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Quando sarà il momento
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E-book547 pagine7 ore

Quando sarà il momento

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Info su questo ebook

Il sesto capitolo dell'appassionante saga dei Clifton, che si avvicina al gran finale.

La misteriosa lettera che Alex Fisher ha scritto prima di suicidarsi potrebbe avere ripercussioni devastanti per molte persone, specie se il suo contenuto diventasse di dominio pubblico. Lo sa bene Sir Giles Barrington, posto di fronte a un bivio: sceglierà la carriera politica o proverà a salvare la donna che ama, prigioniera oltre la Cortina di ferro? Lady Virginia, ormai sull'orlo della bancarotta, dispera di trovare una via d'uscita. Finché non le presentano Cyrus T. Grant III, scapolo d'oro americano giunto a Londra per vedere la sua puledra correre ad Ascot. Sebastian Clifton è appena diventato amministratore delegato della Farthings Bank, ma deve sventare i continui attacchi dei suoi rivali, Sloane e Mellor, che non rinunciano alla speranza di appropriarsi della banca. Solo Priya, una bellissima ragazza indiana, riesce a distoglierlo dal lavoro. Peccato che i genitori di lei le abbiano già scelto un marito. Harry Clifton, intanto, è più che mai determinato a liberare dal gulag Anatoly Babakov, il cui libro sta conoscendo un successo senza precedenti. Ma succede ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato, ed Emma deve prendere una decisione che potrebbe cambiare tutto...

La storia dei Clifton e dei Barrington prosegue attraverso gli anni Settanta tra i colpi di un destino capriccioso e la speranza che nonostante tutto non li abbandona mai.

LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2020
ISBN9788830514744
Quando sarà il momento
Autore

Jeffrey Archer

Barone Archer di Weston-super-Mare, è nato in Inghilterra nel 1940 e si è laureato a Oxford. È stato candidato sindaco di Londra, membro del Parlamento europeo, e deputato alla Camera dei Lord per venticinque anni. Scrittore e drammaturgo, autore di romanzi, raccolte di racconti, opere teatrali e saggi, con i suoi libri è regolarmente ai vertici delle classifiche in tutto il mondo. È sposato da oltre cinquant’anni con una compagna di università, ha due figli e vive tra Londra, Cambridge e Maiorca. Con HarperCollins ha pubblicato i sette volumi della Saga dei Clifton, Chi nulla rischia e Nascosto in bella vista della nuova serie Le indagini di William Warwick, e la trilogia  dedicata alle famiglie Kane e Rosnovsky, di cui Non fu mai gloria è il volume conclusivo.

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    Anteprima del libro

    Quando sarà il momento - Jeffrey Archer

    HARRY ED EMMA

    1970-1971

    1

    La giuria era uscita dall’aula.

    La giudice Lane aveva chiesto ai sette uomini e alle cinque donne un ultimo sforzo per giungere a un verdetto e aveva dato loro istruzione di tornare l’indomani mattina. Iniziava a pensare che il mancato raggiungimento di un verdetto unanime fosse l’esito più probabile. Appena si alzò, tutte le persone presenti nella platea della corte si alzarono a loro volta e fecero l’inchino. Il giudice restituì il gesto, ma fu solo quando ebbe abbandonato la corte che scoppiò un forte mormorio.

    «Signora Clifton, vuole essere così gentile da riaccompagnarmi nel mio ufficio» disse Donald Trelford «per discutere del contenuto della lettera del maggiore Fisher e se lo si debba o meno rendere pubblico?»

    Emma annuì. «Vorrei che mio marito e mio fratello si unissero a noi, se possibile, dato che so che Sebastian deve tornare al lavoro.»

    «Certamente» rispose Trelford, che raccolse le proprie carte e, senza aggiungere una parola, li guidò fuori dall’aula e giù da uno scalone di marmo, fino al pianoterra. Nel momento in cui uscirono sullo Strand, una torma di giornalisti vocianti, accompagnata dai flash delle macchine fotografiche, li circondò nuovamente e si mise a seguirne i passi mentre si dirigevano lentamente verso l’ufficio del patrocinante per la Corona.

    Una volta all’interno della Lincoln’s Inn, un’antica piazza zeppa di case eleganti che in realtà erano uffici occupati da avvocati e rispettivi impiegati, ebbero finalmente tregua. Il signor Trelford li condusse su per una scala di legno scricchiolante, fino al piano più alto del numero 11, passando accanto a file di nomi stampati ordinatamente su pareti bianche come la neve.

    Quando Emma entrò nell’ufficio del signor Trelford, fu sorpresa di notare quanto fosse piccolo ma, a dirla tutta, di uffici grandi non ce ne sono nella Lincoln’s Inn, persino per il più alto in grado.

    Una volta che tutti si furono accomodati, il signor Trelford scrutò la donna seduta di fronte a lui. La signora Clifton sembrava calma e composta, addirittura stoica, atteggiamento raro per una persona alle prese con il rischio di una sconfitta e di un’umiliazione, a meno che… Aprì con una chiave il cassetto in alto della scrivania, estrasse un dossier e consegnò copie della lettera del maggiore Fisher al signore e alla signora Clifton e a Sir Giles Barrington. L’originale restava chiuso all’interno della sua cassaforte, per quanto non avesse alcun dubbio sul fatto che Lady Virginia in qualche modo fosse riuscita a mettere le mani sulla copia che si era portato appresso in corte.

    Dopo che tutti ebbero letto la lettera, scritta a mano su carta intestata della Camera dei Comuni, Trelford disse in tono fermo: «Se mi consente di presentare pubblicamente questa lettera come prova in aula, signora Clifton, sono certo che potremo vincere la causa».

    «È fuori discussione» disse Emma, restituendo la copia a Trelford. «Non potrei mai accettarlo» aggiunse, con la dignità di una donna che sapeva che quella decisione non solo avrebbe potuto distruggerla, ma pure consegnare la vittoria alla sua avversaria.

    «Vuole almeno lasciare che suo marito e Sir Giles offrano la loro opinione?»

    Giles non attese il permesso di Emma. «È evidente che la giuria deve vederla, perché a quel punto si esprimerà all’unanimità in tuo favore e, cosa più importante, Virginia non potrà mai più mostrare la faccia in pubblico.»

    «Può darsi» disse Emma con calma. «Ma, allo stesso tempo, tu saresti costretto a ritirare la tua candidatura alle elezioni suppletive e, stavolta, il primo ministro non ti offrirebbe un posto alla Camera dei Lord come risarcimento. E puoi stare certo di una cosa» aggiunse. «La tua ex moglie riterrà la distruzione della tua carriera politica una ricompensa ben superiore a una mia sconfitta. No, signor Trelford» continuò, senza guardare suo fratello, «questa lettera resterà un segreto di famiglia e noi tutti dovremo accettarne le conseguenze.»

    «È davvero cocciuto da parte tua, sorella» disse Giles, voltandosi. «Forse, non ho voglia di passare il resto della mia vita sentendomi responsabile del fatto che tu abbia perso la causa e ti sia dovuta dimettere dalla presidenza della Barrington’s. E non dimenticare che dovrai pure risarcire le spese legali di Virginia, per non dire nulla dell’eventuale risarcimento che la giuria potrebbe decidere di assegnarle.»

    «È un prezzo che vale la pena di pagare» disse Emma.

    «Cocciuta» ripeté Giles, un decibel più forte. «E scommetto che Harry è d’accordo con me.»

    Si voltarono tutti dalla parte di Harry, che non ebbe bisogno di leggere la lettera ancora una volta, dato che sarebbe stato in grado di ripeterla parola per parola. Tuttavia, era roso dal dubbio: desiderava sostenere il vecchio amico e al tempo stesso non voleva che sua moglie perdesse la sua causa per diffamazione. Era quello che John Buchan una volta aveva descritto come trovarsi tra l’incudine e il martello.

    «La decisione non spetta a me» disse Harry. «Però, se il mio futuro fosse appeso a un filo, vorrei che la lettera di Fisher fosse letta ad alta voce in aula.»

    «Due a uno» disse Giles.

    «Il mio futuro non è appeso a un filo» disse Emma. «E hai ragione, mio caro: la decisione finale spetta a me.»

    Senza aggiungere una sola parola, si alzò in piedi, strinse la mano del suo avvocato e disse: «Grazie, signor Trelford. Ci vediamo domattina in aula, quando la giuria deciderà il nostro destino».

    Trelford fece l’inchino e attese che la porta si fosse chiusa alle loro spalle, prima di mormorare tra sé: «Avrebbero dovuto chiamarla Porzia».

    «Come ha fatto a entrarne in possesso?» chiese Sir Edward.

    Virginia sorrise. Sir Edward le aveva insegnato che, quando sei sotto controinterrogatorio, se una risposta non aiuta la tua causa, è meglio non dire nulla.

    Sir Edward non sorrise. «Se il giudice dovesse consentire al signor Trelford di presentarla come prova» disse, sventolando la lettera, «non sarei più convinto di poter vincere la causa. Anzi, sono certo che la perderemmo.»

    «La signora Clifton non permetterà mai che venga usata come prova» disse Virginia con determinazione.

    «Come fa a esserne tanto sicura?»

    «Suo fratello intende concorrere alle elezioni suppletive per il seggio di Bristol, area portuale, rese necessarie dalla morte del maggiore Fisher. Se questa lettera dovesse essere resa pubblica, sarebbe costretto a ritirarsi. Sarebbe la fine della sua carriera politica.»

    Un avvocato dovrebbe avere un’opinione su qualsiasi cosa tranne che sui propri clienti. Non in quel caso. Sir Edward sapeva esattamente quali fossero i suoi sentimenti riguardo a Lady Virginia, sentimenti che non avrebbe mai potuto esprimere dentro o fuori dalla corte.

    «Se ha ragione, Lady Virginia» disse l’anziano patrocinante per la Corona, «e non presenteranno la lettera come prova, la giuria ipotizzerà che dipenda dal fatto che non va a vantaggio della signora Clifton. Il che indubbiamente farà pendere l’ago della bilancia dalla sua parte.»

    Virginia stracciò la lettera e ne lasciò cadere i pezzetti nel cestino della carta. «Sono d’accordo con lei, Sir Edward.»

    Ancora una volta, Desmond Mellor aveva prenotato una piccola sala riunioni in un albergo non alla moda in cui nessuno li avrebbe riconosciuti.

    «Lady Virginia ha decisamente i favori del pronostico in una corsa a due» disse Mellor dal suo posto a capotavola. «Pare che Alex Fisher abbia finito per fare qualcosa di meritevole, una volta tanto.»

    «La scelta di tempo di Fisher non avrebbe potuto essere migliore» disse Adrian Sloane. «Ma sarà comunque necessario essere pronti se vogliamo che l’acquisizione della Barrington’s avvenga senza intoppi.»

    «Non potrei essere più d’accordo» disse Mellor, «ed è per questo che ho già redatto un comunicato stampa che voglio che tu diffonda non appena sarà annunciato il verdetto.»

    «Ma tutto ciò potrebbe cambiare se la signora Clifton consentisse la lettura della lettera di Fisher in aula.»

    «Posso assicurarvi» disse Mellor «che quella lettera non vedrà mai la luce.»

    «Sai cosa c’è scritto in quella lettera, vero?» disse Jim Knowles.

    «Diciamo soltanto che sono fiducioso che la signora Clifton non voglia che i giurati la vedano. Il che non farà altro che convincerli che la nostra amata presidente abbia qualcosa da nascondere. A quel punto, sono certo che si esprimeranno in favore di Lady Virginia. Fine della storia.»

    «Ed è probabile che raggiungano un verdetto nella giornata di domani» disse Knowles. «Ho convocato una riunione di emergenza del consiglio per lunedì mattina alle dieci. In agenda ci saranno soltanto due punti. Il primo sarà accettare le dimissioni della signora Clifton, seguite dalla nomina di Desmond a presidente della nuova società.»

    «E la mia prima decisione da presidente sarà nominare Jim mio vice.» Sloane si accigliò. «Dopodiché, chiederò a Adrian di entrare a far parte del consiglio di amministrazione, il che farà capire in maniera chiara alla City e agli azionisti che la Barrington’s dispone di una nuova gestione.»

    «Una volta che gli altri consiglieri lo avranno letto» disse Knowles, sventolando il comunicato stampa come se si trattasse di un ordine del giorno dei lavori parlamentari, «non dovrebbe passare tanto prima che l’ammiraglio e i suoi compari decidano di non avere altra scelta che rassegnare le dimissioni.»

    «Che io accetterò con riluttanza» disse Mellor, prima di aggiungere: «A cuor pesante».

    «Non sono convinto che Sebastian Clifton si possa uniformare tanto agevolmente ai nostri piani» disse Sloane. «Se decidesse di restare nel consiglio, la transizione potrebbe non essere così semplice come hai in mente tu, Desmond.»

    «Non riesco a immaginare che Clifton voglia essere un consigliere della Mellor Shipping Company dopo che sua madre è stata umiliata pubblicamente da Lady Virginia, non solo in tribunale ma su ogni quotidiano nazionale.»

    «Devi sapere che cosa c’è scritto in quella lettera» ripeté Knowles.

    Giles non tentò minimamente di far cambiare idea a sua sorella, perché si rendeva conto che sarebbe stato inutile.

    Tra le tante qualità di Emma c’era una lealtà strenua alla sua famiglia, ai suoi amici e a qualsiasi causa in cui credesse. Ma l’altra faccia della medaglia era un’ostinazione che talvolta consentiva ai suoi sentimenti di avere la meglio sul buonsenso, persino se la sua decisione avesse significato perdere la causa per diffamazione e, addirittura, dover rassegnare le dimissioni da presidente della Barrington’s. Giles lo sapeva, perché era capace di essere altrettanto ostinato. Doveva essere una caratteristica di famiglia, decise. Harry, invece, era molto più pragmatico. Avrebbe soppesato le opzioni e valutato le alternative ben prima di giungere a una decisione. Tuttavia, Giles aveva il sospetto che Harry fosse incerto tra il sostegno a sua moglie e la lealtà al suo amico di più lunga data.

    Quando i tre rimisero piede nei Lincoln’s Inn Fields, il lampionaio stava accendendo le prime luci a gas.

    «Ci vediamo a casa per cena» disse Giles. «Ho un paio di commissioni da fare. E, a proposito, sorella, grazie.»

    Harry fermò un taxi e lui e sua moglie salirono nel retro. Giles non si mosse finché il taxi non ebbe svoltato all’angolo e non fu scomparso. A quel punto, si avviò di buona lena verso Fleet Street.

    2

    Il mattino dopo, Sebastian si alzò presto e, dopo aver letto il Financial Times e il Daily Telegraph, semplicemente non capiva in che modo sua madre sperasse di aggiudicarsi la causa per diffamazione.

    Il Telegraph indicava ai suoi lettori che, se il contenuto della lettera del maggiore Fisher fosse rimasto segreto, la signora Clifton non ne avrebbe beneficiato. Il Financial Times si concentrava sui problemi che la Barrington’s si sarebbe trovata davanti se la sua presidente avesse perso la causa e si fosse dovuta dimettere. Il valore delle azioni della società si era già abbassato di uno scellino, dato che molti azionisti avevano chiaramente stabilito che Lady Virginia sarebbe stata la vincitrice. Seb pensò che la cosa migliore in cui sua madre poteva sperare fosse una giuria incapace di raggiungere un verdetto unanime. Al pari di chiunque altro, non riusciva a smettere di chiedersi cosa ci fosse scritto nella lettera che il signor Trelford non gli consentiva di leggere e quale delle due parti avrebbe più facilmente avvantaggiato. Quando, dopo essere tornato dal lavoro, aveva telefonato a sua madre, lei non si era sbottonata al riguardo. E lui non si era preso la briga di chiederlo a suo padre.

    Sebastian si presentò in banca prima del solito ma, una volta che si fu accomodato alla scrivania ed ebbe provato a passare in rassegna la posta del mattino, si rese conto di non essere in grado di concentrarsi. Dopo avergli fatto diverse domande a cui non ottenne risposta, Rachel, la sua segretaria, rinunciò e gli consigliò di andare in tribunale e di non tornare finché la giuria non avesse comunicato il verdetto. Lui accettò con riluttanza.

    Mentre il suo taxi usciva dalla City e imboccava Fleet Street, Seb notò il titolo a caratteri cubitali sul manifesto del Daily Mail e gridò: «Si fermi!». Il taxista sterzò bruscamente per accostarsi al cordolo e frenò. Seb saltò giù e raggiunse di corsa lo strillone sul lato opposto della strada. Gli diede quattro centesimi e afferrò una copia del giornale. Mentre stazionava sul marciapiedi e leggeva la prima pagina, provò emozioni contrastanti: gioia per sua madre, che ora avrebbe certamente vinto la causa e sarebbe stata scagionata, e tristezza per suo zio Giles, che aveva chiaramente sacrificato la sua carriera politica per fare ciò che riteneva la cosa più onorevole, dato che Seb sapeva che sua madre non avrebbe mai permesso che quella lettera fosse vista da qualcuno all’esterno della famiglia.

    Tornò a bordo del taxi e si chiese, mentre guardava fuori dal finestrino, come avrebbe reagito se si fosse trovato alle prese con lo stesso dilemma. La generazione anteguerra era guidata da una bussola morale diversa? Non aveva dubbi su cosa avrebbe fatto suo padre o sulla rabbia che sua madre avrebbe provato nei confronti di Giles. I suoi pensieri andarono a Samantha, che era tornata in America quando lui l’aveva delusa. Lei cosa avrebbe fatto in circostanze analoghe? Se solo gli avesse concesso una seconda chance, lui non avrebbe ripetuto lo stesso sbaglio.

    Seb controllò l’orologio. Buona parte delle persone timorate di Dio a Washington in quel momento probabilmente dormiva ancora e, dunque, capì che non avrebbe potuto telefonare alla dottoressa Wolfe, la preside di sua figlia Jessica, per scoprire perché mai volesse parlargli con tanta urgenza. Possibile, magari, che…?

    Il taxi si fermò davanti alla Royal Courts of Justice, sullo Strand. «Fanno quattro e sei, capo» disse il taxista, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Seb gli diede due monete da mezza corona.

    Nell’istante in cui smontò dal taxi, scattarono i flash delle macchine fotografiche. Le prime parole che riuscì a capire nei confusi strepiti degli scribacchini furono: «Ha letto la lettera del maggiore Fisher?».

    Quando la giudice Lane entrò nell’aula 14 e si accomodò sulla sedia dallo schienale alto sul palchetto rialzato, non aveva un’aria contenta. Non aveva il minimo dubbio sul fatto che, pur avendo dato istruzione ai giurati di non leggere i giornali mentre la causa era in corso, l’unico argomento di cui quella mattina avrebbero parlato nella stanza della giuria sarebbe stata la prima pagina del Daily Mirror. Non aveva idea di chi fosse stato a far trapelare la lettera del maggiore Fisher, ma ciò non le impedì di farsene un’opinione, al pari di chiunque altro si trovasse in quell’aula.

    Per quanto la lettera fosse stata inviata al signor Trelford, era certa che non potesse essere stato lui: non si sarebbe mai abbassato a usare un espediente così subdolo. Conosceva avvocati che avrebbero chiuso un occhio, che addirittura avrebbero perdonato un comportamento del genere, ma non Donald Trelford. Avrebbe perso la causa piuttosto che sguazzare in acque così torbide. Era altrettanto certa che non potesse essersi trattato di Lady Virginia Fenwick, perché la cosa non avrebbe fatto altro che nuocerle. Se quella fuga di notizie le fosse tornata utile, sarebbe stata la prima indiziata della giudice.

    La giudice Lane posò gli occhi sulla signora Clifton, che aveva la testa bassa. Nella settimana precedente, aveva finito per ammirare l’imputata e aveva pensato che le sarebbe piaciuto conoscerla meglio, una volta concluso il processo. Ma non sarebbe stato possibile. Anzi, non avrebbe mai più parlato con quella donna. Facendolo, avrebbe indubbiamente creato le premesse per un nuovo processo.

    Se avesse dovuto indovinare chi era stato a far trapelare la lettera, la giudice avrebbe fatto una puntatina su Sir Giles Barrington. Ma lei non tirava a indovinare e non giocava d’azzardo, mai. Le prove erano le uniche cose che tenesse in considerazione. Tuttavia, l’assenza di Sir Giles nell’aula, quella mattina, si sarebbe potuta considerare una prova, per quanto circostanziale.

    La giudice rivolse l’attenzione a Sir Edward Makepeace, che non tradiva mai alcuna emozione. L’eminente principe del foro aveva condotto la difesa in modo davvero brillante e la sua assistenza aveva indiscutibilmente giovato alla causa di Lady Virginia. Questo, tuttavia, prima che il signor Trelford portasse la lettera del maggiore Fisher all’attenzione della corte. La giudice capiva perfettamente perché né Emma Clifton né Lady Virginia avevano voluto che il contenuto della lettera fosse rivelato apertamente in aula, per quanto fosse certa che il signor Trelford avesse fatto pressione sulla sua cliente affinché gli consentisse di utilizzarla come prova. Dopotutto, rappresentava la signora Clifton, non suo fratello. La giudice Lane ipotizzò che non sarebbe passato tanto prima che la giuria tornasse e pronunciasse il suo verdetto.

    Quella mattina, quando Giles telefonò al quartier generale del suo collegio elettorale di Bristol, lui e il suo agente Griff Haskins non ebbero bisogno di parlare a lungo. Avendo letto la prima pagina del Mail, Griff accettò con riluttanza il fatto che Giles dovesse ritirare il proprio nome come candidato del Partito laburista alle imminenti elezioni suppletive per il seggio di Bristol, area portuale.

    «Una cosa da Fisher» disse Giles. «Zeppa di mezze verità, esagerazioni e insinuazioni.»

    «Non mi sorprende» disse Griff. «Ma può dimostrarlo prima del giorno delle elezioni? Perché una cosa è certa: il messaggio dei Tory alla vigilia del voto sarà la lettera di Fisher, che infileranno in tutte le cassette postali della circoscrizione.»

    «Faremmo la stessa cosa anche noi, se solo ne avessimo una vaga possibilità» ammise Giles.

    «Ma se lei potesse dimostrare che si tratta di un ammasso di menzogne…» disse Griff, rifiutandosi di arrendersi.

    «Non ho il tempo per farlo e, anche se lo avessi, non sono certo che qualcuno mi crederebbe. Le parole di un morto sono molto più potenti di quelle dei vivi.»

    «In tal caso, ci resta una sola cosa da fare» disse Griff. «Sbronziamoci bene e affoghiamo i nostri dispiaceri.»

    «L’ho fatto ieri sera» ammise Giles. «E Dio sa cos’altro.»

    «Quando avremo scelto un candidato nuovo» disse Griff, tornando repentinamente alla sua modalità elettorale, «mi piacerebbe che lei lo ragguagliasse perché, chiunque sceglieremo, avremo bisogno del suo sostegno e, cosa più importante, della sua esperienza.»

    «Potrebbe non rivelarsi un vantaggio, date le circostanze» provò a dire Giles.

    «La smetta di essere così patetico» disse Griff. «Ho la sensazione che non ci sbarazzeremo di lei tanto facilmente. Lei ha il Partito laburista nel sangue. E non è stato Harold Wilson a dire che una settimana è un sacco di tempo in politica?»

    Quando la porta quasi invisibile si aprì, tutte le persone presenti in aula smisero di parlare e si voltarono, mentre il commesso si faceva da parte per consentire ai sette uomini e alle cinque donne di entrare nell’aula e prendere posto nel banco dei giurati.

    La giudice attese che si fossero accomodati prima di sporgersi in avanti e chiedere al portavoce: «Siete riusciti a raggiungere un verdetto?».

    Il portavoce si alzò lentamente in piedi, si sistemò gli occhiali, rivolse lo sguardo verso la giudice e disse: «Sì, milady».

    «E la vostra decisione è unanime?»

    «Sì, milady.»

    «Il vostro verdetto è in favore della querelante, Lady Virginia Fenwick, oppure della citata in giudizio, la signora Emma Clifton?»

    «Ci siamo espressi in favore della citata in giudizio» disse il portavoce che, completato il proprio compito, tornò a sedersi.

    Sebastian scattò in piedi e stava per esultare, quando notò che sia sua madre sia la giudice lo stavano guardando con aria torva. Riprese rapidamente posto e guardò suo padre, che gli fece l’occhiolino.

    Dalla parte opposta dell’aula era seduta una donna che stava fulminando la giuria con lo sguardo, incapace di mascherare la propria insoddisfazione, mentre il suo avvocato era seduto, impassibile, a braccia conserte. Quella mattina, dopo aver letto la prima pagina del Daily Mail, Sir Edward si era reso conto che la sua cliente non aveva la minima speranza di vincere la causa. Avrebbe potuto richiedere un nuovo processo, ma la verità era che Sir Edward non avrebbe consigliato alla sua cliente di affrontare un secondo processo con probabilità così scarse di aggiudicarselo.

    Giles era seduto da solo al tavolo della colazione, nella sua casa di Smith Square. Aveva abbandonato la sua consueta routine. Niente scodelle di cornflakes, niente succo d’arancia, niente uova alla coque, niente Times, niente Guardian, solo una copia del Daily Mail stesa sul tavolo davanti a lui.

    Logo Camera dei Comuni Londra

    CAMERA DEI COMUNI LONDRA SW1A 0AA

    12 novembre 1970

    Egregio signor Trelford,

    sarà curioso di sapere perché io abbia scelto di scrivere a lei e non a Sir Edward Makepeace. La risposta, semplicemente, è che non ho dubbi sul fatto che entrambi possiate agire nei migliori interessi dei vostri clienti.

    Mi consenta di cominciare dalla cliente di Sir Edward, Lady Virginia Fenwick, e dalla sua assurda asserzione secondo cui io non sarei stato altro che un suo consulente professionale che operava sempre in maniera assolutamente indipendente. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Non ho mai incontrato un cliente più coinvolto di lei che, quando si è trattato di acquistare e vendere le azioni della Barrington’s, aveva un solo scopo in testa, ovvero distruggere la compagnia a qualunque costo insieme alla reputazione della sua presidente, la signora Clifton.

    Qualche giorno prima della data di apertura del processo, Lady Virginia mi ha offerto un’ingente somma di denaro perché io dichiarassi che mi aveva dato carta bianca nell’agire a suo nome, al fine di trasmettere alla giuria la sensazione che davvero non capisse il funzionamento del mercato azionario. Mi permetta di assicurarle che, in risposta alla domanda fatta da Lady Virginia alla signora Clifton in occasione dell’assemblea annuale degli azionisti,È vero che uno dei vostri consiglieri ha venduto la sua sostanziosa partecipazione azionaria nel tentativo di far fallire la società?, si tratta esattamente di ciò che Lady Virginia stessa ha fatto in almeno tre occasioni, riuscendo quasi a far fallire la Barrington’s. Non posso finire nella fossa con una così grave ingiustizia sulla coscienza.

    Tuttavia, c’è un’altra ingiustizia che risulta altrettanto dura da digerire e che non riesco a ignorare. La mia morte porterà a un’elezione suppletiva nel collegio di Bristol, area portuale, e io so che il Partito laburista prenderà in considerazione l’ipotesi di ricandidare l’ex membro del parlamento Sir Giles Barrington. Ma, al pari di Lady Virginia, Sir Giles serba un segreto che non intende svelare nemmeno alla sua famiglia.

    Quando, di recente, Sir Giles ha visitato Berlino Est in qualità di rappresentante del governo di Sua Maestà, ha avuto quella che in seguito ha descritto come un’avventura di una notte con una certa signorina Karin Pengelly, la sua interprete ufficiale. In seguito, l’ha indicata come il motivo per cui sua moglie lo aveva lasciato. Per quanto si sia trattato del secondo divorzio di Sir Giles per adulterio, non ritengo che ciò di per sé possa essere un motivo sufficiente perché un uomo si ritiri dalla vita pubblica. In questo caso, però, il cinico trattamento a cui ha sottoposto la donna in questione mi impedisce di restare zitto.

    Avendo parlato con il padre della signorina Pengelly, so per certo che sua figlia ha scritto a Sir Giles in diverse occasioni per fargli sapere non solo di aver perso il lavoro a causa della loro relazione, ma pure che aspetta un figlio da lui. Ciò nonostante, Sir Giles non ha nemmeno usato alla signorina Pengelly la cortesia di rispondere alle sue lettere o di mostrare il minimo interesse per la sua difficile situazione. La ragazza non si lamenta. Però, lo faccio io per lei e non posso non domandare: è questo il tipo di persona che dovrebbe rappresentare i suoi elettori presso la Camera dei Comuni? Non ho dubbi sul fatto che i cittadini di Bristol possano esprimere la loro opinione in sede elettorale.

    Le chiedo scusa, signore, per aver fatto gravare sulle sue spalle il peso della responsabilità, ma ho la sensazione che non mi sia stata concessa altra scelta.

    Cordiali saluti,

    Alexander Fisher, maggiore (in pensione)

    Giles fissò il suo necrologio politico.

    3

    «Bentornata, presidente» disse Jim Knowles quando Emma entrò nella sala del consiglio. «Non che io abbia mai avuto dubbi su un suo ritorno trionfale.»

    «Senti, senti» fece Clive Anscott, e tirò indietro la sedia di Emma per consentirle di prendere posto a capotavola.

    «Grazie» disse Emma, sedendosi. Fece un giro del tavolo con lo sguardo e sorrise ai colleghi consiglieri. Le restituirono tutti un sorriso. «Punto numero uno.» Emma posò gli occhi sul programma, come se nell’ultimo mese non si fosse verificato nulla di infausto. «Dato che il signor Knowles ha convocato questa riunione con un preavviso così scarso, il segretario non ha avuto il tempo di distribuire il verbale dell’ultima riunione del consiglio di amministrazione e, dunque, gli chiederò di leggercelo ora.»

    «È davvero necessario, date le circostanze?» domandò Knowles.

    «Non sono certa di conoscere del tutto le circostanze» disse Emma, «ma qualcosa mi dice che stiamo per scoprirlo.»

    Philip Webster, il segretario della società per azioni, si alzò in piedi, tossì nervosamente – Certe cose non cambiano mai, pensò Emma – e iniziò a leggere il verbale ad alta voce, come se stesse annunciando quale treno era in arrivo al binario 4.

    «Martedì 10 novembre 1970 si è tenuta una riunione del consiglio di amministrazione a Barrington House. Erano presenti tutti i consiglieri, a eccezione della signora Emma Clifton e del signor Sebastian Clifton, i quali hanno inviato le loro scuse, spiegando che avevano altri impegni. In seguito alle dimissioni del vicepresidente, il signor Desmond Mellor, e in assenza della signora Clifton, si è convenuto unanimemente che fosse il signor Jim Knowles ad assumerne la carica. Dopodiché, ha fatto seguito una lunga discussione sul futuro della compagnia e su quale azione andasse intrapresa se Lady Virginia Fenwick si fosse aggiudicata la causa per diffamazione contro la signora Clifton. L’ammiraglio Summers ha fatto mettere agli atti che, a suo modo di vedere, non bisognava fare nulla fintanto che l’esito del processo non fosse stato noto, nella convinzione che la presidente sarebbe stata scagionata.»

    Emma sorrise al vecchio lupo di mare. Se la nave fosse affondata, sarebbe stato l’ultimo ad abbandonare il ponte di comando.

    «Tuttavia, il signor Knowles non condivideva le convinzioni dell’ammiraglio e ha informato il consiglio di aver seguito attentamente la causa e che era giunto con riluttanza alla conclusione che la signora Clifton non avesse la minima speranza e che non solo Lady Virginia avrebbe vinto, ma che la giuria le avrebbe assegnato un indennizzo considerevole. A quel punto, il signor Knowles ha rammentato al consiglio che la signora Clifton aveva messo in chiaro che avrebbe rassegnato le dimissioni da presidente se quello fosse stato l’esito. Ha proceduto dicendo che riteneva essere semplice dovere del consiglio riflettere sul futuro della compagnia in quella eventualità e, in particolare, su chi dovesse rimpiazzare la signora Clifton nel ruolo di presidente. Il signor Clive Anscott si è trovato d’accordo con il facente funzione di presidente e ha proposto il nome del signor Desmond Mellor, che di recente gli aveva scritto per spiegargli come mai si sentisse in dovere di rassegnare le dimissioni dal consiglio di amministrazione. In particolare, aveva dichiarato che non avrebbe potuto prendere in considerazione un suo ritorno in seno al consiglio di amministrazione fintanto che quella donna ne fosse stata al comando. A quel punto, c’è stata una lunga discussione nel corso della quale è risultato chiaro che i consiglieri erano equamente divisi sulla questione di come gestire il problema. Il signor Knowles, nel suo riepilogo, ha concluso che fosse giusto redigere due comunicati e che, una volta che si fosse saputo l’esito del processo, quello giusto avrebbe dovuto essere reso noto alla stampa.

    «L’ammiraglio Summers ha dichiarato che non ci sarebbe stato bisogno di un comunicato stampa perché, non appena la signora Clifton fosse stata scagionata, le cose sarebbero tornate all’assoluta normalità. Il signor Knowles ha insistito, chiedendo all’ammiraglio Summers cosa avrebbe fatto se Lady Virginia si fosse aggiudicata la causa. L’ammiraglio ha ripetuto che avrebbe rassegnato le dimissioni dal consiglio di amministrazione, dato che in nessuna circostanza sarebbe stato disposto a operare alle dipendenze del signor Mellor. Il signor Knowles ha chiesto che le parole dell’ammiraglio fossero messe agli atti. A quel punto, ha illustrato la sua strategia per il futuro della compagnia, nel caso in cui si fosse verificato il peggio.»

    «E quale era la sua strategia, signor Knowles?» chiese Emma, ingenuamente.

    Il signor Webster voltò la pagina successiva del verbale.

    «La cosa non è più rilevante» disse Knowles, rivolgendo alla presidente un sorriso caloroso. «Dopotutto, l’ammiraglio si è dimostrato nel giusto. Ma ho pensato che fosse semplicemente mio dovere preparare il consiglio a ogni eventualità.»

    «L’unica eventualità per la quale si sarebbe dovuto preparare» sbottò l’ammiraglio Summers, «era rassegnare le dimissioni prima che questa riunione avesse luogo.»

    «Non pensa che siano parole leggermente sgarbate?» si intromise Andy Dobbs. «Dopotutto, Jim si è ritrovato in una posizione non invidiabile.»

    «La lealtà non è mai qualcosa di non invidiabile» disse l’ammiraglio, «sempre che tu non sia un malandrino, ovviamente.»

    Sebastian trattenne un sorriso. Non riusciva a credere che qualcuno, nella seconda metà del XX secolo, ancora usasse la parola malandrino. Personalmente, riteneva che fottuto ipocrita fosse più appropriato, anche se, a dire la verità, non sarebbe stato più efficace.

    «Forse, il segretario dovrebbe leggere ad alta voce il comunicato del signor Knowles» disse Emma. «Quello che sarebbe stato diramato alla stampa se io avessi perso la causa.»

    Il signor Webster estrasse un foglio dalla sua cartellina ma, prima che avesse la possibilità di pronunciare una sola parola, Knowles si alzò in piedi, raccolse le sue carte e disse: «Non sarà necessario, presidente, perché presento le mie dimissioni».

    Senza aggiungere una parola fece per andarsene, ma non prima che l’ammiraglio Summers avesse brontolato: «Meglio tardi che mai». Dopodiché, puntò gli occhi penetranti sugli altri due consiglieri che avevano sostenuto Knowles.

    Dopo una breve esitazione, Clive Anscott e Andy Dobbs si alzarono a loro volta e uscirono in silenzio dalla stanza.

    Emma attese che la porta si chiudesse prima di riprendere a parlare. «È possibile che io talvolta abbia mostrato insofferenza per la scrupolosità con cui il segretario della società teneva il verbale del consiglio. Ora ammetto che il signor Webster ha dimostrato che ero nel torto e gli porgo le mie scuse incondizionate.»

    «Vuole che metta agli atti le sue sensazioni, signora presidente?» chiese Webster, senza la minima sfumatura di ironia.

    Questa volta, Sebastian un sorriso se lo concesse.

    4

    Dopo aver rivisto la quarta stesura dello straordinario memoir di Anatoly Babakov sulla Russia di Stalin, Harry non avrebbe voluto fare altro che prendere il primo volo disponibile per New York e consegnare il manoscritto di Zio Joe al suo editore, Harold Guinzburg. Ma c’era qualcosa di ancor più importante che gli impedì di farlo. Un evento a cui non aveva la minima intenzione di mancare, in nessuna circostanza. La festa del settantesimo compleanno di sua madre.

    Maisie viveva in una villetta all’interno della tenuta di Manor House da quando, tre anni prima, il suo secondo marito era morto. Aveva continuato a essere attiva in diverse organizzazioni benefiche locali e, per quanto saltasse di rado la sua passeggiatina quotidiana di cinque chilometri, ora ci impiegava più di un’ora. Harry non avrebbe mai scordato i sacrifici personali fatti da sua madre per assicurargli l’ottenimento di una borsa di studio da corista alla St Bede’s e, con essa, la possibilità di concorrere con chiunque, a dispetto della condizione sociale, compreso il suo più vecchio amico, Giles Barrington.

    Harry e Giles si erano conosciuti alla St Bede’s più di quarant’anni prima e non erano certo parsi due individui inclini a diventare amici del cuore. Uno nato tra i vicoli della zona portuale, l’altro in un reparto privato della Bristol Royal Infirmary. Vincitori di una borsa di studio, uno per meriti scolastici, l’altro per meriti sportivi. Uno timido, l’altro estroverso. E, di certo, nessuno avrebbe previsto che Harry si sarebbe innamorato della sorella di Giles. Nessuno a parte la stessa Emma, che sosteneva di aver pianificato ogni cosa subito dopo il loro primo incontro, in occasione della festa del dodicesimo compleanno di Giles.

    Harry di quella occasione non ricordava altro che una cosina ossuta – secondo la descrizione di Giles – seduta accanto alla finestra, a capo chino, intenta a leggere un libro. Il libro gli si era impresso nella memoria, la ragazza no.

    Sette anni dopo, Harry aveva incontrato una giovane donna molto diversa quando la sua scuola secondaria si era unita alla Red Maids per una produzione scolastica congiunta di Romeo e Giulietta. Era stata Elizabeth Barrington, la madre di Emma, a notare che avevano continuato a tenersi per mano dopo aver abbandonato il palcoscenico.

    Quando il sipario era calato sulla rappresentazione finale, Harry aveva ammesso di fronte a sua madre che si era innamorato di Emma e che voleva sposarla. Il fatto che Maisie non fosse parsa entusiasta della prospettiva era stato uno shock. Il padre di Emma, Sir Hugo Barrington, non aveva tentato in alcun modo di nascondere le proprie sensazioni, per quanto sua moglie non riuscisse a spiegare come mai fosse così strenuamente contrario alla minima possibilità che si sposassero. Possibile che fosse un tale snob? Ma, nonostante i dubbi dei loro due genitori, Harry ed Emma si erano fidanzati poco prima di andare a Oxford. Entrambi vergini, non erano andati a letto insieme fino a poche settimane prima delle nozze.

    Ma le nozze erano finite malissimo perché, quando il cappellano del college aveva detto Chi abbia da dichiarare un giusto motivo per cui essi non debbano legittimamente essere uniti in tale vincolo parli adesso o, d’ora innanzi, taccia per sempre, il Vecchio Jack, mentore e amico di Harry, non aveva taciuto e aveva spiegato all’assemblea il motivo per cui temeva di avere un giusto motivo.

    Quando Harry era venuto a conoscenza della verità su chi potesse essere suo padre, era rimasto talmente sconvolto da abbandonare immediatamente Oxford e unirsi alla Marina mercantile, all’oscuro del fatto che Emma fosse incinta o che, mentre attraversava l’Atlantico, l’Inghilterra avesse dichiarato guerra alla Germania.

    Solo una volta rilasciato dal carcere, dopo essere entrato nell’Esercito degli Stati Uniti ed essere saltato su una mina antiuomo tedesca, aveva finalmente fatto ritorno in Inghilterra e si era ricongiunto con Emma, scoprendo così di avere un figlio di tre anni che si chiamava Sebastian. Ciò nonostante, ci erano voluti altri due anni prima che la più alta corte del paese stabilisse che Sir Hugo Barrington non era il padre di Harry ma, malgrado tale verdetto, sia lui sia Emma erano consapevoli del fatto che ci sarebbe sempre stata un’ombra di dubbio sulla legittimità del loro matrimonio presso una corte ancor più alta.

    Harry ed Emma avrebbero disperatamente voluto un secondo figlio, ma avevano convenuto di non dire a Sebastian perché mai avessero preso una decisione di segno contrario. Harry non ne aveva mai neppure per un istante attribuito la colpa all’amata madre. Non c’era stato bisogno di fare particolari indagini per scoprire che Maisie non era stata la prima operaia che Hugo Barrington aveva sedotto nel corso della gita aziendale annuale a Weston-super-Mare.

    Quando Sir Hugo era morto in circostanze tragiche, Giles ne aveva ereditato il titolo insieme alle proprietà e finalmente era stato ripristinato l’ordine naturale delle cose. Tuttavia, mentre Harry era rimasto felicemente sposato con Emma, Giles era passato attraverso due divorzi e la sua carriera politica ora sembrava in rovina.

    Da tre mesi a quella parte, Emma si stava preparando per il grande evento e nulla era stato lasciato al caso. La notte della vigilia, Harry era addirittura stato costretto a fare una prova generale del discorso nella loro camera da letto.

    Trecento ospiti giunsero a frotte a Manor House in vista della cena di gala per festeggiare i sette decenni di Maisie e, quando lei fece il proprio ingresso a braccetto con Harry, non fu difficile per nessuno credere che dovesse essere stata una delle più grandi bellezze del suo tempo. Harry le si sedette accanto, raggiante di orgoglio, anche se la sua agitazione crebbe a mano a mano che si avvicinava il momento in cui avrebbe dovuto proporre un brindisi alla salute di sua madre. Esibirsi di fronte a una sala gremita non era più un problema per lui, ma farlo di fronte a sua madre…

    Esordì rammentando agli ospiti i formidabili successi ottenuti dalla madre contro ogni previsione. Da cameriera presso la sala da tè Tilly’s, era diventata direttrice del Grand Hotel della città, la prima donna ad aver mai ricoperto tale ruolo. Da quando era andata in pensione con riluttanza,

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