La perla di Jazaar
Di Susanna Carr
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La Bestia, così lo chiamano nel deserto, è un uomo senza scrupoli, dal passato torbido. Un uomo che fin dal primo sguardo metterà a dura prova la determinazione di Zoe a seguire i propri sogni...
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Anteprima del libro
La perla di Jazaar - Susanna Carr
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Tarnished Jewel of Jazaar
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2012 Susanna Carr
Traduzione di Cornelia Scotti
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-401-0
1
Stava calando l’oscurità quando il potente SUV scuro si fermò davanti all’entrata dell’albergo del villaggio. Era una costruzione ampia e all’apparenza semplice, con un cortile bordato da colonne decorate con ghirlande di fiori. Alte palme fronzute erano addobbate da fili di lampadine accese. Lo sceicco Nadir ibn Shihab sentì il suono di una musica tradizionale provenire dalla costruzione mentre, in lontananza, fuochi d’artificio scoppiettanti illuminavano l’oscurità, annunciando il suo arrivo.
Era lì per incontrare la sua sposa.
Nadir non provava alcuna eccitazione al pensiero. Nessuna curiosità. Avere una moglie per lui era solo un mezzo per conseguire uno scopo. Era la contropartita per un momento di follia di due anni prima. Il prezzo da pagare per rimediare alla sua reputazione. Perché nessuno potesse più mettere in dubbio il suo interesse per il modo di vivere tradizionale nel regno di Jazaar.
Scese dall’auto e la dishdasha gli si incollò al corpo muscoloso. Il mantello nero svolazzò a causa del vento forte e il copricapo bianco fluttuò dietro di lui. Nadir trovava che gli abiti tradizionali limitavano i movimenti, però quel giorno li aveva indossati in segno di rispetto verso la tribù particolarmente tradizionalista della sua futura sposa.
Nadir sorrise alla vista di Rashid, suo fratello minore, che gli stava andando incontro. Anche lui indossava i suoi stessi abiti, il che era uno spettacolo raro. I due giovani si salutarono con un vigoroso abbraccio.
«Sei molto in ritardo per il tuo matrimonio» gli disse Rashid in un sussurro.
«Non inizierà senza di me» rise Nadir.
Rashid scosse la testa di fronte all’arroganza dell’altro. «Sono serio, Nadir. Questo non è il modo migliore per chiedere scusa alla tribù.»
«Ne sono consapevole. Sono arrivato più in fretta che ho potuto.» Aveva trascorso la maggior parte del giorno del suo matrimonio a negoziare con due tribù in guerra per un pezzo di terra considerata sacra. Era più importante di una cerimonia nuziale. Anche se era del suo matrimonio che si trattava!
«Gli anziani non sono soddisfatti» continuò Rashid mentre camminavano verso l’albergo. «Ai loro occhi ti sei mostrato sprezzante già due anni fa. Non ti perdoneranno di nuovo.»
Nadir non era dell’umore giusto per sentire la predica del fratello minore. «Sto per sposare la donna che hanno scelto per me, non è abbastanza?»
Il matrimonio era un’alleanza politica con una tribù influente che lo rispettava e anche temeva. Nadir aveva saputo che in quella parte del deserto gli avevano dato un soprannome. La Bestia. Gli anziani della tribù avevano deciso, come nelle più antiche delle leggende, di sacrificargli una giovane vergine. La sua promessa sposa.
Nadir si avvicinò alla fila di anziani che lo aspettavano con indosso i loro abiti migliori. Dalle espressioni sui loro visi solenni, capì che Rashid aveva ragione. Non erano contenti di lui. Se quella tribù non avesse giocato un ruolo tanto importante nel suo progetto di modernizzare il paese, Nadir avrebbe ignorato volentieri la loro esistenza.
«Le mie più umili scuse per il ritardo» li salutò con un inchino per ingraziarsi la loro benevolenza.
Non aveva tempo per dilungarsi in convenevoli, però doveva essere diplomatico. Nonostante avesse accettato di sposare una donna della tribù per entrare nelle loro grazie, sentiva chiaramente che gli anziani non erano ancora soddisfatti.
Gli uomini lo condussero nel cortile dell’albergo, accompagnato da canti e dal ritmo incessante di tamburi. Il suono faceva vibrare in lui sentimenti che preferiva non ascoltare, e che si sforzò di ignorare. Nonostante fossero tutti soddisfatti per il suo matrimonio con una delle loro giovani, lui non aveva alcun motivo per essere felice.
«Sai niente della sposa?» sussurrò Rashid nel suo orecchio. «E se non fosse degna?»
«Non ha importanza» rispose al fratello. «Non ho alcuna intenzione di vivere con lei. La sposerò e ci andrò a letto. Non appena i festeggiamenti saranno finiti, la porterò da qualche parte dove potrà avere tutto ciò di cui ha bisogno e io avrò la mia libertà. Se tutto va secondo i miei piani, tra qualche giorno non ci vedremo mai più.»
Nadir scrutò la folla. Gli uomini erano su un lato del cortile, vestiti tutti di bianco, cantavano e battevano le mani incitando le donne davanti a loro a danzare sempre più in fretta, e a muovere i fianchi con movenze provocanti e sensuali. I coloratissimi abiti leggeri aderivano sensuali alle curve voluttuose.
All’improvviso la sua presenza venne percepita e la gente iniziò a sussurrare. La musica si fermò di colpo e tutti puntarono gli occhi su di lui. Nadir provò l’impressione di essere un invitato sgradito al suo stesso matrimonio.
Era abituato a vedere la diffidenza nello sguardo degli altri. Dagli uomini di stato ai servitori. Le grandi società d’affari lo accusavano di essere ambiguo come uno sciacallo quando sventava i loro tentativi di privare Jazaar delle sue risorse. I giornalisti dichiaravano che applicava le leggi con la mancanza di scrupoli di uno scorpione che punge con la sua coda acuminata. Era persino stato paragonato a una vipera, quando aveva protetto senza esitare Jazaar dagli attacchi di ribelli senza scrupoli.
Il suo popolo aveva forse paura di guardarlo negli occhi, però sapeva che lui se ne sarebbe sempre preso cura, a qualunque costo.
Nadir riprese a camminare tra la gente, con Rashid che lo seguiva a pochi passi. Poco a poco, tutti ripresero a chiacchierare e a battere le mani e le donne a ballare. Su di lui vennero lanciati petali di rose profumati. Sembravano stranamente sollevati che la cerimonia del suo matrimonio fosse cominciata. Quasi che finalmente avessero saziato la fame della Bestia.
Lui tenne lo sguardo fisso sul lato estremo del cortile dove era stata allestita una pedana su cui campeggiavano un paio di divani e, nel centro, due grandi sedie dorate, quasi due troni. Su una sedeva la sua sposa, che lo aspettava con la testa bassa e le mani giunte in grembo. Mani che erano state decorate con il tradizionale tatuaggio di henné.
Nadir rallentò il passo quando si rese conto che la sposa indossava un abito tradizionale color porpora. Uno spesso velo le copriva il volto e ricadeva in numerose pieghe sulle spalle e sulle braccia. Il corpetto attillato dell’abito era tempestato di perle d’oro e i piccoli seni spingevano contro la stoffa. La vita era sottile.
Nadir aggrottò la fronte mentre studiava la donna. C’era qualcosa di diverso, di sbagliato, in lei. Poi capì, e si bloccò di scatto nel mezzo del cortile.
«Nadir!» sibilò Rashid.
«Ora capisco» rispose Nadir tra i denti mentre la collera gli scuoteva il corpo.
La donna di fronte a lui non era una sposa Jazaari. Non era adatta a uno sceicco. Lei era una reietta. Una donna che nessun uomo avrebbe voluto sposare.
I capi della tribù lo avevano ingannato. Lui aveva accettato di sposare una donna scelta da loro per dare dimostrazione della sua buona fede. E loro gli avevano affibbiato una giovane americana, orfana.
Era un insulto, pensò con rabbia. Era difficile tenere sotto controllo i propri sentimenti, e Nadir dovette attingere a tutto il suo autocontrollo. Era anche un messaggio. La tribù pensava che fosse troppo occidentalizzato e moderno per apprezzare una sposa tradizionale.
«Come osano?» disse Rashid accanto a lui. «Ce ne andiamo subito e...»
«No» lo interruppe Nadir, deciso. Aveva preso una decisione veloce. Era vero, la situazione non gli piaceva eppure qualcosa dentro di lui gli diceva che sarebbe andato tutto nel migliore dei modi. «Accetterò la loro scelta.»
«Nadir, non sei tenuto a farlo.»
«Sì, invece.»
La tribù si aspettava che avrebbe rifiutato la donna. Volevano che sfidasse le tradizioni e che desse prova di non apprezzare il modo di vivere di Jazaar.
Non poteva farlo. Non di nuovo.
Nadir fissò la fila di uomini con occhi freddi.
Avrebbe accettato per moglie quella donna indegna e quindi si sarebbe sbarazzato dei leader della tribù, uno dopo l’altro.
«Devi protestare» insistette Rashid. «Uno sceicco non sposa una reietta.»
«Sono d’accordo, però ho bisogno di una moglie, e una qualsiasi delle donne di questa tribù mi va bene. Le donne sono tutte fonti di guai.»
«Ma...»
«Non ti preoccupare, Rashid, mi libererò presto di lei. La manderò in esilio nella residenza tra le montagne.» Avrebbe nascosto a tutti quella donna, e con lei la prova della vergogna che quella tribù gli aveva inflitto.
Nessuno avrebbe mai dovuto sapere che aveva pagato una dote enorme per quella sposa indegna.
Nadir si costrinse a camminare verso il palco. La sua rabbia bollente si trasformò in ghiaccio mentre si avvicinava alla sua sposa. Notò che il viso della donna era pallido, in netto contrasto con le labbra rosse e gli occhi cerchiati di nero kajal. Una catena di rubini e diamanti le ornava il capo e la fronte, e numerose collane pendevano dal suo collo. Cerchi di metallo tintinnavano intorno ai suoi polsi esili.
Era vestita come una sposa tradizionale di Jazaar, però era ovvio che non era autentica. Gli occhi abbassati e la postura compassata non riuscivano a nasconderne l’indole orgogliosa. Ne era prova il capo, dritto e fiero, e il corpo, da cui sprigionava un’energia colma di sfacciataggine.
Intorno alla donna aleggiava anche una certa sensualità, decise Nadir. Una brava sposa sarebbe stata timida e modesta mentre lei aveva l’aspetto di una giovane esotica e misteriosa, pronta a danzare a piedi nudi intorno al fuoco in una notte stellata.
La sua futura moglie lo sbirciò da sotto le ciglia abbassate e lui catturò quello sguardo, che si riempì di stupore.
Ipnotizzata da quelle iridi scure, Zoe Martin sentì il sangue che correva più veloce nelle vene. Nonostante avesse voluto farlo, sembrava impossibile staccare gli occhi da quelli di lui.
Per favore, fa’ che non sia questo l’uomo che devo sposare!, pensò con un orribile presentimento. Aveva bisogno di ingannare e manipolare il futuro marito per tutto il tempo della luna di miele. Quell’uomo era troppo pericoloso per la riuscita dei suoi piani!
Lo sceicco Nadir ibn Shihab non era bello. I suoi lineamenti erano troppo duri, troppo primitivi. Il suo viso era tutto linee e angoli, dal naso pronunciato alla mascella volitiva. Gli zigomi segnavano il viso e una fossetta marcava il mento. Il lieve cenno di dolcezza delle sue labbra piene era messo in discussione dalla piega cinica delle labbra che indicavano che era portato all’impazienza. Zoe non aveva dubbi sul fatto che tutti si tenevano a distanza da lui e che erano soggetti alla durezza dei suoi commenti.
Il bianco abbagliante della sua dishdasha contrastava con la pelle abbronzata del viso e non riusciva a nascondere il corpo snello e vigoroso. A ogni suo movimento, lo sguardo di Zoe si fissava affascinato sui muscoli compatti e armoniosi. Lo sceicco era di certo cresciuto nella ricchezza e nel lusso, eppure lei era certa che la sua eleganza nascondesse una natura selvaggia, come il deserto dove era nato. Anche la sua bellezza per nulla classica, era crudele come quel deserto.
In scacco sotto lo sguardo diretto dell’uomo, Zoe tremò e la sua pelle formicolò. Provò l’istinto di strofinarsi le braccia e di avvolgerle intorno al corpo, in un gesto protettivo. Provava l’incomprensibile bisogno di scrollarsi di dosso quello sguardo già possessivo.
Zoe si rese conto di avere paura. Anche se lui non le aveva ancora rivolto nemmeno una parola, sentì il bisogno