Auguri, sceriffo!: Harmony Destiny
Di Kate Little
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Kate Little
Autrice e redattrice di romanzi rosa, sostiene che una buona storia d'amore fa vivere al lettore la tensione e il brivido di quando si è perdutamente innamorati.
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Anteprima del libro
Auguri, sceriffo! - Kate Little
successivo.
1
Jessica prese un altro fazzolettino di carta dalla scatola che teneva sul tavolo, si asciugò gli occhi e poi diede un colpo sul fianco del televisore portatile per aggiustare l'immagine. Non sapeva proprio perché continuava a guardare quel vecchio film. Doveva essere già la quinta volta dal giorno del Ringraziamento, eppure continuava a commuoversi. Forse perché era la vigilia di Natale e lei la stava passando da sola nella sua tavola calda.
«Scommetto che riuscirei a doppiarlo tutto senza leggere il copione» mormorò. «Le campane suonano. Gli angeli cantano e tutti a Bedford Falls vivranno felici e contenti...»
Sul piccolo schermo un giovane James Stewart prese in braccio la sua bambina e abbracciò sua moglie. Tutti i loro amici e parenti erano radunati attorno a loro, sorridenti e molto natalizi.
Jessica si soffiò il naso mentre la colonna sonora aumentava di volume e la scena felice svaniva lentamente dal teleschermo. All'improvviso, comparve l'immagine di un rivenditore locale di automobili usate che, vestito da Babbo Natale, propagandava gli affari più affari del secolo.
Jessica spense il televisore e sentì tintinnare il campanello che annunciava l'entrata di un cliente.
Era già molto tardi e quello era l'unico cliente di tutta la serata. La giovane si asciugò gli occhi con un altro fazzoletto di carta e si sistemò velocemente i capelli. Qualche ricciolo ramato era sfuggito dalla pettinatura raccolta e lei lo sistemò dietro alle orecchie.
Chiunque fosse il cliente appena entrato avrebbe dovuto accontentarsi di una tazza di caffè. Non aveva nessuna voglia di mettersi a spignattare in cucina, non certo a mezzanotte, visto che il locale sarebbe dovuto essere chiuso già da un'ora. E lo sarebbe stato, se quel ridicolo film non l'avesse distratta. E se lei avesse avuto un posto dove andare quella sera, o qualcuno con cui passare la vigilia di Natale...
«Arrivo subito» annunciò mentre usciva dal retro del locale.
Si guardò intorno, già pronta a spiegare le ragioni per le quali il menù di quella sera era estremamente limitato. Ma la sala, decorata allegramente con luci intermittenti e rami di pino, era vuota. Si guardò intorno una seconda volta per essere sicura. Chiunque fosse entrato, se ne era già andato.
Poi lo vide, un grosso cesto era appoggiato al centro del bancone. Esattamente tra la cassa e il distributore di tovaglioli di carta. Era uno scherzo? Jessica sbirciò in direzione del telefono a gettoni che si trovava in un angolo del locale, dando anche un'occhiata fuori dalla vetrina.
La neve che aveva cominciato a cadere qualche ora prima adesso scendeva in fiocchi grossi e asciutti. La strada principale della cittadina, con le vetrine antiquate, le decorazioni natalizie e i lampioni in ferro battuto, sembrava uscita direttamente da un cartoncino di Natale.
Jessica guardò di nuovo la cesta e si fermò con il cuore in gola. Una manina aveva fatto capolino dal bordo. Chiuse gli occhi e scosse la testa. Quando li riaprì, incredibile ma vero, anche un piedino nudo si agitava nell'aria. Ipnotizzata, Jessica guardò la manina afferrare il piedino e quindi udì l'inconfondibile versetto di soddisfazione di un bambino.
Con il cuore che batteva all'impazzata, spostò la coperta. «Oh, mio Dio!» esclamò.
Un bambino la stava guardando, serio, con gli occhi spalancati e una manina saldamente aggrappata al piedino. Incredula, Jessica allungò una mano e fece scorrere delicatamente un dito sulla sua guancia morbida. Improvvisamente il bimbo afferrò il dito e sorrise.
«Amore...» tubò Jessica. Il bimbo sorrise ancor più beatamente. Era avvolto in tre copertine e aveva un vestitino bianco e rosa tutto macchiato. Jessica lo prese in braccio, tenendolo stretto. «Da dove vieni, angioletto?»
Il bambino si mise una manina in bocca e poi appoggiò la testolina sulla spalla di Jessica. I riccioli biondi le solleticarono il viso e lei pensò che non aveva mai sentito niente di più morbido.
«Va tutto bene, tesoro. Va tutto bene, piccola patatina dolce» sussurrò.
Nel cesto Jessica vide dei vestitini, alcuni pannolini e un biberon di plastica. C'era anche un foglio piegato in due con una scritta. Jessica si sedette su uno degli sgabelli attorno al banco e, tenendo il piccolo in braccio, si accinse a leggere il biglietto. La calligrafia era chiara.
Per favore, prendetevi cura della mia bambina. Si chiama Daisy ed è un vero tesoro. Io non posso più tenerla con me. Non posso proprio. Aiutatela a trovare una casa e dei nuovi genitori che possano amarla e provvedere a lei. Mi dispiace.
Jessie lasciò cadere il biglietto sul bancone e guardò la bimba. «Daisy» disse a voce alta, sorridendo. Il nome le stava davvero bene, con quegli occhioni castani, quel sorriso delizioso e quei meravigliosi capelli biondi. «Ciao, Daisy tesoro. Ciao, piccolina. Devi avere fame, scommetto. Piccolina. Povera piccolina.»
Daisy la guardava attenta e Jessie le sorrise. Poi, senza preavviso, la bimba scoppiò in lacrime.
«Oh, no! Piccolina!» Jessie la cullò, senza sapere bene cosa fare. «Per piacere, non piangere. Cosa c'è, tesoro? Ti fa male qualcosa? Hai fame?» La bambina si fermò per qualche secondo e la guardò, poi riprese a piangere ancora più forte.
Jessie si impose di rimanere calma. Sebbene adorasse i bambini e ne desiderasse disperatamente uno tutto suo, la verità era che aveva davvero scarsissima esperienza in materia.
«Vediamo un po'. Forse devi essere cambiata.» Infilò un dito sotto il pannolino. Niente. Era perfettamente asciutto.
Il pianto di Daisy si era fatto ancora più forte e acuto. «Allora devi proprio avere fame. Cerchiamo qualcosa da mangiare, Daisy. Cosa ne dici di un bel biberon di latte? È il piatto del giorno, sei fortunata.» Jessie depose nuovamente la bambina nel cesto e lo portò in cucina. Cercò il biberon sotto le coperte e freneticamente prese la bottiglia del latte dal frigorifero e incominciò a riempirlo. Ma quanto ne doveva mettere? Non ne aveva la minima idea. Lo riempì fino all'orlo. Daisy doveva essere davvero affamata, a giudicare dal suo pianto disperato. Ma forse doveva scaldarlo. Giusto. Prese il biberon e lo mise a scaldare a bagnomaria.
Quando fu alla temperatura giusta, né troppo freddo, né troppo caldo, Jessie prese il cesto e il biberon e tornò in sala da pranzo, dove poteva sedersi comodamente.
Prese la bimba in braccio e le avvicinò il biberon alla bocca. Daisy lo afferrò e cominciò a succhiare con avidità.
«Ma allora avevi proprio fame, tesoro. Se c'è qualcos'altro che vuole scegliere dal menù, signorina...»
Il visetto di Daisy esprimeva beatitudine. Era una bambina così carina, pensò Jessie. Con che coraggio sua madre l'aveva abbandonata?
Mentre Daisy continuava a succhiare avidamente il latte, Jessie si rese conto che avrebbe dovuto chiamare la polizia per riferire quanto era accaduto. Ma poi sarebbero venuti a prendere Daisy...
Il campanello della porta suonò di nuovo e Jessie alzò velocemente lo sguardo per vedere chi fosse entrato. Accidenti, avrebbe dovuto chiudere a chiave e abbassare le luci. Be', avrebbe detto che il locale era chiuso.
Scorse un uomo molto alto e coperto di neve che rimase a testa china mentre cercava di ripulirsi il cappotto.
«Mi dispiace ma siamo chiusi» gridò Jessie. «Può prendere una tazza di caffè, ma ormai è freddo e deve avere un gusto orribile.»
L'uomo aveva sollevato la testa e la stava guardando con occhi di un azzurro brillante: il colore del cielo sereno d'estate. L'espressione sul suo viso, però, era alquanto accigliata. Aveva capelli scuri, zigomi alti e mascella squadrata. La barba era lunga e lo sconosciuto sembrava avere avuto una serataccia, ma era decisamente un bell'uomo. Del genere tenebroso, un genere che a Jessie di solito non piaceva.
«Non sono venuto qui per bere un caffè» la informò brevemente. «Sono venuto per dirle di chiudere. C'è una bella bufera di neve, là fuori, signora. O non se n'è accorta?»
«Per la verità, no» rispose Jessie. Poi guardò fuori. Effettivamente stava nevicando forte, ma da brava nativa del New England non si sconvolgeva certo alla vista di una bella nevicata.
«Se non si preoccupa per se stessa, dovrebbe almeno pensare al suo bambino» aggiunse l'uomo in tono di rimprovero.
«Ascolti bene, chiunque lei sia...» cominciò Jessie, decisa a mettere a posto quell'impiccione, ma fu distratta da Daisy che aveva finito il latte e stava ormai succhiando a vuoto. Jessica appoggiò delicatamente il biberon sul bancone. «Ti è piaciuto? Avevi fame, eh?» le chiese in tono amorevole.
Completamente sazia, la bambina le si abbandonò tra le braccia, quasi addormentata. Jessie si chiese se dovesse lasciarla addormentare. C'era qualcos'altro da fare?
«Non le fa fare il ruttino?» chiese l'uomo. «Si sveglierà piangendo per una colica d'aria, se non lo fa.»
Ecco cos'era! Bisognava farle fare il ruttino. Sebbene grata per l'informazione, Jessie non si preoccupò di ringraziare lo sconosciuto.
«Certo, cosa crede?» Il tono era volutamente indignato. Appoggiò la bimba sulla spalla e cominciò a darle dei colpettini sulla schiena.
Si voltò per guardare meglio quell'impiccione, che si era avvicinato e stava in piedi proprio davanti a lei. Così da vicino sembrava ancora più alto e grosso... e anche più bello.
«Comunque, lei chi è? Arriva qui nel mio locale...»
«Questo locale è suo?»
«Esatto. Sono Jessica Malone, proprietaria, direttrice, e stasera anche unica cameriera.» Il tono era alquanto pungente.
L'uomo, però, non sembrò notarlo.
«Mi scusi, sono nuovo. Non ho ancora avuto modo di incontrare tutti i proprietari dei locali della città.»
Le sorrise, e questo trasformò il suo viso in qualcosa di straordinario. Jessie non poté fare a meno di notarlo. Era pronta a scommettere mille dollari sul fatto che quell'uomo non fosse abituato a sorridere spesso. Non di cuore, comunque.
«Scuse accettate» gli disse. «Lei sarebbe...?»
«Clint Bradshaw, il nuovo sceriffo.» Aprì la giacca per mostrarle il distintivo, appuntato su un maglione nero a collo alto che rivelava un torace muscoloso.
«Congratulazioni, allora» gli disse Jessica, asciutta. Non riusciva a staccare gli occhi dalla sua figura. L'uomo se ne accorse e gli angoli della bocca si incurvarono in un sorrisetto malizioso.
Lei spostò veloce lo sguardo, arrossendo. Ora fu lo sceriffo Clinton Bradshaw a esaminarla attentamente e Jessie si agitò sulla sedia.
Quella sera era vestita da lavoro, e per di più aveva preso a prestito l'uniforme da una delle sue cameriere che aveva dieci anni meno di lei, era più magra di cinque chili ed era decisamente più bassa. Su Jessica era un grazioso miniabito. Quello che era peggio era che proprio quella sera aveva deciso di indossare il vecchio cardigan della zia Claire. Era stato fatto a mano e, dopo tanti anni di onorato servizio, assomigliava alla coperta destinata al cane di casa, ma lei non riusciva a resistere alla tentazione di indossarlo di tanto in tanto, per ragioni puramente sentimentali. Specialmente in una notte come