La rossa e la bambina: Harmony Destiny
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Anteprima del libro
La rossa e la bambina - Kathryn Taylor
successivo.
1
«Che significa, ho una sorella?» Ian Bradford scattò in piedi e indirizzò un'occhiata di fuoco all'avvocato di mezza età seduto dietro la scrivania di mogano. «Deve esserci un errore.»
Richard Jenkins era l'avvocato di famiglia da più anni di quanto Ian ricordasse. I suoi rapporti con lui erano sempre stati più cordiali e frequenti di quelli con suo padre.
«Non c'è nessun errore, Ian. Ecco qui una copia del certificato di nascita.»
Ian afferrò il documento ufficiale. La notizia dell'infarto del padre era stata meno traumatizzante di quell'ultima rivelazione. «Due anni?»
«Quasi tre» mugugnò Jenkins.
«E dove diavolo sta la differenza? Lui aveva già superato la sessantina.»
Jenkins sbuffò, indignato. «Guarda che non è che uno chiude col sesso dopo i quaranta.»
Ian si lasciò sfuggire una risata amara. «Mio padre no di certo.»
Negli ultimi trent'anni, Wesley Bradford era stato attraversato dalla classica crisi di mezz'età, ma si era sempre vantato di non essersi più fatto accalappiare da una donna dopo il divorzio.
«Qui dice che la madre aveva solo venticinque anni. Tiffany Moore. Che razza di nome è? Sembra una lampada.» Ian grugnì, disgustato. «Venticinque? Be', gli sono sempre piaciute giovani.»
«Tuo padre possedeva un grande carisma.»
«Mio padre aveva un sacco di soldi. Questo era il segreto del suo fascino. Da' retta a uno che lo conosceva bene.»
Ian gettò un'altra occhiata al documento. Se suo padre andava così fiero di sua figlia, perché non le aveva dato il suo nome? In fondo, su un certificato di nascita una donna poteva rivendicare la paternità di chiunque. Soprattutto quando c'era di mezzo un'impresa fiorente. Quell'ignota bambina e la sua scaltra mamma non meritavano alcuna partecipazione nell'azienda di famiglia.
«Staremo a vedere. Intanto, richiederò un'analisi del DNA, ci puoi scommettere.»
Jenkins scosse il capo. «E credi che a esigerlo non sia stato proprio Wesley prima di accordarsi sul pagamento degli alimenti? I risultati sono nel fascicolo.»
«E la madre della bambina? Dove vive, attualmente?»
«È morta sei mesi fa in un incidente stradale. Tua sorella vive con la zia in una cittadina alla periferia di New York.»
«Io non ho nessuna sorella.»
«Chiamala come ti pare. Chelsea Moore è la figlia di Wesley, e secondo i termini testamentari possiede metà della Westervelt Properties.»
Ian grugnì. Suo padre aveva scelto un modo crudele di assolvere ai suoi obblighi paterni nei confronti dei suoi due pargoli. Perché non aveva lasciato tutto alla sua figlia illegittima? Lui non voleva la sua carità. Era contento, almeno, che suo nonno non fosse andato con lui quel giorno. Sarebbe stato come affondare il coltello nella piaga.
Ian aveva aspettato vent'anni per adempiere alla promessa che aveva fatto quando era soltanto un bambino. Adesso nessuno glielo avrebbe impedito. Nessuno.
«E se impugno il testamento?»
«Su che basi?» Jenkins assunse un'aria costernata, poi emise una timida risata. «Potresti intentare causa per ottenere la tutela dei diritti amministrativi dell'eredità di tua sorella. Un giudice guarderebbe in maniera più favorevole un legame tra fratelli piuttosto che uno con una zia non sposata. Soprattutto dal momento che tu conosci già così bene l'azienda.»
«Allora, fallo.»
«Accidenti, Ian. Non è il mio campo. Dovrei associarmi a qualcun altro.»
«Bene. Fa' preparare dalla tua segretaria tutti i documenti necessari in modo che li possa firmare oggi stesso.» Ian si appoggiò allo schienale della poltrona, concedendosi di rilassarsi per la prima volta dalla lettura del testamento di suo padre. «Che cosa sai di questa zia?»
«Sarà qui fra mezz'ora. Giudica tu stesso. Volevo incontrarti prima perché conosco i tuoi sentimenti nei riguardi dell'azienda di tuo padre.»
«Di mio nonno» lo corresse Ian.
«Wesley la acquistò...»
Ian batté un pugno sul tavolo. «Con il raggiro. E tu lo sai bene.»
Jenkins giocherellava distrattamente con la cravatta. Poteva anche difendere il suo cliente fino all'inferno, ma sia lui che Ian conoscevano bene la verità.
Mentre la madre di Ian era convalescente in ospedale dopo un'operazione di cancro, Wesley aveva sfruttato la procura che lei gli aveva concesso per trasferire le partecipazioni della Westervelt Properties dalla sua consorte a se stesso, raggiungendo così una quota azionaria che gli aveva garantito il controllo di maggioranza della compagnia, il che gli aveva permesso di estromettere il nonno di Ian dalla carica di presidente.
Jenkins tamburellava con le dita sul tavolo. «Perché non incontri quella donna e vedi se puoi accordarti in qualche modo con lei prima di iniziare una battaglia legale che si trascinerebbe per un paio di anni?»
«A che pro?»
«È abbastanza probabile che la zia consideri l'idea di vendere le quote della bambina e intascare il denaro.»
«Speriamo tu abbia ragione.»
L'avvocato scosse il capo, incupito. «Cerca di controllarti. So che Wesley non ha mai trattato bene né te né tua madre...»
Ian agitò la mano per zittirlo. Non era disposto ad accettare la commiserazione dell'uomo che aveva aiutato suo padre a estromettere i suoi nonni dall'azienda di famiglia. «Risparmiami la predica. Dimmi quel che sai sulla zia. Voglio sapere a chi vado incontro.»
Shannon Moore verificò con attenzione l'indi rizzo sulla busta. Richard Jenkins, Esquire. Suite 218. Non sapeva perché ci era andata. L'avvocato avrebbe potuto certamente inviarle una copia del testamento. Dopotutto, Wesley Bradford non aveva mai conosciuto sua figlia e di sicuro era stato più che deciso a interrompere il pagamento degli alimenti per la bambina dopo la morte di Tiffany. Anche se, a essere onesti, era lei che rimandava indietro l'assegno che le arrivava puntualmente ogni mese.
Dopo essersi stirata con le mani la gonna di lino sgualcita, aprì la porta esterna e si inoltrò dentro gli uffici.
«La signorina Moore?» le chiese una segretaria sbirciandola dalla scrivania.
«Sì.»
«Il signor Jenkins la sta aspettando.» Sollevò il telefono e annunciò l'arrivo di Shannon. «Prima porta sulla destra.»
Shannon annuì e percorse il corridoio. Un uomo comparve sulla soglia e le tese la mano. «Grazie per essere venuta, signorina Moore. Sono Richard Jenkins.»
Lei sorrise e lo seguì nello studio.
All'interno, un altro uomo si alzò da una poltrona e la salutò con un cenno del capo. «Signorina Moore.»
L'abito elegante e l'orologio d'oro parlavano di ricchezza, ma la mano callosa che le tese era quella di un uomo che si era guadagnato il denaro col sudore. Lui ritornò a sedere sulla poltrona di pelle e incurvò le labbra in un ghigno arrogante. Occhi azzurri, di ghiaccio, la scrutavano con ammirazione, mettendola a disagio come non le capitava da anni. Quel connubio di sensualità e pericolo era quanto detestava di più in un uomo.
«Le presento Ian Bradford» annunciò Jenkins, con il suo stesso disagio.
E così, quello era il figlio di Wesley Bradford. In apparenza, i due uomini non si assomigliavano per niente, ma era sicura che Ian Bradford avesse ereditato il piglio rude del padre. Se avesse saputo che sarebbe andata incontro a un'imboscata, si sarebbe preparata.
Con lentezza, piegò il capo nella sua direzione. «Signor Bradford. Condoglianze per suo padre.»
Lui rispose con un breve cenno e un'occhiata gelida.
Il signor Jenkins indicò una poltroncina. «Se si vuole accomodare, signorina Moore, possiamo cominciare.»
Lei obbedì. «Avrei dovuto portare anche il mio avvocato?»
Ian si sporse in avanti e appoggiò i gomiti sul tavolo. Muscoli ben definiti misero alla prova le cuciture del suo abito di alta sartoria. «C'è qualche motivo perché possa ritenerlo necessario?»
Shannon incontrò il suo sguardo fermo e si rifiutò di abbassare gli occhi. Erano passati i tempi in cui si lasciava intimidire da un uomo. Se i suoi trentadue anni le avevano insegnato qualcosa, era che gran parte degli uomini sapevano come sfruttare le debolezze femminili a proprio vantaggio. «Non ne sono ancora sicura.»
«Oserei dire che la signorina Moore sia un po' sospettosa» commentò Ian sardonico, passandosi le dita fra i capelli. «Per quale motivo?»
«Mi riservo qualsiasi giudizio dopo che vi avrò ascoltati.»
Jenkins spinse un grosso fascicolo sul tavolo. «Ho sottolineato la parte del testamento pertinente la sua protetta, Chelsea Moore. Se vuole saltare subito a pagina sei...»
«Oh, lasciamo che lo legga tutto, Richard. Non vogliamo che trascuri nessuno degli illustri segreti di Bradford.»
Shannon inforcò gli occhiali e cominciò a leggere il lungo documento. Notò che Ian non ne teneva sottomano una copia, quindi dedusse che lo avesse già letto in precedenza. Diede una rapi da scorsa alle disposizioni per il funerale e passò subito alla parte inerente i lasciti. Capì immediatamente perché Ian sembrava avere un diavolo per capello.
Wesley Bradford aveva lasciato a ognuna delle sue donne una donazione in denaro, inclusa sua sorella e tutte le signorine con cui aveva avuto una relazione, in totale diciotto. Shannon aveva incontrato Wesley Bradford solo una volta e quel che stava leggendo era la dimostrazione che il suo intuito non aveva fallito: quell'uomo era stato un freddo, cinico bastardo.
Sollevò lo sguardo e incontrò il ghigno sardonico di Ian. Tale padre, tale figlio. Rabbrividì. «Credo che me lo porterò a casa e lo leggerò con calma.»
«Giacché è qui, preferirei che restasse. C'è qualcosa di cui gradirei discutere con lei.» Ian si protese in avanti sulla poltrona, bloccandole del tutto la vista dell'avvocato.
Jenkins si alzò in piedi e si tirò giù nervosamente i polsini della giacca. «Vado a prendere del caffè.»
Shannon assentì e puntò gli occhi sul paragrafo evidenziato. Cercò di rimanere inespressiva mentre leggeva la parte riguardante la partecipazione al cinquanta per cento di Chelsea nella Westervelt Properties. Sua nipote forse non avrebbe dovuto preoccuparsi della sua istruzione al college. A meno che non fosse proprio dell'eredità che Ian volesse discutere.
«Presumo che lei vorrà impugnare il testamento.»
«Non posso, come il signor Jenkins di sicuro le confermerà al suo ritorno. Tuttavia, sarei interessato all'acquisto delle quote appartenenti alla sua protetta.»
«Mia nipote» contestò lei con rabbia, «che si dà il caso sia anche sua sorella.»
«Io non ho nessuna sorella. Mio padre, sfortunatamente, aveva una figlia» mugugnò