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Il richiamo del deserto: Harmony Collezione
Il richiamo del deserto: Harmony Collezione
Il richiamo del deserto: Harmony Collezione
E-book157 pagine2 ore

Il richiamo del deserto: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Scampata dalle grinfie di un principe lascivo, Aisha Peshwah si rende conto di essere caduta dalla padella nella brace. Il suo salvatore, infatti, è Zoltan Al Farouk bin Shamal, uno sfrontato sceicco che ha intenzione di sposarla per poter diventare il sovrano del proprio regno.

Autoritario, inflessibile, ma anche incredibilmente sexy, Zoltan è uno spirito selvaggio almeno quanto il deserto sul quale un giorno regnerà, e per quanto Aisha provi con tutte le proprie forza a resistergli il suo corpo molto presto comincerà a rivelare che quello che lei realmente desidera è ben diverso da ciò che si sforza di dimostrare.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2020
ISBN9788830513365
Il richiamo del deserto: Harmony Collezione
Autore

Trish Morey

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il richiamo del deserto - Trish Morey

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Duty and the Beast

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2012 Trish Morey

    Traduzione di Anna Vassalli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-336-5

    1

    Arrivarono nel cuore della notte, mentre il campo era immerso nel silenzio, se non per il fruscio delle palme mosse dalla fresca aria notturna e per lo sbuffare dei cammelli che sognavano le carovane nel deserto. Non ebbe paura quando udì il sibilo della spada che fendeva la tenda, e neppure quando un uomo vestito di nero, il viso coperto da una sciarpa legata dietro il capo con solo due fessure per gli occhi, entrò, anche se l’altezza considerevole e l’ampiezza delle spalle sarebbero state sufficienti a bloccarle il respiro.

    Al contrario, fu il sollievo a scorrerle nelle vene e a farle salire le lacrime agli occhi, il sollievo perché il momento della salvezza, per la quale aveva tanto pregato, era finalmente arrivato.

    «Sapevo che sareste venuti» sussurrò mentre scivolava dal letto completamente vestita per andargli incontro, quasi inciampando nella fretta di raggiungerlo. Soffocò un singhiozzo, sapendo da cosa fuggiva, sapendo che pericolo aveva corso. Ma alla fine sarebbe stata in salvo. Non era il caso di essere spaventata.

    Ma quando la mano si posò pesantemente sulla sua bocca per ridurla al silenzio e, contemporaneamente, fu tratta rudemente contro il corpo muscoloso, non poté negare di provare un brivido di paura.

    «Non una sola parola, principessa» sibilò l’uomo al suo orecchio, «o potrebbe essere l’ultima.»

    Lei s’irrigidì mentre subiva l’onta, perché era stata educata a non accettare un contatto fisico con un estraneo, ma ora aveva ben poca scelta, con quel braccio dalla presa ferrea intorno alla vita, le dita di una mano virile sul petto e quelle dell’altra sempre sulla bocca, tanto che poteva sentire il calore della sua pelle.

    Indecorosamente vicino.

    Indecorosamente possessivo.

    Con ogni respiro inalava il suo aroma, un miscuglio di pelle e di cavallo, di sabbia e di aria del deserto, misti a un aroma di muschio che s’insinuava dove lui la toccava e oltre. Quei punti arsero finché il contatto divenne indecorosamente intimo, e un innato senso di sopravvivenza le trasmise un messaggio avvertendola che, forse, non era in salvo come aveva immaginato.

    Qualcosa in lei si ribellò. Che stupido! Quell’individuo non era forse lì per salvarla, e lei non l’aveva aspettato con ansia? Aveva certamente immaginato che lei non aveva fatto altro che pregare di essere salvata, allora che senso aveva temere che si mettesse a gridare o a scappare, mettendo a rischio la possibilità di fuga?

    Era nauseata per essere trattata come una conquista, prima dagli sgherri di Mustafa, e adesso da quelli di suo padre. Era la principessa di Jemeya, dopo tutto. Come osava quell’uomo trattarla come un sacco di meloni acquistati al mercato?

    Cercò di divincolarsi approfittando di un suo attimo di disattenzione, ma senza successo. La presa ferrea si accentuò, le dita che premevano nella sua carne, bloccandole l’aria nei polmoni. Ansimò, le labbra socchiuse, e un dito s’inserì nella sua bocca.

    Lo shock si mutò in panico.

    Si sentì invasa, violata, per l’intimità di quell’atto. Così fece l’unica cosa che le era possibile. Morse il dito a sangue.

    Imprecando sottovoce, l’uomo fece un balzo all’indietro ma, pur mettendo al sicuro la mano, non allentò la stretta.

    «Stia ferma» sibilò, stringendola ancora di più al proprio corpo duro e massiccio, tanto che lei ebbe l’impressione che fosse una roccia. Una roccia solida, calda, con un cuore che batteva. Ancora una volta rifletté che quell’uomo non era un anonimo salvatore, non un mercenario inviato da suo padre, ma un uomo in carne e ossa, con un cuore che pulsava e una mano calda che la toccava in posti in cui la mano di un uomo non aveva il diritto di essere. Una mano che le causava uno strano calore all’apice delle gambe...

    Era contenta di averlo morsicato e si augurava di avergli fatto male. E gliel’avrebbe anche detto, se lui le avesse tolto quella dannata mano dalla bocca.

    E poi lo udì... una sorta di lamento provenire dall’esterno della tenda... e gelò quando i lembi si aprirono.

    Ahmed. Lo riconobbe nel momento in cui l’inconsapevole guardia fu gettata a terra da un secondo mercenario vestito anche lui in nero. Ahmed, che se l’era mangiata con gli occhi ogni volta che le aveva portato il pasto, ridendo di lei quando supplicava di essere ricondotta dal padre, dicendole con parole esplicite ciò che Mustafa intendeva farle una volta che fossero stati sposati.

    Gli occhi del mercenario indugiarono solo un attimo sull’uomo a terra, prima di fare un cenno di assenso all’individuo che aveva alle spalle. «Per adesso la via è libera, ma bisogna affrettarci. Ce ne sono altri.»

    «E Kadar?»

    «Sta preparando una delle sue sorprese.»

    E all’improvviso lei fu sospinta in avanti dallo sconosciuto salvatore verso lo squarcio nella tenda, i piedi che a stento sfioravano il tappeto. L’uomo esitò un istante, annusando l’aria, ascoltando con attenzione, prima di metterla a terra, mollando finalmente la presa.

    «Riesce a correre così come sa mordere?» le domandò, la voce bassa e roca mentre controllava la zona un’ultima volta.

    La luce di scherno nel suo sguardo la mandò su tutte le furie. Adesso si prendeva gioco di lei? Lo gelò con un’occhiata. «Mi riesce meglio mordere.»

    Anche nell’oscurità ebbe l’impressione che la sciarpa sulla sua bocca si muovesse un poco, prima che un grido squarciasse il silenzio.

    «Mi auguro che si sbagli» borbottò lui cupo trascinandola in una corsa affannosa, la mano che teneva la sua in una morsa d’acciaio, mentre il secondo uomo in nero proteggeva la loro fuga attraverso le dune, inseguiti da grida furiose.

    L’adrenalina le alimentava la forza nelle gambe, l’adrenalina e il confortante pensiero che, non appena fossero stati in salvo, avrebbe fatto in modo che quello sgherro di suo padre imparasse come ci si comporta con una principessa.

    Dal campo alle loro spalle provenne l’ordine di fermarsi, seguito da una raffica e dal sibilo delle pallottole, e subito lei dimenticò di essere in collera con il suo salvatore. Non l’avrebbero colpita, ragionò, non avrebbero osato ferire una principessa di Jemeya, con il rischio di innescare un incidente internazionale. Ma era buio, i suoi rapitori erano colti dal panico e lei non aveva nessuna intenzione di verificare la propria teoria.

    E neppure di obbedire all’ordine di fermarsi, anche se l’uomo al suo fianco avesse lasciato la presa. Per niente al mondo si sarebbe lasciata riprendere, quando le sporche minacce di Mustafa la facevano ancora rabbrividire di repulsione.

    Sposare un farabutto come Mustafa? Neanche pensarci. Era il ventunesimo secolo e nessuno poteva costringerla a un matrimonio non voluto.

    Così restò aggrappata alla mano del suo salvatore e si sforzò di correre sulla sabbia, inciampando nelle ciabattine.

    «Le tolga» ringhiò l’uomo, facendole ulteriore fretta quando si udì un’altra raffica. Lei obbedì e corse sulla sabbia a piedi nudi. Quando ebbero risalito la duna, i polmoni le scoppiavano, i muscoli le dolevano e aveva la bocca secca. Per quanto volesse correre per allontanarsi dagli uomini di Mustafa, sapeva di non avere una grande resistenza.

    Al di sopra del proprio respiro ansimante, sentì un sibilo trafiggere il cielo, e poi un altro, finché il cielo oscuro divenne una terrificante minaccia che si concluse con una serie di esplosioni di luce e colori. Le grida alle loro spalle si fecero più frenetiche e tutt’intorno si diffuse l’acre odore della polvere da sparo.

    «Cos’avete fatto?» domandò, provando un senso di nausea mentre il cielo sopra il campo ora brillava al bagliore delle tende che bruciavano. Fuggire era una cosa, ma lasciarsi alle spalle una scia di sangue, o peggio, era tutt’altro discorso.

    Lui alzò le spalle come se non avesse importanza e lei avrebbe voluto togliere la mano dalla sua e insultarlo per essere così insensibile.

    «Voleva essere salvata, principessa?»

    Poi lei si voltò e, nel bagliore delle fiamme, intravide una figura che li stava aspettando, e udì il nitrito dei cavalli che tratteneva. Quattro cavalli, uno per ciascuno di loro, notò. Non le importava di avere i piedi gelati e graffiati; era un piccolo contributo per mettere qualche distanza da quest’uomo.

    Un uomo che si prendeva gioco di lei e, frustrata, distolse lo sguardo cercando di vedere il lato positivo. Suo padre aveva mandato qualcuno a salvarla e presto l’avrebbe rivisto, e sarebbe stata nel proprio paese, dove la gente l’ascoltava, e dove gli uomini non le si avvicinavano con occhi luccicanti, sorrisi nascosti e mani che le trasmettevano una corrente elettrica sotto la pelle.

    Non vedeva l’ora.

    Stava già per afferrare le redini del cavallo più vicino, quando lui le bloccò il polso. «No, principessa.»

    «No? Allora, qual è il mio?»

    «Lei monta in sella con me.»

    «Ma ce ne sono quattro...»

    «E noi siamo in cinque.»

    «Ma...»

    E poi li scorse, altri due uomini, sempre vestiti di nero, che correvano verso di loro, quando lei se n’era aspettata uno soltanto.

    «Kadar!» esclamò il suo salvatore battendo sulla spalla a uno dei nuovi arrivati, mentre lei si chiedeva come potesse distinguerli vestiti e mascherati com’erano. «Temo che la principessa non abbia apprezzato molto i tuoi fuochi d’artificio.»

    Fuochi d’artificio?, pensò mentre l’uomo chiamato Kadar esibiva un certo disappunto. Erano solo fuochi d’artificio?

    «Mi scuso, principessa» disse con un inchino l’uomo chiamato Kadar. «La prossima volta farò meglio.»

    «Sono serviti allo scopo, Kadar. Ora andiamo. Rischiamo che si ricordino cosa stavano facendo prima che il cielo esplodesse.»

    Lei guardò con rimpianto il cavallo che aveva scelto, che ora aveva in sella l’uomo che li aveva aspettati tra le dune. Un uomo che, come gli altri, era alto e imponente.

    Mercenari, immaginò mentre montavano con agilità sui loro destrieri. Mercenari ingaggiati dal padre per salvarla. Forse aveva speso bene i suoi soldi, forse erano in gamba in quel mestiere, eppure non vedeva l’ora di allontanarsi da loro.

    Specialmente da quello che si era preso delle libertà con le mani e la lingua.

    «È pronta, principessa?» domandò, e lei prima di avere la possibilità di ringhiare una risposta, si ritrovò sollevata e messa in sella davanti a lui, stretta tra il suo corpo e le redini, per poi essere avvolta in un mantello che li ricopriva entrambi.

    «Le dispiace?» sibilò agitandosi per porre qualche distanza tra loro.

    «Per niente» rispose l’uomo, stringendo a sé il mantello, e di conseguenza lei, e spronando il cavallo. «La strada è lunga. Sarà più semplice

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