Mai innamorarsi del capo: Harmony Jolly
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Il motto di Hunter Smith, noto fotografo della Grande Mela, è sempre stato: "Vivi e lascia vivere." Almeno sino a quel momento, perché davanti a una donna maltrattata dal suo ex non si può rimanere indifferenti e la dolce Abby ne è una prova.
Abby Gray finalmente si sente libera e al sicuro. L'uomo che l'ha salvata e aiutata, Hunter Smith, le ha appena concesso di stare un po' di tempo a casa sua... Accidenti, però, come è messo male l'appartamento! Abby ha un'idea per sdebitarsi e non pesare troppo sull'affascinante fotografo: sarà la sua governante tuttofare. Unica regola da rispettare: non innamorarsi del capo!
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Anteprima del libro
Mai innamorarsi del capo - Barbara Wallace
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Courage to Say Yes
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2013 Barbara Wallace
Traduzione di Laura Polli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-356-9
1
New York, autunno.
«Dove credi di andare?»
Una mano maschile afferrò il polso di Abby, che si irrigidì di colpo.
«Lasciami andare, Warren!» intimò.
Il suo ex fidanzato scosse il capo. «Non ho finito di parlare con te.»
Forse no, ma lei non era più disposta ad ascoltare. Sapeva che lui non aveva nulla da dirle, o per lo meno non cose che non avesse già sentito un mucchio di volte.
«Non abbiamo nient’altro di cui discutere.» Cercò di liberare il polso, ma Warren non mollò la presa.
«Da quando sei tu a ordinarmi quello che devo o non devo fare?» strillò il suo ex, stringendola più forte.
Maledizione! Sarebbe rimasto il livido. «Warren, per favore... Niente scenate davanti ai clienti» mormorò Abby.
«Vadano all’inferno i clienti!» proruppe Warren, attirando l’attenzione di un paio di persone sedute ai tavoli della tavola calda.
Abby non osò guardare in direzione della cucina, per timore che anche Guy, il suo capo, avesse sentito.
«È colpa tua, sai?» proseguì Warren, lasciandola finalmente andare. «Non sarei venuto qui se tu non fossi così dannatamente ostinata.»
Abby preferì non rispondere, chiedendosi come avesse potuto credere in passato che Warren fosse la risposta ai problemi della sua vita. Adesso era lui il problema. Perché non voleva rassegnarsi al fatto che fra loro era finita? Da più di sei settimane, ormai.
Sono io che prendo le decisioni, dolcezza, non tu, le rispondeva invariabilmente Warren.
Come poteva liberarsi una buona volta di quella persecuzione?
«Abby?» chiamò una voce maschile.
Lei la riconobbe immediatamente.
Il fotografo.
Lo aveva servito lei negli ultimi giorni. Si sedeva sempre a un tavolo d’angolo a bere il caffè e a leggere il giornale, la costosa macchina fotografica posata sulla sedia accanto. Ottimo cliente, tranquillo, poco loquace, lasciava mance generose. Aveva sentito qualcuno chiamarlo Hunter, o un nome simile.
In quel momento, però, non era seduto ma stava venendo verso di lei. Un’interruzione che Warren non avrebbe di sicuro gradito, immaginò.
«E tu che vuoi?» gli chiese infatti Warren in tono bellicoso, prima che Abby avesse il tempo di rispondere.
«Dell’altro caffè» disse Hunter, guardando Abby e ignorando Warren. «Sempre che tu abbia finito di fare conversazione» aggiunse.
«Certamente» annuì lei.
«Ci vediamo più tardi, tesoro» la avvertì Warren, in un tono che non prometteva niente di buono.
La prospettiva di un altro confronto con il suo ex le fece venire il voltastomaco.
«Un tipo alquanto sgradevole» commentò Hunter.
«Proprio così» convenne Abby con voce piatta. Doveva fuggire in modo che Warren non potesse più rintracciarla? Le aveva detto e ripetuto che era una buona a nulla, eppure non sembrava disposto a lasciarla in pace. Continuava a trattarla come se fosse di sua proprietà.
Dalla vetrata del locale, Abby vide l’auto di Warren che si allontanava. Lui se ne era andato ma sarebbe tornato. Oggi, domani, fra una settimana... Per cercare di convincerla con le buone o con le cattive a fare di nuovo coppia fissa.
Oh, Dio, come avrebbe fatto se non si fosse trovata in un luogo pubblico quando Warren si fosse fatto vivo di nuovo? Se avesse deciso di passare all’azione anziché limitarsi a minacciare e sbraitare? Rabbrividì, ricordandosi di certe storie che aveva letto sui giornali.
Un’ondata di paura le mozzò il respiro, al punto che fu costretta a sedersi.
«Ti senti bene?» le chiese Hunter, notando che era pallida.
«Sì» annuì Abby con un filo di voce. Respirò a fondo, cercando di tenere a bada le proprie paure. Preoccuparsi significava solo cedere a Warren il controllo della sua vita. «Se non sbaglio, volevi dell’altro caffè» rammentò di colpo.
«Non ti preoccupare, sono a posto così» replicò Hunter.
«Ma tu hai detto...» Abby si interruppe, rendendosi conto solo in quel momento di quello che lui aveva fatto. Aveva interrotto di proposito lei e Warren. «Grazie» gli disse con gratitudine.
«Non c’è di che» rispose, prima di andare a sedersi al solito tavolo.
Abby lo seguì un istante con lo sguardo. Gli era davvero grata. In tutto il tempo che aveva trascorso con Warren, nessuno si era mai fatto avanti per aiutarla. Hunter, invece, lo aveva fatto senza nemmeno che lei glielo chiedesse. Si era semplicemente reso conto della situazione ed era intervenuto con prontezza.
Lo osservò un istante, mentre leggeva il giornale sorseggiando il caffè. Bel viso virile, alto, bruno, fisico muscoloso che nemmeno i jeans stinti e la giacca che indossava riuscivano a nascondere. Non c’era da meravigliarsi che Warren, dopo avergli dato un’occhiata, avesse preferito una prudente ritirata. Il suo ex poteva essere prepotente, ma non era uno sciocco. Capiva quando poteva rischiare di trovarsi in una condizione di inferiorità. Peccato solo che anche lei non potesse sbarazzarsi così facilmente di Warren...
«Abby, alzati e datti da fare» ordinò Guy, sporgendo la testa dalla cucina e suonando il campanello per avvertirla che c’erano dei piatti da servire. «Altrimenti puoi cominciare a cercarti un altro lavoro.»
Abby si alzò e si diresse verso il banco della cucina per prendere le due porzioni di uova strapazzate e bacon da servire. «Mancano le patatine fritte» lo avvertì.
Guy gliene mise davanti un piatto. «La prossima volta scrivilo sul foglio» ribatté in tono brusco. «E di’ al tuo fidanzato che se vuole farti visita mentre lavori, deve ordinare come tutti gli altri. Altrimenti è meglio che se ne stia fuori dai piedi. Ti pago per lavorare, non per chiacchierare con lui.»
«Non è il mio... Non importa» mormorò Abby, scuotendo il capo. Prese i piatti e li servì ai tavoli, pensando che non valeva la pena di mettersi a discutere con Guy.
«Non fare caso a Guy» le disse sottovoce Ellen, una delle sue colleghe. «Stamattina ha la luna di traverso.»
Non solo quella mattina, purtroppo, aggiunse Abby fra sé, servendo in fretta altri piatti per evitare un’altra ramanzina. Per quanto brusco e poco simpatico fosse il suo capo, era stato l’unico disposto ad assumere una cameriera senza esperienza. E lei aveva disperatamente bisogno di lavorare se non voleva finire male.
Mentre passava fra i tavoli per riempire le tazze di caffè, ebbe la netta impressione che qualcuno la stesse osservando. Si guardò intorno, ma i clienti erano tutti impegnati a fare colazione o a sorseggiare caffè.
Non le piaceva essere osservata.
L’esperienza le aveva insegnato che quando qualcuno lo faceva era solo per tre motivi: istruirla, correggerla o punirla.
Per quella ragione, controllò meglio, fino a quando si rese conto che Hunter la stava fissando. Lui aveva uno splendido paio di occhi blu, e la stava scrutando con un’espressione di...
Approvazione non era la parola giusta.
E tanto meno si trattava della disapprovazione alla quale era abituata. A dire il vero, non sapeva come definirla. Comunque fosse, lo sguardo di lui le provocò un assurdo, delizioso brivido.
Accorgendosi di essere finalmente riuscito ad attirare la sua attenzione, Hunter le fece cenno di avvicinarsi, alzando il conto.
Ma certo, il conto, pensò Abby, arrossendo per l’imbarazzo. Per quale altra ragione Hunter avrebbe dovuto fissarla? A quanto pareva, la visita inaspettata di Warren l’aveva turbata più di quanto fosse disposta ad ammettere. Lei non era certo una donna in grado di fare girare la testa agli uomini... Tanto meno quando era al lavoro, senza un filo di trucco, in uniforme rosa, scarpe da tennis e con i capelli legati alla base della nuca.
In fretta si diresse al tavolo per prendere la carta di credito e portarla alla cassa, ma quando fece per afferrarla, Hunter la trattenne.
«C’è qualche problema?» gli domandò Abby.
«Dimmelo tu» replicò Hunter, osservando le macchie rosso bluastre che la mano di Warren le aveva impresso sul polso.
Maledizione! Aveva sperato che nessuno le notasse. Istintivamente abbassò la manica dell’uniforme.
«Non so di cosa stai parlando» ribatté.
«Tutte le vostre brioches assomigliano alle uova strapazzate?»
«Cosa?» mormorò lei, confusa. Non capiva il senso di quella domanda.
«Sul conto c’è scritto che ho ordinato brioches ai mirtilli e un toast.»
«Scusa, ti ho portato il conto di un altro tavolo» disse Abby in tono contrito.
«Di nuovo.»
Abby annuì, rammentando di avere commesso lo stesso errore il giorno prima. Aveva portato il conto sbagliato ad altri tavoli? Se Guy lo scopriva, l’avrebbe licenziata in tronco.
«Succede quando si è preoccupati» aggiunse Hunter.
«O molto indaffarati» rimediò Abby. Stava cercando di non pensare a Warren, e discutere di quell’argomento con Hunter non l’avrebbe certo aiutata.
Dalla tasca dell’uniforme estrasse il blocchetto degli ordini e lo esaminò rapidamente.
«Ecco il tuo conto» disse, staccando una delle pagine. «Uova strapazzate con bacon, un toast e un caffè. Vuoi dell’altro o preferisci pagare alla cassa?»
«Alla cassa, grazie.»
Hunter notò che lei prese la carta di credito con la destra, anziché con la sinistra, per tenere nascosti i lividi. Quanto occorreva stringere il polso a qualcuno per provocargli dei segni simili? Parecchio, immaginò. Per nessun motivo un uomo doveva permettersi di fare una cosa simile a una donna. Nell’istante stesso in cui aveva visto entrare quel tale nel locale, aveva capito che era un pallone gonfiato. Giacca dall’aria costosa ed espressione arrogante.
Lo aveva sorpreso tuttavia il fatto che quell’idiota avesse avvicinato Abby. Lei, infatti, con quell’aria timida e riservata, era esattamente l’opposto. Di sicuro non il tipo di donna vistosa che di solito attirava l’attenzione di un tipo del genere.
La cosa più strana era che da quando era tornato negli Stati Uniti, era venuto spesso a fare colazione da Guy’s, e non certo perché non esistessero altre caffetterie in quella zona della città. O perché in quel locale il servizio fosse migliore. Al contrario, era già la seconda volta che Abby sbagliava a portargli il conto...
Cos’era dunque che lo attirava lì? L’aspetto di Abby? L’uniforme non rivelava granché della figura slanciata di lei, era sempre senza un filo di trucco e con i capelli biondi raccolti alla base della nuca come una ragazzina. Ciò nonostante, Abby aveva un aspetto che non passava inosservato. Soprattutto i grandi occhi castani da cerbiatta, che illuminavano il viso dai lineamenti delicati.
La porta del locale si aprì e Hunter si voltò leggermente per vedere chi era entrato. Per caso il bullo era tornato per infastidire di nuovo Abby? O magari per dare a lui una lezione per essersi intromesso in affari che non lo riguardavano?
A dire