Io, single a 30 anni? Ma figurati! Sì, mamma, se dovesse accadere torno a casa e sposo il caro Harry." E così Baily - ancora non può crederci - sta guidando da Seattle verso il New Jersey con armi, gatto e bagagli, quando si scontra con una Mercedes nera, da cui esce un tizio con un umore ancor più nero. Anche Daniel Blake sta andando sulla East Coast per via di un matrimonio. Ma non per parteciparvi, per impedirlo!

LinguaItaliano
Data di uscita29 feb 2016
ISBN9788858950067
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    Anteprima del libro

    Il destino viaggia in mercedes - Stephanie Doyle

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Baily’s Irish Dream

    Harlequin Duets

    © 2002 Stephanie Doyle

    Traduzione di Alda Barbi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5895-006-7

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    «Fatto. Fine. Stop. Addio. Togliti di mezzo. Basta. Adiós. Au revoir. Hasta la vista. Sayonara. Ci vediamo.»

    «Quindi vuoi dire che te ne vai.»

    «Già.» Baily sospese l’arduo compito di ficcare i troppi vestiti nella piccola valigia per osservare l’amica Janice, che sembrava confusa.

    «Potresti dire di no ai tuoi, sei adulta in fondo.»

    Il che era opinabile. In ogni caso Baily aveva dato la sua parola, e se l’insistenza dei suoi non fosse stata sufficiente a farla tornare a casa, il suo onore lo era.

    «Credi che non abbia provato a ragionare con loro, a spiegare che sono cresciuta? Non funziona, punto. E poi Harry è un bravo ragazzo.» Baily si calmò; non si poteva essere arrabbiati con Harry. Cercò di chiudere la valigia e ci posò sopra il suo bel sedere tondo per incentivarla in tal senso.

    Janice sedette in cima alla seconda valigia e sospirò frustrata. «È barbarico obbligarti a tornare a casa per sposare il maritino prescelto. Perché hai accettato quel patto in prima istanza?»

    «Volevo l’avventura, ed era l’unico modo per ottenere il permesso di venire qui a Seattle.» Clic. Baily sentì la serratura della valigia scattare. Mmh... più facile del previsto.

    Janice si oppose al suo ragionamento. «Non avrebbero potuto fermarti.»

    «È ovvio che non hai mai visto la stazza dei miei fratelli. Credimi, mi avrebbero fermata.» Baily controllò l’appartamento vuoto. Gli operai del trasloco avevano preso tutto, meno lei e la gatta.

    «Barbarico» ripeté Janice sempre installata sulla seconda valigia per cercare di chiudere anche quella, strabordante.

    «Lo hai già detto.» Baily sorrise all’irritazione dell’amica; la logica dei Monohan non era quella dei comuni mortali.

    «Medievale! Questo l’ho detto? E il tuo lavoro? La scuola risentirà della tua assenza.»

    «Troverò un altro posto da insegnante nel New Jersey. Le scuole medie sono sempre in cerca di insegnanti, è risaputo.»

    «È sbagliato comunque.»

    Con un sospiro Baily si accomodò sulla valigia di fianco a Janice. Clic. La serratura scattò subito. Forse era il caso di mettersi a dieta. «Senti, i miei vogliono solo assicurarmi un futuro. Mi hanno concesso sette anni per esplorare l’Ovest, e mi sono divertita alla grande. Più ci penso, però, più mi trovo d’accordo con loro. La mia famiglia mi manca.»

    «E tu sposerai quell’uomo solo perché ti manca la tua famiglia!?» Janice era incredula.

    Certo che no. Okay, un po’ sì. Come spiegarlo? Janice le avrebbe consigliato di aspettare l’amore vero e altre stupidaggini simili. Una volta anche lei era stata una romantica sfegatata, ma ormai aveva rinunciato all’idea che esistesse davvero l’amore con la A maiuscola. Era uscita con tanti uomini che neanche se li ricordava tutti, e mai una volta che Cupido avesse lanciato il suo dannato strale. «Harry sarà un marito eccellente, sarà leale, fedele, carino...»

    «E scodinzolerà a comando, siederà quando glielo dirai e non farà pipì sul tappeto» finì Janice sarcastica alzandosi in piedi nel mezzo della stanza.

    «Ehi, non disprezzarlo tanto, addestrare un uomo è più duro di quanto sembri.» Be’, Harry aveva le qualità di un cane, e allora? C’erano cose peggiori nella vita. Le avrebbe dato dei bambini, cosa che un cane di certo non avrebbe potuto fare. Sì, sì, pensa ai bambini, si impose Baily con convinzione. Peccato che i bambini bisognasse prima farli. Auch!

    «Non sei seria. Questa è la tua vita, Baily Monohan, e la stai buttando via» strillò Janice.

    «No, sto solo ricominciando. Da capo» dichiarò risoluta.

    «Ne sei certa?»

    «Sì» annunciò Baily, stupita dal proprio ardore. Era la scelta giusta, lo sapeva. Era solo il cuore che si ribellava un po’ all’idea di trascorrere il resto della vita accanto a Harry. Con una determinazione che sapeva finta, si alzò e sollevò le valigie.

    «Theodora, dove sei? Andiamo, Miss Roosevelt, si parte!»

    Miss Roosevelt sbirciò da dietro un mobile della cucina. «Miao!»

    «Su, Theodora, ne abbiamo parlato ed eri d’accordo, quindi basta impuntarsi e agitare la coda.»

    La gatta la raggiunse riluttante, non senza un miagolio sdegnoso ai suoi piedi per palesare il suo disaccordo. Era evidente che Theodora non volesse traslocare, ma aveva poca voce in capitolo.

    Janice scosse il capo. «Tratti quella bestia come se fosse una persona. Non è normale, sai.»

    «Ssh, vuoi che ti senta? Sai come diventa se le ricordano che non era lei il presidente degli Stati Uniti. So che incoraggio le sue fantasie, ma almeno tace.» Baily sbirciò adorante la palla di pelo nero ai suoi piedi. «È pronta, signora presidentessa?»

    «Miao.» Theodora sospirò, quasi si rendesse conto di non avere scelta.

    «Dimmi di nuovo chi è delle due quella che ha delle fantasie» mormorò Janice stravolta.

    Le due amiche uscirono dall’appartamento con la presidentessa al traino. Baily aprì il baule del suo vecchio maggiolone giallo e sistemò le valigie. Sul sedile posteriore era già posizionata una cassetta per i bisognini della gatta, e su quello anteriore sei lattine di Diet-Pepsi. Baily era pronta.

    «Te la senti di attraversare il paese da sola? E i maniaci che assaltano le donne?» chiese Janice.

    «Grazie, mi hai proprio rassicurata.» Baily era venuta fino a Seattle con suo fratello Nick. All’epoca Seattle le era sembrata lontanissima dal New Jersey. Nick, poliziotto a Philadelphia, aveva insistito per accompagnarla. Ora però Nick si stava riprendendo da un brutto divorzio, e non era il compagno ideale da sorbirsi per cinquemila chilometri. Il che implicava che doveva viaggiare sola. Non che ne fosse entusiasta, ma era così. Che pericoli potevano esserci, poi?

    Un po’ nervosa lo era, però era una dura, una vera Monohan. In valigia aveva una scorta di cerotti per ogni evenienza.

    «Stai attenta, guida con prudenza e non dare passaggi a nessuno.» Janice la abbracciò stretta. «Mi mancherai da morire.»

    «Anche tu a me.» Baily si mise alla guida e partì. Attraverso le lacrime vide Janice farsi sempre più piccola nello specchietto retrovisore, per poi sparire in un puntolino lontano.

    «Bene, Theodora, ora siamo sole. Sei pronta per tornare a casa?»

    «Miao.»

    «Già, anch’io.»

    Diavolo! Diavolo! Diavolo! Daniel Blake non poteva credere alle proprie orecchie. Era impossibile, non stava succedendo. Non a lui, non ora. Non Sarah.

    Impaziente e infuriato pugnalò il tasto del riavvolgimento sulla segreteria telefonica e riascoltò il messaggio, sperando che nel frattempo si fosse alterato. Aveva la pressione a mille.

    Biip! «Ciao, Danny, sono Sarah. Ho una notizia stupenda, non ci crederai mai. Cioè, ci crederai perché sai che io dico sempre la verità, non mento.»

    Daniel chiuse gli occhi. Era un’abitudine di sua sorella spiegare sempre le sue iperboli. Di solito lo considerava un vezzo irresistibile, un segno di onestà. Ora gli stava solo facendo perdere tempo.

    «Quindi voglio dire che in realtà sarai stupito. Ecco qui: mi sposo! Ci credi? Io, sposata! Con Pierce, ovvio. So che hai delle riserve su di lui, ma credimi, è adorabile, dolce e divertente... potrei continuare per sempre. Cioè, non proprio per sempre, perché finirei gli aggettivi, ma... hai capito. Lui dice di non poter aspettare, quindi ci sposiamo il tre agosto.»

    Sette giorni, anzi sei, il messaggio era vecchio.

    «So cosa pensi, ho sempre desiderato un matrimonio in grande, ma mamma e papà non ci sono più, e nemmeno Pierce ha una famiglia, quindi abbiamo optato per una cosa intima, con te e un amico di Pierce. Lo so che mancano solo sette giorni, ma se guidi sempre quindici ore ti ci vorranno tre o quattro giorni per arrivare. Farai prima che in treno, dovresti cambiare così tante volte! Quindi ti aspetto per il finesettimana. Non vedo l’ora.» Biip!

    La voce di sua sorella parve riecheggiare per la casa. Stava per sposare quello squallido cacciatore di dote, e a lui restavano solo sei giorni per fermarla. Sei giorni. Non erano abbastanza.

    Per un attimo pensò all’aereo, ma rigettò subito l’idea. Aveva dato la sua parola a Sarah che non avrebbe mai volato, e non intendeva rimangiarsela. Il treno era fuori discussione, così come cercare di convincerla al telefono. Era dolce, ma molto testarda. L’unica chance era il faccia a faccia, il che voleva dire saltare in macchina e guidare fin laggiù.

    Senza perdere tempo aprì la valigia, ancora piena di vestiti del viaggio appena intrapreso a San Francisco per incontrare un potenziale cliente interessato ai suoi software. Il prodotto di Daniel era stato preso in considerazione da una grossa ditta di legname, e lui aveva la sensazione che il viaggio fosse stato produttivo. Nulla era stato ancora messo nero su bianco, però, e l’ultima cosa che gli serviva in quel momento era un diversivo del genere.

    Ma la famiglia veniva prima di tutto. L’unica scelta era seguire il suggerimento di Sarah e guidare fino a Philadelphia, non per partecipare al suo matrimonio, ma per impedirlo. Il suo vicepresidente, Bruce, poteva gestire l’appalto per la California in sua assenza.

    Una volta presa quella decisione, a Daniel non restava che sostituire i vestiti sporchi con altri puliti. Per fortuna la signora delle pulizie aveva fatto il bucato. Trovò jeans puliti e polo stirate nell’armadio, le piegò e le ficcò in valigia. Una controllatina al portafogli ed era pronto. Filò giù per le scale della sua casa di Seattle, imboccò la porta e risalì sull’auto lasciata da poco.

    Dopo il faticoso rientro dalla California aveva sognato di riposare un paio di giorni prima di tornare al lavoro. Gli spettava invece una maratona estenuante attraverso il paese per impedire alla sua innocente sorellina di commettere l’errore più grande della sua vita.

    Per fortuna gli aveva concesso sei giorni di preavviso. Poteva andare peggio. Daniel calcolò di poter raggiungere Philadelphia in tre giorni, se ci dava dentro. Il che gli avrebbe lasciato il tempo sufficiente per spaventare a morte il promesso sposo e rinchiudere Sarah in un convento, in quell’ordine.

    Armato di un piano infallibile, Daniel si allacciò la cintura e controllò lo specchietto retrovisore. Vide una berlina beige, una Ford, parcheggiata troppo vicino al suo vialetto. Non sapeva se sarebbe riuscito a uscire senza toccarla.

    L’autista era ancora nell’auto e Daniel suonò il clacson per segnalare all’uomo che stava per andarsene, innestò la retromarcia e scoccò al tipo un’occhiata che significava spostati, ho fretta! L’uomo nell’auto fece finta di niente, evitando bellamente il suo sguardo.

    «Ma guarda questo... Dannati turisti» mormorò Daniel sottovoce. C’era qualcun altro sulla faccia della terra che sapeva guidare, a parte lui? Ne dubitava.

    Attieniti al piano, si disse, e questo incubo sarà presto finito.

    2

    «Non finirà mai questo incubo?» si chiese Daniel pestando di nuovo sul freno. Era solo il secondo giorno di viaggio, ma di quel passo non avrebbe mai raggiunto in tempo sua sorella. Non se gli autisti davanti a lui continuavano a guidare come lumache. Un maggiolone Volkswagen e un camion cospiravano contro di lui, procedendo ai novanta appaiati sulle due corsie di marcia. Per un

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