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Il ritratto di Cleopatra
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E-book240 pagine3 ore

Il ritratto di Cleopatra

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Info su questo ebook

Spagna/Inghilterra, 1812/1817 - La pittura è il passatempo preferito dell'affascinante Jack Vernon, e anche il suo rifugio dagli orrori delle guerre che combatte con l'esercito inglese e che sembrano avergli congelato l'anima. Quando però gli viene commissionato il ritratto della bella Ariana, giovane promessa del teatro cui è stato affidato il ruolo di Cleopatra, qualcosa cambia all'improvviso: le pennellate si fanno più intense, i colori più caldi, le figure più vivide. E le sensazioni che credeva sepolte ritornano prepotenti a reclamare un posto nel suo cuore. Purtroppo Jack non è l'unico a provare dei sentimenti per la bella attrice, e dopo aver combattuto per la patria ora deve lottare per il cuore dell'amata.
LinguaItaliano
Data di uscita8 set 2017
ISBN9788858972588
Il ritratto di Cleopatra
Autore

Diane Gaston

Diane Gaston's dream job had always been to write romance novels. One day she dared to pursue that dream and has never looked back. Her books have won Romance's highest honours: the RITA Award, the National Readers Choice Award, Holt Medallion, and Golden Heart. She lives in Virginia with her husband and three very ordinary house cats. Diane loves to hear from readers and friends. Visit her website at: https://www.dianegaston.com/

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    Anteprima del libro

    Il ritratto di Cleopatra - Diane Gaston

    978-88-5897-258-8

    Prologo

    Badajoz, Spagna, 1812

    Jack Vernon correva nei vicoli di Badajoz come se fosse stato inseguito dal diavolo in persona. Nel suo caso, da una banda di diavoli.

    Soldati inglesi ubriachi si riversavano fuori dagli edifici a cui avevano appiccato il fuoco dopo averli saccheggiati; le fiamme illuminavano i loro volti simili a quelli di figure grottesche. Il marciapiede era coperto dai corpi delle vittime, soldati francesi e cittadini comuni, uomini, donne e bambini con gli abiti dai colori brillanti macchiati di sangue. Nelle orecchie di Jack risuonavano il crepitio del fuoco, le grida delle donne, i pianti dei bambini, ma la risata di quei pazzi, assatanati, era il suono più terribile.

    Inseguito da diversi uomini, che volevano impossessarsi degli spiccioli che aveva in tasca, Jack strinse la pistola che teneva in mano. Erano gli stessi uomini insieme a cui aveva scalato le mura di Badajoz qualche ora prima, sotto la pioggia di fuoco dei moschetti francesi. La sete di sangue che li divorava era la conseguenza della dura battaglia appena combattuta, dove metà dei loro compagni aveva trovato la morte.

    Dopo che i francesi si erano ritirati a San Cristobal ed era iniziato il saccheggio, il maggiore di Jack aveva comandato a lui e ad altri soldati di andare a perlustrare le strade. «Dobbiamo fermare i predoni» aveva affermato l’ufficiale.

    La pattuglia di Jack, la prima a essere presa di mira, si era messa a correre per sfuggire ai saccheggiatori. Jack, rimasto solo, cercava un luogo sicuro dove nascondersi in attesa che la carneficina terminasse.

    Corse a perdifiato nel labirinto di strade, cambiando direzione tante volte che alla fine non sapeva più dove si trovava o come uscirne.

    Finalmente, quando lo scalpiccio dietro di lui cessò, Jack rallentò per guardarsi alle spalle mentre riprendeva fiato. Non c’era nessuno. Procedette con prudenza, appiattendosi contro le mura antiche, sperando che il rumore del suo respiro affannoso non lo tradisse. La sua speranza era quella di trovare una porta aperta o un cantuccio in un vicolo.

    Strisciò lungo il muro finché non arrivò in un piccolo cortile dove, alla luce di un edificio in fiamme, vide un soldato inglese che teneva ferma una donna. C’era anche un bambino, che cercò di aiutarla ma fu strattonato da un altro soldato e gettato su un corpo che giaceva lì vicino. L’uomo rideva come se stesse giocando ai birilli.

    Un terzo soldato fece rialzare il bambino e gli avvicinò un coltello alla gola. A quel punto Jack, ruggendo come un leone, si precipitò nel cortile e sparò un colpo di pistola. Il soldato fece cadere il coltello, lasciò andare il bambino e fuggì insieme al suo compagno. L’aggressore della donna, invece, non sembrò affatto preoccupato dell’intervento di Jack.

    Mentre armeggiava per slacciarsi i pantaloni, lo invitò ridendo: «Venite a divertirvi. Ce n’è anche per voi».

    Jack vide che l’uomo indossava la fascia rossa degli ufficiali inglesi. Poi l’aggressore si girò mostrandogli il viso.

    Lo conosceva.

    Era il Tenente Edwin Tranville, aiutante di campo del padre, il Brigadiere Generale Lionel Tranville. Jack conosceva entrambi da tempo; non era trascorso nemmeno un anno dalla morte di suo padre che il Generale Tranville era diventato l’amante di sua madre. Jack aveva soltanto undici anni.

    Fece un passo indietro per tornare nell’oscurità, prima che Edwin lo riconoscesse.

    «Lasciate andare quella donna» gli ordinò.

    «Non ci penso nemmeno» bofonchiò Edwin con voce impastata. Era evidentemente ubriaco fradicio. «La voglio. Me la merito.»

    Jack infilò la pistola nella cintura ed estrasse la spada, ma la donna riuscì a far perdere l’equilibrio a Edwin. Spingendogli le mani sul petto lo allontanò da sé, e il bambino ne approfittò per aggredirlo alle spalle. Edwin gridò sorpreso e, cercando di liberarsi, prima fece cadere a terra la donna poi afferrò il piccolo per la gola.

    Jack strinse l’elsa della spada, ma prima ancora che potesse avanzare di un passo la donna balzò in piedi: aveva in mano il coltello del soldato fuggito.

    «Non!» gridò.

    Aggredì Edwin con violenza, sembrava una tigre che difendeva il suo cucciolo. L’uomo arretrò, ma la sua mente era annebbiata dai fumi dell’alcol.

    «Fermatevi!» urlò continuando a sorridere. «O gli spezzerò l’osso del collo.»

    «Non!» ripeté la donna scagliandosi contro di lui.

    Edwin inciampò e il bambino riuscì a sottrarsi alla sua stretta. La donna a quel punto gli fece un taglio sulla guancia che andava dall’orecchio alla bocca.

    Piangendo, Edwin cadde in ginocchio mentre portava la mano al viso sanguinante. «Come avete osato? Vi ucciderò!»

    Scuotendo la testa la donna alzò il braccio per affondare il coltello nella schiena del suo aggressore, ma venne fermata da un altro ufficiale inglese giunto sul posto che la afferrò per la schiena.

    «Oh no, señora, non lo farete» dichiarò disarmandola senza difficoltà.

    C’era con lui un secondo ufficiale. Erano un capitano e un tenente che indossavano l’uniforme dei Royal Scots, un reggimento un tempo comandato dal Generale Tranville.

    Edwin indicò la donna. «Ha cercato di uccidermi!» Fece uno sforzo per restare in piedi, ma ondeggiò e si accasciò per terra svenuto.

    Il capitano si rivolse alla donna. «Dovete venire con noi.»

    «Capitano...» protestò il tenente.

    Jack rinfoderò la spada e si fece avanti.

    «Aspettate.»

    I due uomini si girarono di scatto e il tenente gli puntò la pistola al petto.

    «Sono il Sottotenente di fanteria Vernon dell’East Essex. Quell’uomo voleva uccidere il bambino e violentare la donna. Ho visto con i miei occhi. C’erano altri due uomini che sono fuggiti» dichiarò con le braccia alzate.

    «Di quale bambino parlate?» chiese il capitano.

    Una sagoma emerse dall’oscurità. Il tenente puntò la pistola in quella direzione, ma Jack gli mise la mano sul braccio. «Non sparate, è lui.»

    Tenendo stretta la donna, il capitano si avvicinò a Edwin e lo girò di schiena aiutandosi con un piede. «Santo cielo, Landon, avete visto chi è?»

    «Il figlio del Generale Tranville» rispose Jack al posto suo.

    «State scherzando. Cosa diavolo ci fa qui?» domandò il tenente.

    «Ha cercato di strangolare il bambino e la donna lo ha difeso con il coltello» spiegò Jack.

    La guancia di Edwin continuava a sanguinare, ed era ancora privo di sensi.

    «È ubriaco» concluse.

    Il bambino corse verso il corpo del soldato francese. «Papa!»

    «Non, non, non, Claude» gridò la donna cercando di liberarsi.

    «Diamine, sono francesi.» Il capitano si inginocchiò di fianco al corpo e posò le dita sulla gola dell’uomo. «È morto.»

    «Mon mari» dichiarò la donna.

    Il capitano guardò Jack. «L’ha ucciso Tranville?»

    Lui scosse la testa. «Non ho visto.»

    «Accidenti. Cosa ne sarà di lei adesso?» Il capitano guardò la donna.

    Nell’udire delle grida nelle vicinanze, il capitano si rialzò in piedi. «Dobbiamo condurli via di qui. Landon, portate Tranville al campo. Sottotenente, ho bisogno del vostro aiuto.»

    Il Tenente Landon aveva l’aria sconvolta.

    «Non vorrete consegnarla alla polizia?»

    «Naturalmente no» rispose il capitano in tono brusco. «Cercherò un posto sicuro dove sistemarla. Forse una chiesa.» Guardò il tenente e Jack. «Nessuno dovrà sapere ciò che è accaduto. Siamo d’accordo?»

    «Meriterebbe l’impiccagione» protestò il tenente.

    «È il figlio del generale» replicò il capitano. «Se denunceremo il suo crimine, Tranville chiederà la nostra testa, non quella di suo figlio.» Indicando la donna con il capo concluse: «Potrebbe anche prendersela con lei e con il bambino». Poi abbassò lo sguardo su Edwin. «Quel bastardo è talmente ubriaco che forse non sa cosa ha combinato.»

    «L’ubriachezza non è una giustificazione.» Dopo qualche secondo, il tenente annuì. «E va bene. Non apriremo bocca.»

    Il capitano si rivolse a Jack: «Ho la vostra parola, sottotenente?».

    «Sissignore.»

    Si udì un rumore di vetri infranti e il tetto di un edificio incendiato crollò, facendo levare alte scintille al cielo.

    «Dobbiamo sbrigarci» dichiarò il capitano. «Io sono il Capitano Deane, lui è il Tenente Landon.»

    Jack gli strinse la mano. «Signore.»

    Il Capitano Deane si rivolse alla donna e a suo figlio. «C’è una chiesa nei paraggi?» Poi si portò una mano alla fronte. «Accidenti, come si dice chiesa in francese? Église?»

    «Non église, capitaine» rispose la donna a quel punto. «La mia... ma maison, la mia casa. Venite.»

    «Parlate inglese?»

    «Oui, un peu, un poco.»

    Il tenente si gettò Tranville su una spalla.

    «Fate attenzione» gli raccomandò il capitano.

    Landon annuì col capo, si guardò intorno e se ne andò nella stessa direzione da cui erano venuti.

    «Venite con me. Lui dobbiamo lasciarlo qui» disse il capitano a Jack guardando il cadavere del francese.

    «Sissignore.»

    «Andiamo.» Dopo un’ultima, disperata occhiata al marito la donna mise un braccio sulla spalla del figlio e fece segno di seguirla.

    Percorsero il vicolo fino a una porta che dava su una stradina, vicino al cortile in cui si trovavano.

    «La mia casa» sussurrò.

    La porta era socchiusa; il capitano fece segno di aspettare mentre lui andava in avanscoperta. Dopo qualche istante ritornò. «Non c’è nessuno.»

    Jack entrò. L’abitazione era stata saccheggiata. Mobili distrutti, piatti rotti, fogli di carta sparsi dappertutto. La donna uscì dalla cucina portando dei bicchieri d’acqua. Il bambino, con l’aria sconvolta, non si staccava da lei.

    Jack bevve avidamente.

    «Ve la sentite di montare la guardia?» gli domandò il capitano. «Io dormirò un paio d’ore, poi vi darò il cambio.»

    «Va bene.» Non sarebbe certo riuscito a dormire. In realtà pensò che forse non avrebbe dormito mai più.

    Dopo avere barricato la porta con alcuni mobili sfasciati Jack recuperò una sedia ancora utilizzabile, la sistemò davanti alla finestra e si mise a sedere.

    Con un gesto il capitano invitò la donna e il bambino a dormire sul materasso che aveva portato in un angolo della stanza. Poi si sedette sul pavimento, con la schiena appoggiata alla parete.

    Dall’esterno provenivano i rumori della carneficina ancora in atto, ma nessuno si avvicinò alla casa.

    Jack fissava la strada che sembrava tranquilla.

    Forse prima che avesse fatto giorno tutto sarebbe finito e lui sarebbe potuto tornare al campo. Forse il suo maggiore e gli altri membri della pattuglia erano ancora vivi. Forse qualcuno, prima che la guerra fosse finita, avrebbe trapassato il cuore di Edwin Tranville con una spada per quella strage.

    Il cielo rischiarò con l’arrivo dell’alba, ma Jack sentiva ancora le grida degli ubriachi, gli spari dei moschetti, le urla. Non erano frutto della sua immaginazione. Anche se era giorno, il saccheggio continuava.

    Il Capitano Deane si svegliò e restò in ascolto per un istante.

    «Perdinci, non hanno ancora finito» commentò strofinandosi il mento. «Dormite un po’, sottotenente. Aspettiamo ancora, forse le cose si calmeranno.»

    Jack cedette la sedia al capitano e diede un’occhiata all’angolo della stanza dove si trovavano la donna e il bambino che, raggomitolato su se stesso, aveva un’aria molto indifesa. La madre era sveglia.

    Jack cominciò a raccogliere i fogli di carta sparsi ovunque nella stanza. Li esaminò: alcuni lati erano bianchi.

    «Vi servono?» chiese alla donna mostrandole una manciata di fogli.

    «Non» rispose, poi si girò.

    Alcuni dei fogli sembravano lettere scritte ai familiari da persone lontane. Jack si sentì un po’ in colpa, ma il suo taccuino era al sicuro all’accampamento. Quando era partito, non aveva pensato quanto avrebbe desiderato avere della carta.

    Trovò una tavoletta abbastanza grande e si avvicinò a un’altra finestra per avere un po’ di luce. Seduto sul pavimento con le gambe incrociate, pescò da una tasca la matita che portava sempre con sé. Dopo avere sistemato un foglio, trasse un profondo respiro di sollievo e incominciò a disegnare.

    Le immagini intrappolate nel suo cervello scorrevano senza sosta dalle dita alla punta della matita. Riempì uno, due, tre fogli e ancora non aveva finito. Doveva disegnarle tutte.

    Soltanto quando avesse catturato ogni immagine, sarebbe stato libero. Solo allora avrebbe potuto provare a riposare. Solo allora avrebbe potuto dormire.

    1

    Londra, giugno 1814

    Era come camminare in un sogno.

    Circondato da dipinti storici, paesaggi, ritratti appesi l’uno accanto all’altro come tasselli di un rompicapo che riempivano la sala dal pavimento al soffitto, Jack camminava nella sala della Royal Academy of Art fissando stupito l’incredibile varietà e bellezza delle opere d’arte. Ancora non riusciva a credere di trovarsi lì.

    Il suo reggimento era stato richiamato in Inghilterra un anno prima. Napoleone aveva abdicato, perciò l’esercito non aveva più bisogno di lui. Jack, come la maggior parte dei giovani ufficiali che erano sopravvissuti alla guerra, era stato promosso. Il grado di tenente gli permetteva di ricevere qualche soldo in più, che gli aveva dato l’opportunità di fare ciò che più desiderava: disegnare, dipingere. Creare bellezza per dimenticare la morte e la distruzione della guerra.

    Si era recato direttamente a Bath, la città dove vivevano sua madre, sua sorella e anche il suo mentore, Sir Cecil Harper, che fin da quando era bambino aveva assecondato il suo bisogno di disegnare. Su insistenza di Sir Cecil, Jack aveva presentato i suoi quadri alla Royal Academy per la mostra d’estate e con sua grande meraviglia ne erano stati accettati due.

    I suoi dipinti erano appesi alle pareti di Somerset House, sede della Royal Academy, accanto ai quadri di pittori affermati in una sala gremita di persone che si trovavano ancora in città.

    La folla provocava angoscia in Jack. Il brusio delle voci risuonava nelle sue orecchie come il rombo delle cannonate e riaccendeva ricordi che minacciavano di farlo ripiombare nell’incubo della guerra.

    Passandogli accanto, un gentiluomo involontariamente lo sfiorò. Jack era pronto a colpirlo, ma si fermò in tempo prima che l’altro se ne accorgesse. Riprese il controllo, ma il brusio si fece più forte, più viva l’impressione che si trattasse di cannoni. Sentì il cuore accelerare i battiti, gli sembrò che nella sala si facesse buio. Gli era già capitato, era il presagio di una visione. Presto si sarebbe ritrovato nel mezzo di un combattimento, con i suoi rumori, gli odori, le paure.

    Chiuse gli occhi e restò immobile, augurandosi che nessuno si accorgesse della battaglia che stava combattendo dentro di sé. Quando li riaprì, fissò il ritratto della sorella, appeso in alto e difficile da vedere, essendo l’opera di un artista sconosciuto come lui. Il dipinto lo riportò alla realtà. Era a Londra, a Somerset House, circondato da opere meravigliose. Sorrise riconoscente all’immagine di sua sorella.

    «Qual è il dipinto che vi piace tanto?» chiese una voce bassa e musicale.

    Accanto a lui c’era una giovane, incredibilmente graziosa, che sembrava essere uscita da uno dei quadri. Per un istante Jack si chiese se per caso fosse un altro scherzo della sua mente. La pelle di seta color rosa pallido contrastava piacevolmente con i folti capelli castani, le labbra scintillavano come se le avesse appena umettate. Due grandi occhi, verdi come prati rigogliosi, incorniciati da lunghe ciglia incontrarono il suo sguardo con una fugace espressione di simpatia.

    «Ditemi che è quello della giovane» affermò indicando il ritratto di sua sorella.

    «Vi piace quello?» furono le uniche parole che Jack riuscì a pronunciare.

    «Moltissimo. È fresco e delizioso, molto realistico, ma non è tutto. Oserei dire che è dipinto con amore.»

    «Dipinto con amore, dite?» Lo sguardo di Jack si posò di nuovo sul quadro, ma solo per un istante. Non riusciva a staccare gli occhi da lei.

    «Sì.» La sconosciuta parlava come se conversare con un uomo al quale non era stata presentata fosse la cosa più naturale del mondo. «L’espressione della giovane donna, la sua posa trasmettono emozione, comunicano il suo desiderio di sapere cosa le riserva il futuro, l’affetto che l’artista nutre per lei. La rendono ancora più bella. Trovo che sia un dipinto notevole.»

    Jack non poté fare a meno di arrossire orgoglioso.

    Il ritratto di Nancy, dipinto principalmente per attirare potenziali clienti, gli aveva offerto l’opportunità di riavvicinarsi alla sorella, che era solo una bambina quando era partito per la Spagna. Ora Nancy aveva

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