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Un segreto ben custodito
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E-book494 pagine5 ore

Un segreto ben custodito

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Info su questo ebook

Un'eredità contesa. Un mistero dal passato. Una verità sfuggente.

Londra, 1945. Il voto alla Camera dei Lord su chi debba ereditare la fortuna della famiglia Barrington è finito in parità, e la decisione finale del Lord Cancelliere getterà una lunga ombra sulle vite di Harry Clifton e Giles Barrington. Harry torna in America per promuovere il suo ultimo romanzo, mentre la sua amata Emma va alla ricerca della bambina che era stata trovata nell’ufficio di suo padre la notte in cui era stato ucciso; Giles deve difendere il suo seggio alla Camera dei Comuni, e apprende inorridito chi sarà il candidato scelto dai Conservatori. Ma sarà Sebastian Clifton, il figlio di Harry ed Emma, a influenzare il destino dello zio. Nel 1957, Sebastian vince una borsa di studio a Cambridge, e una nuova generazione di Clifton sale alla ribalta. Ma dopo essere stato espulso da scuola, viene coinvolto in una frode internazionale su una statua di Rodin che vale molto più della cifra raggiunta in asta. Diventerà milionario? Andrà a Cambridge? La sua vita è in pericolo?

Un segreto ben custodito, terzo volume della Saga dei Clifton, risponderà a queste domande ma, ancora una volta, ne porrà molte altre.

LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2019
ISBN9788858996980
Un segreto ben custodito
Autore

Jeffrey Archer

Barone Archer di Weston-super-Mare, è nato in Inghilterra nel 1940 e si è laureato a Oxford. È stato candidato sindaco di Londra, membro del Parlamento europeo, e deputato alla Camera dei Lord per venticinque anni. Scrittore e drammaturgo, autore di romanzi, raccolte di racconti, opere teatrali e saggi, con i suoi libri è regolarmente ai vertici delle classifiche in tutto il mondo. È sposato da oltre cinquant’anni con una compagna di università, ha due figli e vive tra Londra, Cambridge e Maiorca. Con HarperCollins ha pubblicato i sette volumi della Saga dei Clifton, Chi nulla rischia e Nascosto in bella vista della nuova serie Le indagini di William Warwick, e la trilogia  dedicata alle famiglie Kane e Rosnovsky, di cui Non fu mai gloria è il volume conclusivo.

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    Anteprima del libro

    Un segreto ben custodito - Jeffrey Archer

    HARRY CLIFTON

    ED

    EMMA BARRINGTON

    1945-1951

    1

    Dunque, se qualcuno è in grado di indicare una giusta ragione per cui queste due persone non debbano essere unite nel sacro vincolo del matrimonio, parli ora o taccia per sempre.

    Harry Clifton non avrebbe mai dimenticato la prima volta in cui aveva sentito quelle parole e come, qualche istante dopo, la sua intera esistenza fosse finita nel caos. Il Vecchio Jack che, al pari di George Washington, non era capace di dire una bugia, aveva rivelato nel corso di una riunione convocata frettolosamente in sagrestia che era possibile che Emma Barrington, la donna che Harry adorava e che stava per diventare sua moglie, fosse la sua sorellastra.

    Si era scatenato il putiferio quando la madre di Harry aveva ammesso che in una occasione, e solo in quella, aveva avuto un rapporto sessuale con Hugo Barrington, il padre di Emma. Pertanto, esisteva una possibilità che lui ed Emma potessero essere figli dello stesso padre.

    Al tempo del suo flirt con Hugo Barrington, la madre di Harry frequentava Arthur Clifton, uno stivatore presso il cantiere navale dei Barrington. Malgrado il fatto che Maisie avesse sposato Arthur poco dopo, il prete si era rifiutato di procedere con le nozze di Harry ed Emma fintanto che fosse sussistita una sola possibilità di contravvenire alle antiche leggi della Chiesa sulla consanguineità.

    Qualche istante dopo Hugo, il padre di Emma, era sgattaiolato fuori dalla chiesa attraverso un’uscita posteriore, come un codardo che abbandoni il campo di battaglia. Emma e sua madre si erano recate in Scozia mentre Harry, in preda alla desolazione, si era fermato nel suo collegio di Oxford, senza sapere cosa fare. Era stato Adolf Hitler a prendere la decisione per lui.

    Harry aveva abbandonato l’università qualche giorno dopo e dalla toga accademica era passato alla divisa del marinaio semplice. Prestava servizio in alto mare da meno di due settimane, quando un siluro tedesco aveva affondato la nave sulla quale era imbarcato e il nome di Harry Clifton era apparso nella lista delle persone dichiarate disperse in mare.

    Vuoi tu prendere questa donna come tua legittima sposa ed esserle fedele finché morte non vi separi?

    Sì, lo voglio.

    Solo dopo la fine delle ostilità, quando era tornato gloriosamente segnato dal campo di battaglia, Harry aveva scoperto che Emma aveva dato alla luce il loro bambino, Sebastian Arthur Clifton. Ma solo dopo essersi ripreso del tutto Harry era venuto a sapere che Hugo Barrington era rimasto ucciso in circostanze orribili, lasciando alla famiglia Barrington l’ennesimo problema, un dramma per Harry tanto quanto quello di non poter sposare la donna che amava.

    Harry non aveva mai ritenuto particolarmente significativo il fatto di essere di qualche settimana più vecchio di Giles Barrington, fratello di Emma nonché suo più caro amico, finché non aveva scoperto che avrebbe potuto essere l’erede legittimo del titolo della famiglia, delle sue vaste proprietà, dei numerosi immobili e, per citare il testamento, di tutto ciò che comporta. Si era affrettato a mettere in chiaro che non era minimamente interessato all’eredità e che era più che disposto a rinunciare a qualsiasi diritto di nascita potesse considerarsi suo, a vantaggio di Giles. Il gran maestro dell’Ordine della Giarrettiera era parso favorevole a tale indicazione e tutto si sarebbe svolto in buona fede se Lord Preston, un parlamentare delle ultime file laburiste nella Camera dei Lord, non si fosse messo in testa di battersi per il diritto di Harry a ottenere il titolo, senza nemmeno consultarsi con lui.

    «È una questione di principio» aveva spiegato Lord Preston a tutti i corrispondenti parlamentari che glielo avevano chiesto.

    Vuoi tu prendere quest’uomo come tuo sposo, per vivere insieme a lui secondo il volere di Dio, nel sacro vincolo del matrimonio?

    Sì, lo voglio.

    Harry e Giles erano rimasti amici inseparabili per tutta la durata della faccenda, malgrado fossero stati ufficialmente messi l’uno contro l’altro nella più alta corte del paese, oltre che sulle prime pagine della stampa nazionale.

    Se il nonno di Emma e Giles, Lord Harvey, fosse stato al suo posto negli scranni anteriori per udire il verdetto, sia Harry sia Giles avrebbero gioito della decisione del Lord Cancelliere, ma lui non aveva mai saputo del suo trionfo. La nazione era rimasta divisa di fronte all’esito, mentre alle due famiglie era toccato raccogliere i cocci.

    L’altra conseguenza del verdetto del Lord Cancelliere stava nel fatto che, come la stampa si era affrettata a sottolineare a beneficio dei suoi avidi lettori, la più alta corte del paese aveva sentenziato che Harry ed Emma non appartenevano alla stessa stirpe e che, pertanto, lui era libero di invitarla a essere la sua legittima sposa.

    Con questo anello io ti sposo, con il mio corpo io ti onoro e di tutti i miei beni mondani io ti rendo partecipe.

    Tuttavia, sia Harry sia Emma sapevano che una decisione presa da un essere umano non dimostrava al di là di ogni ragionevole dubbio che Hugo Barrington non era il padre di Harry e, in quanto cristiani praticanti, temevano di infrangere la legge di Dio.

    Il loro amore reciproco non si era spento, malgrado tutto ciò che avevano dovuto passare. Semmai, si era fatto ancor più intenso e, grazie all’incoraggiamento della madre di lei, Elizabeth, e alla benedizione della madre di Harry, Maisie, Emma aveva accettato la proposta di matrimonio di Harry. L’unica cosa che la rattristava era che nessuna delle loro nonne era vissuta abbastanza a lungo per presenziare alla cerimonia.

    Le nozze non si erano svolte a Oxford, come era stato inizialmente programmato, con tutta la pompa e l’atmosfera di un matrimonio universitario e i riflettori dei media che l’avrebbero accompagnato. Si era trattato, invece, di una cerimonia semplice, tenutasi all’anagrafe di Bristol alla sola presenza dei familiari e di qualche amico stretto.

    Forse la decisione più triste su cui Harry ed Emma si erano trovati d’accordo, seppur con riluttanza, era che Sebastian Arthur Clifton sarebbe stato il loro unico figlio.

    2

    Harry ed Emma partirono per la Scozia: avrebbero trascorso la luna di miele presso il castello di Mulgelrie, la dimora di famiglia di Lord e Lady Harvey, i compianti nonni di Emma, ma non prima di aver affidato Sebastian alle cure di Elizabeth.

    Il castello riportò alla memoria tanti ricordi felici della vacanza che vi avevano fatto appena prima che Harry andasse a Oxford. Durante il giorno vagavano per le colline, tornando di rado al castello prima che il sole scomparisse dietro la montagna più alta. Dopo cena – il cuoco ricordava che padron Clifton gradiva tre porzioni di brodo – si sedevano davanti al camino, con i ceppi scoppiettanti, a leggere Evelyn Waugh, Graham Greene e P.G. Wodehouse, il preferito di Harry.

    Dopo due settimane nelle quali avevano incontrato più capi di bestiame che esseri umani, si apprestarono con riluttanza ad affrontare il lungo viaggio di ritorno a Bristol. Giunsero a Manor House con una gran voglia di condurre una tranquilla vita domestica: ma così non sarebbe stato.

    Elizabeth confessò che non vedeva l’ora di privarsi della compagnia di Sebastian: di problemini ce n’erano stati fin troppi, disse loro mentre la gatta siamese, Cleopatra, saltava sulle gambe della padrona, addormentandosi in un attimo. «Francamente, non siete arrivati con un istante di anticipo» aggiunse. «Nelle ultime due settimane, non sono riuscita a completare il cruciverba del Times nemmeno una volta.»

    Harry ringraziò la suocera per la comprensione e insieme a Emma riportò il loro iperattivo bambino di cinque anni a Barrington Hall.

    Prima che Harry ed Emma si sposassero Giles aveva insistito, dato che passava buona parte del tempo a Londra per svolgere i propri uffici di membro del parlamento per conto del Partito laburista, perché considerassero Barrington Hall casa loro. Con la biblioteca da diecimila volumi, il grande parco e le ampie stalle, era il posto ideale per loro. Harry avrebbe potuto scrivere i suoi noir del detective William Warwick in pace, mentre Emma sarebbe andata a cavallo tutti i giorni e Sebastian avrebbe giocato negli spaziosi cortili, portandosi a casa regolarmente qualche strano animale all’ora del tè.

    Spesso il venerdì sera Giles tornava in macchina a Bristol e si univa a loro per la cena. Il sabato mattina incontrava il suo elettorato, prima di fare un salto al circolo del dopolavoro portuale per farsi un paio di pinte insieme al responsabile della sua campagna elettorale, Griff Haskins. Nel pomeriggio, lui e Griff si univano a diecimila dei suoi elettori presso l’Eastville Stadium per guardare i Bristol Rovers perdere più spesso di quanto vincessero. Giles non lo ammetteva mai nemmeno di fronte al suo agente, ma avrebbe preferito passare il sabato pomeriggio alla partita di rugby del Bristol. Se lo avesse fatto Griff gli avrebbe rammentato che la folla del Memorial Ground raramente superava le duemila unità e che, in larga parte, votava per il Partito conservatore.

    La domenica mattina, Giles lo si poteva trovare inginocchiato nella chiesa di St Mary Redcliffe, con Harry ed Emma al suo fianco. Harry era convinto che per Giles si trattasse dell’ennesimo dovere verso il proprio elettorato, dato che a scuola aveva sempre cercato una scusa qualsiasi per evitare di recarsi alla cappella. Ma nessuno avrebbe potuto negare che Giles si stesse facendo rapidamente una reputazione di parlamentare coscienzioso e infaticabile.

    Poi, improvvisamente e senza alcuna spiegazione, le visite di Giles nel fine settimana si fecero sempre meno frequenti. Ogni volta che Emma tentava di sollevare la questione con il fratello, lui borbottava qualcosa su certi doveri parlamentari. Harry era poco convinto e sperava che le lunghe assenze del cognato dalla propria circoscrizione elettorale non ne avessero intaccato la risicata maggioranza in occasione delle successive elezioni.

    Un venerdì sera scoprirono la vera ragione per cui Giles negli ultimi mesi aveva avuto altri impegni.

    Aveva telefonato a Emma all’inizio della settimana per avvertirla che sarebbe sceso a Bristol per trascorrervi il weekend e che sarebbe arrivato in tempo per la cena di venerdì. Quello che non le aveva detto era che sarebbe stato accompagnato da un’ospite.

    A Emma solitamente piacevano le ragazze di Giles: erano sempre attraenti e spesso leggermente svitate e, senza eccezione alcuna, lo adoravano, anche se perlopiù non duravano abbastanza a lungo per conoscerle. Questa volta, però, non sarebbe andata in quel modo.

    Quando Giles quel venerdì sera le presentò Virginia, Emma rimase perplessa, non sapendo bene cosa suo fratello vedesse in quella donna. Emma accettò che fosse bella e che avesse molte conoscenze. Anzi, prima ancora che si fossero seduti a tavola per la cena, Virginia ricordò loro in più di un’occasione che era stata la Debuttante dell’anno (nel 1934) e per tre volte che era la figlia del conte di Fenwick.

    Emma avrebbe potuto liquidare la cosa come frutto del nervosismo della ragazza, se solo Virginia non avesse mangiato di malavoglia e non avesse sussurrato a Giles nel corso della cena – per giunta a un volume tale da sapere che anche loro l’avrebbero udita – quanto fosse difficile trovare domestici decorosi nel Gloucestershire. Con grande sorpresa di Emma, Giles si limitò a sorridere di fronte a tali osservazioni, senza mai dissentire. Emma stava giusto per dire qualcosa che sapeva che avrebbe rimpianto, quando Virginia annunciò che era esausta dopo una giornata così lunga e che desiderava ritirarsi.

    Una volta che si fu alzata e se ne fu andata, seguita a un passo di distanza da Giles, Emma andò in salotto, si versò un’abbondante dose di whisky e si abbandonò sulla poltrona più vicina.

    «Dio solo sa cosa penserà mia madre di Lady Virginia.»

    Harry sorrise. «Non fa differenza quello che Elizabeth penserà, perché ho la sensazione che Virginia possa durare più o meno quanto buona parte delle altre ragazze di Giles.»

    «Non ne sono tanto sicura» disse Emma. «Ma quello che non capisco è perché sia interessata a Giles: è evidente che non è innamorata.»

    La domenica pomeriggio, dopo pranzo, Giles e Virginia tornarono in macchina a Londra, ed Emma dimenticò in fretta la figlia del conte di Fenwick, poiché doveva fare i conti con un problema ben più impellente. L’ennesima bambinaia si era licenziata: la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata scoprire un porcospino nel proprio letto. Harry provava una certa solidarietà nei confronti della povera donna.

    «Il fatto che sia figlio unico non aiuta» disse Emma quella sera, dopo essere finalmente riuscita a far addormentare il bambino. «Dev’essere brutto non avere nessuno con cui giocare.»

    «La cosa non mi ha mai preoccupato» replicò Harry, senza staccare gli occhi dal proprio libro.

    «Tua madre mi ha detto che eri un monello prima di andare a scuola alla St Bede’s, e comunque alla sua età passavi più tempo alla darsena che a casa.»

    «Be’, non manca tanto a quando inizierà a frequentare la St Bede’s.»

    «E nel frattempo cosa ti aspetti che faccia? Che lo lasci alla darsena tutte le mattine?»

    «Non male come idea.»

    «Sii serio, caro. Se non fosse stato per il Vecchio Jack, saresti ancora là.»

    «Vero» disse Harry, alzando il bicchiere in onore di quel grand’uomo. «Ma cosa possiamo farci?»

    Emma impiegò così tanto a rispondere che Harry si chiese se si fosse assopita. «Forse è venuto il momento di avere un altro figlio.»

    Harry fu talmente sorpreso che chiuse il libro e guardò attentamente sua moglie, non essendo certo di aver inteso bene. «Ma io pensavo che avessimo deciso insieme…»

    «E così è stato. Non ho cambiato idea, ma non v’è motivo di non prendere in considerazione l’adozione.»

    «Cos’è stato a fartelo venire in mente, cara?»

    «Non riesco a smettere di pensare alla bambina trovata nell’ufficio di mio padre la notte in cui è morto…» Emma non riusciva mai a pronunciare la parola ucciso. «… e alla possibilità che sia figlia sua.»

    «Ma non c’è la minima prova. E, a ogni buon conto, non sono certo che tu possa scoprire dove si trova, dopo tutto questo tempo.»

    «Stavo pensando di consultare un noto scrittore detective e di chiedergli un consiglio.»

    Harry rifletté attentamente prima di rispondere. «William Warwick probabilmente ti raccomanderebbe di cercare di rintracciare Derek Mitchell.»

    «Non avrai certo dimenticato che Mitchell ha lavorato per mio padre e che non ha esattamente avuto a cuore i nostri migliori interessi.»

    «Vero» disse Harry, «ed è esattamente quello il motivo per cui chiederei consiglio a lui. In fin dei conti è proprio la persona che sa dove sono sepolti tutti i corpi.»

    Convennero di incontrarsi al Grand Hotel. Emma giunse con qualche minuto di anticipo e scelse una sedia nell’angolo del salone, dove nessuno avrebbe potuto origliare. Nell’attesa, ripassò a mente le domande che intendeva porgli.

    Il signor Mitchell entrò nel salone dell’albergo quando l’orologio segnava le quattro. Per quanto fosse leggermente ingrassato rispetto all’ultima volta in cui l’aveva visto e i suoi capelli si fossero ingrigiti, il suo biglietto da visita era tuttora l’inconfondibile zoppia. La prima considerazione di Emma fu che assomigliava più a un direttore di banca che a un investigatore privato. Fu chiaro che l’aveva riconosciuta, perché puntò direttamente verso di lei.

    «È un piacere rivederla, signora Clifton» disse.

    «La prego, si sieda» rispose Emma, chiedendosi se lui fosse nervoso tanto quanto lei. Decise di andare subito al punto. «Ho voluto vederla, signor Mitchell, perché mi serve l’aiuto di un investigatore privato.»

    Mitchell si mosse nervosamente sulla sedia.

    «L’ultima volta in cui ci siamo visti, ho promesso che avrei saldato ciò che rimaneva del debito di mio padre nei suoi confronti.» Era stato un suggerimento di Harry. Le aveva detto che avrebbe fatto capire a Mitchell che lei intendeva davvero impiegare i suoi servigi. Aprì la borsetta, ne estrasse una busta e la diede a Mitchell.

    «Grazie» le disse Mitchell, chiaramente sorpreso.

    Emma procedette. «Si ricorderà che, l’ultima volta in cui l’ho vista, abbiamo discusso della neonata trovata dentro il cesto di vimini nell’ufficio di mio padre. L’ispettore capo Blakemore, responsabile delle indagini, come certo non avrà dimenticato, ha detto a mio marito che della bambina si erano prese cura le autorità locali.»

    «È la pratica standard, ipotizzando che nessuno si sia fatto avanti.»

    «Sì, quello l’ho già scoperto e, giusto ieri, ho parlato con la persona a capo di quel dipartimento presso il municipio, ma quell’uomo si è rifiutato di fornirmi dettagli sul luogo in cui la bambina potrebbe trovarsi in questo momento.»

    «Deve averlo fatto su ordine del coroner a seguito dell’inchiesta, per proteggere la bambina da eventuali indiscrezioni della stampa. Il che non significa che non esistano sistemi per scoprire dov’è.»

    «Sono felice di sentirglielo dire.» Emma ebbe un’esitazione. «Però, prima di percorrere quella strada, devo essere convinta che la bambina sia figlia di mio padre.»

    «Posso assicurarle, signora Clifton, che non sussistono dubbi a tale riguardo.»

    «Come fa a esserne così sicuro?»

    «Potrei fornirle tutti i dettagli, ma sarebbe un’esperienza spiacevole per lei.»

    «Signor Mitchell, credo che non ci sia niente che lei possa dirmi sul conto di mio padre in grado di sorprendermi.»

    Mitchell restò in silenzio per qualche istante. Alla fine disse: «Saprà che, nel periodo in cui ho lavorato per Sir Hugo, lui si trasferì a Londra».

    «Sarebbe più preciso dire che fuggì nel giorno del mio matrimonio.»

    Mitchell non commentò. «Circa un anno dopo iniziò a convivere con una certa signorina Olga Piotrovska, a Lowndes Square.»

    «E come faceva a permetterselo? Il nonno non gli aveva lasciato il becco di un quattrino.»

    «Non ce la faceva, infatti. Per dirla con parole brutali, non viveva insieme alla signorina Piotrovska: viveva sulle sue spalle

    «Mi può dire qualcosa su questa donna?»

    «Tante cose. Era nata in Polonia ed era fuggita da Varsavia nel 1941, subito dopo l’arresto dei suoi genitori.»

    «In base a quale imputazione?»

    «Essere ebrei» disse Mitchell, con freddezza. «Riuscì ad attraversare il confine con qualche bene della famiglia e a raggiungere Londra, dove prese in affitto un appartamento a Lowndes Square. Tutto questo poco prima di incontrare suo padre a un cocktail party organizzato da un amico comune. Suo padre fece la corte alla Piotrovska per qualche settimana e poi si stabilì nel suo appartamento, promettendole che si sarebbero sposati non appena le pratiche del suo divorzio fossero state completate.»

    «Le ho detto che nulla mi avrebbe sorpresa. Mi sbagliavo.»

    «La faccenda peggiora» disse Mitchell. «Alla morte di suo nonno, Sir Hugo scaricò immediatamente la signorina Piotrovska e tornò a Bristol per rivendicare l’eredità e per assumere il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione della Barrington Shipping. Ma non prima di aver rubato tutti i gioielli della signorina Piotrovska, oltre a diversi quadri di valore.»

    «Se è vero, perché non fu arrestato?»

    «Fu arrestato» rispose Mitchell, «e stava per essere incriminato quando il suo complice, Toby Dunstable, che aveva testimoniato contro di lui, si suicidò in cella, la notte prima del processo.»

    Emma chinò il capo.

    «Preferisce che mi fermi, signora Clifton?»

    «No» disse Emma, guardandolo in faccia. «Ho bisogno di sapere tutto.»

    «Per quanto ne fosse all’oscuro, quando suo padre tornò a Bristol la signorina Piotrovska era incinta. Diede alla luce una bambina, che sul certificato di nascita porta il nome di Jessica Piotrovska.»

    «Lei come fa a saperlo?»

    «La signorina Piotrovska mi assunse quando suo padre non fu più in grado di pagare il mio onorario. Ironia della sorte, lei finì i soldi proprio nel momento in cui suo padre ereditava una fortuna. Ecco la ragione per cui quella donna andò a Bristol insieme a Jessica. Voleva che Sir Hugo sapesse che aveva un’altra figlia, convinta che fosse una sua responsabilità allevare la bambina.»

    «E ora quella responsabilità è mia» disse Emma sommessamente. Fece una pausa. «Ma non ho idea di come trovarla e speravo che lei potesse aiutarmi.»

    «Farò tutto quel che posso, signora Clifton. Però, dopo tutto questo tempo, non sarà facile. Se dovessi scoprire qualcosa, sarà la prima a saperlo» aggiunse il detective, alzandosi dalla sedia.

    Mentre Mitchell si allontanava zoppicando, Emma si sentì leggermente in colpa. Non gli aveva nemmeno offerto una tazza di tè.

    Emma non vedeva l’ora di tornare a casa e di raccontare a Harry l’incontro con Mitchell. Quando fece irruzione nella biblioteca di Barrington Hall, lui stava posando il telefono. Aveva un sorriso talmente vistoso che lei si limitò a dire: «Prima tu».

    «Il mio editore americano vuole che faccia un tour degli Stati Uniti per il lancio del mio nuovo libro, il mese prossimo.»

    «Che notizia fantastica, caro. Finalmente riuscirai a incontrare la prozia Phyllis, per non dire del cugino Alistair.»

    «Non vedo l’ora.»

    «Non prendermi in giro, ragazzino!»

    «Non ti prendo in giro, perché l’editore ha proposto che anche tu partecipi al viaggio e, dunque, potrai incontrarli pure tu.»

    «Mi piacerebbe tanto venire con te, caro, ma il momento non potrebbe essere peggiore. Tata Ryan è pronta ad andarsene e mi vergogno un po’ a dire che l’agenzia ci ha cancellati dalla sua lista.»

    «Magari, riesco a convincere il mio editore a lasciar venire anche Seb.»

    «Il che probabilmente finirebbe per farci deportare tutti» disse Emma. «No, resterò a casa con Seb mentre tu sarai impegnato a conquistare le colonie.»

    Harry prese la moglie tra le braccia. «Peccato. Mi sarebbe piaciuto tanto fare una seconda luna di miele. A proposito, com’è andato il tuo incontro con Mitchell?»

    Harry si trovava a Edimburgo per tenere un discorso durante un pranzo letterario quando Derek Mitchell telefonò a Emma.

    «Forse ho una pista» disse, senza presentarsi. «Quando possiamo vederci?»

    «Alle dieci di domattina. Stesso posto?»

    Aveva appena messo giù il telefono che squillò nuovamente. Lo sollevò e si ritrovò sua sorella all’altro capo della linea.

    «Che piacevole sorpresa, Grace. Ma, conoscendoti, dev’esserci un buon motivo se hai chiamato.»

    «Alcuni di noi hanno un lavoro a tempo pieno» le rammentò Grace. «Però hai ragione. Ti ho chiamata perché ieri sera ho partecipato a una lezione del professor Cyrus Feldman.»

    «Il vincitore di due premi Pulitzer?» disse Emma, sperando di far colpo sulla sorella. «Della Stanford University, se non sbaglio.»

    «Sono davvero colpita» ammise Grace. «Per non divagare, il discorso che ha fatto ti avrebbe affascinata.»

    «È un economista, se ricordo bene…» disse Emma, nel tentativo di barcamenarsi. «Non è certo il mio campo.»

    «Nemmeno il mio, però, quando ha parlato di trasporti…»

    «Sembrerebbe avvincente.»

    «Lo è stato» disse Grace, ignorando il sarcasmo della sorella, «soprattutto quando si è soffermato sul futuro delle spedizioni, ora che la British Overseas Airways Corporation intende avviare un servizio aereo regolare da Londra a New York.»

    D’un tratto, Emma capì perché sua sorella l’avesse chiamata. «C’è speranza di ottenere una trascrizione della lezione?»

    «Si può fare ancor meglio. La sua prossima destinazione è Bristol e, dunque, puoi andare a sentirlo di persona.»

    «Magari riesco a scambiare due parole con lui dopo la lezione. Ci sono tante domande che mi piacerebbe porgli» disse Emma.

    «Buona idea. Però, se lo fai, sta’ attenta. Benché sia uno dei rari casi in cui un uomo ha il cervello più grosso delle palle, è alla quarta moglie, e di lei non c’era traccia ieri sera.»

    Emma rise. «Accidenti quanto sei diretta, sorella, ma grazie per il consiglio.»

    L’indomani mattina, Harry raggiunse Manchester in treno da Edimburgo e, dopo aver parlato di fronte a un piccolo pubblico presso la biblioteca comunale della città, accettò di rispondere a qualche domanda.

    La prima giunse inevitabilmente da un esponente della stampa. Era raro che si annunciassero e sembravano avere scarso interesse, sempre che ne avessero, per il suo ultimo libro. Quel giorno, toccò al Manchester Guardian.

    «Come sta la signora Clifton?»

    «Bene, grazie» rispose Harry, guardingo.

    «È vero che vivete nella stessa casa di Sir Giles Barrington?»

    «È una casa molto grande.»

    «Prova risentimento per il fatto che Sir Giles ha ereditato l’intera fortuna di suo padre e lei nulla?»

    «Assolutamente no. Ho ottenuto Emma, ovvero tutto ciò che io abbia mai desiderato.»

    Questo sembrò zittire il giornalista per un momento, dando a un membro del pubblico la possibilità di intromettersi.

    «Quand’è che William Warwick otterrà l’incarico dell’ispettore capo Davenport?»

    «Non nel prossimo libro» rispose Harry, sorridendo. «Questo glielo posso assicurare.»

    «È vero, signor Clifton, che in meno di tre anni avete perso sette bambinaie?»

    Era chiaro che a Manchester c’era più di un quotidiano.

    In automobile, nel tragitto di ritorno verso la stazione, Harry iniziò a lagnarsi della stampa, anche se il rappresentante di Manchester sottolineava che tutta quella pubblicità non sembrava far male alle vendite del suo libro. Ma Harry sapeva che Emma era sempre più preoccupata per l’incessante attenzione mediatica e per l’effetto che avrebbe potuto avere su Sebastian una volta che avesse iniziato ad andare a scuola.

    «I bambini possono essere davvero crudeli» gli aveva rammentato.

    «Be’, perlomeno non verrà fustigato per aver leccato la sua scodella di porridge» aveva risposto Harry.

    Malgrado Emma fosse in anticipo di qualche minuto, Mitchell era già seduto nel séparé quando lei entrò nella hall dell’albergo. Si alzò in piedi quando lo raggiunse. La prima cosa che Emma disse, ancor prima di sedersi, fu: «Le andrebbe una tazza di tè, signor Mitchell?».

    «No, grazie, signora Clifton.» Mitchell, non certo un uomo propenso alle ciance, tornò a sedersi e aprì il suo taccuino. «Sembra che le autorità locali abbiano trovato una sistemazione per Jessica Smith…»

    «Smith?» disse Emma. «Perché non Piotrovska o Barrington?»

    «Troppo facili da rintracciare, suppongo, e ho il sospetto che il coroner, dopo l’inchiesta, abbia insistito sull’anonimato. Le autorità locali» continuò, «hanno mandato una certa signorina J. Smith a un orfanotrofio, il Dr Barnardo’s, a Bridgwater.»

    «Perché Bridgwater?»

    «Probabilmente l’orfanotrofio più vicino che, al tempo, avesse un posto libero.»

    «La bambina è ancora lì?»

    «Sì, per quanto ne so. Ma ho da poco scoperto che il Dr Barnardo’s intende mandare parecchie di quelle bambine a degli orfanotrofi in Australia.»

    «E perché mai fare una cosa del genere?»

    «Versare dieci sterline per favorire l’ingresso di persone giovani nel paese rientra nella politica sull’immigrazione dell’Australia, alla quale stanno particolarmente a cuore le bambine.»

    «Avrei pensato che fossero più interessati ai maschi.»

    «Pare che ne abbiano già a sufficienza» disse Mitchell, con uno dei suoi rari sorrisi.

    «In tal caso, sarà meglio andare a Bridgwater il prima possibile.»

    «Attenzione, signora Clifton. Se si mostrerà eccessivamente entusiasta potrebbero fare due più due e scoprire perché le interessa tanto la signorina J. Smith e decidere che lei e il signor Clifton non siete genitori affidatari adatti.»

    «Ma quale ragione potrebbero avere per rifiutarci?»

    «Il suo nome, tanto per cominciare. Per non dir nulla del fatto che lei e il signor Clifton non eravate sposati quando è nato vostro figlio.»

    «Dunque, cosa mi consiglia?» chiese Emma sommessamente.

    «Faccia domanda attraverso i canali consueti. Non dia la sensazione di andare di fretta e faccia le cose come se fossero loro a prendere le decisioni.»

    «Ma come facciamo a sapere che non ci bocceranno comunque?»

    «Dovrete spingerli nella giusta direzione, non crede?»

    «Cosa intende dire?»

    «Al momento della compilazione della domanda, vi verrà chiesto di indicare le vostre eventuali preferenze. In tal modo, si fa risparmiare un sacco di tempo e fatica a tutti. Dunque, mettere in chiaro che cercate una bambina di cinque o sei anni, dato che già avete un figlio poco più grande, dovrebbe contribuire a restringere il campo.»

    «Altri suggerimenti?»

    «Sì» rispose Mitchell. «Alla voce religione, tracciate una croce sulla casellina contrassegnata con nessuna preferenza

    «A cosa può servire?»

    «Il modulo di registrazione della signorina Jessica Smith indica madre ebrea, padre ignoto.»

    3

    «Com’è possibile che un marinaio inglese abbia ottenuto la Silver Star?» chiese il funzionario dell’immigrazione all’aeroporto di Idlewild, mentre studiava il visto di ingresso di Harry.

    «È una lunga storia» disse Harry, pensando che non fosse saggio dirgli che l’ultima volta che aveva messo piede a New York era stato arrestato per omicidio.

    «Buon soggiorno negli Stati Uniti.» Il funzionario strinse la mano di Harry.

    «Grazie» disse Harry, cercando di non sembrare sorpreso quando superò il controllo passaporti e seguì le indicazioni per l’area del ritiro bagagli. Mentre attendeva che la sua valigia spuntasse, controllò per l’ennesima volta le istruzioni di arrivo. Ad accoglierlo ci sarebbe stato il capo addetto stampa della Viking, che lo avrebbe accompagnato al suo albergo e lo avrebbe ragguagliato sui suoi impegni. Ogni volta che visitava una città inglese era sempre accompagnato dal rappresentante commerciale locale e, dunque, non sapeva bene cosa fosse un addetto stampa.

    Dopo aver recuperato il suo baule vecchia scuola, Harry si diresse alla dogana. Un funzionario gli chiese di aprire il bagaglio, lo ispezionò superficialmente, dopodiché tracciò una grossa croce con il gesso su un suo lato, prima di farlo procedere. Harry passò sotto un’enorme insegna a semicerchio che dichiarava BENVENUTI A NEW YORK, sopra una fotografia sorridente del sindaco, William O’Dwyer.

    Quando apparve nel salone degli arrivi, fu accolto da una schiera di autisti in livrea che reggevano cartelli con un nome. Cercò CLIFTON e, quando lo individuò, sorrise al conducente e disse: «Sono io».

    «Piacere, signor Clifton. Sono Charlie.» L’uomo afferrò il pesante baule di Harry come se fosse una ventiquattrore. «E lei è la sua addetta stampa, Natalie.»

    Harry si voltò e vide una giovane donna che nelle sue istruzioni appariva semplicemente come N. Redwood. Era alta quasi quanto lui e aveva capelli biondi stretti in un’acconciatura alla moda, occhi azzurri e denti più dritti e bianchi di chiunque altro lui avesse mai visto, a eccezione della pubblicità di un dentifricio. Come se non bastasse, la sua testa poggiava su un corpo ben tornito. Harry non si era mai imbattuto in nulla di simile a Natalie nella Gran Bretagna dei cibi razionati del dopoguerra.

    «Piacere, signorina Redwood» disse, stringendole la mano.

    «Piacere, Harry» rispose la ragazza. «Chiamami Natalie» aggiunse, mentre seguivano Charlie fuori dal salone. «Sono una tua grande fan. Adoro William Warwick e non ho dubbi sul fatto che il tuo ultimo libro possa essere l’ennesimo successo.»

    Arrivati sulla strada, Charlie aprì la portiera posteriore della limousine più lunga che Harry avesse mai visto. Harry si fece da parte per consentire a Natalie di salire per prima.

    «Oh, quanto mi piacciono gli inglesi» disse Natalie, mentre lui le si accomodava accanto e la limousine si immetteva nel lento flusso del traffico diretto verso il cuore di New York. «Per prima cosa, andremo al tuo albergo. Ti ho prenotato una camera al Pierre, una suite all’undicesimo piano. Ho inserito nel programma giusto il tempo per darti una rinfrescata prima di raggiungere il signor Guinzburg a pranzo, all’Harvard Club. A proposito, non vede l’ora di incontrarti.»

    «La stessa cosa vale per me» disse Harry. «Ha pubblicato i miei diari carcerari, oltre che il primo romanzo di William Warwick e ho tanto di cui ringraziarlo.»

    «Ha investito molto tempo e molto denaro per far sì che Chi non risica finisca nella classifica dei bestseller e mi ha chiesto di ragguagliarti in modo esauriente su come intendiamo riuscirci.»

    «Prego, ti ascolto» disse Harry, con lo sguardo oltre il finestrino per godersi paesaggi che aveva visto per l’ultima volta dal retro dell’autobus carcerario giallo che lo stava portando alla cella di una prigione e non a una suite del Pierre Hotel.

    Una mano gli sfiorò la gamba. «Ci sono tante cose di cui dobbiamo parlare prima che tu incontri il signor Guinzburg.» Natalie gli passò una spessa cartellina azzurra. «Permettimi di iniziare spiegandoti come intendiamo far entrare il tuo libro nella classifica dei bestseller, perché è molto diverso da come fate le cose in Inghilterra.»

    Harry aprì la cartellina e cercò di concentrarsi. Non era mai stato seduto accanto a una donna che sembrava essere stata fusa nel suo abito.

    «In America» seguitò Natalie, «hai a disposizione soltanto tre settimane per fare in modo che il tuo libro finisca nella classifica dei bestseller del New York Times. Se, in quel lasso di tempo, non riesci a entrare nelle prime quindici posizioni, le librerie impacchetteranno le scorte di Chi non risica e le rispediranno all’editore.»

    «È assurdo» disse Harry. «In Inghilterra, una volta che un librario ha fatto un ordine, l’editore considera il libro venduto.»

    «Non offrite uno sconto o la possibilità del reso alle librerie?»

    «Certo che no» disse Harry, scioccato da quell’idea.

    «Ed è vero anche che continuate a vendere libri senza offrire il minimo sconto?»

    «Sì, certo.»

    «Be’, scoprirai che è l’altra grande differenza che abbiamo qui. Perché, se riesci a entrare nei primi quindici posti, il prezzo di copertina si dimezzerà automaticamente e il tuo libro finirà nel retro del negozio.»

    «Perché? Un bestseller dovrebbe occupare una posizione predominante nella parte anteriore del negozio, addirittura in vetrina, e certo non essere venduto a prezzo scontato.»

    «Non da quando gli addetti al marketing hanno scoperto che, se entra in una libreria per cercare un particolare bestseller e deve raggiungere il retro per trovarlo, un cliente su cinque acquista altri due libri nel tragitto fino alla cassa mentre uno su tre ne prende un altro.»

    «Astuto, ma non sono certo che la cosa possa prendere piede in Inghilterra.»

    «Ho il sospetto che sia solo questione di tempo ma, perlomeno, ora capisci perché è così importante far finire il tuo libro in quella classifica il più in fretta possibile, perché una volta che il prezzo viene dimezzato, è probabile che tu resti nelle prime quindici posizioni per diverse settimane. Anzi, è più difficile uscire da quella lista che entrarci. Se invece non riesci a entrarci, Chi non risica sparirà dagli scaffali tra un mese esatto e noi perderemo un sacco di soldi.»

    «Messaggio ricevuto» disse Harry, mentre la limousine attraversava lentamente il ponte di Brooklyn, riavvicinandolo ai taxi gialli e ai loro conducenti che fumavano mozziconi di sigari.

    «A rendere la cosa ancor più dura è il fatto che noi dovremo visitare diciassette città diverse in ventun giorni.»

    «Noi?»

    «Sì, ti terrò per mano per tutta la durata del viaggio» gli disse con nonchalance. «Solitamente, resto a New York e consento agli addetti stampa di ciascuna città di prendersi cura dei nostri autori in visita, ma non stavolta, perché il signor Guinzburg ha insistito che non ti abbandonassi mai.» Gli diede un altro buffetto su una gamba, prima di voltare una pagina della cartellina che teneva in grembo.

    Harry le scoccò un’occhiata e lei gli rivolse un sorriso civettuolo. Stava flirtando con lui? No, non era possibile. Dopotutto, si erano appena conosciuti.

    «Ti ho già preso appuntamento con alcune delle principali emittenti radiofoniche, tra cui il Matt Jacobs Show che vanta undici milioni di ascoltatori ogni mattina. Nessuno è

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