Verità sepolte: Harmony Destiny
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Quando l'investigatore Jackson Rush accetta di rapire Crista Corday nel giorno delle sue nozze, il suo intento è impedirne il matrimonio con un uomo disonesto, non certo innamorarsene. Eppure bastano due giorni insieme a lei per dimenticare ogni regola. Pronto a tutto pur di proteggerla, non può darle l'unica cosa che lei desidera: la verità. Perché significherebbe rivelarle chi gli affidato quell'incarico e rischiare quindi di perderla per sempre.
Miniserie "I Segreti di Chicago" - Vol. 3/4
Barbara Dunlop
Tra le autrici più note e amate dal pubblico italiano.
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Verità sepolte - Barbara Dunlop
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1
La pesante porta di metallo si richiuse con uno schianto alle spalle di Jackson Rush, echeggiando per i corridoi del Riverway State Correctional Institute, il più grande penitenziario nel Nordest dell'Illinois. Si fermò un istante e osservò l'ambiente attorno a sé, preparandosi mentalmente. Poi avanzò senza fretta mentre i tacchi dei suoi stivali rimbombavano sul linoleum consumato. Con quelle vecchie celle dalle sbarre di ferro, i blocchi di cemento grigio, le luci fluorescenti e le grida sguaiate, quel luogo inquietante sarebbe stato perfetto per l'ambientazione di un film.
Suo padre, Colin Rush, era rinchiuso lì da quasi diciassette anni per aver sottratto trentacinque milioni di dollari ad alcuni ignari investitori di un suo progetto personale. Il drammatico arresto era avvenuto il giorno del tredicesimo compleanno di Jackson. La polizia si era presentata a casa loro, nel giardino con piscina in cui si stava tenendo la festa, mettendo in fuga gli invitati. Lui rammentava ancora la torta a due strati, blu e bianca, con il proprio nome sopra, che scivolava dal tavolo e cadeva sull'erba, schizzando panna ovunque.
In un primo momento, il padre aveva proclamato a gran voce la propria innocenza. La madre lo aveva trascinato in tribunale ogni giorno del processo per sostenere stoicamente la difesa del marito. Tutto inutile. Quando uno dei clienti di Colin si era tolto la vita, lui aveva perso la simpatia del pubblico ed era stato condannato a vent'anni di detenzione. Da allora, Jackson non lo aveva più visto.
Svoltò l'angolo dell'area visite, pronto a vedere semplici panche di legno, divisori di plexiglas e dei ricevitori telefonici neri. Invece, si ritrovò in un'ampia sala ben illuminata da alte finestre che assomigliava a una mensa di una scuola superiore. C'erano diversi tavoli rossi, ciascuno con quattro sgabelli fissati al pavimento di piastrelle a scacchi. Alcune guardie si muovevano fra la folla di visitatori per controllare la situazione.
Da uno dei tavoli si alzò un uomo. Trascorse qualche istante, prima che Jackson riconoscesse il padre. Colin era invecchiato. Le guance incavate e il contorno degli occhi erano segnati da profonde rughe. La schiena era ricurva e la calvizie incipiente. Gli sorrise.
Jackson non ricambiò. Si era recato lì malvolentieri, senza comprendere perché il padre avesse insistito tanto, tramite e-mail e messaggi vocali, per una sua visita. Alla fine, infastidito, aveva ceduto.
Si diresse a grandi passi verso di lui per accelerare i tempi. Non vedeva l'ora di andarsene.
«Papà» lo salutò freddamente, stringendogli la mano per evitare un imbarazzante abbraccio.
«Ciao, figliolo.» I suoi occhi stanchi traboccavano di emozione.
Jackson spostò lo sguardo sull'altro uomo seduto al tavolo. La sua espressione era una mescolanza di fastidio e di curiosità.
«Mi fa piacere vederti» affermò Colin. «Jackson, questo è Trent Corday. È il mio compagno di cella da un anno.»
Sempre più perplesso, Jackson sollevò un sopracciglio. «Che cosa vuoi?»
Immaginò che si stesse avvicinando l'udienza per ottenere la libertà vigilata, lui però non lo avrebbe di certo aiutato a uscire di prigione prima del tempo. Gli restavano tre anni e, per quanto lo riguardava, li meritava tutti quanti. Le sue azioni sconsiderate avevano danneggiato decine di persone, compresa la sua famiglia. La madre di Jackson aveva sofferto enormemente dopo la condanna. Aveva incominciato a bere, ad abusare di antidolorifici per poi soccombere al cancro cinque anni più tardi.
Colin gli indicò uno sgabello. «Accomodati.» Lui e il figlio si sedettero contemporaneamente. «Trent ha un problema.»
Gli sfuggiva cosa potesse avere a che fare lui con il problema di Trent, ma decise di attendere e ascoltare.
«Si tratta di mia figlia» iniziò l'altro. «Mi trovo in prigione da tre anni per un equivoco e...»
«Risparmiami i particolari» abbaiò Jackson. Conosceva le menzogne di cui sono capaci i delinquenti e rammentava le proteste del padre che giurava di essere stato frainteso e incastrato.
«Ecco... lei è caduta vittima della famiglia Gerhard. Non so se l'hai mai sentita nominare.»
Lui annuì e gettò un'occhiata nervosa al proprio orologio.
L'uomo estrasse dalla tasca della camicia una foto e la fece strisciare sul tavolo verso di lui. «Non è stupenda?»
La ragazza nell'istantanea era davvero molto bella. Venticinque anni circa, vaporosi capelli ramati, un sorriso radioso e incredibili occhi verdi. La sua espressione, tuttavia, era indecifrabile.
«Sta per sposarsi con Vern Gerhard. Quella famiglia è nota a parecchi ospiti qui dentro. Vern è un truffatore e un imbroglione. E così suo padre e suo nonno prima di lui.»
La figlia di Trent aveva gusti discutibili in fatto di uomini, tuttavia la faccenda non era così eclatante. Molte donne sposavano l'uomo sbagliato, perciò non capiva che cosa c'entrasse lui.
Prese un lungo respiro. «Che cosa vuoi da me?»
«Voglio che tu impedisca il matrimonio.»
«Perché mai dovrei fare una cosa del genere?»
«Lui è interessato solo al suo denaro.»
Jackson sollevò un sopracciglio e osservò di nuovo la foto. «È un'adulta.» Con quel viso e la sua ricchezza, era di certo consapevole di attrarre dei perdenti.
«Lei non sa di essere stata ingannata. Ha sempre creduto nell'onestà e nell'integrità. Se conoscesse la verità, non vorrebbe più avere niente a che fare con Vern.»
«Allora, diglielo.»
«Non vuole parlarmi e, tanto meno, ascoltarmi. Non si fida di me.»
«Raccontagli il resto» lo esortò Colin.
Trent sospirò. «Un anno fa, a sua insaputa, le ho intestato alcune quote di una miniera di diamanti.»
«Non sa di possedere una miniera di diamanti?»
Entrambi gli uomini scossero la testa. Jackson raccolse di nuovo la foto dal tavolo. La ragazza non pareva un'ingenua. Anzi, sembrava piuttosto in gamba, oltre a essere uno schianto. Dopo otto anni come detective privato, sapeva bene che lineamenti del genere rendevano una donna un bersaglio interessante.
«Ascolta attentamente, figliolo.»
Jackson fulminò il padre. «Non chiamarmi così.»
«Come vuoi» sospirò Colin.
«Le cose stanno così e i Gerhard sono pericolosi.»
«Vai avanti» lo esortò, intrigato.
«Hanno scoperto della miniera.»
«Lo sai per certo?» Aggrottò la fronte e l'altro annuì. «Come?»
«Tramite un amico di un amico. Le miniere Borezone hanno fatto una promettente scoperta un anno fa. Solo pochi giorni più tardi, Vern Gerhard ha contattato mia figlia. Entro breve verrà annunciato il risultato delle analisi e il valore della miniera salirà alle stelle.»
«È quotata in borsa?»
«È gestita in privato.»
«Allora, come hanno fatto i Gerhard a sapere della scoperta?»
«Amici, contatti, voci. Non è difficile se sai a chi chiedere.»
«Potrebbe trattarsi di una coincidenza.»
«Non lo è.» La voce di Trent tremò di collera. «I Gerhard sono degli opportunisti. Sono venuti a sapere della scoperta e hanno preso di mira mia figlia. Non appena l'inchiostro sul certificato di matrimonio si sarà asciugato, la deruberanno e la scaricheranno come un sacco d'immondizia.»
Jackson continuò a scrutare la foto. «Possiedi delle prove di questo, che Vern non sia innamorato di lei?»
Difficile non perdere la testa per quel viso e per quegli occhi, denaro o non denaro.
«È questo che desideriamo che tu scopra» intervenne Colin.
«Smaschera i loro raggiri» proseguì Trent. «Indaga sui loro loschi affari e riferisci a Crystal quanto scoprirai. Convincila che la stanno truffando e impedisci il matrimonio.»
Crystal. Bel nome. Le si addiceva. Nonostante la riluttanza iniziale, Jackson rifletté su tempi e metodi per indagare sui Gerhard. Al momento, nella sede della sua attività di Chicago – la Rush Investigations – erano tutti piuttosto impegnati. Aveva pensato di passare dagli uffici di Boston per discutere di una possibile espansione, ma era una questione di priorità. Crystal era molto carina. Nessuno nella filiale di Boston era così attraente.
Colin lo guardò, speranzoso. «Te ne occuperai?»
«Scaverò un po' nei loro affari» affermò, infilandosi in tasca la foto.
Trent spalancò la bocca con l'intenzione di protestare, ma si trattenne.
«Ci terrai informati?»
Per un istante, Jackson considerò che tutta quella faccenda potesse trattarsi di una montatura che permettesse a Colin di tenersi in contatto con lui.
«Il matrimonio si terrà sabato» lo avvisò Trent.
«Questo sabato?»
«Sì.»
Mancavano solo tre giorni. Era un eccellente investigatore, però non era in grado di fare miracoli. «Perché non ti sei mosso prima?»
«Lo abbiamo fatto» affermò Colin, lapidario.
Jackson irrigidì la mandibola. In effetti, suo padre lo cercava da un mese, ma lui lo aveva ignorato.
Si alzò. «I tempi sono stretti, tuttavia vedrò cosa posso fare.»
«Lei non può sposarlo!» asserì Trent con fervore.
«È una donna adulta.»
Avrebbe indagato sui Gerhard. Tuttavia, se Crystal Corday era innamorata di un delinquente, nessuno – tanto meno suo padre – sarebbe riuscito a farle cambiare idea.
Crystal Corday si dondolò davanti allo specchio a figura intera, ammirando il morbido frusciare contro le gambe dell'abito da sposa di pizzo senza spalline. I capelli erano raccolti in una cascata di trecce e riccioli. Il trucco era leggero e magistralmente applicato. Persino la biancheria di seta bianca era perfetta.
Soffocò una risatina per l'assurdità della situazione. Lei non era che un'emergente designer di gioielli e viveva in un seminterrato dalle parti di Winter Street. Non era possibile che stesse indossando dei diamanti antichi, né che si sarebbe sposata nella magnifica cattedrale di Saint Luke e avrebbe tenuto un ricevimento al Brookbend Country Club. Era un sogno a occhi aperti aver conquistato lo scapolo più affascinante di Chicago. Eppure era così. Cenerentola, in confronto a lei, era una dilettante.
Qualcuno bussò alla porta della stanza da letto della villa dei Gerhard.
«Crystal?» chiamò una voce maschile. Era il cugino di Vern, uno dei testimoni dello sposo.
«Entra.»
Le piaceva Hadley. Di qualche anno più giovane di Vern, si scostava dagli standard dei Gerhard per il suo atteggiamento rilassato e amichevole. Più alto degli altri membri della famiglia, era atletico e prestante, con un ciuffo sbarazzino di capelli biondi sulla fronte. Viveva a Boston ma veniva spesso in visita a Chicago, a volte soggiornando alla villa, altre in hotel. Crystal presumeva che preferisse l'albergo quando aveva qualche incontro galante. La madre di Vern, Delores, era piuttosto bigotta e non avrebbe permesso che il nipote avesse ospiti durante la notte.
La porta si aprì e lui entrò nell'ampia stanza sontuosamente arredata. Crystal aveva dormito lì mentre Vern era rimasto nell'appartamento in centro. Forse per l'influenza di Delores, lei aveva voluto che venissero rispettate le antiche regole che prevedevano che i due sposi rimanessero lontani fino al grande giorno.
Dopo aver richiuso la porta alle proprie spalle, Hadley si fermò di colpo e la osservò dalla testa ai piedi.
«Che c'è?» Crystal