Un Lord in corsia: Harmony Bianca
Di Joanna Neil
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Divisi da rancori familiari e risentimenti personali, ma costretti a lavorare gomito a gomito nello stesso ospedale, Sophie e Nate si trovano a dover fare i conti con le proprie emozioni e ad ammettere che per loro il tempo sembra non essere passato. È possibile che l'uomo che Sophie ha creduto di odiare fino a quel momento sia in realtà l'unico in grado di convincerla a dare all'amore una seconda chance?
Joanna Neil
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Un Lord in corsia - Joanna Neil
successivo.
1
«È bellissimo qua fuori, vero?» Lo sguardo fisso sul mare azzurro, Jake sorrise. «Il panorama è talmente splendido che non mi stanco mai di ammirarlo. Sono felice di poterlo fare qualche volta dopo il lavoro.»
«Anche io» mormorò Sophie, ricambiando il sorriso. Poi tornò a concentrarsi sullo zucchero che stava mettendo nel caffè. Aveva bisogno di pensare. Avrebbe dovuto essere felice, no?, ma non riusciva a liberarsi dalla sgradevole sensazione che il suo mondo, a breve, sarebbe stato sconvolto. In superficie sembrava che tutto fosse tranquillo. Cosa poteva desiderare di più che essere lì, in un tardo pomeriggio di venerdì, a godersi la piacevole brezza marina in compagnia di Jake sulla terrazza del delizioso paesino di pescatori che chiamavano casa? Sulla costa nord del Devon, un piccolo raggruppamento di case in un'ampia baia, era un luogo idilliaco dove vivere.
Un venticello leggero increspava l'acqua blu, muovendole i riccioli biondi e sfiorandole le guance. E da dove si trovava, poteva vedere gli scogli che racchiudevano la pacifica insenatura e sentire le grida felici dei bambini che giocavano in spiaggia, correndo nelle pozze d'acqua lasciate sul bagnasciuga dal ritrarsi della marea. Aveva tutte le ragioni per essere felice.
Ma la verità era che nelle ultime due settimane aveva i nervi a fior di pelle... e la ragione poteva essere una sola. Da quando Nate Branscombe era ritornato nel castello di famiglia, Sophie era stata travolta da un turbinio di emozioni diverse. Probabilmente avrebbe dovuto aspettarselo quando si era diffusa la notizia dell'improvviso peggioramento delle condizioni di salute di suo padre. In fondo al cuore aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe venuto a trovare Lord Branscombe, ma quando era arrivato in paese, era stata sopraffatta da un sentimento molto simile al panico. E da quel momento in poi aveva fatto di tutto per evitare di incontrarlo.
«Questo è il luogo ideale per rilassarsi» commentò Jake, del tutto ignaro dei pensieri della ragazza. Sorseggiando il caffè, diede uno sguardo all'orologio. «Non posso fermarmi ancora, anche se mi piacerebbe tanto. Ho una riunione.»
«Ah, le gioie di lavorare nella direzione sanitaria di un ospedale!» Sophie lo guardò, sorridendo. Organizzare alla perfezione i vari reparti della struttura locale, ecco quello per cui era nato. Jake Holdsworth era un giovanotto intelligente, affascinante, con capelli scuri sempre in ordine e due occhi castani compassionevoli. Aveva un paio di anni più dei ventotto di Sophie, e si conoscevano da molto tempo perché lui veniva regolarmente in paese a trovare la sua zia preferita. All'inizio erano diventati amici. Poi, il giorno in cui avevano lasciato le rispettive case per andare all'università – lei medicina e lui organizzazione dei servizi sanitari – le loro strade si erano separate. Quando finalmente Sophie aveva potuto fregiarsi del titolo di dottoressa Trent, era stato uno dei momenti più carichi d'orgoglio della sua esistenza.
«Oh, sì... le riunioni per il budget, gli acquisti delle forniture, la gestione delle lamentele dei pazienti... è meraviglioso!»
«Ma se lo adori!» Le loro vite erano state impegnate, ognuno dei due si era dedicato alla costruzione della propria carriera, e alla fine si erano incontrati di nuovo. Jake aveva un bel senso dell'umorismo, e a Sophie piaceva trascorrere del tempo con lui. Riusciva sempre a metterla a suo agio, a farle dimenticare, almeno per un po', la sua problematica situazione famigliare. Era un uomo calmo, gentile, con cui le piaceva parlare.
Non c'entrava niente con Nate Branscombe. Ne era l'antitesi, anzi. Sophie corrugò la fronte. Chissà perché, Nate sembrava avere la capacità di far sorgere in lei emozioni forti, nel bene e nel male. Ma, comunque, difficili da dimenticare. Riusciva sempre a scombussolarla.
Nate aveva quella bellezza mozzafiato che le faceva martellare il cuore nel petto ogni volta che lo vedeva. Le donne non riuscivano a staccargli gli occhi di dosso, ma per quanto lo riguardava, viveva tutto all'insegna della massima leggerezza. Ogni sua fidanzata credeva che sarebbe stata lei quella che lo avrebbe cambiato, ma Sophie avrebbe voluto avvisarle che stavano solo perdendo il proprio tempo. Nate non avrebbe mai capitolato.
Era per quello, forse, che gli era stata sempre alla larga. Lui la desiderava, su questo non c'erano dubbi, e lei era stata così... così... tentata di cedere, ma no, non si sarebbe innamorata di lui come era successo alle altre, uscendone con il cuore spezzato. A Nate le donne piacevano, stava bene con loro, si divertiva, ma Sophie si chiedeva se avrebbe mai incontrato quella giusta. O magari, semplicemente, Nate era conscio che nessuna di quelle che frequentava sarebbe mai stata adatta a diventare la moglie di un futuro lord.
«Tutto bene? Sei un po' silenziosa oggi.» Jake la studiò un attimo con aria pensierosa. «Giornata difficile in ospedale?»
«Io... Scusami. Ero immersa nei miei pensieri.» Sophie si riscosse. «No, no, tutto a posto.»
«Allora c'è qualcosa che non va a casa? Sei preoccupata per la tua famiglia?» Jake le sorrise e, finito il caffè, appoggiò le mani sul tavolo, incrociando le dita.
Sophie si strinse nelle spalle. «Il solito, direi. Stando alle parole di mio fratello Rob, mia madre si sta comportando di nuovo in modo strano, e Jessica è dispiaciuta perché Ryan deve andare a lavorare.»
«Tempismo pessimo, vero?» sorrise, comprensivo, Jake. «A che punto della gravidanza è? Terzo trimestre?» provò a indovinare.
Sophie annuì. «Intorno alla trentasettesima settimana. Il bambino potrebbe decidere di nascere da un momento all'altro.»
«E stare da sola non è certo l'ideale» concluse Jake.
«Esatto. Anche se la mamma e il mio patrigno cercano di starle abbastanza vicino.» Si fermò, sentendo un rumore di passi alle sue spalle.
«Ecco il suo tavolo, signore» stava dicendo una cameriera, conducendo Lord Branscombe in un angolo appartato vicino alla balaustra in ferro battuto.
Dietro di lei, Lord Branscombe camminava lentamente, quasi misurando ogni passo. Guardò il tavolo e si riscosse. Alcuni vasi di petunie scarlatte e una siepe verdeggiante separavano quella postazione da tutte le altre del locale, garantendone la privacy.
James Branscombe indirizzò un impercettibile cenno di assenso alla cameriera, ma a metà del tragitto si fermò, una mano sul petto come se gli mancasse il respiro.
«Sta bene, signore?» si affrettò a chiedergli la donna, preoccupata. «Non ci avevo pensato. I gradini che portano alla terrazza sono un po' alti... forse avrei dovuto camminare più piano.»
«Non faccia tante storie, per favore. Piuttosto mi porti un whisky, grazie.»
«Certo, signore, subito.» Nonostante il tono dell'uomo fosse stato perentorio, la cameriera lo accompagnò fino al tavolo, rimanendogli vicino finché non si fu seduto.
Sophie notò che nel locale si era improvvisamente fatto il silenzio. Gli astanti lanciavano occhiate di sottecchi in direzione del tavolo d'angolo e poi ricominciarono a parlare sommessamente. Dal canto suo Lord Branscombe non li aveva degnati di uno sguardo, tutto perso nel proprio mondo. Più vicino ai sessanta che ai settanta, i capelli grigi, il volto tirato, sembrava decisamente più anziano.
«Non dovrebbe andare in giro da solo» mormorò Jake, dando voce a quello che probabilmente stavano pensando tutti quanti. «Non ha un bell'aspetto.»
«No» concordò Sophie, una punta di amarezza nella voce. «Ma quando mai qualcosa è riuscito a fermarlo?»
«Anche questo è vero.» Jake le sorrise. «Scusami, se c'è una persona che lo sa bene sei proprio tu.»
«Dev'essere per questo che Nate Branscombe è tornato al castello» proseguì lei, ignorando l'ultima frase. Avrebbe fatto bene a stare zitta. Dopotutto rivangare il passato a cosa serviva? «Sarà preoccupato per suo padre.»
«E anche per il patrimonio di famiglia, suppongo.» Jake corrugò la fronte. «Immagino che hai sentito le voci che corrono in giro.»
«Sugli affari oltreoceano di Lord Branscombe?»
Jake annuì.
«Sì, ho saputo.» Sophie fece una smorfia. «Da quanto ho letto sui giornali, deve aver perso un bel po' di denaro.»
«Nate non ne sarà molto felice... del fatto che la storia sia arrivata alla stampa, intendo.»
«No, decisamente no.» Nate detestava i giornalisti già quando, un paio di anni prima, avevano riportato la notizia di suo padre, ammalato, alla guida di un ultraleggero. Quella nuova storia non avrebbe fatto altro che accrescere il suo livore. «E il peggio è che lui non voleva nemmeno che il padre si lanciasse in quegli affari. Ma Lord Branscombe non gli ha dato retta.»
«E tu come fai a saperlo?»
«Ho sentito Nate e suo padre discutere animatamente in proposito, un giorno che ero fuori a portare il cane. Lord Branscombe non voleva sentire ragioni, ma del resto quando mai l'ha fatto?» Ed era proprio il rifiuto categorico di James Branscombe di dare retta agli altri che aveva portato suo padre a essere nelle condizioni in cui era ora.
Sophie sentì il labbro inferiore che cominciava a tremare e se lo mordicchiò, mentre Jake le prendeva le mani per consolarla. «Tutto questo dev'essere davvero difficile per te, dopo quanto è capitato a tuo padre.»
«Già...» Sophie chiuse gli occhi. Due anni prima sull'ultraleggero che si era schiantato c'era anche suo padre. James Branscombe aveva voluto a tutti i costi prendere il comando del velivolo, e la sua ostinazione aveva lasciato all'unico passeggero delle invalidità permanenti. Il padre di Sophie si era fratturato schiena, spalla e caviglie, mentre Lord Branscombe se l'era cavata quasi senza un graffio.
Sophie ancora faticava ad accettare l'accaduto.
Jake la guardò, preoccupato. «Il ritorno di Nate deve dispiacerti. Tra voi due c'era qualcosa prima dell'incidente, no?»
«Anni fa, da adolescente, provavo qualcosa per lui, e quel qualcosa è uscito più tardi, subito prima dell'incidente di papà, ma tra noi non avrebbe mai funzionato. Adesso me ne rendo conto. Studiavamo in zone diverse del paese e non ci vedevamo molto spesso... e, comunque, Nate non voleva certo legarsi a qualcuno. Dopo quello che è successo, la nostra relazione è naufragata. Credo che Nate sia rimasto qui solo per accertarsi che suo padre stesse bene. E da allora è ritornato solo qualche volta, e io ho sempre fatto in modo di evitarlo.» Sophie si strinse nelle spalle. «Possiamo cambiare discorso, per favore?»
In quel momento non ce la faceva proprio a parlarne. Si fece forza e cercò di recuperare un po' di calma. Ma qualche minuto dopo la sua compostezza esteriore svanì di nuovo. Sollevando lo sguardo vide un uomo attraversare la terrazza a passo deciso, dirigendosi verso il tavolo d'angolo.
«Nate?» Sophie sussurrò quel nome incredula, e Jake le strinse la mano per sostenerla. Trovarsi lì davanti a quell'uomo, a solo pochi metri da lei, era sconvolgente. Quando si erano rivisti, subito dopo l'incidente, Sophie era furiosa, fuori di sé per lo spavento, e avevano litigato in modo furibondo per colpa di suo padre. Ma quando Nate se n'era andato, nel profondo della sua mente e del suo cuore, lei non aveva mai smesso di desiderarlo.
Nate si fermò a scambiare qualche battuta con un paio di persone. Non si era ancora accorto di lei. Sophie provò a pensare velocemente a qualche scappatoia, ma ovviamente non ce n'erano.
Poi l'uomo la vide e i suoi occhi, nel riconoscerla, si spalancarono attoniti. Per un istante rimase letteralmente a bocca aperta. Poi si mosse verso di lei, la figura alta e slanciata, il passo sicuro di sé, i muscoli delle braccia come indizio del suo corpo perfetto, evidenziato dalla maglietta a maniche corte e dai pantaloni casual.
Sophie sentì un nodo stringerle la gola. Non riusciva più a pensare a niente, solo a guardarlo... le spalle larghe, gli zigomi scolpiti, i capelli neri leggermente lunghi e scompigliati.
«Sophie.» La sua voce calda e profonda tradiva un che di soddisfazione, come se fosse più che felice di vederla. Si fermò al suo tavolo e la fissò, abbracciandola con