Una culla piena di guai (eLit): eLit
Di Raye Morgan
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Titoli legati
1)Una culla piena di guai - A proposito di Bridget...
2)Fiocco rosa fuori programma - A proposito di Bridget...
3)Autostop per il paradiso - A proposito di Bridget...
4)A proposito di Rita - A proposito di Bridget...
5)Un affare ingombrante - A proposito di Bridget...
Raye Morgan
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Una culla piena di guai (eLit) - Raye Morgan
successivo.
Prologo
«Sono gli inviti per la festa per il neonato quelli che stai scrivendo?»
Sara Parker, che stava ricopiando gli indirizzi su una pila di buste, annuì.
Jenny Kirkland si appoggiò allo schienale della sedia e si diede una leggera pacca sul ventre ingrossato dalla gravidanza ormai al termine. Senza nascondere il suo scetticismo, commentò: «Spero solo che quest'esserino arrivi in tempo per la festa, così potrai mostrare la tua creatura a tutte le tue amiche».
Sara guardò il punto dove si trovava la mano di sua sorella con un misto di tenerezza e invidia. Seguendo il percorso naturale della maternità sarebbe dovuta essere lei stessa ad aspettare il proprio bambino, mentre era Jenny a essere incinta. Certo, Sara avrebbe adottato il neonato non appena fosse venuto al mondo, quindi ne sarebbe diventata la madre a tutti gli effetti. La donna rifletté sul fatto che quello che le riusciva più difficile era sopportare l'attesa. Cercò di non pensarci e ricordò alla sorella: «Come sai, sei invitata anche tu».
«No, grazie. Una festa di benvenuto per tuo figlio e un mucchio di donne che fanno moine e bevono analcolici non fa proprio per me» rispose schietta Jenny.
Sara non si offese perché sapeva che quella risposta corrispondeva alla verità. Jenny si divertiva in tutt'altro modo, frequentava i locali dove la musica raggiunge un volume assordante e il pubblico è costituito da uomini attraenti. Era stato un miracolo riuscire a convincerla a rinunciarvi per tutto il periodo della gravidanza. Ed era normale che, ora che il momento del parto si andava avvicinando, Jenny sentisse il desiderio di riprendere le vecchie abitudini abbandonate a malincuore.
Sara le ricordò con dolcezza che ormai mancavano solo un paio di settimane e Jenny la guardò con una strana luce negli occhi, però disse solo: «Allora, ricapitoliamo. Se è una femminuccia la chiamerò Calli, se è un maschietto Christopher. D'accordo?».
Sara annuì. Erano proprio quelli i nomi che, insieme, avevano già da tempo scelto per il nascituro. Il fatto che Jenny avesse insistito tanto sul nome maschile aveva incuriosito Sara che, con finta noncuranza, le chiese: «Si chiamava Christopher?».
«Chi?» reagì Jenny.
«Sai di chi parlo, del padre del bambino.»
«Oh, Sara, per favore!» esclamò Jenny volgendo esasperata gli occhi al cielo. Poi si scostò i capelli rossi dal viso e, più gentilmente, aggiunse: «Lascia perdere, sono sicura che non vuoi veramente sapere chi è il padre. Dimenticati della sua esistenza».
Sara, però, non ci riusciva e le espresse i suoi timori: «E se lui all'improvviso si fa vivo e vuole il bambino?».
«Non lo farà, non sa neanche che ne aspetto uno. Non lo saprà mai.»
Sara, non del tutto rassicurata, voleva ribattere, ma non lo fece. Lei e Jenny erano sorelle, ma così diverse da essere in disaccordo quasi su tutto. Tanto la prima era precisa, tanto la seconda era caotica.
Inaspettatamente, Jenny le domandò: «Non ci starai ripensando? Non avrai cambiato idea?».
«Chi io? Sarebbe la prima volta. No, sta' tranquilla, non vedo l'ora di poter finalmente stringere quell'esserino tra le mie braccia.»
Il tono sognante con cui Sara le aveva risposto convinse Jenny che i suoi timori erano infondati. Non potendo però sopportare oltre quella sdolcinata raffigurazione del futuro, reagì: «D'accordo, d'accordo, risparmiami. Anch'io, del resto, non vedo l'ora che sia finita. Nel mio caso, però, è un'aspettativa diversa. Mi sento come se finalmente potessi uscire di prigione perché, non appena avrò partorito, sarò di nuovo libera. E puoi star certa che non mi succederà mai più di trovarmi in questa... ingombrante condizione».
Con queste parole concluse il discorso e scese al piano di sotto, diretta in cucina. Sara sospirò. Aveva fatto l'impossibile nei mesi passati per mantenere alto il morale della sorella, per costringerla a nutrirsi con criterio e a dormire a sufficienza. Per un breve periodo l'aveva anche ospitata a casa sua, in modo da poterla controllare meglio. La convivenza, però, non aveva funzionato e, dato che ogni minima sciocchezza era causa di litigi, Jenny era ben presto tornata a vivere nel suo appartamento. Si vedevano regolarmente ogni giorno, ma non abitavano più insieme.
Sara si sentiva molto sola in quella che per lei era un'avventura importante. Era per combattere quel senso di solitudine che voleva riunire le sue amiche. Osservò la pila di inviti che aveva sul tavolo di fronte a sé. Aveva scritto moltissimi bigliettini, ma le importava davvero solo di tre invitate. Si trattava delle sue compagne di stanza al college che non vedeva ormai da quasi dieci anni.
Una era la dolce Cami Bishop che adesso lavorava in California nel campo del giornalismo. L'altra era la splendida Hailey Kingston che, dopo aver ultimato la scuola d'arte a Parigi, stava avviando la sua carriera a San Francisco. La terza era J.J. Jensen che si trovava nello Utah, dove sognava di entrare nel mondo della televisione.
Durante gli anni passati al college erano state un quartetto inseparabile, si erano confidate i loro segreti più intimi, si erano aiutate reciprocamente a superare gli esami e le delusioni che avevano incontrato sul loro cammino. Tutte loro avevano cominciato con grande entusiasmo e molti sogni che non avevano poi potuto realizzare. Però Sara sapeva che era merito di quelle tre donne se era riuscita ad abbattere il muro che, fin dall'infanzia, aveva alzato tra sé e il mondo. Lo doveva a loro se era riuscita a combattere la propria chiusura nei confronti della realtà e sarebbe sempre stata loro grata.
Ora sentiva che aveva di nuovo bisogno di loro perché stava perdendo la sicurezza in se stessa.
«Venite, per favore» le pregò raccogliendo le buste e preparandosi ad andare a imbucarle. E aggiunse, come per spiegare la propria inquietudine: «Ho la netta sensazione che avrò bisogno delle mie amiche al mio fianco».
1
Drey Angeli entrò nel ristorante di Denver con l'andatura sicura di un uomo che sa quello che vuole. Con quei capelli biondo oro, lunghi fino alle spalle, e quella giacca di pelle di renna color sabbia, dava proprio l'impressione di essere di casa in quel locale alle cui pareti erano appesi trofei, animali impagliati e teste di alci.
Si fermò un istante, come per lasciare abituare gli occhi alla penombra e osservò la clientela finché vide l'uomo che stava cercando. Allora si avviò verso di lui e lo salutò: «Ciao, Carter. Ti stavo cercando».
Il suo interlocutore era un uomo più vecchio, alto e magro. Era seduto a uno dei tavoli e stava divorando una costata di manzo. Sorridendogli, lo invitò a sedersi al suo tavolo e lo apostrofò: «Come va, Drey? È da un pezzo che non ci si vede. Da quando sei scappato con mia moglie, per l'esattezza».
Sedutosi di fronte a lui, Drey bevve un lungo sorso dal bicchiere dell'amico e commentò: «Sai bene che non è andata come la racconti». Poi ordinò un bourbon.
Carter lo osservò a lungo, per poi riprendere: «Non sei scappato con Nancy? E allora mettiamola così, è stata lei a scappare per correre dietro a te».
Parlando lentamente, come se stesse scegliendo le parole, Drey gli ricordò: «Tua moglie era in uno stato di profonda confusione quando ti ha lasciato. Aveva bisogno di un po' di tempo e...».
«Va tutto bene, Drey, non mi devi consolare. Nancy adesso è a casa e mi ha raccontato che sei stato tu a convincerla a tornare. Stavo solo prendendoti un po' in giro, amico.»
Gli occhi scuri di Drey si riempirono visibilmente di sollievo e, con un profondo sospiro, aggiunse: «Ne sono lieto, Carter, per te e per me. Devo chiederti un favore».
Drey bevve e rimase in silenzio per un po', poi si decise a dargli una spiegazione. «Ecco di che cosa si tratta. So che devi trovare un falegname per una donna che si chiama Sara Parker. Vorrei che mandassi me.»
«Tu? Quanto tempo è che non lavori per me? Cinque anni?» reagì sorpreso Carter.
«Manda me. Non mi importa del denaro, puoi tenerti tutta la paga. Voglio quel lavoro.»
«Che cosa c'è sotto, Drey? In che rapporti sei con la signora in questione? Cerchi una scusa per avvicinarla?»
«Non l'ho mai vista in vita mia, ma ho le mie buone ragioni. Voglio quel lavoro.»
Carter, sempre più perplesso, replicò: «Non so se posso, quando è stata l'ultima volta che ti sei occupato di lavori di falegnameria, Drey?».
«Non cercare scuse inutili, credi che non sia più capace di lavorare?»
«Ho sempre saputo che sei il miglior falegname sulla piazza.»
Drey annuì sorridendo, come se il commento di Carter sulle sue abilità manuali fosse già un assenso alla sua richiesta. Poi gli chiese: «Dov'è il signor Parker?».
«Non l'ho mai visto. È sempre via per lavoro, è un dirigente o qualcosa del genere.»
Drey sembrò riflettere sull'informazione appena ricevuta, poi continuò in tono inquisitorio: «Dimmi dei lavori che hai fatto per lei».
«Non c'è molto da raccontare. Abbiamo costruito una cabina per la piscina, abbiamo sistemato un paio di porte che si incastravano, e le abbiamo costruito un armadietto per il microonde. Tutto qui.»
Drey annuì lentamente, immagazzinando le informazioni ricevute e facendo incuriosire Carter ancora di più, finché quello sbottò: «Insomma, sputa il rospo. Che cosa c'è sotto?».
«È una faccenda privata.»
«Per te sarà una questione personale, ma per me sono affari. La signora Parker è una buona cliente, quindi pretendo una spiegazione.»
«Tutto quello che posso dirti è che uscivo con sua sorella, Jenny Kirkland.»
«E allora? Ti ha lasciato e non ti è andata giù?»
«No, non mi ha lasciato.»
«Sei stato tu a lasciare lei?»
«Non ha nessuna importanza. Ho il lavoro oppure no?»
«Non lo so, c'è qualcosa che