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Desiderio segreto: Harmony Destiny
Desiderio segreto: Harmony Destiny
Desiderio segreto: Harmony Destiny
E-book147 pagine2 ore

Desiderio segreto: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

I segreti più inconfessabili aiutano ad accendere la passione
Alaina: Forse non dovrei trasferirmi da lui. Potrebbe scoprire tutto.
D.J.: Non potevo dirle di no. I suoi occhi mi hanno stregato, ma nasconde qualcosa.
Alaina Perché D.J. non entra mai nei dettagli, quando parla del suo lavoro?
D.J.: E' strano che Alaina tenga tanto alle sue mani.
Alaina: Dovrei parlargli del mio dono, ma so che non mi guarderebbe più nello stesso modo.
D.J.: Avrei dovuto dirle tutto, ma ormai è troppo tardi.
Alaina e D.J. non sanno che quello che nascondono potrebbe cambiare i loro destini.
LinguaItaliano
Data di uscita12 ago 2019
ISBN9788830502413
Desiderio segreto: Harmony Destiny
Autore

Barbara Mccauley

Coltiva molti interessi, fra cui la scrittura. E proprio la passione che ha per i romanzi d'amore l'ha portata a diventare un'autrice di successo.

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    Anteprima del libro

    Desiderio segreto - Barbara Mccauley

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Blackhawk’s Bond

    Silhouette Desire

    © 2006 Barbara Joel

    Traduzione di Maria Latorre

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-241-3

    1

    Il lupo si muoveva avanti e indietro.

    I polsi legati, stesa sulla schiena per terra, lei lo guardava muoversi silenzioso sul tappeto di foglie che copriva il fondo della foresta. Il profumo della terra umida, fertile, riempiva l’aria immobile della notte. Il terrore le scivolò lungo la schiena e le si insinuò nel sangue. Aprì la bocca per chiamare aiuto, ma le parole si rifiutarono di uscire.

    Scappa!, le gridava la voce della ragione, così cercò di liberarsi dalle corde robuste che le tenevano le braccia sopra la testa. I suoi arti, però, pesanti come il piombo, non riuscivano a muoversi.

    I battiti del cuore accelerarono, guardò indietro, verso il lupo. I suoi occhi gialli scintillavano nel buio. La bestia si fermò e sollevò il muso, annusò l’aria. Emise un latrato profondo come la notte.

    Con indosso i vestiti di pelle da cerimonia, gli Anziani uscirono dal circolo di tenebre formato dagli alberi. I loro volti stanchi e scavati si spostarono verso il lupo e annuirono in cenno di approvazione. Un cerchio di fuoco avanzò all’improvviso, circondandola, e gli Anziani svanirono nelle fiamme. Lei li chiamò, li implorò di liberarla.

    L’unica risposta che ottenne fu un ululato sinistro.

    Con lo sguardo seguì il lupo – no, era un uomo adesso – uscire dalle fiamme. Le si arrestò il fiato in gola alla vista del suo corpo possente da guerriero, nudo, fatta eccezione per lo straccetto che gli copriva i fianchi. La luce delle fiamme gli illuminava i lunghi capelli neri, la pelle bronzea riluceva di sfumature dorate. Segni rossi e neri, simboli di guerra, gli segnavano il viso. Il fumo le ottenebrò la vista, il suono di tamburi lontani le rimbombò nella testa, facendole gelare il sangue.

    Il panico si impadronì di lei quando il guerriero si avvicinò, e ancora una volta cercò di strappare le corde che le legavano i polsi, ma invano. Lui si fermò a guardarla. I suoi occhi erano dello stesso colore del cielo.

    «Sottomettiti» le ingiunse.

    Lei scosse la testa.

    Il guerriero le si inginocchiò accanto. «Tu mi appartieni.»

    «Io non appartengo a nessun uomo.»

    Il sorriso di lui brillò attraverso il fumo mentre le faceva scivolare una mano sulla schiena, lungo le braccia. Aveva i palmi ruvidi, tanto che, a confronto, perfino le corde che la legavano le parvero di velluto.

    Rabbrividì al suo tocco.

    «Sottomettiti» ripeté lui.

    «No.» Trattenne il respiro quando il guerriero slacciò le bretelle della tunica bianca che indossava. Scostò il tessuto, denudandole il seno. Un lampo di calore le attraversò tutto il corpo, mentre lui le accarezzava lentamente il collo.

    Il respiro sempre più affannoso faceva sollevare e abbassare il suo petto in un ritmo frenetico. Era terrorizzata, ma c’era qualcos’altro... qualcosa che non riusciva a spiegare. E, quando lui le sfiorò il seno delicatamente con le mani, le fiamme si sollevarono ancora più alte, ancora più incandescenti. Il guerriero abbassò la testa, e lei sentì sul collo il calore del suo respiro...

    Respirando a fatica, il corpo scosso dai tremiti, Alaina Blackhawk balzò a sedere nel letto e, a occhi spalancati, scrutò nelle tenebre della sua stanza da letto, poi si portò una mano alla gola, dove ancora si sentiva battere il cuore.

    Un sogno, si disse. È stato solo un sogno.

    Eppure le era parso così reale, così terribilmente reale. Le sembrava quasi di sentire ancora l’odore della terra bagnata, quello pungente del fumo. Avvertiva ancora il morso doloroso delle corde ai polsi, la callosità delle mani che le accarezzavano le braccia.

    Tutto il suo corpo fremeva di un desiderio non appagato.

    Si strinse alle coperte in attesa che il battito impazzito del suo cuore rallentasse, che i brividi si placassero.

    Tenui raggi di luna filtravano dalla finestra, illuminando gli angoli bui. Alaina trasse un profondo respiro, poi si passò le mani tremanti tra i capelli.

    Un profondo senso di terrore continuava ad aleggiare su di lei come un gigantesco uccello predatore, le ali tese, pronto a calare in picchiata sulla sua vittima. Per un attimo le parve addirittura di sentire sulla pelle la brezza delle sue ali, poi sollevò lo sguardo e si rese conto che erano soltanto le pale del ventilatore sospeso al soffitto.

    Una risata amara le salì alle labbra mentre si stendeva e si tirava le lenzuola fino al mento. Era stupido avere paura di un sogno. Tutt’al più, se lo sarebbe dovuto godere, nonostante quelle sciocchezze del Sottomettiti.

    L’unica cosa a cui intendeva sottomettersi, si disse risoluta, erano ancora poche ore di sonno.

    Eppure, anche mentre chiudeva gli occhi e si abbandonava al riposo, le parve di sentire il rullo distante dei tamburi e l’ululato solitario di un lupo...

    Nessuno degnò di uno sguardo il polveroso pick-up nero che lasciò la statale 96 per dirigersi verso est. In fondo, quello era il Texas, dove i pick-up erano tanto comuni quanto l’aria che si respira. Quando il pick-up attraversò il piccolo paese di Stone Ridge, gli abitanti si limitarono a fare un cenno di saluto, così come avrebbero fatto con qualsiasi altro passante.

    Eppure l’autista di quell’autovettura non era una persona qualunque. Era D.J. Bradshaw. Quel D.J. Bradshaw. E, se la gente del posto lo avesse immaginato, sarebbero state numerose le bocche a spalancarsi per lo stupore.

    Non succedeva tutti i giorni che il proprietario del ranch più esclusivo - per non dire il più ricco - mostrasse il suo volto in pubblico.

    E che volto!

    D.J. Bradshaw era l’incarnazione dell’uomo rude. Mani grandi e potenti, alto più di un metro e novanta. Si diceva in giro che fosse nato per lavorare la terra che aveva ereditato dal padre. Questi, più o meno, erano i commenti degli uomini. Le donne, invece, pensavano che quelle mani forti e quel corpo muscoloso fossero stati concepiti per qualcosa di molto più privato.

    E più interessante.

    E poi c’erano quei folti capelli corvini, gli occhi blu cobalto, il mento volitivo e la pelle abbronzata. Bastava uno sguardo a D.J. Bradshaw, e ogni donna - da quella più raffinata alla più timida - sarebbe stata pronta a infilarsi un cappello da cowboy e fare una cavalcata con lui.

    Le poche fortunate che avevano raggiunto lo scopo, sorridevano ancora quando sentivano fare il suo nome.

    Una volta uscito dal paese, D.J. infilò un CD di Bob Seger nel lettore, selezionò il brano Against the wind, quindi spinse il piede a tavoletta sull’acceleratore e a tutta velocità tagliò in due l’asfalto quasi liquefatto in quella rovente giornata d’agosto.

    Stava ascoltando ancora Bob Seger quando sul ciglio della strada adocchiò il cartello che segnalava venti miglia al confine con la Louisiana. D.J. rallentò, poi abbandonò la strada principale per imboccare il viale lungo più di tre chilometri che conduceva allo Stone Ridge Ranch. Dei cespugli gialli di erba di San Giacomo facevano capolino nei campi verdeggianti, in netto contrasto con il panorama di canyon rocciosi che aveva abbandonato soltanto sei ore prima.

    D.J. passò attraverso un alto cancello di ferro, sulla cui sommità campeggiavano le iniziali SRR, guardò il bestiame e i cavalli che pascolavano sotto i pini, poi affrontò la curva erbosa che conduceva al ponte sopra il ruscello.

    Finalmente arrivò in vista delle stalle e parcheggiò davanti all’ingresso. Qualche settimana prima aveva letto una relazione completa sulle stalle di Stone Ridge. Cinquemila acri di terra da pascolo e da legname di prima qualità. Quattro mandriani, un capo mandriano, una governante, un buon numero di capi di bestiame e una stalla piena di cavalli di razza. Anche se il ranch apparteneva ufficialmente a Helena Blackhawk, di fatto erano suo figlio Trey e sua figlia Alaina a mandarlo avanti. Helena aveva altre due figlie: Alexis, che viveva a New York e Kiera, la più giovane, una cuoca di successo che abitava a Wolf River.

    A D.J. piaceva conoscere la gente con cui intendeva condurre affari.

    Per questo aveva anche studiato attentamente il libro contabile delle stalle di Stone Ridge, i conti correnti, l’elenco degli acquirenti degli ultimi cinque anni. Erano tutte informazioni di cui necessitava per fare ai Blackhawk l’offerta migliore per acquistare il ranch.

    Scese dal pick-up, scorse in lontananza la casa, un interminabile colonnato bianco al quale si aggrappavano sarmenti di caprifoglio. Antistante la casa, un immenso prato verde; sul lato occidentale, un boschetto di pioppi e un giardino fiorito.

    Il profumo del caprifoglio gli giunse alle narici, portato dalla brezzolina umida di quella giornata caldissima. Alcuni uomini addestravano un cavallo in un corral non molto distante, chiacchierando amabilmente. D.J. guardò l’ora, poi spostò lo sguardo sui nuvoloni scuri che si ammassavano all’orizzonte. Sperava di essere di nuovo per strada prima che sopraggiungesse il temporale.

    Si avviò verso la casa, si fermò al suono di una voce femminile, una donna che cantava all’interno delle stalle. Non riusciva a distinguere le parole, ma la melodia era dolce e delicata, oltre che vagamente familiare. Quella musica lo attrasse all’interno, e lo condusse verso l’ultimo box a sinistra, la cui porta era aperta.

    Alta e snella, la donna gli rivolgeva le spalle, tutta presa a spazzolare il collo muscoloso di uno stallone nero. Portava i lunghi capelli castani raccolti in una folta coda di cavallo. Aveva gambe lunghissime, stivali consumati, e una bandana rossa fuoriusciva dalla tasca posteriore dei suoi jeans sbiaditi.

    Blue Bayou, pensò lui, riconoscendo la canzone.

    Avrebbe dovuto dire qualcosa, almeno tossicchiare o sfregare i piedi per terra affinché la donna si accorgesse della sua presenza. Però era ancora incuriosito - per non dire affascinato - da quella voce e dalla lenta carezza delle dita delicate di lei sul manto lucido dell’animale. E anche il cavallo sembrava sedotto da quella voce e dalla gentilezza del suo tocco, a giudicare dalla perfetta immobilità e dalla calma con cui si lasciava strigliare.

    Quando la donna si allontanò dall’animale per prendere una coperta appesa alla parete, D.J. si concesse un ultimo istante per apprezzare le sue curve, poi si schiarì la voce con un colpo di tosse e mosse un passo in avanti.

    Grosso errore.

    Spaventato, lo stallone caricò verso la porta spalancata del box. D.J. afferrò le redini, ma non abbastanza in fretta da evitare che la bestia gli colpisse il braccio con uno zoccolo.

    «Ehi!» esclamò quando il cavallo si impennò.

    Le narici ansanti, gli occhi neri spalancati, il cavallo ricadde sugli zoccoli anteriori, poi sollevò la testa con

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