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Tra le braccia del nemico
Tra le braccia del nemico
Tra le braccia del nemico
E-book244 pagine3 ore

Tra le braccia del nemico

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Info su questo ebook

Belgio/Inghilterra, 1812 - 1817. Gabe è un capitano dell'esercito inglese, Emmaline una giovane donna francese. Questo non impedisce loro di amarsi appassionatamente all'alba della battaglia di Waterloo, ma i mondi cui appartengono sono troppo lontani e le loro strade sono destinate a dividersi. Così, Gabe, con il cuore infranto, decide di dedicarsi alla carriera militare per dimenticare le pene d'amore, mentre Emmaline vuole ricordare per sempre quel sogno sfumato, portando al collo l'anello donatole dall'uomo che non potrà mai avere. Poi, un giorno, il caso porta la giovane francese a Londra, con una proposta per l'affascinante capitano.
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2017
ISBN9788858975664
Tra le braccia del nemico
Autore

Diane Gaston

Diane Gaston's dream job had always been to write romance novels. One day she dared to pursue that dream and has never looked back. Her books have won Romance's highest honours: the RITA Award, the National Readers Choice Award, Holt Medallion, and Golden Heart. She lives in Virginia with her husband and three very ordinary house cats. Diane loves to hear from readers and friends. Visit her website at: https://www.dianegaston.com/

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    Anteprima del libro

    Tra le braccia del nemico - Diane Gaston

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Valiant Soldier, Beautiful Enemy

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2011 Diane Perkins

    Traduzione di Elena Vezzalini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-566-4

    Prologo

    Badajoz, Spagna, 1812

    Un grido di donna lacerò la notte.

    Tra il rumore di vetri infranti, il crepitio delle fiamme e le urla dei soldati in preda a una furia omicida altre grida erano giunte alle orecchie del Capitano Gabriel Deane quella notte.

    Terminato l’assedio di Badajoz, a quel punto era iniziato il saccheggio.

    I predoni però non erano i soldati francesi, i nemici noti per infierire senza ritegno sui vinti. Erano soldati inglesi, compatrioti di Gabriel, che si aggiravano per le strade come bestie selvagge per depredare, uccidere, violentare.

    La scintilla che aveva scatenato la violenza era stata una voce falsa, secondo la quale Wellington in persona aveva autorizzato il saccheggio.

    Gabe e il suo tenente, Allan Landon, erano stati spediti in quella bolgia ma non per fermare la sommossa. Il loro compito era trovare un uomo.

    Edwin Tranville.

    Suo padre, il Generale Tranville, aveva ordinato loro di trovare il figlio che si era unito ai saccheggiatori. Una volta entrati in città, Gabe e Landon però si erano trovati costretti a difendersi da uomini ubriachi assetati di sangue.

    Di nuovo quel grido risuonò, ma non era lontano come le urla disperate di donne e bambini innocenti udite fino a quel momento.

    Gabe e Landon corsero nella direzione da cui proveniva. Uno sparo, poi due soldati uscirono di corsa da un vicolo rischiando di travolgere i due ufficiali che, svoltato l’angolo, si trovarono in un cortile illuminato dalla luce di un vicino edificio in fiamme.

    Una donna, con un coltello in mano, stava per affondare la lama nella schiena di una figura rannicchiata che indossava l’uniforme degli ufficiali inglesi.

    Gabe la afferrò da dietro e la disarmò. «Oh no, señora, non lo farete.» Decisamente quella donna non aveva bisogno di aiuto.

    «Ha cercato di uccidermi!» L’ufficiale inglese, coprendosi il viso con le mani imbrattate di sangue, cercò di alzarsi ma cadde svenuto sul selciato.

    A quel punto una figura emerse dall’oscurità. Il Tenente Landon si girò di scatto, pronto a sparare.

    «Aspettate» disse l’uomo alzando le mani. «Sono il Sottotenente di fanteria Jack Vernon, dell’East Essex. Quell’uomo voleva violentare la donna e uccidere il ragazzino. Ho visto tutto con i miei occhi. C’erano altri due uomini che sono fuggiti.»

    Erano i due che li avevano superati nel vicolo? In quel caso era troppo tardi per inseguirli.

    «Il ragazzino?» Gabe si guardò intorno. Di chi parlava? Vide solo la donna e l’ufficiale con la giubba rossa che lei stava per uccidere. E per terra, in una pozza di sangue, il corpo di un soldato francese.

    Tenendo stretta la donna, Gabe si avvicinò all’uomo svenuto e lo girò di schiena aiutandosi con un piede. Sul viso aveva un taglio che andava dall’orecchio alla bocca, ma Gabe lo riconobbe immediatamente.

    Alzò lo sguardo. «Santo cielo, Landon, avete visto chi è?»

    «Edwin Tranville» rispose con disprezzo il sottotenente al posto suo. «Il figlio del generale.»

    «Edwin Tranville» ripeté Gabriel. Così l’avevano trovato, finalmente.

    «Maledetto bastardo» fu il commento di Landon.

    «È ubriaco» osservò Vernon annuendo.

    Quando mai Edwin non lo è?, pensò Gabe.

    Una sagoma emerse dall’oscurità. Landon gli puntò contro la pistola, ma Vernon gli mise la mano sul braccio.

    «Non sparate, è lui.»

    Il ragazzino, sui dodici anni, si precipitò verso il corpo del soldato francese.

    «Papa!» gridò.

    «Non, non, non, Claude» gridò la donna a sua volta che, liberatasi dalla stretta di Gabe, raggiunse il figlio.

    «Diamine, sono francesi.» Non erano abitanti di Badajoz, ma una famiglia francese in fuga. Cosa diavolo era saltato in mente a quel soldato francese di mettere la sua famiglia in un tale pericolo? Gabe non sopportava gli uomini che trascinavano mogli e figli in guerra.

    Si inginocchiò di fianco al corpo e posò le dita sulla gola dell’uomo. «È morto.»

    La donna alzò lo sguardo. «Mon mari

    Gabe inspirò a fondo.

    Era graziosa. Malgrado la disperazione, era graziosa. I capelli scuri come quelli di una spagnola, la pelle bianca come latte. Gli occhi, di cui non vedeva il colore, erano grandi e sgranati per l’emozione.

    Gabe sentì lo stomaco contrarsi per la collera. Edwin aveva ucciso quell’uomo davanti alla sua famiglia? Aveva davvero cercato di violentare la donna e uccidere il ragazzino, come aveva dichiarato il sottotenente? Cosa le avevano fatto gli altri due soldati, prima che venisse il turno di Edwin?

    «Papa, papa, réveillez-vous!»

    «Il est mort, Claude.» Il tono di voce basso e pacato della donna ricordò a Gabe quello di sua madre, quando consolava uno dei suoi fratelli.

    Con le mani chiuse a pugno, Gabe si alzò e tornò da Edwin, pronto a prenderlo a calci fino a ridurlo in poltiglia. Ma si trattenne.

    Il figlio del generale si girò di nuovo e si raggomitolò, piagnucolando.

    Con voce tremante di rabbia, indicando il cadavere, Gabe si rivolse al sottotenente. «L’ha ucciso Edwin?»

    Vernon scosse la testa. «Questa è l’unica cosa che non ho visto.»

    «Cosa ne sarà di lei adesso?» chiese Gabe più che altro a se stesso.

    La donna si strinse il figlio al seno, cercando di consolarlo. Nella notte risuonarono altre grida, sembravano vicine.

    «Dobbiamo condurli via di qui. Landon, portate Tranville al campo. Sottotenente, ho bisogno del vostro aiuto» ordinò Gabe.

    «Non vorrete consegnarla alle guardie?» chiese Landon preoccupato.

    «Naturalmente no» rispose Deane in tono brusco. «La porterò in un posto sicuro, magari una chiesa.» Guardò Landon e il sottotenente. «Nessuno dovrà sapere ciò che è accaduto. Siamo d’accordo?»

    «Meriterebbe l’impiccagione» protestò Allan.

    «È il figlio del generale» replicò Gabe con un tono che non ammetteva discussioni. «Se denunceremo il suo crimine, Tranville chiederà la nostra testa, non quella di Edwin.» Indicando la donna con il capo, concluse: «Potrebbe anche prendersela con lei e il ragazzino». Poi abbassò lo sguardo su Edwin. «Il bastardo è talmente ubriaco che forse non sa nemmeno cosa ha combinato.»

    «L’ubriachezza non è una giustificazione...» cominciò Landon. Poi, dopo alcuni istanti, annuì. «E va bene. Non apriremo bocca.»

    Gabe si rivolse a Vernon.

    «Ho la vostra parola, sottotenente?»

    «Sissignore.»

    Si udì un rumore di vetri infranti e il tetto di un edificio incendiato crollò, facendo levare alte scintille al cielo.

    «Dobbiamo sbrigarci» dichiarò il capitano tendendo la mano al sottotenente. «Io sono il Capitano Deane, lui è il Tenente Landon.» Rivolgendosi alla donna e a suo figlio chiese: «C’è una chiesa nei paraggi?». Poi si portò una mano alla fronte. «Accidenti, come si dice chiesa in francese? Église?»

    «Non, non église, capitaine» rispose la donna. «La mia... ma maison, la mia casa. Venite.»

    «Parlate inglese, madame

    «Oui, un peu, un poco.»

    Il Tenente Landon si gettò Tranville su una spalla.

    «Fate attenzione» si raccomandò Gabe.

    Con un cenno del capo, Allan si incamminò a fatica nella direzione da cui erano arrivati.

    «Venite con me» ordinò Gabe a Vernon, «lui dobbiamo lasciarlo qui» aggiunse poi guardando il cadavere del soldato francese.

    «Sissignore.»

    La donna lanciò un’ultima, disperata occhiata al marito, poi mise un braccio sulla spalla del figlio, che non voleva abbandonare il padre.

    Gabe provò un moto di compassione per entrambi.

    «Andiamo» disse lei infine invitandoli a seguirla.

    Dopo avere percorso il vicolo, svoltarono per una stradina.

    «Ma maison» sussurrò la donna, indicando una porta di legno socchiusa.

    Il capitano fece segno di aspettare mentre lui andava in avanscoperta.

    Grazie alla luce del fuoco degli incendi, che illuminava l’interno dell’abitazione, Gabe vide che era stata saccheggiata: mobili distrutti, piatti rotti, fogli di carta sparsi ovunque. Oggetti che un tempo avevano scandito la vita quotidiana. Perlustrò la stanza per essere certo che non vi si nascondesse nessuno, poi passò alla cucina e alla camera da letto.

    «Non c’è nessuno» dichiarò di lì a poco tornando alla porta d’ingresso.

    Il sottotenente fece entrare il ragazzino e la donna, che si premette una mano sulla bocca per non gridare quando vide le condizioni in cui era ridotta la sua casa. Il figlio nascose il viso nella spalla della madre, che lo strinse a sé mentre procedeva con cautela verso la cucina.

    Per alleviare il suo dolore, Gabe decise di offrirle ogni comodità possibile. Andò nella stanza da letto, prese il materasso e lo sistemò in un angolo del soggiorno con una coperta malridotta.

    La donna uscì dalla cucina e gli offrì dell’acqua in una tazza sbeccata. Il ragazzino era aggrappato alla sua gonna, come un bambino terrorizzato.

    Gabe la ringraziò con un sorriso. Quando prese la tazza, le loro dita si sfiorarono, un contatto sufficiente a incendiargli il sangue di desiderio. Tracannò l’acqua e le restituì la tazza. «Gli Anglais vi hanno... fatto del male?» Come si diceva in francese? «Violée?»

    Le lunghe dita strinsero la tazza. «Non, ils ne m’ont pas molestée

    Gabe annuì, aveva capito che non era stata violentata. Grazie a Dio.

    «Ve la sentite di montare la guardia?» chiese al sottotenente. «Io dormirò un paio d’ore, poi vi darò il cambio.» Non dormiva da ventiquattr’ore, da quando era iniziato l’assedio.

    «Va bene, capitano...» mormorò Vernon, che sapeva che comunque non sarebbe riuscito a dormire.

    Bloccarono la porta accatastandovi contro i mobili rotti. Jack trovò una sedia di legno che si era salvata, e la portò vicino alla finestra.

    La madre e il figlio si rannicchiarono sul materasso, mentre Gabe si sedette per terra, con la schiena appoggiata alla parete.

    Lanciò una lunga occhiata alla donna, che per un istante lo ricambiò con uno sguardo intenso come un abbraccio.

    Gabe era turbato dall’effetto che quella donna produceva su di lui. L’attrazione che provava non gli faceva onore, vista l’esperienza che la poveretta aveva appena vissuto.

    Si impose di chiudere gli occhi. Aveva bisogno di dormire.

    Il frastuono del saccheggio continuò ma la voce sommessa della donna, che cercava di consolare il figlio, come una ninnananna fece addormentare Gabe.

    La carneficina durò altri due giorni. Gabe, il Sottotenente Vernon, madre e figlio restarono nella relativa sicurezza della casa saccheggiata, ma l’inattività forzata logorò i nervi del capitano, che avrebbe preferito scontrarsi con i predoni.

    I suoi bisogni, però, in quel determinato momento non erano importanti: bisognava salvaguardare la donna e suo figlio.

    Il poco cibo che riuscirono a recuperare lo cedettero volentieri al ragazzino, che aveva sempre fame. Il Sottotenente Vernon trascorse il tempo disegnando alcuni schizzi, che non mostrò a nessuno. Per cercare di distrarre il ragazzino, che sempre attaccato alla madre fissava Gabe e Vernon con aria diffidente, gli regalò dei disegni che raffiguravano animali bizzarri.

    Nessuno parlò molto. Gabe avrebbe potuto contare sulle dita di una mano quante volte lui e la donna si erano rivolti la parola, anche se lei restò sempre al centro dei suoi pensieri.

    Il terzo giorno capirono che nella città era stato ristabilito l’ordine. Quando Gabe li fece uscire dall’abitazione, la donna si girò indietro per guardare per l’ultima volta quella che era stata la sua casa.

    L’aria odorava di fumo e legno bruciato, ma l’unico suono riconducibile ai soldati era il ritmo di una marcia disciplinata.

    Si incamminarono verso il centro della città, dove Gabe immaginò si trovasse il quartier generale dell’esercito. E proprio lì gli fu indicato in quale edificio erano stati portati gli altri civili francesi. Prima di accompagnare la donna e il figlio all’interno Gabe esitò, rendendosi conto che gli dispiaceva consegnarla a degli estranei. Per una ragione che non riusciva a spiegarsi, quella donna era diventata per lui molto importante. Ma cos’altro avrebbe potuto fare?

    «Dobbiamo entrare» le disse.

    «Se siete d’accordo, io vi aspetto qui...» borbottò il sottotenente.

    «Come volete» rispose Gabe.

    «Arrivederci, madame.» Vernon si allontanò.

    Con aria spaventata, lei lo salutò con un cenno del capo. Sembrava rassegnata.

    Gabe li accompagnò in fondo a un corridoio. Due soldati facevano la guardia in una stanza disadorna, arredata con un tavolo e una sedia, dove era seduto un ufficiale inglese. C’era una ventina di persone, degli uomini che potevano essere stati ufficiali francesi, le donne e i bambini le cui famiglie erano state distrutte.

    Gabe parlò con l’ufficiale inglese, spiegandogli la situazione della donna.

    La risposta dell’uomo fu secca. «Le donne e i bambini saranno rimandati in Francia, se hanno il denaro per la traversata.»

    Gabe si allontanò ed estrasse da una tasca interna dell’uniforme un borsellino pieno di monete, praticamente tutto il denaro che possedeva. Dopo essersi assicurato che nessuno lo guardasse, lo mise in mano alla donna. «Ne avrete bisogno.»

    «Capitaine...» Con gli occhi sgranati, lei strinse il borsellino.

    «Nessuna discussione.»

    La donna chiuse l’altra mano su quella di Gabe, e l’intensità del suo sguardo gli procurò una stretta al cuore. Era assurdo, ma dirle addio era come perdere una parte di sé.

    Non conosceva neppure il suo nome.

    Dopo avere liberato la mano, indicò se stesso. «Gabriel Deane.» Se avesse avuto bisogno di lui, almeno sapeva come si chiamava.

    «Gabriel» sussurrò con quel meraviglioso accento francese. «Merci. Que Dieu vous bénisse

    Gabe aggrottò la fronte. Non ricordava quasi nulla del francese appreso a scuola.

    La donna cercò di spiegarsi: «Dieu... Dio...». Si fece il segno della croce. «Bénisse

    «Benedica?» tirò a indovinare Gabe.

    Lei annuì.

    «Au revoir, madame

    Stringendo i denti, Gabe si girò e si avviò verso la porta prima di commettere una sciocchezza. Baciarla, o partire con lei. Era una sconosciuta, niente di più. Il resto erano fantasie, non realtà.

    «Gabriel!»

    Lui si fermò.

    La donna lo raggiunse, poi gli abbassò il capo per baciarlo sulla bocca. Col viso vicinissimo al suo, sussurrò: «Mi chiamo Emmaline Mableau...».

    1

    Bruxelles, Belgio, maggio 1815

    Emmaline Mableau!

    Il cuore di Gabe prese a galoppare quando scorse la donna che non vedeva da tre anni. Con un pacchetto in mano, camminava di buon passo tra le viuzze di Bruxelles. Era Emmaline Mableau, ne era sicuro.

    O quasi.

    Pensava che fosse tornata in Francia, a vivere in un piccolo villaggio con i genitori... o un nuovo marito.

    Invece era lì, in Belgio.

    A Bruxelles vivevano molti francesi, perciò era possibile che anche lei avesse fatto quella scelta. Vent’anni di dominio francese erano terminati da un anno, con la sconfitta di Napoleone.

    Ma l’Empereur era fuggito dall’esilio all’isola d’Elba, e aveva organizzato un esercito che era in marcia per riconquistare l’impero. Il reggimento di Gabe, i Royal Scots, faceva parte dell’esercito alleato di Wellington e presto si sarebbe scontrato di nuovo con le forze di Napoleone.

    Dopo il trattato di pace, molti aristocratici inglesi si erano trasferiti a Bruxelles dove potevano vivere nel lusso spendendo assai meno che nel loro paese. Tuttavia Bruxelles era ancora influenzata dal dominio francese; sembrava che, da un giorno all’altro, i suoi abitanti si aspettassero di vedere Napoleone camminare per le strade. D’altronde quasi tutti in città parlavano francese.

    Gabe si era alzato all’alba per sgranchirsi le gambe e godersi l’aria frizzante del mattino. In quel periodo non aveva molte mansioni ufficiali da svolgere, perciò trascorreva le giornate esplorando la città.

    Mentre scendeva dalla collina per raggiungere la zona oltre il parco e la cattedrale, aveva intravisto Emmaline Mableau passare di fretta davanti ai negozi in procinto di aprire. A quel punto si era precipitato giù per il pendio per seguirla, cercando di non perderla di vista.

    Forse si era sbagliato, quella donna non era Emmaline Mableau.

    Forse la vista lo aveva ingannato, forse il fatto di pensare continuamente a lei lo aveva condizionato.

    Ma Gabe decise di accertarsene.

    Quando la donna svoltò, lui accelerò il passo. In fondo alla fila di negozi scorse un ondeggiare di gonne, una donna che entrava in una porta. Il battito del suo cuore accelerò: doveva essere

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