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Il destino di Miss Rosewood: Harmony History
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E-book202 pagine2 ore

Il destino di Miss Rosewood: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1817
Ellie Rosewood ha giurato a se stessa che non accetterà mai, per nessun motivo, un'unione di convenienza. E poiché l'unico uomo che ha attirato la sua attenzione, il Duca di Royston, è irraggiungibile per una fanciulla di umili origini come lei, è ormai rassegnata a un destino di solitudine. Finché, un giorno, ascolta per caso una conversazione tra Lady Saint Just, la sua benefattrice, e alcune amiche. Le tre gentildonne stanno discutendo delle future nozze del giovane duca con una fanciulla, il cui nome è custodito in una busta da aprirsi solo quando il fidanzamento sarà annunciato ufficialmente. Possibile che il nome misterioso a cui fanno cenno sia proprio il suo?
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2020
ISBN9788830510326
Il destino di Miss Rosewood: Harmony History
Autore

Carole Mortimer

Carole Mortimer was born in England, the youngest of three children. She began writing in 1978, and has now written over one hundred and seventy books for Harlequin Mills and Boon®. Carole has six sons, Matthew, Joshua, Timothy, Michael, David and Peter. She says, ‘I’m happily married to Peter senior; we’re best friends as well as lovers, which is probably the best recipe for a successful relationship. We live in a lovely part of England.’

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    Anteprima del libro

    Il destino di Miss Rosewood - Carole Mortimer

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Not Just a Wallflower

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2013 Carole Mortimer

    Traduzione di Graziella Reggio

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-032-6

    1

    Residenza londinese di Lady Cicely Hawthorne, giugno 1817

    «Sarai molto emozionata, immagino, per le imminenti nozze tra Hawthorne e Miss Matthews!» Lady Jocelyn Ambrose, Contessa Madre di Chambourne, sorrise con gioia alla padrona di casa, seduta davanti a lei al tavolino da tè.

    Lady Cicely annuì. «Non sono mancate le complicazioni, devo riconoscerlo, ma non ho alcun dubbio che Adam e Magdalena formino una coppia ben assortita.»

    La contessa madre tornò seria. «Come sta Miss Matthews, adesso che i suoi problemi si sono risolti?» si informò.

    «Benissimo» rispose l’altra con un caloroso sorriso. «È innegabile che possieda un’ammirevole forza interiore.»

    «Che si è rivelata molto utile, quando quel furfante di Neville Matthews ha tentato in ogni modo di rovinarla, dal punto di vista sociale e finanziario» commentò con disdegno Edith Saint Just, Duchessa Vedova di Royston, la terza del trio di vecchie amiche. Era stato proprio suo nipote Justin a contribuire al salvataggio della giovane.

    «Come procedono i tuoi piani riguardo al matrimonio di Royston, mia cara?» le domandò Lady Jocelyn.

    Le tre signore, legate da profonda amicizia sin dal loro debutto in società, cinquant’anni prima, avevano deciso insieme, all’inizio della Stagione, di trovare una moglie per i rispettivi nipoti, così da assicurare la discendenza della famiglia.

    Lady Jocelyn era stata la prima a raggiungere l’obiettivo, quando il nipote, qualche settimana addietro, aveva annunciato che alla fine di giugno avrebbe sposato Lady Sylvianna Moreland. Lady Cicely aveva da poco sistemato il suo con Miss Magdalena Matthews, nipotina del defunto George Matthews, Duca di Sheffield.

    Ormai restava soltanto a Edith Saint Just il compito di procurare una sposa per Justin Saint Just, Duca di Royston.

    Non era un compito facile, considerato che l’arrogante e affascinante giovane aveva dichiarato più di una volta di non avere intenzione di accasarsi finché non fosse stato pronto, e a ventotto anni suonati non lo era ancora.

    «La Stagione è quasi al termine...» notò Lady Cicely, perplessa.

    La duchessa confermò con un regale cenno del capo. «Il che significa che mio nipote dovrà decidersi prima del ballo degli Hepworth.»

    «Mancano solo due settimane!» esclamò la padrona di casa.

    Edith rivolse alle amiche un sorriso saputo. «Per quel giorno Justin sarà sistemato, posso assicurarvelo.»

    «Sei ancora convinta che sceglierà la giovane indicata nella nota consegnata al mio maggiordomo?» domandò Lady Jocelyn, dubbiosa.

    Quando le tre gentildonne avevano stretto quel patto, sorprendentemente la duchessa vedova aveva affermato di conoscere già il nome della giovane che avrebbe sposato suo nipote, con tanta sicurezza da accettare la sfida delle amiche di scriverlo su un foglio che sarebbe stato conservato nella cassaforte di Edward, il maggiordomo di Lady Jocelyn, e che sarebbe stato letto soltanto il giorno in cui il temibile duca avrebbe annunciato la propria volontà di sposarsi.

    «Senza alcun dubbio» rispose Lady Saint Just.

    «Eppure, a quanto so, Royston non ha espresso alcuna preferenza tra le giovani che partecipano all’attuale Stagione.» Lady Cicely, con il suo cuore tenero, non sopportava l’idea che la cara amica restasse delusa.

    «E non lo farà» rivelò Edith Saint Just in tono misterioso.

    «Ma...»

    «Non insistiamo, mia cara.» Jocelyn strinse con fare rassicurante la mano di Cicely. «D’altra parte, Edith si è mai sbagliata, in passato?»

    «No...»

    «E non accadrà neppure in questo caso» decretò la duchessa con un lampo di divertimento negli occhi azzurri. «Ben presto Justin sarà pronto per recarsi all’altare e... innamorato pazzo.»

    Pensando al superbo e cinico Duca di Royston, le due amiche rimasero senza parole...

    2

    White’s, St. James Street, Londra, due giorni dopo

    «Non vi pare che sia venuto il momento di buttar giù le carte e chiudere la serata, Litchfield?»

    «Vi piacerebbe, vero, Royston?» Il volto rubizzo dell’altro giocatore era lustro di sudore alla luce fioca delle candele, nella sala piena di fumo.

    «A me non importa se preferite perdere persino la camicia» commentò con distacco Justin Saint Just, Duca di Royston, appoggiandosi allo schienale della sedia. Soltanto lo scintillio degli occhi color pervinca lasciava trasparire il profondo disprezzo che provava per l’avversario. «Vorrei soltanto concludere questa partita interminabile!» Si pentiva di aver accettato la sfida di Litchfield e lo avrebbe evitato, se non fosse stato tormentato dalla noia.

    Un tedio profondo, sin troppo abituale da quando era finita la guerra e Napoleone era stato confinato a Sant’Elena. Soltanto allora Justin aveva deciso di tornare a Londra, rassegnare le dimissioni e addossarsi le responsabilità inerenti al titolo di Duca di Royston. Poche settimane dopo si era reso conto del grave errore. Certo, in città aveva ancora tanti amici, nonché molte donne pronte a condividere il suo letto, e la sua dimora a Mayfair era comoda e accogliente – da tempo aveva deciso di non vivere nella casa dei Royston, ma di lasciarla alla nonna, dopo la morte del padre e il trasferimento della madre in campagna – eppure aveva spesso l’impressione che, nella vita, gli mancasse qualcosa.

    Tuttavia non aveva idea di cosa e di come trovarla. Proprio per quel motivo aveva trascorso buona parte della serata a giocare a carte con un uomo che non apprezzava affatto.

    Lord Dryden Litchfield gli scoccò un’occhiataccia. «Si dice che abbiate una fortuna del diavolo alle carte e con le donne.»

    «Davvero?» ribatté lui con freddezza, ben consapevole delle chiacchiere del ton.

    «E io comincio a chiedermi se si tratti davvero di fortuna, oppure...»

    «Fate attenzione, Litchfield» lo mise in guardia Justin, senza però rivelare la tensione per l’implicita offesa. Prese il bicchiere con la mano elegante e bevve un lungo sorso di brandy. La chioma bionda un po’ lunga, secondo l’ultima moda, e i lineamenti fini lo rendevano simile a un angelo caduto dal cielo. Tuttavia quasi tutti i gentiluomini del bel mondo conoscevano la sua abilità nel duello. «Come dicevo, prima finiamo la partita, meglio è.»

    «Bastardo arrogante!» esclamò Litchfield. Aveva una dozzina d’anni più di lui, ma il peso eccessivo, i capelli ramati striati d’argento, i denti ingialliti dal fumo e la collera per la costante sfortuna al gioco lo facevano sembrare più vecchio.

    «Dubito che insultarmi serva a migliorare la vostra abilità con le carte» dichiarò Justin, posando il calice.

    «Voi...»

    Un valletto interruppe la disputa. «Chiedo scusa, Vostra Grazia» intervenne l’uomo, «è appena stato consegnato questo messaggio urgente per voi.»

    Su un vassoio d’argento era posato un foglio piegato, con il suo nome scritto in una calligrafia sconosciuta. «Se volete scusarmi, Litchfield...» Justin lo prese, ruppe il sigillo e lo lesse in fretta, poi lo infilò nella tasca del panciotto, gettando le carte coperte sul tavolo. «La mano è vostra, sir.» Con un rapido cenno di saluto, si alzò per andarsene.

    «Ah! Sapevo che non avevate niente in mano!» esclamò Litchfield, trionfante, afferrando il mazzetto abbandonato. «Che diavolo...?» borbottò incredulo quando vide gli assi e divenne paonazzo in maniera allarmante. «Dunque il messaggio è di una donna» commentò con un sogghigno, scrutando Justin attraverso il fumo del sigaro. «Non pensavo che il fortunato Duca di Royston fosse così pronto a rinunciare a una mano vincente per obbedire al comando di una signora.»

    In quel preciso momento il fortunato duca si tratteneva a stento dall’afferrare Litchfield per il bavero e scuoterlo con violenza. «Magari è un invito a raggiungerla in camera da letto, no?» ribatté invece con un sorrisino beffardo.

    L’altro sbuffò. «Nessuna femmina vale una vittoria alle carte.»

    «Questa sì» gli assicurò lui, secco. «Vi auguro una buona serata, sir.» Dopo un’ultima occhiata sprezzante, girò sui tacchi e uscì dalla saletta in penombra, salutando con rapidi cenni del capo i conoscenti che incrociava.

    «Fatevi da parte, Royston!»

    I riflessi straordinari gli permisero di spostarsi da un lato e, nel contempo, di girarsi esterrefatto mentre un pugno colpiva il mento di Litchfield, fermandolo e facendolo piombare a terra con la pesantezza di un bue.

    Il salvatore si inginocchiò accanto alla figura priva di sensi e subito si raddrizzò. Si rivelò essere Lord Bryan Anderson, Conte di Richmond, un agile e forte gentiluomo sulla cinquantina, dai folti capelli divenuti bianchi anzitempo. «Il vostro gancio destro è efficace come sempre, Richmond» si complimentò Justin.

    «Così pare» confermò l’altro, sistemandosi i polsini della camicia sotto l’elegante giacca nera e ignorando Litchfield. «Posso chiedervi come mai era così infuriato con voi?»

    Justin si strinse nelle spalle. «Gli ho permesso di vincere a carte.»

    «Sul serio?» Il conte inarcò un sopracciglio. «Considerato l’ammontare dei suoi debiti di gioco, avrebbe dovuto esservi grato.»

    «In effetti.» Justin rimase a guardare con indifferenza mentre Litchfield, ancora svenuto, veniva trascinato via da due stoici lacchè. «Vi ringrazio per il tempestivo intervento, Richmond.»

    «Di niente, Royston» replicò l’altro con un piccolo inchino. «A dire il vero, mi ha fatto più piacere del dovuto» soggiunse.

    Justin sapeva che Bryan Anderson, ormai vedovo, aveva trascorso venticinque anni della propria vita accanto a una donna che, a causa di una brutta caduta da cavallo avvenuta nel primo mese di matrimonio, era regredita allo stadio infantile e vi era rimasta fino al decesso.

    Nonostante le evidenti giustificazioni, il conte non l’aveva mai tradita, almeno in pubblico. La sua vita privata non riguardava gli altri, che comunque non lo avrebbero criticato, poiché convivere per tanto tempo con una consorte che si credeva una bambina doveva essere stato davvero tormentoso. Senza dubbio le molte ore che trascorreva sul ring di Jackson’s lo aiutavano ad alleviare la frustrazione.

    Così come, probabilmente, quel pugno sferrato a Litchfield era stato terapeutico.

    «Grazie comunque. Adesso, se volete scusarmi, ho un altro impegno.» Justin lo salutò con un cenno del capo.

    «Certo.» Richmond ricambiò il saluto. «Ah, Royston!» lo richiamò e, con un’occhiata significativa, aggiunse: «Se fossi in voi mi guarderei alle spalle, nelle prossime settimane; a quanto pare Litchfield è ancora meno disposto a vincere che a perdere».

    Justin arricciò le labbra. «Così sembra.»

    Il conte annuì. «Per mia sfortuna parecchi anni fa ero con lui nell’esercito in India e so quanto possa essere prepotente e malvagio. I suoi uomini lo detestavano, così come i colleghi ufficiali.»

    «In tal caso, mi sorprende che nessuno abbia provveduto a eliminare un simile tiranno.» Era noto che i soldati semplici, spesso costretti ad arruolarsi per motivi poco onorevoli, decidevano a volte di sbarazzarsi degli ufficiali più sgraditi nella confusione della battaglia.

    «Sarebbe successo, temo» ammise Richmond con un mesto sorriso, «se fosse rimasto più a lungo nell’esercito, ma una tresca con la moglie di un altro ufficiale ha convinto il suo comandante a mandarlo via al più presto dall’India.»

    Justin studiò il suo volto privo di espressione. «E questo comandante eravate voi, sir?»

    «Sì, in effetti.»

    «Dunque terrò presente l’avvertimento. Vi auguro una buona notte, Richmond.» Senza altro indugio si allontanò, recuperò cappello e mantello e uscì per strada.

    «Hanover Square, per favore, Bilsbury» ordinò al cocchiere mentre saliva a bordo della carrozza ducale e si accomodava sul sedile imbottito.

    Se c’era una donna per cui valeva la pena di rinunciare a una mano vincente era quella da cui si stava recando.

    Miss Eleanor – Ellie – Rosewood camminava avanti e indietro per l’ampio atrio della dimora di Hanover Square mentre attendeva risposta al messaggio che aveva inviato. Quando sentì fermarsi una carrozza, tentò in ogni modo di mascherare l’apprensione. Non appena Stanhope aprì la porta, l’affascinante Duca di Royston fece il suo ingresso, portando con sé un soffio di fresca aria serale.

    Come sempre, quando lo vedeva, Ellie ammutolì per qualche istante. Alto più di sei piedi, con i capelli d’oro scompigliati ad arte, Justin Saint Just aveva perfetti lineamenti aristocratici: occhi azzurri, zigomi alti, naso diritto, labbra cesellate, mento volitivo. Il fisico atletico, dalle spalle larghe e la vita stretta, era valorizzato dall’elegante giacca nera sopra la camicia candida, dai calzoni scamosciati e dagli stivali al ginocchio; era senza dubbio il gentiluomo più attraente che Ellie avesse mai visto.

    «Ebbene?» l’apostrofò, porgendo a Stanhope cappello e mantello, prima di andarle incontro, ai piedi dello scalone curvo.

    E anche il più arrogante.

    Lei prese fiato. «Vi ho spedito un messaggio per chiedervi di venire...»

    «Per questo sono qui» la interruppe.

    Oltre che il più impaziente!

    Considerato che aveva inviato il biglietto da più di due ore, era alquanto delusa del ritardo. «Vi aspettavo prima...»

    Lui si immobilizzò. «Mi state forse rimproverando?»

    Ellie arrossì, colpita dalla durezza del tono. «Be’, no...»

    Justin rilassò le spalle. «Ne sono lieto.»

    Lei sollevò il mento con determinazione. «Penso fosse vostra nonna a confidare in una risposta immediata, Vostra Grazia.» In effetti la cara signora, dopo aver ordinato a Ellie, la sua dama di compagnia, di scrivere al nipote, non aveva smesso di domandarle se si fosse fatto vivo.

    «La mia è una risposta immediata.»

    Lei inarcò un sopracciglio. «Davvero?»

    Justin la guardò come se la vedesse per la prima volta, il che era probabile, considerata la profonda differenza sociale tra loro. Strizzando con disdegno gli occhi azzurri, discese con lo sguardo dai capelli di fiamma al corpo esile nel modesto abito scuro, giù fino alle graziose pantofole, quindi tornò al viso, che era rosso di imbarazzo. «Noi due siamo parenti, se non sbaglio.»

    Non proprio. Circa un decennio prima, quando Ellie aveva nove anni, la madre vedova si era risposata con un cugino del duca. Ma poiché ormai era defunta insieme a lui in un incidente stradale, i legami di parentela tra Ellie e Justin erano assai esigui, per non dire inesistenti. Se non fosse stato per la generosità della Duchessa Vedova di Royston, che l’aveva accolta in casa sapendola sola e priva

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