La mamma piu' bella: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Alla passione non sempre si riesce a resistere. E' quello che succede a Juan e Georgiana, lui nobile spagnolo, lei giovane studentessa inglese. Peccato che lui sia promesso a un'altra donna e il matrimonio sia praticamente già organizzato. Addirittura la sposa vorrebbe che Georgiana le facesse da damigella d'onore, in qualità di figlioccia della mamma di Juan. La situazione diviene insostenibile e Georgiana decide di ritornare a Londra e poi di trasferirsi in Toscana, dove vuole vivere in serenità l'attesa del bambino che da poco si è accorta di aspettare. E mentre lei cerca di dimenticare i tramonti sivigliani sulle acque del Guadalquivir, Juan deve vedersela con la sua promessa sposa.
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Recensioni su La mamma piu' bella
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Anteprima del libro
La mamma piu' bella - Fiona Hood Stewart
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
At the Spanish Duke’s Command
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2004 Fiona Hood-Stewart
Traduzione di Claudia Cavallaro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 1992 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5891-738-1
www.eHarmony.it
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1
Mentre la Ferrari rossa sfrecciava lungo la Avenida Castellana a quattro corsie, Juan Felipe Monsanto, duca di la Caniza, rifletteva sull’autunno imminente e quello che lo aspettava. I mesi estivi passati sullo yacht e nella sua suntuosa villa di Marbella erano stati molto piacevoli, ma adesso era arrivato il momento di sistemare una faccenda piuttosto seria che non poteva più essere rimandata: il suo matrimonio con Donna Leticia de Sandoval.
Accostando davanti a un imponente edificio di pietra, rallentò e salutò con la mano Pepe, il portiere in uniforme e guanti bianchi che gli avrebbe parcheggiato la Ferrari.
«Hola, Pepe» salutò lui scendendo dall’auto con il motore acceso.
«Hola, Excellencia. Ha passato una buona estate?»
«Fantastica, grazie. La contessa è in casa?»
«Sì, signore, sua zia la sta aspettando.»
«Bene. Ti chiamerò quando avrò bisogno della macchina. Per favore, fa portare su le valigie.»
«Molto bene, signore.» Pepe gli fece un piccolo inchino, mentre lui entrava dalla porta in ferro battuto e vetro e attraversava l’atrio di marmo in direzione dell’ascensore.
Era tornato alla vita reale. Non che gli dispiacesse, né gli importasse del matrimonio di convenienza che avrebbe avuto luogo entro pochi mesi. Era il suo destino, lo era sempre stato da quando Gregorio, il fratello maggiore, era morto in un incidente aereo cinque anni prima lasciando Juan erede del ducato. Conosceva i suoi doveri e non esitava ad assumersi le proprie responsabilità. Per questo il matrimonio con Leticia de Sandoval era, se non ideale, di certo una soluzione accettabile. Aveva bisogno di eredi e di una moglie di nobile discendenza. Lui rispettava le regole.
Per la verità, si rendeva conto, mentre l’ascensore si apriva all’ultimo piano e si avviava al suo appartamento di quindici stanze, di essere stato piuttosto fortunato. Leticia de Sandoval era una vecchia amica di famiglia, una persona che capiva quanto lui le regole della loro società. Era una donna intelligente di trent’anni, nonché un bravo avvocato che si dedicava a molte cause politiche e di beneficenza. Aveva una vita sua, e per lui andava benissimo così.
Tutto sommato, rifletté, era una soluzione soddisfacente e senza dubbio avrebbe funzionato. A patto che lui fosse discreto, naturalmente. Ma su quello erano tutti d’accordo.
Qualche secondo dopo, entrando dalla porta principale, fu accolto da Fernando, il maggiordomo. «Bentornato, Vostra Grazia. La contessa la sta aspettando nel salottino. Posso dirle, a nome mio e del personale, che siamo molto felici di riaverla fra noi.»
«Grazie, Fernando.» Passandogli la giacca, Juan si fece strada verso il salottino preferito dalla contessa de Murta. Era la vedova di uno dei cugini di suo padre. Era finita in miseria e Juan l’aveva accolta perché si occupasse della casa. La chiamava Tía – zia.
«Juan.» L’anziana donna dai capelli argentei perfettamente pettinati sorrise e gli tese la mano. «È un piacere rivederti. Hai avuto un’estate meravigliosa?»
Juan la baciò sulla fronte. «Sì, Tía. Grazie. Ma adesso bisogna tornare alla realtà. Avrò molte cose di cui occuparmi. Non fa più così caldo e la vita torna alla normalità. Sono già rientrati in molti in città?» chiese, sedendosi di fronte a lei su uno dei divani di broccato. Allungò il braccio sullo schienale.
«Sì, parecchi» rispose la contessa, ancora attraente all’età di sessantacinque anni. Incrociando le gambe, si preparò a fare due chiacchiere con il giovane cugino del defunto marito di cui parlava sempre un gran bene. Dopotutto, era stato lui a offrirle una sistemazione dignitosa e soddisfacente quando il marito, morendo, l’aveva lasciata praticamente senza un centesimo.
«Ha chiamato Leticia. Mi ha chiesto di ricordarti che domani sera sei atteso a Palazzo Zarzuela. Credo che sia una serata in onore dei benefattori degli orfani di Sant’Ignazio. Ci saranno anche il re e la regina.»
«Il che significa che non posso mancare» replicò lui con un mesto sorriso. «Saprai, naturalmente, che Leticia e io ci fidanzeremo in autunno?»
«È una splendida notizia, Juan. Non hai idea di come mi renda felice. È una donna molto intelligente e sensibile e sarà un’ottima moglie. Ieri è venuta qui a prendere un tè. Mi ha portato dei libri di cui le avevo parlato. Leticia è sempre molto premurosa. Però, l’ho trovata un po’ pallida. Dovresti dirle di lavorare meno.»
«Dire a Letti di lavorare meno?» Juan rise e gli occhi scuri gli si illuminarono. «Impossibile. Dice che il lavoro le fa bene.»
«Comunque» insistette la contessa con un’occhiata significativa, «dovrà rallentare se intende davvero avere una famiglia.»
«Oh, sì, certo. Ma non ci sposeremo prima della prossima primavera, perciò avremo il tempo di parlarne. Bene» concluse Juan alzandosi per porre fine alla conversazione. «Sarà meglio che vada a fare una doccia e un paio di telefonate. Sarai a casa per cena?»
«Sì. A proposito, è arrivata Georgiana Cavendish.»
«Georgiana Cavendish?» ripeté lui, lo sguardo inespressivo.
«Insomma, Juan! Te la ricorderai, spero. È la figlioccia di tua madre; le avevamo detto che ci avrebbe fatto piacere ospitarla mentre studiava spagnolo all’Università. Ne abbiamo parlato mesi fa.»
«Dios mio! La figlia di Lord e Lady Cavendish... ma certo.» Juan si batté una mano sulla fronte. «Me l’ero completamente scordata.»
«Già. Bene, ha cominciato le lezioni lunedì scorso. L’ho sistemata nella Camera Azzurra. Mi sembrava appropriato, dato che è molto spaziosa e c’è una grande scrivania.»
«Va bene, Tía. Mi fa piacere poterla aiutare.»
La nobile Georgiana Cavendish, figlia unica del defunto Lord Cavendish e sua moglie Selina, era elettrizzata all’idea di essere a Madrid. A diciannove anni, con la scuola e un corso di informatica finalmente alle spalle, si sentiva molto adulta. Essere sola a Madrid era fantastico. L’unico inconveniente era che la madre aveva insistito perché andasse a stare a casa del figlio della sua madrina, invece che in un appartamento con altre studentesse della sua età come lei avrebbe preferito.
Ma, considerando che la madre non avrebbe nemmeno voluto che si recasse a Madrid, riconosceva di doverle essere grata per quel piccolo compromesso. Forse per il prossimo trimestre sarebbe riuscita a farle cambiare idea. Non che le importasse poi molto. La contessa era affascinante e divertente e, grazie a Fernando, che in quel momento le stava servendo la colazione, non doveva alzare un dito.
Sospirando, prese una fetta di pane tostato. Era passata una settimana dal suo arrivo a Madrid e tre giorni da quando aveva iniziato il corso di spagnolo all’università – e le piaceva molto. Ma lanciando un’occhiata all’orologio si rese conto che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi se voleva prendere l’autobus e arrivare in orario alle lezioni.
Versandosi del caffè, si liberò la faccia dalla massa di lunghi capelli biondi e mangiò con gusto l’abbondante colazione. Ma, sentendo un rumore, si fermò con la forchetta a mezz’aria. Si girò sulla sedia. Sulla soglia, c’era un uomo alto e bello con un vestito grigio chiaro e una cravatta di seta gialla che la stava studiando con uno sguardo intenso.
«Buongiorno» disse, avanzando nella stanza. «Suppongo che tu sia Georgiana.» Accennò un sorriso e le tese la mano destra.
«Sì, infatti. E suppongo che tu sia il duca» rispose lei, guardandolo con attenzione. Era molto più giovane del previsto. In qualche modo un duca le suonava terribilmente antiquato. Aveva immaginato un uomo di mezza età dal viso pallido ed emaciato, invece si trovava davanti un uomo di incredibile bellezza. Quando le loro mani si toccarono, provò uno strano formicolio. Ritirò subito la sua, colpita da quell’insolita sensazione.
«Non duca
... Juan» la corresse lui prendendo posto a capotavola. «Spero che Madrid ti piaccia» aggiunse in tono educato, facendo segno a Fernando di servirlo.
«Moltissimo, grazie.» L’appetito le era sparito di colpo e Georgiana non ne capì la ragione. Dopotutto, era solo il figlio della sua madrina, nessuno di speciale. Ed era sua ospite, ricordò a se stessa. «È stato molto gentile da parte tua avermi permesso di restare. Ma spero di non essere di disturbo ancora per molto: il prossimo trimestre vorrei trovare un appartamento.»
Lui assunse un’espressione altezzosa. «Davvero? Pensi che tua madre approverà?» chiese, bevendo il primo sorso di caffè.
«Non vedo perché non dovrebbe. Tutte le mie amiche dividono un appartamento a Londra.»
«Madrid non è Londra.»
«Questo lo so benissimo» ribatté Georgiana freddamente. Perché si intrometteva nella sua vita privata? Le sue scelte non lo riguardavano.
«In questo caso farai meglio a restare qui durante la tua permanenza in città» rispose lui in tono autoritario, accettando il giornale dal maggiordomo.
Diede una scorsa ai titoli mentre lei ribolliva di rabbia. Essere un duca, e straordinariamente bello e ricco, non gli dava il diritto di interferire nella sua vita. Il suo aspetto magnifico non era che una facciata; in realtà era antiquato e noioso proprio come aveva previsto.
«Ah, vedo che hai conosciuto Juan» esordì la contessa entrando nella stanza con addosso una vestaglia di broccato rosa, già adornata di perle e diamanti.
«Buongiorno, contessa. Sì, ci siamo già conosciuti.» Georgiana sorrise educatamente alla donna, poi gettò un’occhiata cupa a Juan. «Per la verità, stavo ringraziando il duca per la sua gentile ospitalità, assicurandogli che non sarò a lungo un disturbo per lui.»
Non voleva certo permettergli di gestire la sua vita solo perché lei era sua ospite. Finendo di mangiare le uova, si ripromise di metterlo bene in chiaro fin dall’inizio.
Evitando lo sguardo di sgomento della zia e fingendo di sfogliare il giornale, Juan esaminò con comodo la sua ospite. Era deliziosamente bella. Lunghi capelli biondi che le arrivavano a metà schiena, lineamenti classici e il poco che vedeva della sua figura era superbo. Una bellezza rara, ammise. E, visti i suoi standard, era dire molto, considerando il numero di donne conosciute negli anni.
Benché protetto dal giornale, non gli sfuggì l’occhiataccia di Georgiana. Sospirando fra sé, capì anche che avrebbe