Ritorno a Sulky
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Anteprima del libro
Ritorno a Sulky - Clelia Martuzzu
Clelia Martuzzu
Ritorno a Sulky
illustrazioni di Amelia Sarigu
ISBN 978-88-7356-997-8
Condaghes
Indice
Ritorno a Sulky
Il rientro a Biblo
Versa i tuoi tributi!
A casa
La cena di bentornato
La Casa della conoscenza
Sulla terraferma
Il pugnale
Nurba’al si ribella
Buon viaggio
L’assemblea
Origliare
Noah si convince
Il pirata
Abboccare
La partenza
Nella stiva
In mare
L’isola greca
La Città Nuova
Allizah
Arrivo a Sulky
La proposta
La nave sherdan
La decisione
Un motivo per tornare sano e salvo
L’inizio
Un’isola di pietre
Partenza inattesa
Arrivederci
Il riscatto
Una corsa contro la luna!
Prigioniera
Notte di plenilunio
L’ultimo viaggio
L’Autrice e l’Illustratrice
La collana Il Trenino verde
Colophon
Ritorno a Sulky
Il rientro a Biblo
Mere aspettava al porto, come ogni pomeriggio nell’ultima settimana.
Gli occhi neri scrutavano la distesa turchese del mare, socchiudendosi di tanto in tanto per il riflesso del sole sulla superficie increspata. Il vento che soffiava dai monti del Jabal Lubnan sollevava i suoi lunghi capelli scuri e la tunica porpora, che in continuazione si sistemava con grazia. A ogni folata la ragazza inspirava più a fondo.
Di tanto in tanto si fermava sotto l’ombra di una delle altissime palme che circondavano il porto, poi riprendeva a camminare e si soffermava a osservare il luccichio dei pesci esposti nelle ceste dei pescatori. Chiedeva il costo, fingeva di contrattare con venditori meno scaltri di lei, solo per divertimento, poi si stancava di quei battibecchi e tornava a guardare il mare.
A ogni mercantile entrato in rada in quei giorni aveva sussultato. Ma non appena la sagoma arrotondata di quelle navi si avvicinava, sospirava delusa: non era lui.
Mere non era l’unica ad attendere.
Il comandante assiro Sethal, circondato dai suoi uomini, aspettava sul molo ogni mercantile in arrivo. Sembrava anzi fiutarlo prima ancora che facesse la sua apparizione. Muoveva il naso prominente, quasi che la sua punta potesse essere più veloce degli occhi. Lo sguardo, come quello di un falco, era implacabile, ma la faccia rimaneva quella di un coniglio.
All’arrivo di ogni golah sempre la stessa scena: scarico di merci e scambi di battute concitate. Poi sguardi rassegnati e consegna del tributo in panetti d’oro, che corrispondeva a buona parte delle merci guadagnate in pericolosi viaggi in mare.
Mere riprese a camminare, questa volta fissandosi la punta dei sandali di pelle. Due piedi più grossi dei suoi le bloccarono la strada.
– Che ci fai qui?
La ragazza sobbalzò e alzò lo sguardo. Suo fratello le stava di fronte con le braccia incrociate sulla tunica di lino ocra e due occhi di fuoco.
– Mi stai seguendo?
Lui non batté ciglio. Allora lei buttò giù la prima scusa che le venne in mente: – Ama mi ha chiesto di comprare dei gamberi.
– Nostra madre i gamberi li sta già cucinando – rispose Shar esasperato. – Muoviti, dobbiamo rientrare prima che si accorga che non sei affatto dalla tua amica, è ora che cambi scusa! – La tirò per un braccio ma lei restò ferma come un’àncora.
– Aspetto la nave di abu.
Ecco cosa faceva! Da giorni Shar la seguiva mentre ogni pomeriggio, uscita dalla Casa della conoscenza, percorreva la strada che dalla sommità di Biblo scendeva al porto. Sgattaiolava tra i vicoli, fingendosi occupata in chissà quale faccenda. Aveva pensato che andasse a pregare per loro padre al tempio di Baalat Gubal, o che si fosse presa una cotta per qualche marinaio. Ma niente, lei scendeva dritta per la sua strada senza degnare di uno sguardo i ragazzi che la fissavano. Si sapeva difendere, questo era certo, ma in città le cose stavano cambiando. C’era una strana inquietudine che rendeva le persone nervose. Come se la serenità se ne fosse andata per sempre, cacciata via dagli assiri che ormai spuntavano a ogni angolo.
Stava per farle una piazzata lì, davanti agli occhi curiosi di una venditrice di stoffe, ma l’espressione della sorella lo intenerì e la prese sottobraccio spostandosi verso una banchina più isolata, tra rotoli abbandonati di grosse funi.
– Si tratta di questo allora, dovevo immaginarlo. Abu manca da un mese appena, potrebbero volerci settimane! Cosa ti è preso?
– Non lo so. Sembra che aspettino tutti lui. – Si voltò e con un cenno indicò il comandante con la faccia da coniglio. Shar lo vide muovere le sue narici, annusava la prossima preda. Non aveva sbagliato: un istante dopo una golah apparve in rada. Mere sussultò, e lo sguardo di Shar le diede conferma.
Versa i tuoi tributi!
Una nave elegante e panciuta, con una testa di cavallo a prua e dei grandi occhi dipinti sui masconi, si avvicinava alle banchine di Biblo. Sulla fiancata destra, dipinto di rosso, il nome Madre. Il rostro di bronzo fendeva le acque calme del porto che Danba’al conosceva come le tasche del suo mantello. Chino sul parapetto, osservava le manovre di attracco dell’equipaggio. Ma lanciava occhiate inquiete alle banchine, dove già sapeva chi ci sarebbe stato ad accoglierlo.
Per un attimo gli sembrò di scorgere due profili familiari in un molo più distante, ma la figura tozza e sgraziata di Sethal, in avvicinamento con i suoi uomini, lo distrasse. Sospirò e si preparò a sbarcare. La nave ormeggiò al molo meridionale. Gli uomini assicurarono le cime e sistemarono la passerella di legno.
Mere aveva scorto suo padre sulla prua e si stava già lanciando sul molo per andargli incontro, ma Shar la fermò.
– No! Aspettiamo che sbarchino le merci e poi ci avviciniamo al carico. – Raggiunsero con passo svelto un altro molo e si nascosero dietro una grossa catasta di tronchi di cedro.
Di lì a poco, infatti, dal boccaporto della nave fecero capolino alcuni uomini con il carico sulle spalle: anfore, casse, rotoli di stoffe, preziosi cofanetti. Per ultime, precedute da un belato, delle capre scesero in una fila perfettamente ordinata dalla passerella. In breve il carico occupò tutto il pontile.
– Apri quella cassa! – Sethal dava ordini a un suo soldato che si aggirava tra le merci.
– Fai piano, ci sono ceramiche preziose lì! – Danba’al si torturava la barba a punta, preoccupato per quelle manacce che frugavano fra le sue anfore.
Sethal intanto prendeva appunti su una tavoletta con uno stilo. Contò i lingotti di rame a pelle di bue provenienti da Cipro; l’avorio e l’oro della Nubia; le selle di cuoio della terra degli Ittiti; la lana della Siria; il lino, il papiro e i cereali dell’Egitto; il miele, le spezie e i profumi di Israele; il vino e l’olio della Grecia; le corde della Mesopotamia e infine le pietre preziose dell’Arabia.
Tutti quei beni erano il frutto di settimane di navigazione, lunghe trattative e scambi. Per ottenerli, prima di partire, Danba’al aveva caricato la sua stiva con una grande varietà di merci di scambio: legno di cedro, usato per la carpenteria, ma anche balsamo per la mummificazione, gioielli e oggetti di pasta di vetro colorata, stoffe tinte con la porpora e fogli ottenuti dalle piante di papiro.
A Biblo scene come questa si ripetevano in continuazione. Era una delle più floride città della terra di Canaan, tutte dedite al commercio. Non c’era porto, nella vastità delle Grandi Acque, che i mercanti cananei non avessero toccato.
Sethal faceva contare e ricontare ai suoi uomini ogni singolo pezzo. Solo quando fu certo di non aver tralasciato nulla, lasciò che l’equipaggio del ricco mercante trasferisse tutto nei magazzini del suo cantiere. Prima di andarsene, tirata da una corda, una capra nera gli diede una bella incornata nel polpaccio, lasciato scoperto dal gonnellino corto della sua armatura. Sethal si piegò per il dolore, e il suo stilo rotolò sulla banchina fino a tuffarsi in acqua.
– Fate sparire queste bestie, subito!
Danba’al rise sotto la barba, ma Sethal se ne accorse. – Non cantare vittoria, ho segnato già tutto. Anche stavolta avete fatto ottimi affari, mammina!
Sempre così, al ritorno da ogni viaggio. Sethal ignorava che dietro il nome della sua nave, Madre, si celava non solo il ricordo della sua, Jetzabel, ma anche l’omaggio alla dea che proteggeva i suoi lontani avi. Se glielo avesse detto, avrebbe rischiato guai ancora più seri. Lasciò perdere.
– Poteva andare meglio, ma ci accontentiamo, vista la concorrenza… – rispose lui, con tono calmo, sovrastandolo con tutta la sua altezza.
– Non fare il furbo con me. Sei sempre quello che torna con le merci migliori. Sono cinque panetti d’oro – lo freddò Sethal.
Danba’al d’un tratto perse tutta la calma. – Cinque? Ma poco più di un mese fa erano quattro! A cosa è dovuto quest’aumento?
– Non si discute, sono nuove disposizioni da Ninive! – sottolineò il comandante mostrandogli un papiro con il sigillo reale.
Danba’al strinse i pugni. – È una vergogna, mi stai portando via un terzo del valore del carico!
– Preferisci che te ne porti via la metà?
I suoi soldati, dietro di lui, armati con una lancia e lo scudo rotondo, non aspettavano altro che fare scempio di tutte quelle merci. Da tempo ormai Biblo era entrata nell’orbita degli assiri, a cui tutto era dovuto. Il commercio non era più libero come un tempo. Nessuno era più libero.
Danba’al lasciò andare le braccia lungo i fianchi e si arrese, ordinando ai suoi uomini di portare quanto richiesto.
Sethal incassò il suo tributo con sguardo perfido e un sorriso maligno.
A casa
Quando videro che loro padre si preparava per tornare finalmente verso casa, Mere e Shar uscirono dal loro nascondiglio e lo precedettero.
Camminarono senza fare caso alla strada e ai colori dei banchi del mercato. Voci e profumi di spezie si confondevano, tra l’afa che ancora non dava tregua.
– Hai sentito? – Mere procedeva spedita, sembrava una furia. – A ogni ritorno dai suoi viaggi è sempre peggio! E abu? Impotente a guardarlo.
– Cosa volevi che facesse? Hai visto gli uomini di Sethal? Non è possibile affrontarli.
– Quella faccia da coniglio!
Presero il sentiero che si inerpicava per la collina percorrendo vicoli in apparenza tutti uguali fino a ritrovarsi, col fiato in gola per la camminata, davanti alla loro casa bianca.
Mere fissò Shar e poggiò una mano sul