Un eccentrica gentildonna: Harmony History
Di Lucy Ashford
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Info su questo ebook
Decisa a non risposarsi, Belle Marchmain intraprende un'attività di modista che riscuote un notevole successo presso il bel mondo londinese. Tre uomini, tuttavia, cercano di ostacolare i suoi progetti di indipendenza: il fratello, incallito giocatore sull'orlo del lastrico; Lord Jarvis, indispettito dal secco e inatteso rifiuto della giovane; e Mr. D., un affascinante e potente uomo d'affari che suscita in Belle sentimenti contrastanti. Ma è proprio quest'ultimo a proporle un patto cui lei non può rinunciare e così, tra battibecchi e occhiate taglienti, i due fingono un fidanzamento che, giorno dopo giorno, sembra preludio di un'unione appassionata. Finché Belle non ascolta per caso un'inopportuna conversazione...
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Anteprima del libro
Un eccentrica gentildonna - Lucy Ashford
Immagine di copertina:
Nicola Parrella
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Outrageous Belle Marchmain
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2013 Lucy Ashford
Traduzione di Daniela Mento
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-750-5
1
Sawle Down, Somerset, marzo 1819
Era uno di quegli incantevoli pomeriggi di primavera in cui le verdi colline del Somerset sembravano trasformarsi nel regno delle fate, come raccontavano i suoi abitanti.
Adam Davenant, da uomo d’affari qual era, non aveva tempo per simili assurdità, ma quel giorno si ritrovò a fare quello che avrebbe fatto qualunque vecchio scalpellino superstizioso del suo paese: posò la mano, dalle dita forti e snelle, sulla pietra color del miele che era stata appena estratta dalla sua cava e la picchiò per tre volte con le nocche.
Per invocare la fortuna.
Che in questa cava possa trovare trecento, tremila pietre come questa.
Goliath, il suo robusto stallone, era legato lì vicino e non sembrava affatto disturbato dal rumore provocato dall’estrazione dei massi.
Adam si rivolse sorridendo all’uomo accanto a lui. «Le cose vanno bene, Jacob?»
Il vecchio, ricoperto di polvere, non riuscì a esprimere la propria gioia. «Sembra un sogno, signore! Io e gli altri credevamo che questa cava fosse esaurita. Qualcuno non sperava più di trovare lavoro. Poi siete arrivato voi, il mese scorso, e ci avete detto che c’erano dei ricchi uomini d’affari, a Londra, che erano interessati alle nostre pietre.»
«Più che interessati, Jacob. Credimi, gli impresari edili le vogliono a ogni costo per i loro cantieri.»
«E ne hanno tutte le ragioni! Sentite come risuonano sotto le dita, non hanno difetti» dichiarò Jacob, picchiandone pure lui una con le nocche. Poi seguì Adam sul terreno scosceso, verso un gruppo di scalpellini a torso nudo, che stavano lavorando con pesanti mazze sotto il sole ed erano circondati da una nuvola di polvere.
Gli uomini deposero le mazze, sorrisero e rimasero ad ascoltare le sue domande, apprezzando che si fosse tolto la giacca e stesse lodando il loro impegno. Adesso era il padrone della cava e di molto altro, ma si diceva che un tempo anche lui fosse stato uno scalpellino, e che per quello non volesse assumere atteggiamenti di antipatica superiorità.
Jacob Melling, al suo fianco, sorrideva orgoglioso e disse: «Avevate promesso ai ragazzi di riaprire la cava e avete mantenuto la vostra parola».
Adam si voltò verso di lui, con il sole che batteva sui suoi capelli scuri e corti e sugli zigomi pronunciati. «Mantengo sempre la parola» gli rispose. «Di’ agli uomini che saranno pagati bene per il loro lavoro. Se avete bisogno di qualcosa, utensili o rifornimenti, non avete che da chiedere a Shipley.»
Jacob annuì. Gli uomini avrebbero commentato fra di loro che non c’era un padrone migliore e che nessuno lavorava sodo come lui.
Sì, Mr. Davenant aveva lo stesso istinto di suo nonno per fare soldi, ed era un uomo perbene, leale, che manteneva le promesse. Inoltre la riapertura della vecchia cava aveva riportato la speranza in molte famiglie.
«Lo dirò ai ragazzi» promise Jacob. «Manderete le pietre a Bristol, quando saranno pronte?»
Adam guardò le colline verdi che li circondavano, poi si voltò, con una strana luce negli occhi. «No, costruirò una ferrovia fra qui e il canale di Avon. Potremo portare le pietre fino al Tamigi e a Londra con una chiatta.»
«Ma la terra fino al canale di Avon non è vostra, signore... O almeno non tutta!»
Adam si era avvicinato al suo stallone e stava già assicurando la giacca arrotolata alla sella, perché faceva troppo caldo per infilarsela di nuovo. «Mio nonno non avrebbe mai permesso a un piccolo ostacolo come questo di fermarlo. E nemmeno io lo permetterò» replicò in un tono duro come l’acciaio.
Jacob scosse il capo brizzolato, vedendolo allontanarsi a cavallo. «Non c’è modo di fermarlo» mormorò compiaciuto. «Questo è sicuro.»
Poiché Goliath aveva voglia di galoppare, Adam lo lasciò fare.
Suo nonno gli aveva ripetuto più volte che non c’era sensazione più bella che sapere di essere i padroni della terra su cui si stava cavalcando. Specialmente quando quella stessa terra prima apparteneva a gente che fingeva di non conoscerti, quando ti incontrava per strada.
Ricordava perfettamente le parole pronunciate dall’anziano dall’accento dell’ovest e dalle mani callose per il duro lavoro, l’uomo che aveva lavorato giorno e notte perché i notabili della zona non lo chiamassero più Tom il minatore.
Erano tutti venuti al funerale di Tom il minatore, i nobili signorotti di Bath e di Londra, erano accorsi alle sontuose esequie di un uomo che avevano disprezzato e che era morto più ricco di loro.
Tom aveva desiderato disperatamente che il nipote venisse accettato dalla società che aveva rifiutato lui. Quel desiderio era diventato realtà, ma Adam pensava spesso che si sentiva davvero felice solo in giornate come quella, quando galoppava in sella a Goliath sulle colline verdi del Somerset e sapeva che la terra sotto i suoi piedi gli apparteneva, con tutte le pietre delle sue cave.
Gli avevano detto che la cava di Sawle Down ormai era esaurita. Fino a cinquant’anni prima valeva la pena di estrarre le pietre, ma adesso i costi per arrivare alla vena avrebbero superato le prospettive di guadagno. Lui però aveva intuito che presto ci sarebbe stata molta richiesta di quel materiale da costruzione, aveva fatto i propri calcoli e gli investimenti opportuni, e i guadagni erano arrivati.
I suoi detrattori avrebbero obiettato che sarebbe costato molto portare le pietre a Londra, che non c’era modo di farle arrivare fino al canale di Avon, e poi al Tamigi, ma sarebbero rimasti ancora una volta con un palmo di naso. Niente lo avrebbe fermato.
All’improvviso qualcosa attrasse la sua attenzione. C’era qualcun altro che stava cavalcando sulla sua terra, infischiandosene che fosse proprietà privata. Una donna. Spronò Goliath per raggiungerla.
Lei, però, quando lo vide arrivare, tirò le redini della sua bella giumenta pezzata e voltò per un sentiero secondario. Una stupidaggine, perché da lì si arrivava a una cava abbandonata e, a quella velocità, sarebbe stato pericoloso, visto che il terreno era pieno di buche e di frammenti di pietre, che l’erba verde ricopriva. Una vera trappola per l’incauto cavaliere che vi si avventurasse al galoppo.
Fu questione di un attimo, la giumenta inciampò e cadde sull’erba insieme alla sua padrona.
Adam accorse in loro aiuto, fermando il suo stallone e balzando di sella per soccorrere la giovane donna, che sembrava svenuta.
Era vestita di un abito da amazzone di velluto cremisi, completato da un cappellino della stessa stoffa, con due piume rosse, che era caduto, lasciando ben visibili i bellissimi riccioli scuri sfuggiti dalle forcine e ora sparsi sulle spalle.
Il viso era un ovale perfetto dalla pelle di alabastro, constatò Adam, la bocca un bocciolo di rosa sotto un nasino impertinente.
Sentì immediatamente un profumo delicato di lavanda. Chi era? Che cosa ci faceva sulla sua proprietà, tutta sola?
Era una gentildonna, era chiaro dagli abiti e dalla carnagione pallida.
Adam vide che stava per aprire gli occhi. Notò che ebbe un brivido di paura nel vederlo, alto e forte com’era, accanto a lei. Si rese conto di essere ricoperto di polvere dalla testa ai piedi, senza giacca e con la camicia sbottonata. «Vi siete fatta male? Forse...» le disse tentando di aiutarla a rialzarsi.
«Non toccatemi!» strillò lei.
Era una gentildonna, non si era sbagliato, pensò. Non avrebbe mai tollerato che un uomo rozzo, come lui appariva, la toccasse. Doveva avere ventisei, ventisette anni e il sussiego la accompagnava dalla nascita, come tutti quelli della sua estrazione sociale.
«Avete fatto un bel capitombolo» la informò. «Ero solo venuto a vedere se avevate bisogno del mio aiuto.»
Nonostante il pallore, lei teneva alto il piccolo mento orgoglioso e lo guardava altezzosa, con i bellissimi occhi verdi.
Si rialzò da sola, disdegnando il suo aiuto, e si rimise in ordine i capelli. Anche la giumenta si era rialzata e si stava allontanando spaventata.
«Poppy! Poppy!» la chiamò, ma Poppy non l’ascoltò.
Raggiunse in fretta Goliath, che brucava l’erba poco distante, e si fermò accanto a lui.
La giovane donna, non sapendo che cosa fare, si morse incerta le labbra.
«La vostra giumenta si è spaventata» le disse Adam. «È stato imprudente prendere questo sentiero. Non sapete che ci sono molte cave in questa zona?»
«Come potrei ignorare che ci sono le cave?» fu la replica sprezzante. «Fanno così tanta polvere e così tanto rumore...»
«È vero, ma danno anche lavoro a molti uomini e pane alle loro famiglie.»
Lei lo fissò come se avesse parlato in una lingua che non comprendeva. «Scusatemi, ma non mi lasciate passare» gli disse.
Adam non si mosse, rimase dov’era sbarrandole il passo. «Le cave non sono adatte alle passeggiate a cavallo» proseguì imperterrito. «Vorrei sapere, tra l’altro, che cosa ci facevate qui.»
Lei abbassò lo sguardo sulla sua camicia sbottonata e sugli stivali impolverati, e storse il naso, ferendo di nuovo l’orgoglio di Adam.
Ecco, un’altra moglie di qualche signorotto, a giudicare dall’anello che portava al dito, che si permetteva di guardarlo dall’alto in basso. Almeno fino a quando qualcuno le avesse detto chi era e quanto fosse ricco.
Non sarebbe stato lui a illuminarla in proposito, giurò a se stesso. Che pensasse quello che voleva.
Lei cercò e trovò il cappellino, si chinò a raccoglierlo e poi andò verso la giumenta come se non volesse rivolgere una parola di più all’uomo che era arrivato a soccorrerla. Di certo uno dei tanti scalpellini che lavoravano nelle cave.
Si muoveva in un modo lento e sensuale, che fece provare un brivido ad Adam.
«Siete da sola? Senza un valletto?»
Lei si voltò di scatto, ancora più pallida. «Mi piace cavalcare da sola. Mi piace stare da sola» mise bene in chiaro prima di dirigersi di nuovo verso la giumenta, tenendo stretto il cappellino.
Quando alzò il vestito per non inciampare, Adam non poté fare a meno di notare le sue caviglie ben tornite.
La giumenta sembrava non volerne sapere di farsi prendere dalla padrona, che cercò di rincorrerla sotto lo sguardo incuriosito di Goliath.
«Vieni qui, Goliath!» lo chiamò Adam, temendo che un cavallo così grande e grosso spaventasse la giovane donna.
Lo stallone obbedì al richiamo e andò dal padrone, con la giovane giumenta dietro.
Adam ne approfittò per afferrarne le redini e accarezzarne la criniera morbida come seta. Quando la giovane donna, dopo un attimo di incertezza, li raggiunse, le disse: «Se permettete, vi aiuterò a montare in sella. Poi vi consiglierei di andarvene da questa zona: è proprietà privata.»
Senza contare che, fra non molto, sarebbe calato il sole e il rischio di rompersi il collo, cavalcando al buio su un terreno così accidentato, era più che reale.
«Proprietà privata!» sibilò lei. «Che cosa significa? Mr. Davenant non ha più diritti su questa terra di...» Si guardò intorno. «... di quei corvi neri appollaiati sugli alberi!»
Adam sentì gelarsi il sudore sulla schiena. «Credo che Mr. Davenant abbia acquistato legalmente questo terreno, circa un anno fa.»
Lei scosse il capo. «Con il denaro si può comperare ogni cosa. Legalmente? Non tutti la pensano così.»
Questa volta lui avvampò di sdegno. Se fosse stata un uomo le avrebbe dato un pugno.
Invece era una donna, e che donna! Con un viso bellissimo, anche mentre gli diceva quelle insolenze, e con un corpo tutto curve che gli toglieva il fiato.
Comunque non doveva lasciarsi distrarre da simili particolari.
«Secondo voi non ha il diritto di possedere queste terre?»
Lei lo guardò con freddezza. «Dato che, con ogni probabilità, lavorate per lui, non vi dirò altro. Non conosco Mr. Davenant, ma ho sentito abbastanza sul suo conto per sapere che non è ricco dalla nascita, e che si vede.»
Adam dovette controllarsi. «Se vi capitasse di incontrare Mr. Davenant, avreste il coraggio di dirgli queste parole in faccia?»
Lei esitò un attimo. «Perché no? Non è un amico della mia famiglia. Che cosa ci perderei?»
Il sole si nascose dietro a una nuvola, l’erba della brughiera sembrò rabbrividire.
«Di sicuro non avete perso il vostro orgoglio» le rispose Adam. «Posso accompagnarvi mentre tornate a casa?»
«Conosco benissimo la strada, ve lo posso assicurare.»
Lui strinse i denti. «Allora... vorreste concedermi di aiutarvi a montare in sella? O dobbiamo rimanere qui fino al tramonto del sole?»
Lei esitò di nuovo. «Grazie.»
Adam strinse i denti, mentre con le sue grandi mani l’afferrava per la vita sottile e la posava sulla sella della giumenta come se non pesasse più di una piuma. Poi andò a controllare le redini, per darsi il tempo di calmarsi.
Era davvero eccitante quella giovane, con tutta la sua dannata arroganza e la sua fredda supponenza...
Sentiva che il sangue gli ribolliva nelle vene e, purtroppo, sapeva che non era soltanto per la rabbia di averle sentito pronunciare quelle frasi sprezzanti sul suo conto.
Accarezzò ancora una volta la criniera della giumenta.
«È tutto a posto» le assicurò. «È meglio che andiate.»
Lei lo ringraziò con un cenno del capo, poi spronò la cavalcatura e si allontanò velocemente, senza voltarsi indietro.
Adam Davenant la seguì con lo sguardo, ripensando al disprezzo con cui aveva dichiarato che lui non aveva il diritto di dirsi il proprietario di quella terra. Non più dei corvi appollaiati sugli alberi.
Era chiaro che lo detestava, pur non avendolo mai incontrato. Gli veniva il sospetto che fosse la sorella di un certo individuo in cerca di guai, e che presto li avrebbe trovati. Grazie a lui.
2
Londra, due mesi dopo
Belle Marchmain prese distrattamente un nastro rosa dall’espositore del suo negozio, poi lo rimise nel posto sbagliato. «Spero sinceramente che tu stia scherzando, Edward» disse, mentre nei begli occhi verdi era evidente la preoccupazione.
Fuori, sullo Strand, il crepuscolo stava mettendo fine alla incantevole giornata di maggio e i lampionai accendevano le luci. Di solito a Belle piaceva quel momento che precedeva la sera, dopo una giornata di intenso lavoro.
Dopo aver chiuso il negozio, vagava fra gli scaffali dove erano esposte seta e taffettà, a volte indossando uno di quei vestiti stravaganti che avevano fatto di lei una delle modiste più in vista di tutta Londra.
Quel giorno indossava una giacca verde e nera, su una gonna di taffettà degli stessi colori, e aveva nastri verdi fra i riccioli corvini. Un abbigliamento anche troppo appariscente, in vista del disastro incombente.
Belle, a ventisette anni, aveva imparato ad affrontare da tempo le avversità della vita. Prima l’umiliazione progressiva e