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Cacciatori di diamanti
Cacciatori di diamanti
Cacciatori di diamanti
E-book308 pagine4 ore

Cacciatori di diamanti

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Info su questo ebook

Il potere dell'odio. La forza dell'amore.

La rivalità e l'odio tra fratelli un tempo inseparabili. L'avidità umana e la sete di potere. La caccia ai diamanti nel Sudafrica incontaminato e selvaggio. Un romanzo appassionante, in una nuova traduzione.

Da quando è stato accolto nella famiglia van der Byl, Johnny Lance ha sempre fatto il possibile per compiacere il vecchio Jacobus e i suoi fratelli adottivi, Benedict, che è sempre stato invidioso di lui e dei suoi successi, e la bellissima Tracey, con cui ha un rapporto speciale. Finché un terribile equivoco non ha messo fine alla spensieratezza dell'infanzia: Johnny è stato mandato in collegio, e da allora il Vecchio ha cercato per decenni di distruggerlo.
La situazione non cambia nemmeno dopo la morte dell'odioso patriarca: costretto con l'inganno a investire tutto ciò che ha faticosamente guadagnato nella compagnia diamantifera dei van der Byl, Johnny si rende conto che sono solo due le cose di cui ha realmente bisogno nella vita: la sua reputazione e l'amore di Tracey. Ma Benedict, che è stato plasmato dal padre a sua immagine e somiglianza, è deciso a vederlo fallire. Anche se questo significa trascinare tutti loro nel baratro…

LinguaItaliano
Data di uscita16 lug 2020
ISBN9788830514881
Cacciatori di diamanti
Autore

Wilbur Smith

Considerato l’indiscusso maestro dell’avventura, è nato nel 1933 in Africa centrale e si è spento il 13 novembre 2021. Ha pubblicato più di quaranta titoli, tradotti in ventisei lingue, fra cui il ciclo ambientato nell'Antico Egitto e le celebri serie dedicate ai Courtney, ai Ballantyne e a Hector Cross. Nel 2015 ha fondato la Wilbur & Niso Smith Foundation, che promuove la cultura e la narrativa d'avventura. Fiore all'occhiello della fondazione è il prestigioso Wilbur Smith Adventure Writing Prize.

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    Anteprima del libro

    Cacciatori di diamanti - Wilbur Smith

    Il volo subì un ritardo di tre ore a Nairobi e nonostante avesse bevuto quattro doppi whisky, si addormentò profondamente solo quando il Boeing intercontinentale atterrò all’aeroporto di Heathrow.

    Johnny Lance si sentiva gli occhi irritati come se qualcuno gli avesse tirato della sabbia ed era di pessimo umore quando, dopo essersi sottoposto ai controlli umilianti dell’ufficio Dogana e Immigrazione, uscì nella sala principale del terminal internazionale.

    L’agente londinese della Van Der Byl Diamonds Company era lì ad aspettarlo.

    «Fatto buon viaggio, Johnny?»

    «Come andare all’inferno» borbottò Johnny.

    «Un po’ di pratica ti farà bene» rispose l’agente sorridendo.

    I due si conoscevano da molto tempo e insieme ne avevano viste di cotte e di crude.

    Johnny gli restituì il sorriso senza troppo entusiasmo.

    «Mi hai trovato una stanza e una macchina?»

    «Camera al Dorchester e Jaguar» L’agente gli consegnò le chiavi dell’automobile. «E ho prenotato due posti in prima classe sul volo di domani mattina alle 9.00 per Cape Town. Ho lasciato i biglietti alla reception dell’hotel.»

    «Bravo» disse Johnny infilandosi le chiavi nella tasca del cappotto di cashmere, e si avviarono verso l’uscita. «Dove diavolo è Tracey van der Byl?».

    L’agente si strinse nelle spalle. «Da quando ti ho scritto, è sparita dalla circolazione. Non so nemmeno da che parte puoi cominciare a cercarla.»

    «Fantastico! Semplicemente fantastico!» esclamò Johnny irritato mentre si dirigeva verso il parcheggio. «Inizierò da Benedict.»

    «Il Vecchio sa di Tracey?»

    Johnny scosse la testa. «È un uomo malato, non gli ho detto nulla.»

    «Ecco la tua macchina» disse l’agente fermandosi accanto a una Jaguar grigio perla. «Beviamo qualcosa insieme?»

    «La prossima volta» rispose Johnny mettendosi al volante.

    «Ci conto» disse l’agente, e se ne andò.

    Era quasi buio quando Johnny attraversò il cavalcavia di Hammersmith sotto una coltre compatta di smog, e si perse due volte nel labirinto di Belgravia prima di trovare la stretta viuzza dietro Belgrave Square dove si trovava l’appartamento di Benedict e parcheggiare l’auto.

    Dall’ultima volta che era stato lì, la facciata era stata completamente rinnovata e senza badare a spese. Johnny fece una smorfia. Forse Benedict non era molto abile a guadagnare soldi… ma era sicuramente bravo a spenderli.

    All’interno, le luci erano accese e Johnny bussò forte alla porta cinque o sei volte. Il rumore dei colpi risuonò sordo nel vicolo, e nel silenzio che seguì Johnny udì delle voci sussurrare da dietro le tende, poi vide un’ombra passare rapida davanti alla finestra.

    Johnny aspettò un paio di minuti al freddo, poi fece un passo indietro.

    «Benedict van der Byl» gridò. «Conto fino a dieci, se non apri questa porta, la butto giù a calci.»

    Poi fece un bel respiro e gridò ancora.

    «Sono Johnny Lance… sai che dico sul serio.»

    La porta si aprì quasi immediatamente. Johnny entrò senza nemmeno guardare l’uomo che la teneva aperta e si avviò in soggiorno.

    «Dannazione, Lance. Non puoi entrare lì» disse Benedict van der Byl correndogli dietro.

    «Perché no?» chiese Johnny voltandosi a guardarlo. «È un appartamento della compagnia e io sono il direttore generale.»

    Prima che Benedict potesse rispondere, Johnny entrò in soggiorno.

    Una delle ragazze raccolse i vestiti dal pavimento e corse via nuda in corridoio, verso la camera da letto. L’altra si infilò in testa un caftano a figura intera e guardò Johnny con aria stizzita. Aveva i capelli arruffati, con i riccioli crespi talmente gonfi da formare una specie di aureola grottesca intorno alla testa.

    «Bella festicciola!» esclamò Johnny guardando il proiettore appoggiato sul tavolino, e poi lo schermo appeso dall’altra parte della stanza. «Con tanto di film e tutto il resto.»

    «È della polizia?» chiese la ragazza.

    «Hai un aspetto terribile, Lance» disse Benedict van der Byl mentre si allacciava la cintura della vestaglia di seta.

    «È della polizia?» chiese di nuovo la ragazza.

    «No» la rassicurò Benedict. «Lavora per mio padre.»

    Nel dirlo sembrò riacquistare una certa sicurezza di sé: si raddrizzò e cominciò ad accarezzarsi con la mano i lunghi capelli scuri. La sua voce riprese un’inflessione calma e indolente. «In realtà, è il galoppino di papà.»

    Johnny si voltò verso di lui e, rivolgendosi alla ragazza senza guardarla, disse: «Sparisci, ragazzina. Fai come la tua amica».

    Lei esitò.

    «Sparisci!» tuonò Johnny, e lei se ne andò.

    I due uomini erano uno di fronte all’altro. Avevano la stessa età – sui trent’anni – ed entrambi erano alti e avevano i capelli scuri, ma per il resto erano completamente diversi.

    Johnny aveva le spalle larghe e i fianchi e la pancia snelli, la pelle levigata e brunita dal sole del deserto. La linea marcata della mascella risaltava sul suo viso e gli occhi sembravano guardare ancora orizzonti lontani. Pronunciava le parole con l’accento stretto e la voce nasale tipici di un altro paese.

    «Dov’è Tracey?» aveva chiesto.

    Benedict sollevò il sopracciglio fingendo sorpresa. La pelle, di un pallido olivastro, non era segnata dal sole perché erano passati mesi dall’ultima volta che era stato in Africa. Le sue labbra erano molto rosse, come se fossero state dipinte, e i suoi lineamenti erano nascosti dietro uno spesso strato di grasso. Le piccole borse flaccide sotto gli occhi e la rotondità sotto la vestaglia di seta erano la dimostrazione che mangiava e beveva troppo e che faceva poco esercizio.

    «Mio caro ragazzo, cosa diavolo ti fa pensare che io sappia dov’è mia sorella? Non la vedo da settimane.»

    Johnny si voltò e si diresse verso uno dei dipinti appesi alla parete opposta. La stanza era piena di quadri originali e di valore di artisti sudafricani – Alexis Preller, Irma Stern e Tretchikoff – un’insolita mescolanza di tecniche e stili, ma qualcuno doveva aver convinto il Vecchio che si trattasse di ottimi investimenti.

    Johnny si voltò di nuovo verso Benedict van der Byl. Lo studiò come aveva fatto con i quadri, confrontandolo con l’atleta giovane e in forma che era stato qualche anno prima. Nella mente, immaginò Benedict attraversare il campo da gioco con la grazia di un leopardo, sotto lo sguardo attento dei tifosi in tribuna, girarsi senza difficoltà sotto l’arco disegnato in aria dalla palla, riceverla con precisione, a testa alta, e tornare indietro nell’infield per il calcio di rinvio.

    «Stai ingrassando, Laddy Buck» disse piano, e le guance di Benedict si chiazzarono di rosso per la rabbia. «Via di qui» replicò Benedict in tono brusco.

    «Tra un minuto. Prima dimmi di Tracey.»

    «Te l’ho detto, non so dove sia. Starà facendo la puttana in giro per Chelsea.»

    Johnny sentì la rabbia montargli dentro, ma mantenne un tono calmo.

    «Da dove prende i soldi, Benedict?»

    «Non lo so… Dal Vecchio, probabilmente.»

    Johnny lo interruppe. «Il Vecchio le passa solo una paghetta di dieci sterline a settimana, ma da quanto ho sentito in giro lei ne spende di più.»

    «Cristo, Johnny» disse Benedict in tono conciliatorio, «non lo so. Non sono affari miei. Forse glieli dà Kenny Hartford…»

    Ancora una volta Johnny lo interruppe, impaziente. «Kenny Hartford non le dà un soldo. Erano questi gli accordi quando hanno divorziato. Ora voglio sapere chi sta pianificando il suo viaggio verso l’oblio. Che mi dici di te, suo fratello maggiore?»

    «Io?» ribatté Benedict indignato. «Sai che Tracey e io non andiamo esattamente d’amore e d’accordo.»

    «Devo spiegartelo per filo e per segno?» chiese Johnny. «Va bene, allora. Il Vecchio sta morendo, ma continua a provare orrore verso tutto ciò che è debolezza e peccato. Se Tracey si trasforma in una piccola sgualdrina tossicodipendente, allora ci sono buone probabilità che il nostro Benedict rientri nelle sue grazie. In questo momento per te è un buon investimento: pagare qualche migliaio di sterline e mandare Tracey all’inferno. Fare in modo che interrompa ogni rapporto con suo padre così che tutti quei bei milioni finiscano nelle tue tasche.»

    «Chi ha parlato di droga?» disse Benedict, furioso.

    «Io.» Johnny si avvicinò a lui. «Io e te abbiamo un piccolo conto in sospeso. Mi piacerebbe molto farti a pezzi per vedere che cos’è che ti spinge a farlo.»

    Sostenne lo sguardo per un lungo istante, poi Benedict abbassò gli occhi e armeggiò con la cintura della vestaglia.

    «Dov’è, Benedict?»

    «Ti ho già detto che non lo so, maledizione!»

    Johnny si avvicinò di soppiatto al proiettore e prese una bobina dal tavolo accanto. Srotolò alcuni piedi di pellicola e la sollevò per osservarla in controluce.

    «Bella!» disse, ma la sua bocca si arricciò in una smorfia di disgusto.

    «Mettila giù» scattò Benedict.

    «Sai come la pensa il Vecchio su queste cose, vero?»

    All’improvviso Benedict impallidì.

    «Non ti crederebbe.»

    «Sì, invece.» Johnny lanciò la bobina sul tavolo e si voltò verso Benedict. «Mi crederebbe perché non gli ho mai mentito.»

    Benedict esitò un istante, poi si asciugò nervosamente le labbra con il dorso della mano.

    «Non la vedo da due settimane. Ha preso in affitto un appartamento a Chelsea, al numero 23 di Stark Street. Ed è venuta a trovarmi.»

    «Per cosa?»

    «Mi ha chiesto dei soldi e io le ho prestato un paio di sterline» farfugliò Benedict, controvoglia.

    «Un paio di sterline?» chiese Johnny.

    «Va bene, un paio di centinaia. Dopotutto, è mia sorella.»

    «Che gesto gentile da parte tua» si congratulò Johnny. «Scrivimi l’indirizzo.»

    Benedict si avvicinò allo scrittoio con il piano in pelle e scarabocchiò qualcosa su un biglietto. Poi tornò indietro e lo diede a Johnny.

    «A te piace pensare di essere forte e potente, Lance.» Benedict parlava piano, ma la sua voce tremava di rabbia. «Be’, anch’io sono pericoloso, sebbene in modo diverso. Il Vecchio non può vivere per sempre. E quando se ne sarà andato, verrò a cercarti.»

    «Guarda come tremo» rispose Johnny con un sorriso e se ne tornò verso la macchina.

    Il traffico a Sloane Square si era fatto intenso e Johnny fece scivolare lenta la sua Jaguar verso Chelsea. Ebbe un sacco di tempo per pensare; per ricordare quanto erano stati vicini, loro tre. Lui, Tracey e Benedict.

    Avevano corso insieme come piccoli selvaggi e il loro parco giochi erano state le lunghissime spiagge e le montagne e le pianure soleggiate di Namaqualand. Questo prima che il Vecchio facesse la grande scoperta sul fiume Slang, prima che ci fossero abbastanza soldi per comprare le scarpe. Quando Tracey indossava abiti fatti con i sacchi di farina cuciti insieme, e ogni giorno tutti e tre andavano a scuola a dorso di un unico pony, come tre piccoli passeri impolverati in fila su una staccionata.

    Ricordò le risate e i giochi segreti di quelle lunghe settimane soleggiate mentre il Vecchio era via. Quando tutti i pomeriggi si arrampicavano sulla kopje dietro la baracca di fango crudo e guardavano verso nord attraverso la terra sconfinata, marrone e viola al tramonto, per scorgere in lontananza la nuvola di polvere che preannunciava l’arrivo del Vecchio.

    Poi l’eccitazione, quasi dolorosa, di vedere il polveroso e malconcio furgone Ford, con i parafanghi legati con lo spago, comparire improvvisamente nel cortile. Il Vecchio scendeva dalla cabina con il cappello madido di sudore e la barba incolta piena di polvere, sollevava Tracey e la faceva dondolare sopra la testa, mentre lei gridava di gioia. Quindi, si voltava verso Benedict, e infine verso Johnny. Sempre in quest’ordine: Tracey, Benedict, Johnny.

    Johnny non si era mai chiesto perché non fosse mai il primo. Era sempre stato così. Tracey, Benedict, Johnny. Così come non si era mai chiesto perché il suo cognome fosse Lance e non van der Byl. Poi, all’improvviso, tutto era finito, il sogno luminoso della sua infanzia era svanito per sempre.

    «Johnny, non sono il tuo vero padre. Tuo padre e tua madre sono morti quando eri piccolo.» Johnny aveva fissato incredulo il Vecchio.

    «Hai capito quello che ho detto, Johnny?»

    «Sì, Pa’.»

    Da sotto il tavolo, la mano di Tracey cercò a tentoni la sua, come un piccolo animaletto caldo. Ma lui la ritrasse con un gesto brusco.

    «Penso che faresti meglio a non chiamarmi più così, Johnny.»

    Ricordava perfettamente il tono di voce che aveva usato il Vecchio, neutro, impassibile, mentre mandava in frantumi il fragile cristallo della sua infanzia. In quel momento ebbe inizio la sua solitudine.

    Johnny accelerò e svoltò in King’s Road. Fu sorpreso che quel ricordo fosse ancora così doloroso… il tempo avrebbe dovuto attenuarlo e ammorbidirlo. Da quel giorno in poi, la sua vita era diventata una lotta continua per guadagnarsi l’approvazione – non osava sperare l’affetto – del Vecchio.

    Presto ci furono altri cambiamenti: una settimana dopo, durante la notte, il vecchio furgone Ford spuntò inaspettatamente dal deserto. Il suo rombo insieme all’abbaiare dei cani e alla risata sonora del Vecchio li svegliarono, costringendoli ad abbandonare, ancora mezzi addormentati, i loro letti a castello.

    Il Vecchio accese la lampada Petromax e li fece sedere sulle sedie intorno al tavolo della cucina. Quindi con l’aria di un prestigiatore mise sul tavolo qualcosa di simile a un grosso pezzo di vetro rotto.

    I tre bambini, ancora assonnati, lo fissarono con aria solenne ma senza capire. La luce intensa della Petromax rimase imprigionata all’interno del cristallo, che la rese più intensa e la rifletté nuovamente su di loro come un lampo azzurro e fiammeggiante.

    «Dodici carati» gongolava il Vecchio, «bianco azzurro e perfetto, e ce ne sono a carrettate nel posto in cui l’ho trovato.»

    Da quella sera le cose per loro cambiarono: ci furono vestiti e automobili nuove, il trasferimento a Cape Town, la nuova scuola e la grande casa di Wynberg Hill, ma la lotta in cui era impegnato Johnny rimase la stessa. Quella lotta che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto fargli guadagnare l’approvazione del Vecchio, e invece aveva solamente attirato l’invidia e l’odio di Benedict van der Byl. Privo della motivazione e della determinazione di Johnny, Benedict non poteva ambire a eguagliare i suoi traguardi nello studio e nello sport. Era di gran lunga inferiore a Johnny, e per questo lo odiava.

    Il Vecchio non se ne accorse perché a quei tempi raramente era con loro. I tre ragazzi vivevano da soli nella grande casa con la governante, una donna magra e silenziosa, e il Vecchio andava a trovarli di rado e per brevi periodi. Sembrava sempre stanco e distratto. A volte portava dei regali da Londra, Amsterdam e Kimberley, ma i regali non significavano molto per loro. Avrebbero preferito che tutto fosse come prima, quando vivevano nel deserto.

    Nel vuoto lasciato dal Vecchio, l’ostilità e la rivalità tra Johnny e Benedict crebbe a tal punto che Tracey fu costretta a prendere le parti di uno dei due. E scelse Johnny.

    Nella loro solitudine, si sostenevano l’uno con l’altra.

    La ragazzina seria e il grande ragazzo allampanato costruirono insieme un castello contro la solitudine. Era un luogo sicuro e luminoso dove la tristezza non poteva raggiungerli… e Benedict ne era escluso.

    Johnny spinse la Jaguar fuori dal traffico e svoltò in Old Church Street, in direzione del fiume nel quartiere di Chelsea. Mentre guidava in automatico, i ricordi tornarono ad affollarsi nella sua testa.

    Tentò di rivivere e rievocare l’immagine del castello di calore e amore che lui e Tracey si erano costruiti tanti anni prima, ma la mente tornò subito alla notte in cui quel castello era crollato.

    Una notte nella vecchia casa di Wynberg Hill, Johnny era stato svegliato da un pianto lontano. A piedi nudi e in pigiama, aveva camminato in direzione di quei singhiozzi strazianti. Aveva quattordici anni e quella casa buia gli faceva paura.

    Tracey stava piangendo con il viso sprofondato nel cuscino e lui si era chinato su di lei.

    «Tracey. Cosa c’è? Perché piangi?»

    Lei si era alzata, mettendosi in ginocchio sul letto, e gli aveva gettato le braccia attorno al collo.

    «Oh, Johnny. Ho fatto un sogno orribile. Abbracciami, per favore. Non andare via, non lasciarmi sola.» La sua voce era ridotta a un sussurro ed era ancora carica e strozzata dalle lacrime. Lui si era infilato nel letto e l’aveva abbracciata fino a che non si era addormentata.

    Da quella notte, era tornato nella sua stanza ogni sera. Era una cosa del tutto innocente e infantile, una ragazzina di dodici anni che dormiva nel letto insieme a un ragazzo che, di fatto, era suo fratello, anche se aveva un cognome diverso. Si abbracciavano, si parlavano a bassa voce e ridevano piano finché non si addormentavano.

    Poi, una notte la luce della stanza si era accesa all’improvviso e il castello era esploso. Il Vecchio stava in piedi sulla porta e Benedict era dietro di lui, in pigiama, che saltellava per l’eccitazione e ripeteva trionfante: «Te l’avevo detto, pa’! Te l’avevo detto!».

    Il Vecchio fremeva dalla rabbia, la massa di capelli grigi si sollevava sulla sua testa come la criniera di un leone ferito. Aveva trascinato Johnny fuori dal letto strappandolo dalle braccia di Tracey e lei si era avvinghiata a lui.

    «Piccola puttana» gridò, tenendo senza sforzo il ragazzo terrorizzato con una mano, e sporgendosi in avanti per dare uno schiaffo a sua figlia con l’altra. Dopo averla lasciata in lacrime, a faccia in giù sul letto, trascinò Johnny per il corridoio fino allo studio al piano terra. Lo scaraventò nella stanza con una violenza tale da farlo sbattere contro la scrivania.

    Il Vecchio si avvicinò alla rastrelliera e prese un bastone leggero di malacca. Poi si avvicinò a Johnny e, prendendolo per i capelli, gli sbatté la faccia sulla scrivania.

    Non era la prima volta che il Vecchio lo picchiava, ma non lo aveva fatto mai così. Pazzo di rabbia, lo colpiva alla cieca, per lo più sulla schiena.

    Tuttavia, nonostante il dolore atroce, per il ragazzo era importante non gridare. Si morse le labbra fino a sentire in bocca il sapore salato e metallico del sangue. Non deve sentirmi piangere! E così soffocò i gemiti mentre i pantaloni del pigiama, impregnati di sangue, si incollavano alle gambe.

    Il suo silenzio servì solo a esacerbare la furia del Vecchio, che gettò via il bastone e lo obbligò ad alzarsi in piedi. Lo colpì a mani nude, sbattendogli la testa da una parte e dall’altra con una serie di schiaffi che gli rimbombarono nella testa.

    Nonostante questo, Johnny riuscì a rimanere in piedi, aggrappandosi al bordo della scrivania. Aveva le labbra rotte e gonfie, e il volto tumefatto, pieno di ferite e lividi, quando il Vecchio perse completamente il senno. Strinse il pugno e glielo scagliò in faccia… e con una meravigliosa sensazione di sollievo Johnny sentì il dolore fuoriuscire in una calda ondata di oscurità.

    * * *

    Johnny udì delle voci. Prima una che non riconobbe. «… come se fosse stato aggredito da una bestia selvaggia. Dovrò informare la polizia.»

    Quindi una voce che gli sembrava familiare, ma che ci mise un po’ a identificare. Cercò di aprire gli occhi, ma parevano incollati. Si sentiva il viso gonfio e caldo. Si costrinse ad aprire le palpebre gonfie e riconobbe Michael Shapiro, il segretario del Vecchio, che parlava a bassa voce con l’altro uomo.

    Nella stanza c’era odore di disinfettante e sul comodino accanto al letto c’era la borsa del dottore, aperta.

    «Ascolti, dottore. So che può sembrarle strano… ma non sarebbe meglio che parlasse con il ragazzo, prima di informare la polizia?»

    Entrambi guardarono verso il letto.

    «È cosciente» disse il dottore avvicinandosi in fretta. «Che cosa è accaduto, Johnny? Raccontaci che cosa ti è successo. Chiunque ti abbia ridotto così verrà punito, te lo prometto.»

    No, questo non era possibile. Nessuno avrebbe potuto punire il Vecchio.

    Johnny cercò di parlare, ma le sue labbra erano rigide e gonfie. Ci riprovò.

    «Sono caduto» disse. «Sono caduto. Non è stato nessuno! Nessuno! Sono solo caduto per terra.»

    Quando il dottore se ne fu andato, Mike Shapiro si avvicinò e si chinò su di lui. I suoi occhi scuri da ebreo erano pieni di compassione e di qualcos’altro: forse rabbia o ammirazione. «Ti porto a casa mia, Johnny. Ti rimetterai presto.»

    Per due settimane fu affidato alle cure della moglie di Michael, Helen.

    Le croste vennero via, i lividi si schiarirono fino a diventare macchie giallastre, ma il naso gli rimase storto. Si studiò il nuovo naso allo specchio e gli piacque. Lo faceva sembrare un pugile, pensò, o un pirata, però dovettero passare molti mesi prima che la sensibilità sparisse e riuscisse a toccarlo senza sentire dolore.

    «Stammi a sentire, Johnny, tu ora andrai in una nuova scuola. Si tratta di un ottimo collegio a Grahamstown.» Shapiro si sforzò di sembrare entusiasta. Grahamstown era a cinquecento miglia di distanza. «Durante le vacanze lavorerai a Namaqualand, imparerai tutto sui diamanti e su come estrarli. Ti piacerà, vedrai. Che ne pensi?»

    Johnny ci aveva pensato per un momento, osservando la faccia di Michael e leggendoci la sua vergogna.

    «Allora non tornerò più a casa?» Per casa intendeva quella di Wynberg Hill. Michael scosse la testa.

    «Quando vedrò…» Johnny esitò mentre cercava di trovare le parole giuste. «Quando li rivedrò?»

    «Non lo so, Johnny» rispose Michael con sincerità.

    Come gli aveva promesso Michael, il collegio era ottimo.

    La prima domenica, alla fine della messa, ritornò in classe con i compagni per l’ora riservata alla scrittura delle lettere a casa. Senza perdere un solo minuto, i ragazzi cominciarono a scrivere una lettera ai genitori, raccontando loro quello che facevano al collegio. Johnny, invece, rimase seduto immobile con aria affranta finché il professore non si fermò al suo banco.

    «Non scrivi a casa, Lance?» chiese in tono gentile «Sono sicuro che vogliano sapere come stai.»

    Obbediente, Johnny prese la penna e fissò il foglio bianco.

    Alla fine scrisse:

    Stimato Signore,

    spero le faccia piacere sapere che sono già al collegio. Il cibo è buono ma i letti sono duri. Andiamo in chiesa tutti i giorni e giochiamo a rugby.

    Suo,

    Johnny

    Da quel momento, e fino a quando non abbandonò il collegio, tre anni dopo, per frequentare l’università, scrisse al Vecchio tutte le settimane. Tutte le lettere iniziavano allo stesso modo, con Stimato Signore, e andavano avanti con Spero le faccia piacere sapere che.

    Ma non ottenne mai risposta.

    Alla fine di ogni trimestre, riceveva una lettera scritta a macchina di Michael Shapiro, con cui lo informava degli accordi presi per le vacanze scolastiche. Di solito prevedevano un viaggio di centinaia di miglia attraverso il Karoo fino a un villaggio sperduto nella vasta distesa desertica, dove un piccolo aereo della Van Der Byl Diamonds Company lo attendeva per portarlo in una zona ancora più sperduta nel deserto, su cui la compagnia aveva ottenuto la concessione. E lì, come gli aveva promesso Michael Shapiro, aveva imparato a conoscere i diamanti e come estrarli.

    Quando arrivò il momento di andare all’università, fu del tutto naturale per lui iscriversi a Geologia.

    In tutti quegli anni, Johnny era stato tagliato fuori dalla famiglia

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