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Il peccato di un santo: Harmony History
Il peccato di un santo: Harmony History
Il peccato di un santo: Harmony History
E-book233 pagine3 ore

Il peccato di un santo: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1819
Perseguitato dal ricordo confuso di una notte di passione in una locanda di Dover, Michael Poole, Duca di St. Aldric, conosciuto nel bel mondo londinese con il soprannome di Santo, non esita a credere al racconto della fanciulla che sostiene di aspettare un figlio da lui e, per fare ammenda, decide di sposarla. Purtroppo la convivenza risulta subito difficile, un po' perché Michael, turbato dai tristi ricordi che Aldric House evoca in lui, si chiude nel silenzio, e un po' per il caratterino di cui dà prova la giovane moglie. A quel punto, solo la pazienza di un santo potrebbe trasformare l'odio e l'indifferenza in comprensione e desiderio.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788830517479
Il peccato di un santo: Harmony History
Autore

Christine Merrill

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il peccato di un santo - Christine Merrill

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Fall of a Saint

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2014 Christine Merrill

    Traduzione di Elena Rossi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-747-9

    1

    «Sono Mrs. Hastings, ma potete chiamarmi Evelyn.»

    Maddie Cranston guardò con diffidenza la donna che le stava di fronte. Mrs. Hastings stava sorridendo in modo cordiale e rassicurante, ma era suo marito che era venuto da lei, quella notte, a Dover, a offrirle scuse e giustificazioni claudicanti, come se il denaro potesse rimediare a quanto era accaduto.

    Il Duca di St. Aldric le aveva detto che era una levatrice. Sarebbe stato un sollievo parlare con una donna esperta di problemi di gravidanza. A volte Maddie si sentiva così miserabile da temere che quanto succedeva al suo corpo non fosse normale. Se qualcuno meritava di essere punito, per quella notte, era St. Aldric, quindi perché Dio permetteva che fosse lei a soffrire?

    Un tono così familiare da parte di un’estranea non era affatto quello che si sarebbe aspettata da una levatrice. Mrs. Hastings era molto giovane e sembrava troppo bella per esercitare un lavoro di qualsiasi tipo; sembrava piuttosto il tipo di gentildonna viziata che affidava i figli a balie e governanti, anziché occuparsene di persona. Che cosa poteva saperne di parti e di neonati?

    Quando si è circondati da nemici, è meglio mostrarsi distaccati che terrorizzati, si ammonì. La vita le aveva insegnato che spesso le persone si approfittavano della debolezza altrui. Non si sarebbe lasciata incantare da una voce gentile e un volto grazioso. «Come state, Mrs. Hastings? Io sono Madeline Cranston.» Tese la mano alla presunta levatrice, ma non ricambiò il sorriso.

    Ignorando la sua freddezza, Mrs. Hastings rispose con ancor più calore e, se possibile, un tono più dolce e rassicurante. «Dato che St. Aldric mi ha mandata a chiamare, immagino aspettiate un bambino.»

    Maddie annuì, improvvisamente insicura delle propria voce, mentre si rendeva conto dell’enormità che aveva fatto, venendo lì: stava per mettere al mondo un figlio illegittimo, un’evenienza per la quale non esisteva rimedio, si trattava solo di trovare la soluzione migliore. Era stata una follia rivolgersi a un duca, specialmente se ripensava al loro ultimo incontro. E se fosse stato talmente in collera da risolvere il problema con la violenza, anziché con il denaro? Anche se non voleva credere che un pari si sarebbe mostrato così spregevole, non aveva motivo di escluderlo.

    «Soffrite di nausee?» le domandò quella singolare levatrice, guardando la caraffa d’acqua sul tavolo.

    Maddie annuì di nuovo.

    «Farò portare del tè allo zenzero. Vi darà sollievo allo stomaco.» Mrs. Hastings chiamò un domestico, gli impartì alcune istruzioni e riprese a interrogarla. «Avete indolenzimento al seno? Da quanti mesi non avete il ciclo?»

    Maddie annuì e rispose: «Due». Aveva capito sin dal primo mese quello che le stava succedendo, ma non aveva voluto ammetterlo nemmeno con se stessa.

    «E siete nubile.» Mrs. Hastings la fissò come se potesse leggerle in viso. «Quando avete capito quello che stava succedendo, non avete cercato di interrompere la gravidanza?»

    Era ancora una possibilità. Quale futuro aspettava lei e il bambino, se St. Aldric le avesse voltato le spalle? Sarebbe stata una bastarda con un figlio bastardo.

    Raddrizzando la schiena, Maddie mise a tacere i dubbi. Se sua madre si era presa l’impegno di farla nascere, lei non avrebbe fatto di meno per suo figlio. La donna che le aveva dato la vita non c’era, adesso che avrebbe avuto bisogno dei suoi consigli. Non voleva allevare suo figlio senza una famiglia e senza amici, affidandolo a estranei, come era successo a lei, ma quale scelta aveva? La sua stessa presenza nella vita del bambino avrebbe reso le cose più difficili, perché non era facile avere una madre che era poco più di una sgualdrina agli occhi della società.

    Un padre non sposato ma potente era tutta un’altra questione. Era stato St. Aldric a creare il problema, adesso avrebbe dovuto affrontarne le conseguenze. Riportando l’attenzione alla donna, rispose: «No. Non ho cercato di liberarmi del bambino».

    «Capisco.» Mrs. Hastings arrossì leggermente e cambiò argomento. «Siete soggetta a sbalzi d’umore, come se il vostro corpo e la vostra mente non vi appartenessero più?»

    Era una domanda alla quale non poteva rispondere scuotendo il capo, perché colpiva al centro dei suoi timori. Maddie guardò a lungo Mrs. Hastings, prima di trovare il coraggio di confessare la verità in un sussurro. «Non riesco a controllarmi» ammise. «Da un momento all’altro passo dal riso alle lacrime. Quando dormo faccio sogni molto vividi e al risveglio mi vengono le idee più stravaganti.» Quel viaggio ne era un esempio. «A volte temo addirittura di impazzire.»

    L’altra sorrise e si rilassò sulla sedia come se fosse lieta di aver trovato un argomento che comprendeva bene. «È del tutto normale. Non sono altro che le alterazioni fisiologiche che avvengono in gravidanza. Non state impazzendo, mia cara. Avrete semplicemente un figlio.»

    Come se ci fosse qualcosa di semplice. Il tè arrivò insieme a dei biscotti insipidi. Maddie sorseggiò la bevanda e sbocconcellò i biscotti con esitazione, ma scoprì di sentirsi leggermente meglio dopo aver mangiato qualcosa.

    «C’è da stupirsi che qualcuno voglia fare un figlio» osservò, prendendo un altro sorso di tè. «E ancor di più un secondo.»

    Mrs. Hastings parve trovare divertente quel commento, perché non fece nulla per soffocare una risata. «Non avete nulla da temere, d’ora in poi. Ci sarò io a prendermi cura di voi.»

    Non poteva sapere cosa le stava promettendo, eppure tutto, in lei, dal tono dolce con cui parlava all’atteggiamento pratico, era rassicurante. Per un istante Maddie si concesse il lusso di rilassarsi contro i cuscini del divano. «Grazie.»

    «Prima della comparsa di questi sintomi, avete avuto un rapporto sessuale» le ricordò gentilmente Mrs. Hastings. «Certo sapevate quali potevano essere le conseguenze?»

    «Non è stata una mia scelta» dichiarò Maddie con voce ferma.

    La levatrice sussultò leggermente, ma il suo sorriso rimase rassicurante come sempre. «Conoscete l’identità dell’uomo che ne è responsabile?»

    Evelyn Hastings era molto diversa da suo marito. Forse poteva davvero aiutarla, non solo con il tè allo zenzero e la gentilezza. Maddie decise di arrischiarsi a dirle la verità. «Il Duca di St. Aldric.» Ecco, l’aveva detto. Il solo ammetterlo davanti a un’altra persona alleviava in parte il fardello. «Mi trovavo in una locanda di Dover. Durante la notte, lui entrò nella mia stanza senza essere invitato e...» Aveva ormai smesso di piangere su quella notte, ma raccontare la storia a una perfetta sconosciuta non era stato nelle sue intenzioni.

    Evelyn Hastings sgranò gli occhi e il suo sorriso si fece incredulo. «Il Santo si è introdotto nella vostra stanza con la forza e...»

    «St. Aldric» la corresse Maddie. «Aveva bevuto. In seguito ha dichiarato di essere entrato nella stanza sbagliata.» Ma come poteva essere sicura che dicesse la verità? Forse era la stessa scusa che usava con tutte le donne che disonorava con noncuranza. Maddie sapeva per esperienza che un titolo e un bel volto non erano sempre indicazioni di buon carattere.

    Mrs. Hastings non sembrava pensarla così, perché la stava ancora fissando allibita. «Ne siete sicura?»

    «Chiedetelo a lui stesso. Non lo nega. Oppure parlate con il Dr. Hastings; era presente anche lui.»

    Evelyn risucchiò il fiato tra i denti. «Oh, sì. Certo che chiederò a mio marito che cosa sa di questa storia.» Il suo sguardo esprimeva collera, ma Maddie non aveva motivo di pensare che fosse rivolta a lei. Sembrava più indignazione per un atto perpetrato contro un’altra donna. «Non avete una famiglia che possa aiutarvi? Nessuno che stia al vostro fianco?»

    Lei scosse il capo. «Sono sola.» Non c’era possibilità che la scuola dov’era cresciuta la riprendesse, dopo aver visto quello che aveva fatto dell’educazione che avrebbe dovuto darle una posizione rispettabile.

    «Allora avrete me» dichiarò con fermezza Evelyn, con un cenno deciso del capo. Si alzò dalla sedia con la maestà di una regina. «Se volete scusarmi, devo parlarne con mio marito. E con il duca. Quando avrò finito con loro, sarà tutto sistemato.» Poi si erse in tutta la sua altezza, simile a una regina guerriera pronta a dare battaglia. Quindi sparì nel corridoio, chiudendo la porta dietro di sé con uno scatto risoluto.

    Sorridendo, Maddie si adagiò contro i lussuosi cuscini di velluto e sorseggiò il tè. Forse Boadicea era arrivata troppo tardi per combattere per il suo onore, ma sembrava più che capace di pretendere una riparazione. Non doveva far altro che attendere.

    In piedi nel corridoio della sua casa londinese, Michael Poole, Duca di St. Aldric, prestava un orecchio al fratello e l’altro alla conversazione che si stava svolgendo nel salone. Non poteva certo aprire la porta e chiedere alle due signore di alzare la voce, in modo che potesse sentire quello che dicevano, ma doveva sapere la verità al più presto. Se ci fosse stato un figlio, preferibilmente un maschio, tutto sarebbe cambiato.

    «È riuscita a trovarti?» Anche il fratellastro, Sam Hastings, fissava intensamente la porta chiusa, come se volesse attraversarla con lo sguardo.

    «Sì.» Michael se l’era aspettato, ma non aveva immaginato di provare un tale sollievo. Ogni volta che passava tra la folla, si chiedeva se avrebbe incontrato un paio d’occhi accusatori che avrebbero dovuto essergli familiari, ma non lo erano. Adesso, se non altro, aveva un nome e un volto da collegare a quella notte che per lui era solo un ricordo confuso.

    «Mi dispiace» commentò Sam, quasi avesse da rimproverarsi qualcosa in tutta quella storia.

    «Ti dispiace?» Michael rise. «Tu che cosa c’entri?»

    «Non doveva andare così, non avrei dovuto permetterle di fuggire. Avremmo potuto sistemare le cose a Dover. Quando le ho parlato, quella notte, dichiarò che non desiderava avere più alcun contatto con te, né allora, né mai. Promisi di rispettare il suo volere, ma avrei potuto fare di più.»

    «Non avevamo il diritto di tenerla prigioniera e costringerla ad accettare aiuto» gli ricordò Michael. Quella serata era già stata abbastanza disastrosa. La donna avrebbe pensato ancora peggio di lui se l’avesse chiusa nella sua stanza e le avesse chiesto di restare lì finché non avessero raggiunto un accordo.

    «Dio sa se ho provato a cercarla, ma è stato tutto vano.» Sam si stava torcendo le mani. «L’Inghilterra è grande e ci sono molte giovani sventurate.»

    Una giovane sventurata. Michael non aveva mai pensato che il suo nome potesse essere collegato a una di loro.

    «La colpa è mia, non tua» ribadì. «Se quella sera avessi bevuto fino a perdere i sensi, non le avrei causato alcun male e tu non ti saresti dovuto preoccupare di rimediare ai miei errori.»

    «O forse avresti potuto rimanere sobrio» notò Sam in tono gentile. «Al di là di ciò che hai fatto, comunque, non potevamo prevedere l’esito.»

    L’esempio di suo padre non gli era bastato? «Avrei dovuto pensarci» insistette.

    Sam non rispose, il che probabilmente significava che conveniva con lui, ma subito dopo aggiunse: «Non saresti arrivato a tanto se non fossi stato sconvolto per la malattia».

    «Sono stato messo in ginocchio da una malattia che è poco più di una seccatura, per un bambino.»

    «Gli effetti non sono gli stessi, quando il sistema riproduttivo è ancora immaturo.»

    «Un modo gentile di porre la questione, Dr. Hastings.» Michael era stato a letto tre giorni con la febbre altissima e i testicoli talmente gonfi che non aveva osato guardarli, men che meno toccarli. Poi la malattia l’aveva lasciato, ma non era più lo stesso di prima.

    O, almeno, così aveva pensato.

    Adesso, per la prima volta in sei mesi, aveva un motivo di sperare. «Miss Cranston non è venuta a cercarmi perché non è soddisfatta del tuo risarcimento. Dice di aspettare un figlio.» Fece una pausa per dare al fratellastro il tempo di nascondere la sorpresa. «È possibile?»

    «Certo che lo è. Ti avevo spiegato fin dall’inizio che gli effetti collaterali degli orecchioni nei maschi adulti non sono certi. Eppure tu hai insistito per andartene in giro per la campagna, ubriaco, a provare la tua virilità.»

    «Un figlio illegittimo sarebbe stato una prova sufficiente.» Il timore che una semplice febbre avesse estinto la dinastia dei St. Aldric era diventata un’ossessione, per lui. Da lì era nata la speranza che un incidente con una donna di classe sociale inferiore potesse assicurargli un matrimonio prolifico.

    Confessarlo al proprio fratello illegittimo dimostrava quanto in basso fosse caduto. Adesso che era sobrio, il piano gli sembrava folle e meschino. Tale padre, tale figlio. Era stato lo scopo della sua vita smentire quell’adagio. Aveva fallito.

    «Se quello che cercavi era un figlio illegittimo, a quanto pare, sarai accontentato.» Sam scosse mestamente il capo. «Che cosa conti di fare?»

    Michael era stupito che il fratellastro non vedesse ciò che era abbastanza evidente. «La situazione è molto migliore di quanto sperassi.»

    «Speravi di deflorare un’istitutrice?» Rendendosi conto di aver alzato la voce, Sam l’abbassò a un sussurro. «E senza il suo consenso? Sei impazzito?»

    «No, certo che no.» Eppure era ciò che aveva fatto. «Non ho mai avuto intenzione di entrare in quella stanza. Mi ero perso.»

    «Perché eri troppo ubriaco per rendertene conto» gli ricordò il fratello.

    Meritava il rimprovero. Suo padre, se non altro, si era sollazzato con le mogli compiacenti di amici, mentre lui aveva fatto ben di peggio. «La donna che stavo cercando quella notte non era certo vergine. Se vi fossero state delle conseguenze, sarebbe stata adeguatamente ricompensata. Avrei perfino riconosciuto il bambino.»

    «Come immagino tu abbia intenzione di fare con questo» replicò Sam, ricordandogli blandamente quale fosse il suo dovere.

    Non aveva motivo di preoccuparsi. Dopo anni di comportamento esemplare, negli ultimi mesi Michael aveva commesso abbastanza errori da fargli comprendere quanto potesse essere rischioso trascorrere tanto tempo commiserandosi e quanta strada avesse davanti per fare ammenda. Nella sua mente non c’erano dubbi su quello che doveva essere fatto.

    La difficoltà stava nel convincere l’istitutrice. «Se Miss Cranston aspetta davvero un figlio mio, non è necessario che nasca illegittimo» ribatté, osservando attentamente la reazione di Sam. «Se la sposo e riconosco l’erede...»

    «Sposarla?» Il fratellastro lo stava fissando con un sorriso ironico. «In questo momento non so se ridere oppure spedirti al manicomio di Bedlam.»

    «Perché non dovrei sposarla? C’è forse qualcosa in lei che la faccia apparire meno che adeguata? È un’istitutrice, quindi ha ricevuto un’educazione. È sana.» E di aspetto non sgradevole. Era in debito con lei. Dopo quello che era successo, le doveva più del denaro; doveva restituirle l’onore.

    «È molto probabile che ti odi.»

    «Ne ha ben motivo.» Michael aveva visto l’espressione dei suoi occhi quando gli aveva rinfacciato la verità. Normalmente non avrebbe nemmeno notato la donna che aspettava in strada, davanti a casa sua. Indossava un semplice abito blu, al limite dell’eccessiva modestia, e i capelli erano raccolti in una crocchia stretta, come se considerasse un’ingiuria che una sola ciocca sfuggisse alle forcine. Le labbra che avrebbero dovuto essere morbide, da baciare, erano serrate in una linea determinata e la fronte si era increspata sopra i grandi occhi castani non appena l’aveva riconosciuto. Tutto in lei la definiva esattamente per ciò che era: un’insegnante severa.

    Si era fatta avanti, bloccandogli il passo come nessun altro a Londra avrebbe osato fare, e lo aveva apostrofato con calma: «Vorrei parlare con voi riguardo alle conseguenze del vostro recente viaggio a Dover».

    La freddezza della sua voce permeava ancora il ricordo delle parole. «Non avrà motivo di odiarmi. Cento, mille motivi. Le darò tutto quello che possiedo. Per continuare la dinastia devo avere una moglie e un figlio, Sam. Non c’è occasione migliore di questa.»

    In quell’istante la porta si aprì e la moglie di Sam, Evelyn, si parò davanti a loro con le mani sui fianchi. «Mi dovete una spiegazione, voi due. Ditemi che quanto afferma quella povera giovane non ha basi reali.» Si voltò verso il marito, ancora più in collera. «E che tu non hai alcuna parte in questa storia vergognosa.»

    Sam tese una mano, come se volesse tenere a bada l’ira della moglie. «Sono stato a Dover con Michael, ma solo per cercare di inculcargli un po’ di buonsenso. Come medico personale del Duca di St. Aldric, è mio compito mantenerlo in buona salute, non è così?»

    Evelyn rispose con un cenno gelido del capo.

    «Mostrava segni di quella che temevo fosse una dipendenza cronica da alcol e faceva...» Sam si schiarì con discrezione la gola, prima di continuare, «... cose di cui non ho intenzione di discutere davanti a una signora.»

    «Frequentava le prostitute» tradusse Evelyn, rifiutando di mostrarsi scandalizzata. Poi fissò Michael. «Il che non giustifica quanto è accaduto a Miss Cranston.»

    «È stato un errore, lo giuro» si affrettò a spiegare Michael. «Stavo per far visita a un’altra donna e ho sbagliato stanza. Era buio...» Non era certo una scusa. Anche senza luce avrebbe dovuto saper distinguere tra la cameriera procace che stava cercando e la minuta Miss Cranston. Quando si era infilato nel suo letto, però, avrebbe giurato che era disponibile, anzi,

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