Il guerriero gentile: Harmony Destiny
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Sheri Whitefeather
Autrice della novella Sangue Cherokee.
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Anteprima del libro
Il guerriero gentile - Sheri Whitefeather
successivo.
1
Patricia Boyd si sedette sul bordo del letto e gli accarezzò la fronte e il ciuffo di capelli scuri. Dillon Hawk, undici anni. Suo figlio, la sua ragione di essere.
Il sole del mattino filtrava attraverso le veneziane e illuminava la stanza del bambino con lampi di luce. Patricia sorrise. Dillon teneva la camera sempre in ordine. Ogni modellino di auto e di aeroplano aveva un suo posto preciso.
«Ciao, mamma.» Dillon le sorrise con espressione addormentata. «Stai andando al lavoro?»
«No, è domenica.»
«Ah, già. Oggi facciamo colazione dal nonno.»
La colazione della domenica a base di frittatine dolci, panini fatti in casa e spremuta d'arancia era una tradizione di famiglia per i Boyd.
«Ho un impegno questa mattina. Sarà il nonno a occuparsi di te» rivelò Patricia.
«Ottimo. Lo sai che cucina molto meglio di te!» Dillon scostò le coperte. «Dove devi andare, mamma?»
A incontrare tuo padre, pensò lei in preda all'agitazione. Jesse era ritornato. Dopo dodici anni. Aveva comperato la vecchia fattoria dei Garrett e la stava sistemando. Di certo non si aspettava una sua visita e neppure aveva tentato di mettersi in contatto con lei.
«Andrò a trovare un vecchio amico» spiegò invece. Il mio primo amore, aggiunse tra sé. L'uomo al quale devo la tua esistenza. «Ti lascerò dal nonno e verrò a riprenderti più tardi.»
«Va bene, ma guarda che il nonno vuole andare al negozio.»
Quella era un'altra tradizione di famiglia, pensò Patricia. Ogni domenica, Raymond Boyd comperava al nipote un nuovo modellino. Lo viziava in modo terribile, ma Dillon era sempre così educato e gentile che sembrava meritare ogni regalo.
Patricia gli baciò la fronte. «Lavati e vestiti.»
«Farò in un lampo.»
Erano passati dodici anni. Altri trenta minuti non avrebbero cambiato le cose. «Non preoccuparti. Non c'è fretta.»
Patricia uscì dalla stanza del figlio ed entrò nella propria. L'aveva arredata con cura, senza troppi fronzoli e con grande sobrietà. Il letto, semplice e lineare, era di legno scuro, così come il cassettone antico. Un copriletto blu Cina creava un piacevole contrasto con il mogano e rendeva l'ambiente molto luminoso.
Si avvicinò allo specchio e scrutò la propria immagine. Aveva indossato una gonna bianca dritta, una camicia color pesca e un paio di sandali con i tacchi bassi. Il tutto era firmato da un famoso stilista, eppure era di una semplicità assoluta.
Chissà se Jesse l'avrebbe riconosciuta subito o se avrebbe dovuto guardarla due volte, prima di ricordare... Il suo corpo era ancora snello, anche se gli anni e la gravidanza vi avevano aggiunto qualche curva. I capelli erano sempre gli stessi, solo un po' più corti.
Il suo viso. Si sfiorò la pelle e ricordò come Jesse si fosse sempre meravigliato di quanto sembrasse morbida ed elastica. Vi avrebbe trovato qualche difetto, a distanza di tanto tempo? Dopotutto aveva trent'anni, ormai.
Cosa gli avrebbe detto? Che quando se n'era andato lei era incinta? Che lo aveva aspettato anno dopo anno, da sola, sperando che tornasse? Che l'aveva delusa? Che avrebbe dovuto provare a suo padre che non era come lo aveva sempre descritto? Che era davvero innamorato di lei?
«Mamma?»
Col cuore in gola, Patricia si voltò al suono di quella voce. «Sei già pronto?»
«Sì. Ci ho messo dieci minuti esatti» dichiarò suo figlio, con un sorriso baldanzoso. Aveva i capelli pettinati all'indietro e umidi di gel e vestiva un paio di pantaloni leggeri portati bassi sui fianchi.
Come poteva dimenticare il viso di Jesse, quando ogni giorno aveva davanti agli occhi quella esatta copia in versione giovanile? Il sorriso luminoso di Dillon ne metteva in risalto gli zigomi alti, il mento deciso e la pelle color del cuoio. Erano gli occhi però la vera eredità delle radici di suo padre. Occhi di un grigio luminoso, o di un azzurro chiaro, a seconda dell'umore del bambino.
«Sono pronta anch'io» gli disse. In realtà dubita va che sarebbe mai stata pronta per affrontare Jesse Hawk.
Poco più di mezz'ora più tardi, Patricia arrivò alla vecchia fattoria dei Garrett. C'era qualcosa d'ironico nel fatto che Jesse avesse acquistato una proprietà proprio sul confine tra due zone tanto diverse della città, quella povera di Hatcher e quella ricca di Arrow Hill.
Esattamente come loro due. Jesse Hawk, mezzosangue e orfano, e Patricia Boyd, figlia dell'uomo più ricco della contea.
La vecchia costruzione aveva un fascino aggraziato a cui lei, esperta direttrice dell'agenzia immobiliare di famiglia, non era immune. Era solo stata un po' trascurata, ma era evidente che Jesse la stava rimettendo a posto.
Parcheggiò la Mercedes sul vialetto e restò qualche secondo con le mani appoggiate al volante, il cuore che le batteva forte. Cos'avrebbe dato per poter fuggire! Purtroppo non era possibile. Prima o poi, lei e Jesse si sarebbero incontrati. Prima o poi la gente avrebbe collegato il cognome di suo figlio a quello del nuovo arrivato. Senza contare il fatto che c'erano anche quelli che conoscevano la verità. Non era così che aveva saputo che Jesse era tornato? Una collega, con tatto, le aveva riferito che un uomo di nome Hawk stava per aprire una clinica veterinaria.
Quando finalmente Patricia trovò il coraggio di bussare alla porta, fu accolta da un furioso abbaiare di cani. Restò ad aspettare per qualche minuto, tremando, poi con sollievo si diresse di nuovo verso la propria auto. Era evidente che Jesse non era in casa.
«Mi dispiace, non sapevo che ci fosse qualcuno» si scusò una voce profonda dietro di lei. «Stavo lavorando nel canile sul retro. Ho la casa piena di randagi» aggiunse, e quelle parole erano cariche di allegria.
Patricia inspirò lentamente e si girò. Davanti a lei c'era un uomo alto, dalla pelle scura. Si copriva gli occhi con una mano per ripararsi dal sole. Accanto a lui, ben piantato sulle quattro zampe, c'era un robusto rottweiler.
L'uomo fece un passo avanti e a Patricia cedettero le ginocchia. Jesse con indosso uno scolorito paio di jeans e niente altro era uno spettacolo da mozzare il fiato.
«Oddio» mormorò lui e si fermò di scatto. «Tricia.»
Il diminutivo l'accarezzò come una brezza calda e profumata. Eppure la riempì di amarezza. Nessun altro l'aveva mai chiamata così. Raddrizzò le spalle e allungò la mano verso di lui. «È bello rivederti, Jesse.»
Lui le afferrò la mano in un gesto automatico. «Cosa ci fai da queste parti?»
Quel tocco stava mettendo tutti e due a disagio per cui lei si ritrasse.
«Potresti invitarmi a entrare.» Dopotutto era la madre di suo figlio. Era la donna ingenua che aveva aspettato il suo ritorno per anni, come una sciocca. Fino a quando la speranza non si era trasformata in disperazione.
Jesse lasciò scorrere lo sguardo su di lei, proprio come aveva fatto il giorno in cui si erano conosciuti. Nei suoi occhi però non c'era lo stesso divertito apprezzamento di allora. «I cani ti salterebbero addosso» l'avvisò.
«Mi piacciono gli animali.»
«Cosa ci fai qui, Tricia?» Con un gesto improvvisamente nervoso, Jesse si scostò i lunghi capelli dal viso. Erano ancora neri come le ali di un corvo e lunghi fino a toccargli le spalle.
«Ho pensato che sarebbe stato imbarazzante se ci fossimo incontrati per strada.» Abbassò lo sguardo, agitata. «Speravo che avremmo potuto parlare di come ci sono andate le cose in questi anni.» Aveva bisogno di sapere che genere d'uomo fosse diventato il padre di Dillon. Dopotutto, prima o poi avrebbe dovuto presentarli. Marlow Country era una cittadina troppo piccola per i segreti.
Jesse non nascose il suo scarso entusiasmo, però l'accontentò. «Potremmo restare un po' qui fuori a parlare, se ti va» propose. «Ti andrebbe una bibita fresca?»
«No grazie, sto bene così.» Lo seguì sulle scale, fino alla veranda, dove si sedette accanto a lui su di una vecchia panchina.
Con aria soddisfatta, il grosso cane si accoccolò ai piedi del padrone e appoggiò il muso sulle zampe anteriori.
«Come si chiama?» domandò Patricia.
«Cochise.»
«Mi sembra adatto. È il nome di un guerriero.»
«In un certo senso, lo è anche lui. È stato addestrato per riconoscere la differenza tra gli amici e i nemici. È con me da quando è un cucciolo.»
Certo, Jesse era un proprietario responsabile. Non avrebbe mai tenuto un cane tanto potente senza che fosse stato addestrato in modo professionale. E anche per i randagi c'era una spiegazione: aveva sempre avuto un debole per gli animali abbandonati. Patricia ricordava ancora di come raccogliesse tutti i gatti che trovava per strada e di come li portasse a casa. A volte restava senza mangiare, pur di sfamare i suoi piccoli amici.
«I cani che hai in casa sono tutti randagi?»
«Sì. Li ho presi questa settimana da un'associazione che si occupa di strapparli dalla strada. Quando sei arrivata stavo proprio costruendo un altro canile.»
Si voltò verso di lei, che restò senza fiato. Solo poche ore prima, Dillon le aveva rivolto un sorriso identico a quello. Poi, quando i loro sguardi si incontrarono, Jesse tornò improvvisamente serio.
Nei suoi occhi, Patricia notò un'espressione cauta. Le iridi erano grigie, e lei sapeva che diventavano color dell'argento quando era in preda alla passione.
Quante donne c'erano state nella sua vita?, si domandò. Quante avevano visto cambiare il colore di quegli occhi e provato l'ebbrezza del tocco di quelle mani forti e scure?
Patricia si carezzò la gonna. Jesse Hawk sarebbe dovuto essere suo. Sarebbe dovuto ritornare per mantenere il suo giuramento. La notte in cui gli aveva donato la verginità, lui le aveva promesso di amarla per sempre. Si erano scambiati voti segreti. Voti romantici, ingenui. Che lei aveva sempre rispettato e mantenuto, che aveva tenuto chiusi nel suo cuore notti intere, passate a piangere. Era vero, non aveva accettato di andare a vivere con lui, quando glielo aveva chiesto, però aveva avuto i suoi motivi. Buoni motivi. Il giovane di cui era innamorata aveva diritto di realizzare i propri sogni, e il bimbo nel suo ventre aveva bisogno di stabilità economica. Era per quello che lei aveva mandato via Jesse, convinta però che sarebbe tornato a riprenderla.
Non ti perdonerò mai, avrebbe voluto dirgli, ma Dillon aveva diritto di conoscerlo. Lei gli aveva parlato di suo padre e gli aveva promesso che, prima o poi, sarebbe tornato. Dovevano solo avere pazienza e lasciare che finisse gli studi.
«Qualche mese fa avevo sentito dire che questa vecchia proprietà