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Un brivido nel vento (eLit): eLit
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Un brivido nel vento (eLit): eLit
E-book411 pagine5 ore

Un brivido nel vento (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Quanti segreti può nascondere una piantagione del Sud? Tanti, come scopre presto Anne Whitaker, che, per permettere al marito Buck di chiarirsi le idee sul loro rapporto, torna sul delta del Mississippi cercando di distrarsi. Quello che è iniziato come un'innocente ricerca sulla storia di Belle Pointe si trasforma però in una faccenda più grande di Anne, che rischia addirittura di rimanere intrappolata in un incendio doloso. Ma chi ha interesse a far sì che le sue ricerche non vadano avanti?

LinguaItaliano
Data di uscita30 ott 2015
ISBN9788858937662
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    Anteprima del libro

    Un brivido nel vento (eLit) - Karen Young

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Belle Pointe

    Mira Books

    © 2006 Karen Stone

    Traduzione di Alessandra De Angelis

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-766-2

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Come accadeva sempre a simili manifestazioni, la sala era strapiena fino all’inverosimile. Anne Whitaker si guardò intorno e calcolò che c’erano più di trecento persone, il che significava che l’obiettivo degli organizzatori era stato raggiunto e superato.

    Era sbalordita dal fatto che gli intervenuti fossero ben lieti di pagare cinquecento dollari a coperto solo perché alla serata avrebbe partecipato una vera celebrità, il lanciatore della squadra di baseball dei St. Louis Jacks, che, per inciso, era anche suo marito.

    Il nome di Buck era un’attrattiva notevole, per cui lui era sempre molto richiesto. Non solo aveva un talento naturale come oratore ed era disinvolto davanti al pubblico, ma era anche spiritoso di natura. Soprattutto, però, era apprezzato perché era sinceramente modesto e non si dava arie solo perché era un campione.

    La moglie di un alto funzionario della commissione sportiva, seduta alla sinistra di Anne, fece un commento e lei rispose con un vago mormorio di approvazione e un sorriso garbato. Tra il frastuono della musica dell’orchestra e il forte brusio delle chiacchiere dei commensali, era impossibile avere un serio scambio di opinioni. Comunque, distratta com’era, Anne non sarebbe stata in grado di sostenere una vera conversazione.

    Era alla decima settimana di gravidanza e si sentiva malissimo. Non era la classica nausea che di solito si avvertiva nei primi tre mesi, ma un malessere diverso che la riempiva di terrore. All’ora dell’aperitivo era andata al bagno ben quattro volte, temendo il peggio, ma per fortuna si era sempre trattato di un falso allarme. La cosa che più desiderava in quel momento era tornare a casa, pur sapendo che non era possibile. Avrebbe dovuto pazientare per almeno un’altra ora buona.

    Alzò lo sguardo e si accorse che Gene Winston, l’agente di Buck, la stava fissando. Si sforzò di sorridergli con naturalezza, ben sapendo che Gene era irritato dalla sua aria assente. Anche se gli avesse rivelato il vero motivo della sua momentanea distrazione, non gli avrebbe fatto alcun effetto. L’unica cosa che interessasse a Gene era l’immagine pubblica di Buck. Anne era consapevole del suo ruolo durante le occasioni mondane come quella e di solito si comportava di conseguenza per essere all’altezza del suo celebre consorte.

    Buck si accorse che c’era qualcosa che non andava e fece cadere a terra il tovagliolo, chinandosi verso di lei con il pretesto di raccoglierlo. Mentre si piegava, le sussurrò all’orecchio: «Ti senti bene, tesoro?».

    «Sì, sono solo un po’ stanca» rispose Anne, pregando che ciò che temeva non dovesse verificarsi.

    «Dai, resisti, non manca molto» le fece coraggio lui, stringendole la mano prima di tornare a rivolgere la sua attenzione alla persona con cui stava parlando.

    Anne avrebbe voluto abbracciarlo e posargli la testa sulla spalla per farsi consolare, ma sapeva che non era assolutamente possibile. Anche se non si sentiva affatto bene, non poteva farci niente. Di lì a poco il presentatore avrebbe dato la parola a Buck.

    Anne si scostò per permettere al cameriere di riempirle il bicchiere dell’acqua e intercettò lo sguardo preoccupato di Marcie Frederick. Marcie, moglie di Monk Frederick, uno dei dirigenti della squadra, aveva già notato che Anne aveva rifiutato il vino, contrariamente al solito. Pur non essendo una forte bevitrice, Anne non disdegnava un buon vino durante le cene formali. Però Marcie non sapeva della gravidanza, nonostante fosse un’amica. Nessuno ne era a conoscenza... neanche Buck.

    Era proprio questo il motivo dell’agitazione di Anne. Il suo dolce maritino non sapeva che sarebbe diventato papà. Avrebbe dovuto dirglielo, e presto, forse anche quella sera stessa.

    Probabilmente avrebbe accolto la notizia con sorpresa, ma Anne sperava che sarebbe stato contento, una volta passato lo sconcerto iniziale. Buck sapeva che da anni sua moglie desiderava avere un figlio e forse, con il tempo, l’avrebbe perdonata per quella gravidanza e per il piccolo stratagemma che lei aveva adottato per riuscire finalmente a diventare madre.

    Un cameriere si avvicinò per togliere il piattino con il dolce ancora intatto e, subito dopo, un altro servì il caffè. Anne aveva sollevato una mano per rifiutare quando avvertì un’improvvisa e violentissima fitta al basso ventre. Trasalì, non riuscendo a trattenere un gemito soffocato, ma nel salone affollato non se ne accorse nessuno tranne Marcie.

    Anne restò immobile, impietrita, per un istante ma un attimo dopo fu colta da un’altra fitta.

    Si alzò in piedi, malferma sulle gambe, e mormorò qualche vaga parola di scuse ai commensali. Buck la guardò perplesso, non riuscendo a comprendere il motivo per cui dovesse assentarsi tanto spesso, visto che era andata al bagno appena un quarto d’ora prima. Però Anne era tanto agitata e ansiosa di controllare le sue condizioni che non si preoccupò di dare una spiegazione al marito.

    Rivolse un sorriso stentato al cameriere che incrociò all’ingresso della sala e che le tenne aperta la porta con un gesto cortese, poi sgattaiolò verso il bagno, affrettandosi lungo il corridoio. Per fortuna il bagno delle signore era vuoto. Con il cuore in gola, piena di timore, Anne entrò nel primo cubicolo pregando di non trovare sangue quando avesse controllato.

    Invece il sangue c’era. Non era molto, ma le macchioline erano inequivocabili. Chiuse gli occhi e trattenne un grido di protesta. Avrebbe voluto mettersi a urlare, strepitare, battere i piedi e dare pugni alla porta, negare l’evidenza, ma si impose la calma. Non era il caso di abbandonarsi a un panico inconsulto. Le perdite non erano tanto copiose da rendere tragica la situazione e richiedere un ricovero immediato, ma avrebbe comunque dovuto scusarsi con Buck e andarsene alla svelta.

    Il suo medico curante le aveva detto chiaramente che avrebbe dovuto mettersi immediatamente a riposo se avesse notato delle perdite. Le sue istruzioni erano state precise: stendersi subito a letto, restare immobile e riposare il più possibile.

    Pensò con ansia al discorso che avrebbe dovuto tenere Buck. Non poteva fare altrimenti; avrebbe dovuto scusarsi, dare una spiegazione qualsiasi e rinunciare al suo intervento. Non poteva fare altrimenti; era in gioco la vita del loro bambino. Sperò solo che non fosse già ora del discorso e che Buck non fosse già sul podio, altrimenti avrebbe dovuto chiedere a un cameriere di dargli un biglietto per trasmettergli il messaggio e avvertirlo dell’emergenza.

    Uscita dal bagno, si diresse verso il salone e vide con sollievo che Buck non stava ancora parlando. Tuttavia non mancava molto prima che venisse presentato al pubblico. Rimase vicino all’ingresso e fermò un cameriere di passaggio, per chiedergli di avvisare subito Buck Whitaker che c’era un’emergenza e avrebbe dovuto raggiungerla immediatamente.

    Seminascosta in un angolo dietro la porta, seguì con lo sguardo il ragazzo che si recava verso il loro tavolo, si chinava e bisbigliava qualcosa all’orecchio di suo marito. Buck reagì con assoluto autocontrollo. Era bravo a tenere a bada le emozioni, essendo abituato a mantenere i nervi saldi anche quando era sotto pressione. Un campione come lui non si lasciava mai prendere dal panico.

    Invece Anne era un fascio di nervi e tremava come una foglia mentre lo aspettava. Con il cuore stretto da una morsa di terrore e il ventre contratto da fitte dolorose e abbastanza frequenti, fece un respiro profondo.

    I crampi erano irregolari ma Anne non desiderava altro che andarsene di corsa. Sicuramente la defezione improvvisa di Buck avrebbe causato scompiglio; qualcuno si sarebbe arrabbiato con lei perché, per colpa sua, l’ospite d’onore non avrebbe fatto il discorso che tutti aspettavano da quando era cominciata la cena. Le dispiaceva tanto rovinare la serata ai presenti ma non poteva fare altrimenti. Rischiava di perdere il bambino!, pensò con terrore.

    Sbirciando dalla fessura della porta, vide Buck che si stava finalmente dirigendo verso l’uscita. Appena la raggiunse, lei aprì la bocca per dirgli il motivo per cui l’aveva chiamato con tanta urgenza, ma lui la zittì fulminandola con lo sguardo. Prendendola per un braccio, attraversò l’atrio coperto da una morbida moquette rossa e la guidò verso una rientranza dell’ambiente, una nicchia arredata con un tavolino e due poltroncine. Prima di permetterle di parlare, si guardò nuovamente intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi.

    Alla fine le si mise di fronte e l’apostrofò seccamente: «Allora che succede di tanto grave?».

    Per quanto si sforzasse, Anne non riuscì a trattenere il tremore che le trapelava dalla voce. «Buck, dobbiamo andare subito a casa» gli annunciò.

    «Ma che dici? Non possiamo!» si inalberò lui. «Devo fare il mio discorso tra cinque minuti.»

    «Lo so, lo so...» sospirò Anne. «Ma credimi, non possiamo proprio restare. Dobbiamo andarcene subito.»

    «Ma perché? Si può sapere che ti prende?»

    Anne chiuse gli occhi per un istante, per radunare le forze. «Mi dispiace tanto, non avrei voluto dirtelo in questo modo, ma ho delle perdite di sangue.»

    «Sangue? Ma come...» annaspò lui, turbato.

    «Sono incinta, Buck.»

    Lui fece un sorriso tirato. «Stai scherzando?»

    «No!» esclamò Anne, agitata. «Dico sul serio, Buck, aspetto un bambino. Però ho delle fitte e ora ho visto che ho anche delle perdite.»

    Lui ebbe un moto d’irritazione e si girò, poi tornò a guardarla. «Com’è possibile che aspetti un bambino?»

    Anne girò una mano con impazienza. «Non è questo il momento di parlarne. Ho bisogno di andare subito a casa e stendermi. Devo mettermi immediatamente a riposo o rischio di perderlo.»

    Buck si strofinò il collo, cercando di dare un senso a quello che sua moglie gli stava dicendo. «Credevo che la pillola fosse un metodo anticoncezionale sicuro» obiettò.

    «Mi hai sentito?» esclamò lei, isterica. «Ho delle perdite! C’è qualcosa che non va. Il sangue è un segno inequivocabile che non può essere ignorato.»

    «Scusa, ma cerca di capirmi. Mi hai proprio preso alla sprovvista» si difese lui, incerto, voltandosi a lanciare uno sguardo indeciso alla porta del salone dove lo aspettavano più di trecento ospiti. «Vuoi dire che sicuramente c’è qualche problema?»

    «Non ne sono sicura, ma non ho intenzione di correre questo rischio. E tu?» lo sfidò, pur rendendosi conto che lei aveva avuto molto più tempo per abituarsi all’idea della gravidanza, mentre Buck aveva avuto pochi minuti e aveva tutto il diritto di dimostrarsi sconvolto. Tuttavia, trovandosi in una condizione di reale emergenza, non poteva concedersi il lusso di rispettare i suoi sentimenti e aspettare che digerisse la notizia. «Scusami, ma dobbiamo tornare subito a casa» insistette con fermezza.

    «Come ti viene in mente di chiedermi una cosa del genere?» protestò lui. «Non possiamo! Sono l’ospite d’onore. Non posso prendere e andarmene sui due piedi prima di aver fatto il discorso. Questa gente ha pagato fior di quattrini per partecipare alla serata.»

    «Che m’interessa dei soldi?» esclamò Anne. «Il bambino è più importante.» Si premette per qualche istante la mano sulla bocca, tentando di calmarsi, poi aggiunse: «A te non importa?».

    «Guarda che sto ancora cercando di abituarmi all’idea che tu sia incinta» la redarguì lui. «L’unica cosa che so con sicurezza in questo momento è che ho un obbligo nei confronti delle trecento persone che mi stanno aspettando di là» aggiunse con enfasi, puntando il dito verso la porta del salone.

    Anne si sentì morire. Suo marito si sentiva più in obbligo nei confronti di un gruppo di estranei che nei confronti di sua moglie e del figlio che lei recava in grembo, e questo per lei era inconcepibile.

    Niente e nessuno al mondo era più importante per lei del rischio che correva il suo bambino. Anzi, era sicura che, se Buck avesse spiegato agli invitati la natura dell’emergenza che lo costringeva ad annullare il suo intervento e ad abbandonare la festa, tutti sarebbero stati più che comprensivi nei suoi confronti.

    Tuttavia l’espressione di Buck non le dava adito ad alcuna speranza che lui potesse prendere la parola e scusarsi con gli ospiti, dicendo che sua moglie aspettava un bambino e rischiava di perderlo, per cui lui avrebbe dovuto portarla immediatamente a casa.

    Anne sapeva che non l’avrebbe mai fatto; il suo agente sarebbe andato su tutte le furie e i dirigenti della squadra sarebbero stati altrettanto contrariati.

    «Sii ragionevole, Anne!» la implorò lui, guardando l’orologio. «È troppo tardi per andare via ora.»

    «Mi dispiace tantissimo, ma non voglio rischiare di perdere il bambino» replicò lei con fermezza.

    «Cristo santo, Anne, ti rendi conto in che posizione mi metti?» sbottò lui.

    Per qualche secondo la guardò in silenzio, riflettendo sul da farsi. Anne sapeva che era combattuto, sulle spine, ma dalla sua espressione non trapelava assolutamente alcun segno del suo turbamento. Ovviamente la notizia improvvisa della sua futura paternità l’aveva sorpreso, ma Buck era così condizionato dalla necessità continua di tenere nascosti i propri sentimenti da assumere una maschera impenetrabile, che non rivelava i suoi pensieri.

    «Puoi resistere per un’altra mezz’ora, quaranta minuti al massimo?» riprese Buck. «Così avrò fatto il discorso e sarò libero da qualsiasi impegno.»

    «Oh, Buck!» sospirò Anne, visibilmente angosciata, dato che non aveva la sua stessa bravura a nascondere le emozioni. «Mi rendo conto che ti sto mettendo in imbarazzo, ma sono sicura che gli organizzatori capiranno quando dirai che è un’emergenza.»

    «Ma lo è veramente?» obiettò Buck. «Hai detto tu stessa di non esserne sicura. Non riesco a capire quanto sia grave la situazione» aggiunse, perplesso. «Non è che devo portarti subito in ospedale?»

    «Non so se si tratta di un problema serio o no» replicò Anne, delusa dalla mancanza di comprensione da parte del marito e dalla sua freddezza distaccata. «So solo che il mio ginecologo mi ha raccomandato di mettermi immediatamente a letto se avessi notato delle perdite.»

    «Certo, è quello che farai, ma non credo che un’ora in più o in meno faccia differenza» dichiarò lui, prendendola per mano e avviandosi verso la sala. «Taglierò il discorso per sbrigarmi.»

    Anne sospirò di nuovo mentre lo seguiva, stringendosi a lui quasi per farsi coraggio. «Presumo che mezz’ora in più o in meno non cambi niente, in fondo» cedette, rassegnandosi.

    «Vai subito a sederti e non muoverti finché non avrò finito il discorso» le raccomandò Buck, passandole un braccio intorno alle spalle per rassicurarla. «Non può succederti niente se resterai seduta tutto il tempo. Forza, bella, andiamo a fare il nostro dovere» la incitò, dandole un rapido bacio prima di entrare nel salone.

    2

    Furono i quaranta minuti più lunghi della vita di Anne. Mentre aspettava che Buck facesse le sue scuse agli organizzatori, dopo essere sceso dal podio al termine del discorso, era andata di nuovo al bagno e aveva trovato altre macchioline di sangue fresco. Nonostante le perdite fossero ancora minime, Anne aveva comunque molta paura. Non vedeva l’ora di andarsene, era fremente e disperata.

    Quando Buck incrociò il suo sguardo dall’altra parte del salone, sicuramente si rese conto che sua moglie era al limite della sopportazione, perché salutò il suo agente, Gene Winston, e si avviò verso di lei.

    Anne notò la sua abilità nell’evitare di essere trattenuto da tutti quelli che lo salutavano mentre attraversava il salone e cercavano di attaccare discorso con lui. Alla fine Buck la raggiunse, le scoccò il suo famoso sorriso affascinante, le passò un braccio intorno alla vita e la portò via, ponendo fine al suo supplizio.

    «Come ti senti?» le chiese dopo essere salito in macchina, mentre metteva in moto e partiva.

    «Ho un vago malessere e qualche fitta. Non vedo l’ora di essere a casa» sospirò Anne.

    «Perché non abbassi un po’ lo schienale, così stai più comoda?» le suggerì Buck, premuroso.

    Lei annuì e reclinò il sedile fino a tre quarti. Buck accelerò, imboccando la svolta per la statale. Una volta che si fu immesso sulla corsia, diede gas e spinse la Porsche oltre il limite di velocità. Aveva il piede pesante e gli piaceva parecchio correre in macchina, specialmente per sfogarsi quando era turbato o arrabbiato.

    «Quello che non capisco è come tu abbia fatto a rimanere incinta» brontolò a un certo punto. «Hai dimenticato di prendere la pillola?»

    «No, non si tratta di questo» replicò lei.

    Buck avvertì una nota strana nella sua voce e decise di sondare più a fondo il problema. «E allora com’è successo?»

    Anne avrebbe voluto aspettare di arrivare a casa prima di affrontare l’argomento, ma forse era meglio così, si disse, almeno avrebbe chiarito subito la questione una volta per tutte.

    «Questa gravidanza non è uno sbaglio, un incidente di percorso» rivelò in tono calmo, sommesso. «Ho smesso di prendere la pillola.»

    Piena di sensi di colpa, Anne gli lanciò un’occhiata e notò che, nella penombra dell’abitacolo, Buck si era incupito in viso. «Hai smesso? Così di colpo?»

    «Non è stata una decisione presa sui due piedi» rispose Anne, posando una mano sul ventre in un gesto protettivo. «Non l’ho fatto per un capriccio improvviso, ci ho pensato molto.»

    «Però non ti è passato per la mente di consultarmi al riguardo» l’accusò Buck con sarcasmo.

    «Non vado fiera del sotterfugio che ho usato per rimanere incinta, te l’assicuro. Anzi, per quel che può valere, ti chiedo scusa. Però abbiamo parlato un milione di volte di avere figli e tu avevi sempre una scusa per rimandare. Sapevo già che, se te l’avessi detto, mi avresti risposto che non era ancora il momento e che avrei dovuto pazientare» si giustificò. «Ho trentaquattro anni e più aspettiamo, più mi sarà difficile concepire un figlio e portare a termine la gravidanza.»

    «Credevo che fossimo d’accordo ad aspettare ancora, prima di avere figli» protestò lui.

    «Per quanti anni? Altri quattro o cinque? Otto? Dieci?» lo incalzò Anne, esasperata e delusa. Aveva sperato in una reazione più positiva e gioiosa da parte del marito, ma in lui non vedeva neanche l’ombra della soddisfazione e dell’emozione che avrebbe dovuto provare alla notizia della gravidanza. «Aspettare era una tua idea, non mia. Io ho solo subito la tua decisione» precisò.

    «Per cui hai finito per decidere di ignorare i miei desideri e andare avanti per la tua strada, seguendo il tuo progetto di maternità senza neppure prenderti la briga di consultarmi» l’accusò lui.

    Anne si voltò verso il finestrino. Nonostante avesse il sedile abbassato oltre la metà, poteva vedere il paesaggio scuro filare al bordo della strada. Ormai erano in aperta campagna ed erano circondati dal buio da ogni lato. «Se vuoi metterla così...» mormorò, mortificata.

    «Non vedo altro modo in cui descrivere la situazione» replicò Buck, teso, stringendo forte il volante. «Se avvertivi questa esigenza, avremmo dovuto parlarne e prendere una decisione insieme. Avere un figlio non è come prendere un cucciolo al canile e portarlo a casa. L’arrivo di un bambino cambia drasticamente la vita di una coppia, non lo sai?»

    «Sarebbe tanto tremendo cambiare vita?» obiettò Anne.

    Lui si voltò verso di lei per un istante e le diede una rapida occhiata carica di perplessità. «Vuoi dire che ti mancava qualcosa?»

    Anne non disse nulla.

    «Ah, bene, se non rispondi significa che non eri soddisfatta del nostro matrimonio» insistette Buck. «E credi davvero che avere un figlio risolva tutto? Non pensi che sia un’idea ingenua?»

    «Forse tu la vedi così, ma per me non è un espediente superficiale» protestò lei, reggendosi alla maniglia della portiera mentre Buck scalava di marcia e pigiava sull’acceleratore per sorpassare un grosso camion con rimorchio, invadendo la corsia opposta. Da come guidava, non aveva dubbi sul fatto che fosse arrabbiato. «Dovresti rallentare» lo ammonì.

    Buck obbedì e sollevò impercettibilmente il piede dall’acceleratore per non più di un paio di secondi. «Non mi ero reso conto che fossi tanto infelice con me» disse sottovoce.

    Anne rifletté prima di replicare, cercando di analizzare la vera natura dei suoi sentimenti. Perché aveva deciso di avere una gravidanza senza dirglielo? Come si sentiva? Cosa l’aveva spinta a ingannare suo marito rendendolo padre a sua insaputa? Forse era annoiata e non si sentiva realizzata nelle vesti di moglie di Buck Whitaker. Quando si erano conosciuti, lei aveva un lavoro interessante; era una famosa giornalista televisiva e aveva davanti a sé una promettente carriera.

    Aveva chiesto di poter intervistare Buck quando aveva scoperto, dalle ricerche fatte, che era originario di Tallulah, una cittadina del Mississippi. Il padre di Anne, che era anche lui giornalista, aveva trascorso un’estate proprio a Tallulah per girare un documentario con la sua troupe di Boston, durante il periodo delle lotte per i diritti civili. Quell’esperienza l’aveva influenzato profondamente, tanto che, tempo dopo, ne aveva tratto un libro. Anne era cresciuta ascoltando i suoi racconti dei mesi passati a Tallulah e per questo motivo era contenta di poter fare la conoscenza di una persona originaria proprio di quel paese, oltretutto una celebrità come Buck Whitaker.

    Quando l’aveva visto era rimasta abbagliata dalla sua personalità carismatica ed era diventata sua moglie ad appena sei mesi dal loro primo incontro. Probabilmente chiunque avesse visto la sua situazione dall’esterno avrebbe pensato che Anne aveva tutto e non avrebbe potuto desiderare più nulla dalla vita: era la moglie di un campione di baseball ricco e famoso, ma anche generoso e affettuoso. Per il compleanno e l’anniversario di matrimonio la ricopriva di doni, era estroverso e socievole e la portava sempre con sé nei suoi innumerevoli impegni.

    I coniugi Whitaker avevano un’intensa vita mondana e, quando terminava il campionato, facevano sempre bellissimi viaggi verso destinazioni esotiche.

    Essendo una superstar, Buck aveva un contratto da nababbo con la squadra per cui giocava come lanciatore e aveva acquistato una stupenda villa a St. Louis, oltre a due appartamenti per le vacanze, uno a Vail nel Colorado e uno a Palm Beach, per poter avere una base per andare al mare o in montagna quando ne avessero avuto voglia.

    Tuttavia, recentemente, Anne si era chiesta sempre più spesso se lei non fosse altro che uno degli oggetti di lusso che Buck possedeva, una moglie decorativa che non sfigurava nelle foto al braccio del campione.

    Riflettendo, si era convinta che avere un figlio avrebbe dato maggiore stabilità al loro rapporto e portato un senso di misura al loro frenetico stile di vita di eterni vacanzieri senza problemi economici. Per Anne, la presenza dei bambini serviva a fornire una base solida a un matrimonio.

    Nel tentativo di fargli capire il suo punto di vista, gli spiegò in tono calmo: «Ho l’impressione di vivere in un acquario con te. Tu posi per i tuoi fan, io recito la parte della mogliettina adorante del campione, sempre dolce e sorridente anche quando non ho voglia di sorridere. Ammetto che in questo modo di vivere, così superficiale, non mi sento molto realizzata. La nostra esistenza è un susseguirsi di feste, cene, viaggi, servizi fotografici e interviste, intervallati da spese folli. Forse sarò cresciuta, ma mi sento più matura e ho la sensazione di essere circondata dal vuoto, di passare il mio tempo impegnata in occupazioni frivole, irrilevanti».

    «Non ti ho sentito lamentarti quando ho firmato l’ultimo contratto, però» obiettò Buck. «Anzi, la cifra con molti zeri che ho strappato alla società è servita a soddisfare parecchi capricci della mia cara mogliettina. Non mi pare che tu abbia protestato quando ti ho regalato lo spiderino della Mercedes per il tuo compleanno e non avevi un’espressione addolorata quando abbiamo acquistato la casa a Vail pagandola in contanti» precisò seccamente, tornando a premere il piede sull’acceleratore.

    «Non ho mai negato di apprezzare gli agi e le comodità che ci possiamo permettere grazie alla tua carriera» dichiarò Anne in tono pacato ma fermo. «Chi mai rifiuterebbe di vivere nel lusso? Però quello che vorrei farti capire è che sono solo cose. Non possono prendere il posto di un bambino, almeno per me non sostituiscono le gioie della maternità. Voglio una vera famiglia.»

    «Cos’è una vera famiglia per te?» replicò Buck con aria di sfida. «Per esperienza ti dico che non basta avere una famiglia per essere felici. Prendi la mia, per esempio. A me sembra una gabbia di matti. Io e te non abbiamo bisogno di un figlio per stare bene, la nostra vera famiglia siamo noi due.»

    «So che non hai un buon rapporto con i tuoi, ma questo non significa che tu non possa essere un buon padre. Avresti modo di rimediare agli errori fatti dai tuoi genitori comportandoti in modo diverso con un figlio tuo.»

    Buck fece una breve risata carica di amarezza. «Per rimediare agli errori fatti dai miei non mi basterebbe una vita di tentativi!»

    «Pensaci, Buck» insistette Anne, imperterrita. «Pensa a tutte le cose belle che fai per gli adolescenti, i disabili, gli orfani... Pensa a quando fai conferenze nelle scuole dei quartieri a rischio per parlare del rapporto tra sport e giovani, per metterli in guardia contro la droga, per far capire loro l’importanza dell’istruzione... Sei così impegnato a livello sociale e ti sta tanto a cuore il mondo dei ragazzi che non puoi non essere un buon padre» disse lei con enfasi, cercando di convincerlo.

    «Tutto quello che faccio è perché il mio agente prende accordi con le organizzazioni e mi dice dove devo andare» brontolò Buck.

    Anne scosse la testa. Buck si buttava via, minimizzando l’importanza del suo impegno e della sua sensibilità. Essendo una figlia unica adottata, Anne aveva passato un’infanzia solitaria. Nonostante i suoi genitori adottivi fossero molto affettuosi, aveva sempre sentito la mancanza di una famiglia numerosa, con fratelli e sorelle.

    Buck, invece, aveva delle origini molto diverse. Proveniva da una tipica famiglia di proprietari terrieri del Sud, i cui antenati avevano delle vaste piantagioni sul delta del Mississippi, mentre Anne veniva da una normale famiglia borghese del New England.

    Era sempre stata attratta da Belle Pointe, la tenuta dei Whitaker, che trasudava storia, tradizioni e fascino d’altri tempi. Non riusciva a capire perché Buck non volesse trasmettere a un figlio il suo patrimonio di ricordi, tramandargli un’eredità familiare di una certa rilevanza, che affondava le sue radici molto indietro nel tempo.

    «Di quante settimane sei?» le chiese Buck di punto in bianco.

    «Dieci.»

    Anne temeva seriamente di non riuscire a portare a termine la gravidanza. Da qualche minuto i crampi erano peggiorati e le fitte erano più lancinanti che mai. Pensò che forse non sarebbe bastato mettersi subito a riposo e che avrebbe dovuto avvertire il ginecologo per informarlo della situazione, in vista di un eventuale ricovero. Ansiosa di tornare a casa, non disse nulla anche quando si accorse che Buck stava andando ben oltre il limite di velocità.

    «Se devo essere sincero, questa gravidanza mi crea qualche problema» osservò Buck, agitato. «In questo periodo ci sono diverse questioni importanti che assorbono tutta la mia attenzione e di cui non ho ancora avuto il tempo di informarti. La squadra sta tirando per le lunghe il rinnovo del mio contratto. Purtroppo l’età non gioca a mio vantaggio perché ho trentasette anni e i dirigenti si chiedono per quanto ancora mi reggerà il braccio. Si stanno appigliando allo scandalo scoppiato per la morte di Casey per mettermi alle strette. Non è colpa mia se Casey era da me quando gli ha ceduto il cuore, ma alla società interessa solo quello che dicono i giornali, che hanno fatto delle allusioni sul fatto che Casey abusasse di steroidi. Per quanto tenti di negarlo, secondo loro c’entravo anch’io e non so come convincerli che sono pulito. Insomma, ho parecchie preoccupazioni in questo momento e un bambino sarebbe una complicazione imprevista in più. Onestamente mi sento un po’ preso alla sprovvista da questa notizia.»

    Suo marito aveva detto che un bambino sarebbe stata una complicazione, pensò Anne, delusa. «E quando sarebbe stato un buon momento per avere figli secondo te?» reagì. «Ti ho chiesto scusa per aver usato uno stratagemma per rimanere incinta, ma non mi pento di aspettare un bambino. Ormai è fatta, e ne sono contenta.»

    «Non mi sarei mai aspettato da te che m’ingannassi in questo modo» la rimproverò lui.

    «Be’, vedi di abituarti all’idea che sarai padre» replicò lei, incrociando le braccia sul petto in un gesto ostinato. «Mi dispiace se pensi che non sia il momento giusto, ma non possiamo più tornare indietro. C’è solo un modo per rinunciare a un figlio, ma non credo che tu voglia che io abortisca.» Anne fece una breve pausa, aspettandosi che Buck lo confermasse. «O sì?» aggiunse, vedendo che lui restava in silenzio.

    Aveva accennato alla possibilità di un aborto impulsivamente, senza assolutamente ritenerla praticabile, ma quando Buck

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