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L impiccato
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E-book543 pagine7 ore

L impiccato

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Info su questo ebook

Nelle foto aveva il viso gonfio, pieno di lividi ed escoriazioni, un labbro spaccato, gli occhi pesti. Peter Decker quasi non ha riconosciuto in quelle immagini la donna bellissima che gli ha chiesto aiuto. Terry McLaughlin è stata picchiata selvaggiamente dal marito Chris Donatti, un killer professionista, e adesso ha paura. Poco dopo il loro incontro scompare nel nulla. Contemporaneamente una donna viene trovata in un cantiere edile, impiccata a una trave. Che cosa le è successo? È stato il suo stile di vita discutibile a portarla a una morte prematura, o è stata vittima di un serial killer? E Terry, è stata uccisa, o ha fatto perdere le proprie tracce di proposito? Le indagini puntano in direzioni diverse, ma in entrambi i casi il tempismo è fondamentale, perché con un assassino in giro nessuno è al sicuro. Sarà una lotta contro il tempo, in cui Decker, come nel gioco dell'impiccato, dovrà trovare la soluzione prima che l'avversario completi il suo schema criminale.



La vita personale di Decker si intreccia con un'indagine all'ultimo respiro in un thriller incalzante che terrà i lettori con il fiato sospeso fino all'ultima pagina.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2017
ISBN9788858967645
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    Anteprima del libro

    L impiccato - Faye Kellerman

    abbracci

    1

    Le fotografie la ritraevano malconcia e piena di lividi – un labbro gonfio, entrambi gli occhi neri, il volto tumefatto e lucido. Per Decker era quasi impossibile associare quelle istantanee alla creatura incredibilmente attraente che gli sedeva davanti. Terry era molto cambiata negli ultimi quindici anni. Da bellissima sedicenne si era trasformata in una donna straordinariamente elegante. Con l'età il suo viso era diventato più morbido e arrotondato e aveva assunto la raffinata fragilità tipica delle bellezze vittoriane. Gli occhi di Decker si spostarono dalle fotografie al suo volto. Inarcò un sopracciglio.

    «Non è un bello spettacolo, vero?» disse.

    «Tuo marito ti ha proprio conciata per le feste.» Strizzando gli occhi, Decker poteva ancora scorgere le tracce delle percosse ricevute – in alcuni punti infatti erano visibili delle sfumature verdastre. «E queste fotografie risalgono a circa sei settimane fa?»

    «Più o meno.» La donna si sistemò meglio sul divano. «Il corpo è una macchina sorprendente. Assisto a riprese miracolose tutti i giorni.»

    Essendo un medico, Terry sapeva di cosa stava parlando. A dimostrazione della sua forza di carattere, era riuscita a laurearsi in medicina e a crescere un bambino malgrado fosse sposata con un pazzo maniaco. Era raro vederla così abbattuta.

    «Sei sicura di volere andare fino in fondo? Intendi davvero incontrarlo qui a Los Angeles?»

    «Ho rimandato l'inevitabile il più a lungo possibile» rispose Terry. «Non ha nessun senso nascondersi. Se Chris vuole trovarmi, ci riuscirà. Ma non sono preoccupata per me, quanto per Gabe. Se lo faccio incazzare troppo, temo che possa prendersela con lui. Devo aspettare che abbia raggiunto la maggiore età, tenente, prima di poter prendere qualsiasi decisione riguardante la mia vita.»

    «Quanti anni ha Gabe?»

    «Per l'anagrafe, tra quattro mesi compirà quindici anni. Ma di testa, è un uomo maturo.»

    Decker annuì. Erano accomodati nella suite di un elegante hotel a Bel Air, California. Le varie tonalità di beige dell'arredamento lo rendevano un ambiente molto rilassante. Accanto all'ingresso c'era un angolo bar ben fornito e un bancone di marmo per la preparazione dei drink.

    Terry si era rannicchiata su un divano situato di fronte a un caminetto di pietra. Decker si era accomodato alla sua sinistra, su una poltroncina da cui poteva vedere il patio privato, abbellito da lussureggianti felci, palme e fiori – un'oasi di pace per le anime ferite. «Come puoi essere certa di riuscire a sopravvivere fin quando Gabe avrà compiuto diciotto anni?»

    Terry rifletté sulla domanda prima di rispondere. «Sai quanto sia freddo e calcolatore mio marito. Questa è la prima volta in assoluto che alza un dito su di me.»

    «E allora, cos'è successo?»

    «Un malinteso.» Alzò gli occhi verso il soffitto, evitando di incrociare lo sguardo di Decker. «Ha trovato delle carte mediche e ha pensato che avessi abortito. Quando finalmente sono riuscita a farlo smettere di picchiarmi e a spiegargli la situazione, si è reso conto di avere letto male il nome. È stata la mia sorellastra ad abortire.»

    «Ha confuso Melissa con Teresa?»

    «Il nostro secondo nome è uguale. Io mi chiamo Teresa Anne. Lei Melissa Anne. È una cosa stupida, ma anche mio padre lo è. Uso ancora il cognome McLaughlin, come la mia sorellastra, perché è quello che compare sui diplomi e sui documenti. Ha frainteso e mi ha aggredito. Non che gli stiano a cuore i bambini, ma l'idea che potessi avere distrutto la sua progenie gli ha fatto perdere il controllo. Per fortuna non aveva una pistola a portata di mano.» Scrollò le spalle.

    «Perché l'hai sposato, Terry?» domandò Decker.

    «Voleva che la nostra relazione diventasse ufficiale. Mi era difficile rifiutare dal momento che era lui a mantenerci. Non avrei mai potuto finire gli studi di medicina senza i suoi soldi.» Fece una pausa. «Per la maggior parte del tempo ci lascia soli. Si butta nel lavoro, nell'alcol e nelle droghe, oppure si dedica ad altre donne. Io e Gabe siamo abituati a stargli alla larga. Le nostre interazioni sono neutrali e alle volte piacevoli. È generoso e sa essere affascinante quando desidera qualcosa. Gli do quello che vuole e tutto fila liscio.»

    «Salvo eccezioni.» Decker sollevò le fotografie. «Cosa vuoi che faccia esattamente, dottoressa?»

    «Ho accettato di vederlo, tenente, ma non per tornare con lui. Perlomeno, non subito. Non so come reagirà a questa notizia. Dato che non posso sfuggirgli, voglio che acconsenta a una separazione temporanea. Niente di definitivo – non mi converrebbe – voglio soltanto che mi lasci stare ancora un po' da sola.»

    «Per quanto tempo?»

    «Una trentina d'anni, forse.» Terry sorrise. «In realtà, vorrei trasferirmi nuovamente a Los Angeles finché Gabe non finisce il liceo. Ho trovato una casa in affitto a Beverly Hills. Non solo voglio che accetti questa separazione, ma anche che si accolli tutte le spese.»

    «Come pensi di farcela?»

    «Guardami.» Sorrise nuovamente. «Lui mi ha cresciuta, ma lo stesso vale per me.»

    «Però senti bisogno di essere protetta.»

    «Può succedere di tutto quando si ha a che fare con un animale selvaggio. Meglio prendere precauzioni.»

    «Ci sono molti uomini più giovani e più forti di me, ragazzi che probabilmente saprebbero difenderti molto meglio.»

    «Oh, ti prego! Chris li metterebbe al tappeto senza problemi. È più... prudente con te intorno. Ti rispetta.»

    «Mi ha sparato, una volta.»

    «Se avesse voluto ucciderti, l'avrebbe fatto.»

    «Lo so» disse Decker. «Voleva dimostrare chi comandava.» Buttò fuori l'aria. «E, cosa ancora più importante, a Chris piace sparare alla gente. Con me, il divertimento era doppio.»

    Terry abbassò lo sguardo. «Si vanta che tu gli chieda dei favori. È vero?»

    Decker sogghignò. «Gli chiedo qualche informazione di tanto in tanto. Utilizzerei qualsiasi fonte per riuscire a risolvere un caso.» Osservò il viso di Terry – la carnagione lattea, gli occhi color nocciola, i lunghi capelli castani. Alcuni fili grigi erano l'unica testimonianza di una vita sempre sul filo del rasoio. Indossava un ampio vestito senza maniche – di seta, con disegni geometrici arancioni, verdi e gialli. I piedi nudi spuntavano da sotto l'orlo. «Quando dovrebbe arrivare in città?»

    «Gli ho detto di venire qui in hotel domenica a mezzogiorno. Ho pensato fosse un buon orario.»

    «Dove si troverà tuo figlio in quel momento?»

    «In una sala prove dell'UCLA. Gabe ha un cellulare. Se ha bisogno di me, mi chiamerà. È un ragazzo molto indipendente. Deve esserlo per forza.» I suoi occhi vagarono lontano. «È così in gamba... l'esatto contrario di suo padre. Data la sua educazione, a questo punto avrebbe dovuto già essere stato un paio di volte in un centro di riabilitazione. Invece è fin troppo maturo. Mi preoccupa. C'è un intero mondo dentro di lui che non riesce a esprimere. Merita davvero di meglio.» Si portò le mani alla bocca e batté le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. «Ti ringrazio per essere venuto in mio aiuto.»

    «Assicurati che io faccia davvero qualcosa prima di ringraziarmi.» Decker guardò il suo orologio da polso. Lo aspettavano a casa già da mezz'ora. «Okay, Terry, domenica ci sarò. Ma dovrai fare come dico io. Penserò a un piano perché questo incontro avvenga a modo mio. Innanzitutto, dovrai aspettare in camera da letto finché non l'avrò reso innocuo. Solo allora potrai uscire.»

    «D'accordo.»

    «Inoltre, dovrai dire a Gabe di non tornare fino a quando non gli avrai dato il segnale di via libera. Non voglio che compaia nel bel mezzo di una situazione difficile.»

    «Mi sembra ragionevole.»

    La stanza rimase silenziosa per alcuni istanti. Poi Terry si alzò. «Grazie infinite, tenente. Spero che il compenso sia sufficiente?»

    «È più che sufficiente. È estremamente generoso.»

    «C'è una cosa da dire su Chris, non ama badare a spese. Se ti avessi offerto meno, se la sarebbe presa.»

    «Se non vuoi che lo faccia, non lo farò» disse Decker.

    «Certo che non voglio» rispose Rina. «Quell'uomo ti ha sparato, per la miseria!»

    «Allora la richiamo e le dico di no.»

    «Ormai è un po' tardi, non credi?» Rina si alzò e cominciò a sparecchiare il tavolo del salotto – due piatti e due bicchieri. Hannah non faceva quasi più colazione con loro. L'autunno successivo avrebbe cominciato il college in Israele. Mancavano solo tre mesi alla fine del liceo e la davano già per persa.

    Decker seguì la moglie in cucina. «Dimmi, cosa vuoi che faccia?» Quando Rina aprì il rubinetto dell'acqua, aggiunse: «Lascia fare a me».

    «No, li lavo io.»

    «O, ancora meglio, perché non usi la lavastoviglie?»

    «Per due piatti?»

    Contando i bicchieri, le posate, le pentole e le padelle, c'era molto di più, ma preferì non contraddirla. «Avrei dovuto consultarti prima di accettare, mi dispiace.»

    «Non voglio delle scuse. Sono preoccupata per la tua vita. È un sicario, Peter.»

    «Non mi ucciderà.»

    «Non dici sempre che le questioni familiari sono le più pericolose perché entrano in gioco le emozioni?»

    «Sì, se non si è preparati.»

    «Non pensi che la tua presenza infiammerà gli animi?»

    «Forse. Ma se non avesse nessuno a proteggerla, potrebbe andare peggio.»

    «Allora lascia che assuma una guardia del corpo. Perché devi farlo tu?»

    «Ritiene che io abbia buone possibilità di disinnescare la collera di Chris.»

    «Disinnescare è la parola giusta» commentò Rina. «Quell'uomo è una bomba a orologeria!» Scosse il capo e fece scorrere l'acqua. Senza aggiungere altro, porse a Decker il primo piatto.

    «Grazie per la colazione. Le uova alla Benedict con il salmone affumicato erano una vera delizia.»

    «Ogni uomo merita un ultimo pasto.»

    «Non è divertente.»

    Rina gli passò un altro piatto. «Se ti dovesse succedere qualcosa, non te lo perdonerei mai.»

    «Ricevuto.»

    «Non m'interessa di lei. Sono certa che sia una donna per bene, ma si è infilata da sola in questo casino.» Rina sentì il sangue cominciare a ribollire per la rabbia. «Perché devi essere tu a tirarla fuori? La sua richiesta d'aiuto è chutzpadik

    Decker mise via il piatto e le appoggiò le mani sulle spalle. Le punte dei suoi capelli neri le svolazzarono intorno al collo, regalando al suo volto un'espressione sbarazzina. Rina era tutto il contrario. Forte, concentrata, determinata... questi erano gli aggettivi più adatti per descriverla. «Le telefono e le dico di no.»

    «Non puoi farlo adesso, Peter. Chris dovrebbe arrivare tra un paio d'ore. Inoltre, se ti tirassi indietro adesso, ti giudicherebbe uno smidollato, ed è il peggio che possa succedere. Sei in trappola.» Si sollevò sulle punte e gli baciò il naso. Era alto e robusto, ma anche Donatti. «Credo che dovrei accompagnarti.»

    «Non ci pensare neppure. Piuttosto, preferisco rinunciare.»

    «Gli sono sempre piaciuta.»

    «Proprio per questo sarebbe tentato di spararmi. Ha una cotta per te.»

    «Non ha una cotta per me...»

    «Non sai quanto ti sbagli.»

    «Be', lascia almeno che ti accompagni in città. Andrò a trovare i miei genitori.»

    «Si può fare.» Decker guardò l'orologio della cucina. «Lascia tutto così. Metterò in ordine quando torno.»

    «Devi andare via subito?»

    «Voglio sistemare la stanza prima del suo arrivo.»

    «Va bene. Vado a prendere la borsa. Chiamami quando hai finito e tutto si è risolto.»

    «Lo farò. Promesso.»

    «Certo, certo.» Rina se lo scrollò di dosso. «Il matrimonio non dovrebbe essere una promessa di amore, rispetto e obbedienza?»

    «Qualcosa del genere» le rispose Decker. «Modestia a parte, credo di aver sempre adempiuto i miei voti.»

    «Sì, i primi due» ammise Rina. «È il terzo però quello che ti crea più problemi.»

    2

    Si presentò all'appuntamento con un enorme mazzo di calle che gli copriva quasi tutta la parte superiore del corpo, come fosse appena uscito da una tela di Diego Rivera. Christopher Donatti era alto quasi due metri, ma Decker non era certo da meno.

    «Non avresti dovuto.» Prima ancora che Chris potesse mostrare segni di sorpresa, Decker prese i fiori, li gettò sul bancone di marmo vicino alla porta e lo fece voltare, spingendolo fino a farlo appiattire contro il muro. I movimenti di Decker erano decisi e rapidi. Gli premette la sua Beretta contro la base del cranio. «Mi dispiace, Chris, ma in questo momento lei non si fida ciecamente di te.»

    Donatti rimase in silenzio mentre Decker lo perquisiva, dall'alto verso il basso. L'uomo portava con sé pezzi di ottima qualità: gli strumenti del suo mestiere. Aveva una pistola automatica S&W infilata nella cintura e una piccola Glock calibro 22 nascosta negli stivali.

    Senza spostare la sua Beretta di servizio dal collo di Donatti, Decker gli estrasse il portafogli dalla tasca e lo lanciò sul tavolo. Gli ordinò di togliersi gli stivali, la cintura e l'orologio.

    «L'orologio?»

    «Sai com'è, Chris. Al giorno d'oggi è tutto microscopico. Chi può dire cosa nascondi all'interno?»

    «È un Breguet.»

    «Non so che diavolo sia, ma sembra costoso.» Decker glielo sfilò. Era d'oro e incredibilmente pesante. «Non te lo rubo. Voglio solo controllarlo.»

    «È un orologio scheletrato. Aprendo il retro, si può vedere il meccanismo interno.»

    «Mmh... non mi esploderà in faccia, vero?»

    «È un orologio, non un'arma.»

    «Nelle tue mani, ogni cosa è un'arma.»

    Donatti non si prese la briga di negare. Decker gli intimò di tenere le mani in alto e il corpo contro il muro. Indietreggiò lentamente di qualche centimetro per avere un po' di spazio. Con un occhio fisso sulle sue mani, Decker cominciò a togliere le munizioni dalle armi di Donatti.

    «Puoi voltarti, ma tieni le mani in alto.»

    «Sei tu il capo.»

    Ruotò il corpo finché non si trovarono faccia a faccia. Spogliato delle sue armi, Chris sembrava impassibile. Aveva uno sguardo neutro: occhi azzurri ma senza alcuna luminosità. Era impossibile capire se fosse arrabbiato o divertito.

    Una cosa era certa. Chris aveva visto giorni migliori. La sua pelle era grigia e segnata e la sua fronte assomigliava a un allevamento di foruncoli. Si era lasciato crescere i capelli, che non erano più a spazzola come sei anni prima, l'ultima volta che Decker l'aveva visto di persona. Li aveva pettinati all'indietro, stile conte Dracula, e li aveva tagliati più corti sulle orecchie. Era ancora allampanato, ma aveva braccia più muscolose di quanto Decker ricordasse. Per l'occasione, si era vestito di tutto punto. Indossava una polo azzurra, dei pantaloni di gabardine color carbone e degli stivali in pelle di coccodrillo.

    «Cominciano a farmi male le braccia.»

    «Abbassale lentamente.»

    Obbedì. «E adesso?»

    «Siediti. Muoviti piano. Se ti muovi piano, lo faccio anch'io. Se mi fai fretta, prima sparo, poi parlo. Chiaro?» Donatti fece per sedersi su una sedia, ma Decker lo fermò. «Sul divano, per favore.»

    Donatti si mostrò collaborativo e si lasciò cadere sui cuscini. Decker gli lanciò l'orologio. Lui l'afferrò con una mano e se lo rimise al polso. «Almeno lei c'è?»

    «Si trova in camera da letto.»

    «È già qualcosa. Ha intenzione di uscire?»

    «Quando le darò il via liberà, verrà fuori.»

    «Dov'è Gabe?»

    «Non è qui» rispose Decker.

    «Probabilmente è meglio così.» Donatti si prese la testa tra le mani. Riemerse un attimo dopo. «Credo che la tua presenza abbia un senso.»

    «Grazie per la tua approvazione.»

    «Ascolta, non ho intenzione di fare nulla.»

    «Allora come mai tutto questo armamentario?»

    «Me le porto sempre dietro. Posso parlare con mia moglie adesso?»

    Decker era in piedi vicino al bancone di marmo del bar, con la Beretta ancora in mano. «Un paio di regole base. Primo: rimani sempre seduto. Non avvicinarti a lei in nessun modo e per nessuna ragione. Secondo: niente movimenti bruschi. Mi rendono nervoso.»

    «D'accordo.»

    «Tieni a freno la lingua e le mani e sono sicuro che tutto andrà a meraviglia.»

    «Già... certo.» La sua voce era un sussurro.

    «Mi sembri un po' pallido. Vuoi dell'acqua?» Aprì il frigobar. «O qualcosa di più forte?»

    «Come ti pare.»

    «Macallan, Chivas, Glenfiddich...»

    «Un Glenfiddich, liscio.» Un attimo dopo, Decker gli porse un bicchiere di cristallo intagliato con un'abbondante dose di scotch. Donatti si bagnò le labbra, poi ne buttò giù un dito. «Grazie. Mi è d'aiuto.»

    «Prego.» Decker osservò l'uomo. «Stai riprendendo colore.»

    «Non ho toccato un goccio per tutta la giornata.»

    «È solo mezzogiorno.»

    «A New York è quasi l'ora dell'aperitivo. Non volevo pensasse che sono un debole. Ma è così.» Un altro sorso. «Lo sa che sono un debole. Porca puttana!»

    «Modera il linguaggio.»

    «Se fosse soltanto questo il mio problema, sarei a cavallo.» Allungò a Decker il bicchiere vuoto.

    «Un altro?» Quando Donatti scosse il capo, Decker richiuse il mobiletto. «Cos'è successo?»

    «È successo che sono un idiota.»

    «Mi pare riduttivo.»

    «Ho sempre avuto difficoltà di lettura.»

    «Stai trascurando un elemento fondamentale, Chris. Non puoi usare tua moglie come sacco da boxe, anche se dovesse sottoporsi a un aborto.»

    «Non le ho tirato dei pugni, ma degli schiaffi.»

    «Non è comunque accettabile.»

    Donatti si massaggiò la fronte. «Lo so. Ti ho corretto solo perché sapevo di avere la mano aperta. Se l'avessi colpita con un pugno, sarebbe morta.»

    «Dunque sapevi che la stavi picchiando a sangue?»

    «Non è mai accaduto prima, e non accadrà più.»

    «E lei dovrebbe crederti perché...»

    «Le occasioni in cui ho perso il controllo si possono contare sulle dita di una mano. Ascolta, so che è spaventata, ma non deve esserlo. È stato soltanto...» Non appena provò ad alzarsi dal divano, Decker gli agitò la pistola in faccia. Si rimise seduto. «Posso vedere mia moglie, per favore?»

    «Almeno questa volta lo hai chiesto per favore.» Decker lo fissò dritto negli occhi. «Lascia che ti ponga alcune domande ipotetiche. E se non volesse parlarti?»

    «Non avrebbe accettato di incontrarmi se non avesse avuto intenzione di parlarmi.»

    «Forse non voleva dirtelo per telefono perché così ti avrebbe dato il tempo di escogitare qualcosa di pericoloso e probabilmente stupido.»

    «È questo che ha detto?» Donatti sollevò lo sguardo.

    «Qui le domande le faccio io.»

    «Non sto escogitando niente. Sono stato un idiota. Non accadrà più. Lasciami solo parlare con mia moglie, okay?»

    «E se non volesse vederti più? Se chiedesse il divorzio?»

    «Non lo so.» Donatti premette le mani l'una contro l'altra.

    «T'incazzeresti, vero?»

    «È probabile.»

    «E cosa faresti?»

    «Con te intorno, niente.» I suoi occhi finalmente s'illuminarono. «Decker, non mi chiederà il divorzio – perlomeno non adesso – perché, prima di tutto, ho abbastanza soldi per coinvolgerla in una lunga e costosa battaglia legale per la custodia di Gabe. Sarebbe più facile per lei aspettare che abbia compiuto diciotto anni e Terry è una donna pratica. Ho ancora tre anni e mezzo prima di dover affrontare la questione. Vorrei vedere Terry adesso.»

    Ansimava. «Un altro scotch?» suggerì Decker.

    «No.» Donatti scosse nuovamente la testa. «Sono a posto.» Inspirò a fondo e buttò fuori l'aria. «Quando vuoi, sono pronto.»

    Decker gli lanciò uno sguardo severo. «Terrò d'occhio ogni tuo minimo movimento.»

    «D'accordo. Non mi muoverò. Il mio fondoschiena rimarrà incollato al divano. Possiamo andare avanti adesso?»

    Non aveva senso rimandare l'inevitabile. Decker chiamò Terry.

    Aveva sistemato la sua sedia di lato in modo che non ci fossero ostacoli tra la canna della sua pistola e il cervello di Donatti. Non che si aspettasse davvero una sparatoria da videogioco, ma Decker, oltre a essere un poliziotto, era una persona prudente, e cercava sempre di non farsi cogliere impreparato.

    Terry ripiegò le gambe sotto il suo lungo vestito, mantenendo una postura dritta e regale. Indossava un altro abito senza maniche, che metteva in mostra le sue lunghe braccia abbronzate, abbellite da numerosi braccialetti. Aveva gli occhi fissi sul volto di Donatti, mentre lui non riusciva a sostenere il suo sguardo.

    «Ti trovo in forma» le disse.

    «Grazie.»

    «Come stai?»

    «Non c'è male.»

    «E come sta Gabe?»

    «Bene.»

    Donatti espirò e guardò il soffitto. Poi si concentrò sul viso di Terry. «Cosa posso fare per te?»

    «È una domanda interessante» ribatté lei. «Sto ancora cercando di capirlo.»

    L'uomo si grattò una guancia. «Farò qualsiasi cosa.»

    «Posso prenderti alla lettera?» Prima che potesse rispondere, aggiunse: «Non sono pronta a tornare con te».

    Donatti incrociò le mani sul grembo. «D'accordo. Lo sarai mai?»

    «Forse... è probabile. Non lo so.»

    «Va bene.» Chris lanciò un'occhiata a Decker. «Possiamo avere un po' di privacy, per favore?»

    «È fuori discussione.» Decker sollevò il mazzo di fiori. «Ti ha portato questi.»

    Terry lo guardò. «Più tardi chiederò un vaso in cui sistemarli.» Rivolgendosi a Chris, disse: «Sono molto belli. Grazie».

    Donatti si agitò sul divano. «Allora... quando pensi... voglio dire, per quanto tempo intendi rimanere?»

    «In California o in questo hotel?»

    «Intendevo dire lontana da me, ma sì, anche per quanto tempo vuoi stare qui.»

    «Non lo so.»

    «Un mese? Due?»

    «Un po' più a lungo.» Si passò la lingua sulle labbra.

    «Sarà una bella spesa. Cioè, non che sia un problema di soldi...»

    «Costerà parecchio» lo interruppe Terry. «Voglio prendere una casa. Tecnicamente, sarai tu ad affittarla. Ne ho vista una che mi piace. Aspetto solo che tu mi firmi un assegno.»

    Decker era stupito di sentirla parlare con tanta sicurezza, sfidandolo a negarle qualcosa.

    «Dove?» chiese Donatti.

    «Beverly Hills. Dove altrimenti?»

    Fece per alzarsi, ma Decker le disse: «Hai bisogno di qualcosa?».

    «Ho un po' sete.»

    «Rimani pure seduta. Cosa ti andrebbe?»

    «Un bicchiere di San Pellegrino, senza ghiaccio.»

    «È in arrivo. E per te, Chris?»

    «Lo stesso.»

    «Servigli uno scotch» intervenne la donna.

    «Sto bene, Terry.»

    «Ho forse detto il contrario?» ribatté. «Servigli uno scotch.»

    Donatti sollevò le mani in segno di resa. Decker disse: «Non c'è problema, basta che rimaniate entrambi al vostro posto».

    «Non vado da nessun parte» replicò Donatti irritato. Non appena si portò alle labbra il bicchiere, sembrò calmarsi. «Allora... raccontami di questa casa che sto per prendere in affitto.»

    «È situata nella parte pianeggiante della città, una zona residenziale di lusso. Costa dodicimila dollari al mese – il minimo che si trova nei paraggi. Ci sarà bisogno di fare qualche lavoretto, ma è sicuramente abitabile fin da subito. La ragione principale per cui ho scelto Beverly Hills è che le scuole sono ottime.»

    «Va bene» disse Donatti. «Come vuoi tu.»

    A giudicare dalla conversazione, si sarebbe potuto pensare che Terry fosse la più forte dei due. Forse lo era per la maggior parte del tempo. Ovviamente la maggior parte del tempo non voleva dire sempre.

    «Avrò le chiavi?» domandò Donatti.

    «Certo che le avrai. Sarai tu ad affittarla.»

    «Per quanto tempo pensi di vivere lì... nella casa che sto per affittare?»

    «In genere propongono contratti di un anno almeno.»

    «È un sacco di tempo.»

    Terry si sporse in avanti. «Chris, non ti sto chiedendo una separazione ufficiale, ma un allontanamento fisico. Dopo quello che è successo, è il minimo che tu possa fare.»

    «Non voglio mettere in discussione le tue scelte, Terry, sto solo cercando di capire quanto a lungo durerà tutto questo. Se hai bisogno di un anno, prenditi un anno. È una decisione tua, non mia.»

    Terry rimase un attimo in silenzio, poi disse: «Saprai dove sono e avrai le chiavi di casa. Potrai venire quando vorrai. Non andrò da nessuna parte. Ti sembra accettabile?».

    «Più che accettabile.» Donatti si sforzò di sollevare gli angoli delle labbra. «In ogni caso, avere una base sulla costa occidentale potrebbe essermi utile. Anzi, forse è proprio una buona idea.»

    «Quindi ti ho fatto un favore.»

    «Non direi. Dodicimila dollari al mese. Quant'è grande questa succhiasoldi?»

    Terry gli rivolse un sorriso a metà tra l'ironico e il civettuolo.

    «Ci sono quattro camere da letto, Chris. Credo che in qualche modo ci arrangeremo.»

    Donatti questa volta sorrise sinceramente. «Okay.» Bevve un sorso di alcol, poi scoppiò a ridere. «Okay. Se è questo che vuoi... va bene. Forse non avendomi vicino sentirai la mia mancanza.»

    «Nei tuoi sogni.»

    «Molto divertente.»

    «Hai fame?» Terry lo squadrò dall'alto verso il basso. «Sei dimagrito.»

    «Sono stato un po' in ansia ultimamente.»

    «E tu come fai a sapere cos'è l'ansia?»

    Donatti guardò Decker. «Ha spirito, la ragazza.»

    «Hai fame, Chris?» gli chiese nuovamente.

    «Mangerei volentieri qualcosa.»

    «Hanno un ristorante di prim'ordine qui.» Lanciò un'occhiata all'orologio da polso tempestato di diamanti che riposava tra i suoi braccialetti d'oro. «È aperto adesso. Non mi dispiacerebbe andarci.»

    «Fantastico.» Fece per alzarsi, poi però guardò Decker. «Posso muovermi senza che mi spari?»

    «Scendi al ristorante e occupa un tavolo per voi due, Chris. Prenotane un altro accanto al vostro per me. Ti raggiungiamo tra un attimo.»

    Donatti si incupì. «Saremo in un luogo pubblico, Decker. Non succederà niente. Cosa ne dici di lasciarci un po' di intimità?»

    «Non mi siederò con voi» disse Decker. «Potete parlare piano se non volete che vi senta. Vai pure. Ci vediamo là.»

    Donatti alzò gli occhi al cielo. «Pensi di ridarmi la mia roba?»

    «Più tardi.»

    «Tieniti le munizioni, ma restituiscimi i ferri.»

    «Più tardi.»

    «Cosa pensi che voglia fare? Usarli per darti un colpo in testa?»

    «Non mi era venuto in mente, ma ora che mi ci fai pensare, con te non si può mai sapere.»

    Si voltò verso Terry. «Ti spiace se me li riprendo?»

    «Sta a lui decidere.»

    «Sono innocui senza le munizioni.» Non ricevendo risposta, Chris incalzò: «Andiamo. Mostrami un po' di buona volontà. In fondo voglio solo riprendermi ciò che è mio».

    «Ho capito, Chris.» Decker aprì la porta. «Ma non sempre si può avere ciò che si vuole.»

    I due uomini si fronteggiarono, occhi negli occhi. Poi Donatti scrollò le spalle. «Come ti pare.» Oltrepassò la porta con fare spavaldo senza più girarsi.

    Decker scosse la testa. «Ecco un tipo glaciale.» Si voltò verso Terry. «L'hai gestito molto bene.»

    «Lo spero. Perlomeno ho guadagnato del tempo per pensare.»

    Decker notò che tremava. «Stai bene, Terry?»

    «Sì, sto bene. Sono solo un po'...» Delle gocce di sudore le colarono lungo la fronte. Si asciugò il viso con un fazzoletto. «Sai come si dice. Mai farsi vedere in difficoltà.»

    3

    Dato che Decker si trovava in città – a circa trenta chilometri da casa – Rina prenotò per due in uno dei molti ristoranti kosher lungo Pico Boulevard.

    Lasciarono la casa dei suoi genitori alle sei e, una mezz'ora più tardi, avevano già preso posto in un separé, e stavano sorseggiando un bicchiere di Côtes du Rhônes ciascuno. Peter non era mai stato un gran chiacchierone, ma quella sera appariva più silenzioso del solito. Così Rina si fece carico di portare avanti la maggior parte della conversazione. Forse Peter aveva fame. Immaginò che si sarebbe ripreso non appena avesse avuto la pancia piena. Ma anche dopo aver divorato la sua costata di manzo con patatine fritte e insalata rimase zitto.

    «Che cosa ti passa per la testa?» chiese infine Rina.

    «Niente.»

    «Non ti credo.»

    «Vedi, è qui che voi donne vi sbagliate. Quando gli uomini non parlano, pensate che si tratti di una qualche profonda meditazione interiore. Nel mio caso, stavo pensando al dolce... mi domandavo se valeva la pena ingerire altre calorie.»

    «Se ti va, possiamo dividerci qualcosa.»

    «Il che vorrebbe dire che io ne mangerei il novanta per cento.»

    «Cosa ne dici di rinunciare al dessert e di prenderci un caffè? Mi sembri un po' sbattuto.»

    «Davvero?» Decker si lisciò i baffi rossi e grigi come se stesse riflettendo su qualcosa di molto profondo. Mentre la peluria del viso conservava in parte i fiammeggianti colori della gioventù, la sua testa era più bianca che arancione, ma aveva ancora molti capelli.

    Sorrise a sua moglie. Rina si era messa il vestito di raso viola scuro che teneva nell'armadio di sua madre. Nonostante fosse di gran lunga troppo religiosa per mostrare l'incavo dei seni, la scollatura valorizzava la linea aggraziata del collo. Per il suo quarantacinquesimo compleanno le aveva regalato un paio di orecchini con diamanti da due carati, che sfoggiava non appena si presentava l'occasione. Gli piaceva vederla con indosso oggetti costosi, anche se con il suo stipendio non accadeva spesso.

    «Credo di essere un po' stanco.»

    «Allora possiamo anche andare subito a casa.»

    «No, no. Una tazza di caffè mi farà bene.»

    «Okay.» Rina gli sfiorò le mani. «Non sei semplicemente stanco, hai l'aria preoccupata. Cos'è successo questo pomeriggio?»

    «Te l'ho già detto. È filato tutto liscio.»

    «Ma sei comunque perplesso.»

    Decker scelse con cura le parole. «Quando gli parlava... sembrava sicura di sé... come se avesse il controllo della situazione.»

    «Forse, avendoti accanto, si sentiva davvero tranquilla.»

    «In parte era senz'altro così. E il fatto che lui fosse mortificato le ha lasciato campo libero. Non lo so, Rina. Si comportava in modo quasi autoritario. Mentre pranzavano, parlava quasi solamente lei.»

    «Sentivi cosa si dicevano?»

    «No, ma li vedevo. Ha chiaramente dominato la conversazione.»

    «Forse, quando è nervosa, tende a parlare.»

    «Potrebbe essere. Prima di raggiungerlo al ristorante abbiamo chiacchierato per qualche minuto. D'un tratto ha iniziato a tremare e a sudare freddo.»

    «Vedi?»

    «Ma c'era dell'altro, Rina. Se non fossi stato a conoscenza dei retroscena, avrei giurato che flirtasse con lui durante il pranzo. C'era qualcosa di strano.»

    «Cosa c'è di strano? Lui le piace.»

    «L'ha picchiata sei settimane fa.»

    «Sa com'è fatto e prova comunque attrazione per lui. Fa spesso delle scelte sbagliate. Perciò si trova in questa situazione. Nessuno le ha detto di andare a trovarlo in prigione e fare sesso con lui senza precauzioni.»

    «Non è una stupida, Rina. È una madre coscienziosa e un medico specializzato in medicina d'emergenza.»

    «Come tutti noi, ha delle qualità e delle debolezze. Nel caso di Terry, però, sono pericolose.» Si sporse in avanti. «Ma come ti ho detto stamattina, Peter, non è un nostro problema. Ti ha ingaggiato perché l'aiutassi. Ti ha pagato e tu hai fatto il tuo lavoro. Cosa ne dici di dimenticare questa faccenda?»

    «Hai ragione.» Decker si raddrizzò sulla sedia e le baciò una mano. «Siamo fuori a cena e tu meriti un marito in stato non comatoso.»

    «Ci prendiamo quel caffè adesso?»

    «Un caffè è quello che ci vuole!» Decker sogghignò. «Credo che ordinerò anche il dolce.»

    «Cosa ne dici della torta di pesche?»

    «E torta di pesche sia. Ci azzardiamo a prenderla con il gelato alla vaniglia o qualsiasi altro intruglio simile?»

    Rina sorrise. «Certo, facciamo questa follia.»

    L'auto si era appena immessa nella Interstate 405 in direzione della San Fernando Valley quando il cellulare squillò. Le montagne situate su entrambi i lati rendevano la ricezione instabile. Dato che Decker era al volante, Rina gli sfilò il cellulare dalla tasca del cappotto.

    «Se è Hannah, dille che saremo a casa tra una ventina di minuti.»

    «Non è lei. Il numero non mi dice niente.» Premette il tasto di risposta. «Pronto?»

    Nessuno parlò all'altro capo del telefono. Per un momento Rina pensò che fosse caduta la linea, ma poi vide che c'era ancora campo.

    «Pronto?» provò a dire di nuovo. «Posso aiutarla?»

    «Chi è?» chiese Decker. Quando Rina scrollò le spalle, Decker disse: «Riaggancia».

    «Scusi.» Era una voce maschile. Si schiarì la gola. «Sto cercando il tenente Decker.»

    «Questo è il suo numero. Con chi parlo?» chiese Rina.

    «Gabe Whitman.»

    Rina cercò a fatica di non sussultare. «Va tutto bene?»

    «Con chi stai parlando?» le chiese Decker.

    «No» rispose Gabe al telefono. «Cioè, non lo so.»

    «Chi è, Rina?» domandò Decker.

    «Gabe Whitman.»

    «Oh, Signore! Digli di rimanere in linea.»

    «Te lo passo tra un attimo» disse Rina.

    «Grazie.»

    Decker si spostò sulla corsia di emergenza, accese le quattro frecce e prese il cellulare. «Qui è il tenente Decker.»

    «Mi dispiace disturbarla.»

    «Nessun disturbo. Cosa succede?»

    «Non riesco a trovare mia madre. Non è qui e non risponde alle mie chiamate. Nemmeno mio padre è raggiungibile.»

    «Okay.» Il cervello di Decker prese a correre all'impazzata. «Quando hai parlato con tua madre per l'ultima volta?»

    «Sono tornato in hotel verso le sei e mezza, sette. Dovevamo cenare insieme, ma non c'era. Non ho visto nemmeno la sua macchina né la sua borsa, ma non mi ha lasciato nessun messaggio. Non è da lei.»

    Decker sentì lo stomaco contrarsi. Il suo orologio segnava quasi le nove. «Quando hai parlato con lei per l'ultima volta, Gabe?»

    «Verso le quattro. Lei era già andato via. Mi ha detto che era andato tutto bene, che doveva sbrigare alcune commissioni e che sarebbe tornata per le sei. Forse mi sto preoccupando per niente, ma trattandosi di Chris, non si può mai sapere.»

    «Dove ti trovi adesso?»

    «In hotel.»

    «In camera?»

    «Sì, signore.»

    «Okay. Gabe, ora torno indietro. Sarò lì tra circa mezz'ora. Esci dalla stanza e aspettami nella hall dell'albergo. Voglio che tu rimanga in un posto pubblico, d'accordo?»

    «D'accordo.» Fece una pausa. «La camera è a posto... voglio dire, è tutto in ordine.»

    «Questo non significa che tuo padre non possa comparire da un momento all'altro. Meglio che voi due non vi ritroviate da soli.»

    «Ha ragione.» Un'altra pausa. «Grazie.»

    «Non c'è bisogno di ringraziarmi. Basta che attraversi quella porta senza guardarti indietro.»

    Quindici minuti più tardi, Decker entrò con la sua Porsche nel parcheggio custodito. Gli addetti erano diversi da quelli che aveva visto nel pomeriggio. Quando gli chiesero per quanto tempo si sarebbe fermato, Decker rispose che non lo sapeva.

    La struttura era circondata da quindici acri di piante lussureggianti e vegetazione tropicale ai piedi di Bel Air. L'aria della sera era dolce e sapeva di gelsomino notturno con un lieve sentore di gardenia. Palme a foglia larga, felci e cespugli fioriti fiancheggiavano i vialetti di pietra e decoravano i bordi di una laguna artificiale popolata da anatre e cigni. Decker e Rina passarono su un ponticello, osservando l'acqua mentre gli uccelli scivolavano via.

    Decker si fermò e la guardò. «Perché non prendi la macchina e torni a casa?»

    «Hannah è da un'amica. Posso aspettarti.»

    «Non so se ti voglio intorno nel caso Chris si faccia vivo. Ho una brutta sensazione al riguardo.»

    «Cosa ne dici se aspetto nella hall?»

    «Ti spiacerebbe? Potrebbe volerci un po'. Se non la trovo subito, dovrò ispezionare l'albergo.»

    «Non è un problema, a meno che non mi sbattano fuori.» Fece una pausa. «Che pensi di fare con Gabe? Non sappiamo cosa sia successo. Di certo non puoi lasciarlo qui da solo, nemmeno se fosse più grande.»

    Rimasero entrambi in silenzio.

    «Può venire da noi» propose Rina.

    «Non credo sia una buona idea.»

    «Che altra scelta abbiamo?»

    «Ha un nonno che vive nella Valley.»

    «Allora telefonagli domani mattina. Una notte con noi non farà molta differenza.»

    «Sei davvero la madre degli esuli.»

    «A vostra disposizione» disse Rina. «Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare libere eccetera, eccetera. Io ed Emma Lazarus non avevamo in comune solo il cognome.»

    Sebbene l'albergo vero e proprio fosse composto da una serie di sobri bungalow comunicanti tra loro, con muri di stucco rosa e tetti di tegole rosse in stile mediterraneo, la hall era un edificio a sé stante.

    Attraverso la finestra, Decker poteva vedere il banco di registrazione con una donna in uniforme che sfogliava dei documenti, la reception vuota, e alcuni mobili antichi disposti di fronte a un caminetto in pietra. Una delle sedie beige era occupata da un adolescente allampanato – Il pensatore di Rodin rivisto da Alberto Giacometti.

    Decker e Rina entrarono e il giovane sollevò lo sguardo, poi si alzò. Decker cercò di rivolgergli un sorriso rassicurante. «Gabe?»

    Annuì. Era un bel ragazzo – naso aquilino, mento pronunciato, una zazzera di capelli biondo scuro e due sfavillanti occhi color verde smeraldo nascosti da un paio di occhiali senza montatura. Non era robusto, ma aveva lo stesso fisico scolpito di suo padre quand'era adolescente. A occhio e croce, era sul punto di raggiungere il metro e ottanta di altezza.

    Decker gli tese una mano e il ragazzo gliela strinse. «Come va?» Gabe scrollò le spalle, rassegnato. «Questa è mia moglie. Rimarrà qui ad aspettarmi... ad aspettarci. Hai avuto notizie?»

    «No, signore.» Li guardò entrambi. «Mi dispiace avervi trascinato fin qui. Probabilmente non è nulla.»

    «Di qualunque cosa si tratti, la risolveremo. Torniamo insieme in camera.»

    La donna al banco di registrazione alzò gli occhi. «È tutto a posto, signor Whitman?»

    «Ehm, sì.» Gabe si sforzò di sorridere. «A posto.»

    «Ne è sicuro?»

    Gabe annuì velocemente. Decker si voltò verso Rina. «Ci vediamo più tardi.»

    «Fai con calma.»

    Decker e il ragazzo uscirono nella notte fredda e nebbiosa. Cominciarono a camminare, in silenzio. Di sera, i vialetti sembravano diversi. Le luci artificiali colorate che s'insinuavano nella vegetazione conferivano all'intera struttura un aspetto surreale, come fosse un set cinematografico. Gabe serpeggiò da un giardino all'altro finché non raggiunsero il bungalow che divideva con la madre. Aprì la porta, accese la luce ed entrarono

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