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Piccoli crimini innocenti
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Piccoli crimini innocenti
E-book377 pagine5 ore

Piccoli crimini innocenti

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Info su questo ebook

Lila Carmichael sarà anche una comica ricca e famosa, ma ha tenuto nascosto il suo talento più grande ai suoi fan adoranti--la sua abilità nel cuocere a fuoco lento, speziare e servire un tour de force ben ingegnato durante una confortevole rimpatriata sulla sua isola privata nel nord-ovest del Pacifico. 
Sei ospiti ignari hanno dimenticato i piccoli crimini innocenti che hanno commesso contro la povera e sprovveduta Lila quindici anni prima, al college. Vacillano tutti sull'orlo della rovina, sperando che la famosa Lila giungerà in loro soccorso. Ma la loro disperazione li fa finire direttamente nelle sue grinfie.

Uno alla volta, gli ospiti di Lila vengono metaforicamente uccisi in un feroce gioco da solotto chiamato Lupi. E la vendetta si trasforma in qualcosa di dolce-amaro quando il weekend giunge alla fine...ed uno degli ospiti è davvero morto.

LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2020
ISBN9781071566572
Piccoli crimini innocenti
Autore

C. S. Lakin

C. S. Lakin is an award-winning novelist, writing instructor, and professional copyeditor who lives in the San Francisco Bay Area. Lakin's award-winning blog for writers: www.livewritethrive.com provides deep writing instruction and posts on industry trends. Her site www.CritiqueMyManuscript.com features her critique services. She teaches workshops and critiques at writing conferences and workshops around the country. The Gates of Heaven series of seven novels are allegorical fairy tales drawing from classic tales we all read in our childhood. Lakin's relational drama/mystery, Someone to Blame, won the 2009 Zondervan First Novel award, released October 2010. Her other suspense/mysteries are Innocent Little Crimes (top 100 in the 2009 Amazon Breakthrough Novel Contest), A Thin Film of Lies, and Conundrum. And sci-fi enthusiasts will love Time Sniffers: a wild young adult romance that will entangle you in time! She also publishes writing craft books in the series The Writer's Toolbox, which help novelists learn how to write great books! Follow her on Twitter: @cslakin and @livewritethrive and like her Facebook Author Page: http://www.facebook.com/C.S.Lakin.Author

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    Anteprima del libro

    Piccoli crimini innocenti - C. S. Lakin

    PROLOGO

    Con il motore al minimo, Mac Dobson pilotò il suo peschereccio attraverso la nebbia umida, allungando il collo per tentare di individuare le rocce sporgenti prima che potessero causare dei buchi nello scafo. Sebbene avesse navigato attraverso quell'intrico di isolette per oltre trent'anni, sapeva di dover fare attenzione alla propria sicurezza. Delle vigorose onde si schiantarono contro la prua, schizzandogli la barba con l'acqua salata. I rami degli alberi caddero nelle acque agitate, ondeggiando qua e là, e i detriti del temporale del fine settimana inquinavano lo stretto canale. Sherpa guaì, stringendosi contro le gambe di Mac.

    Arriveremo presto, vecchio mio. Poi ci sarà una ciotola di zuppa calda per tutti e due. Mac si strinse con più forza addosso l'impermeabile giallo, combattendo contro il vento, quindi evitò un grosso ramo con uno strattone del timone. Diede una brusca pacca alla testa di Sherpa mentre il cane tentava di rimanere aggrappato con le zampe al ponte scivoloso. La gente deve essere pazza per andare in vacanza in questo periodo dell'anno.

    Attraverso la nebbia grigia, riuscì a scorgere l'isola ad una dozzina di metri a tribordo. Il mormorio della risacca che colpiva la spiaggia rotolò verso di lui, sempre più forte. Come in un sogno, il molo si materializzò, quindi l'asta della bandiera che spuntava dalla sabbia.

    Alla vista, un brivido gli corse lungo la nuca.

    Qualcuno aveva sollevato la bandiera di segnale; sventolava al vento, colpendo il palo. La puleggia risuonava contro il metallo, con un rintocco simile ad una campana in un cimitero. Mentre la barca si avvicinava alla riva, Mac intravide un piccolo gruppo di persone sulla spiaggia, in piedi, immobili, con aria solenne, a creare un curioso contrasto con il comportamento eccitato che avevano due giorni prima, quando li aveva lasciati lì.

    Ma il sogno si trasformò in un incubo quando il suo sguardo seguì il loro verso il terreno. Una forma massiccia era distesa ai loro piedi, arrotolata in una tela cerata grigia. Mac lanciò la cima verso l'ormeggio sul molo e rilasciò un fischio con un filo di voce quando la prora entrò in contatto con i piloni. Non ebbe bisogno di contarli mentalmente per sapere che mancava qualcuno—e dove si trovasse quel qualcuno.

    CAPITOLO UNO

    Il viso enorme di Lila Carmichael, congelato in technicolor, gravava su di loro dal televisore al plasma da novantasei pollici montato sulla parete.

    Che schifo—ho una voce davvero graffiante.

    Lila si lanciò le croste del sandwich in bocca mentre trotterellava senza entusiasmo sul tapis roulant. Non sono così divertente, sai. Le persone pensano che una donna grassa con la lingua lunga sia un bersaglio facile.

    Socchiuse gli occhi osservando lo schermo. I suoi folti e corti capelli color carota si agitavano intorno al suo volto—un volto abbastanza carino, ma dominato da guance sporgenti ed il doppio mento. I suoi piccoli occhi marroni sembravano dell’uvetta affondata in una massa d’impasto.

    Si voltò verso Peter, il suo snello assistente. Ecco cosa penso. Ridono di me perché, indipendentemente da quanto possa essere schifosa la loro vita, possono guardarsi allo specchio e dire, ‘Sarò anche un perdente, ma grazie a Dio non assomiglio a Lila Carmichael’. Osservò di nuovo la propria immagine. Diamine, che brutto muso.

    Una faccia che tutto il mondo ama, tesoro. Peter l’aiutò a scendere dal tapis roulant. E che paga parecchio per vedere.

    Lila salì sulla bilancia e strizzò gli occhi alla vista dei numeri che, lampeggianti, indicarono il suo peso sia in libbre che in chili. Nessuno dei due numeri la lusingava. Con un grugnito disgustato, incollò un pezzo di lattuga sul display digitale.

    Si sentiva pulsare la testa per via della festa di Capodanno della sera precedente, e si ricordava appena di aver partecipato all’evento. Esaminò la stanza che chiamava comunemente centro dimagrante. Le pareti erano di un verde sgargiante con specchi che salivano dal pavimento al soffitto, riflettendo l’immagine del suo corpo considerevole dai soffitti e dalle arcate a cupola. Sembrava più una casa degli specchi del circo che un isolato castello francese a Beverly Hills.

    Chi stava cercando di ingannare con tutte le attrezzature sportive e la piscina olimpionica al coperto? Non si sarebbe mai messa in forma, a meno che quella forma non fosse rotonda. La sua tenuta da sedici milioni di dollari—la sua piccola casa da abbattere e ricostruire—vantava spaziosi giardini di rose, telecamere di sicurezza a circuito chiuso, ed era circondata da abbondanti siepi. Il tutto era progettato per indurre uno stato di pace mentale, ma Lila si sentiva costretta, come un leone irrequieto in una gabbia stretta.

    Si lasciò cadere all’indietro su una sedia imbottita con un sospiro, e dimenò un dito contro lo schermo. Fammi vedere di nuovo il dvd.

    Tesoro, è fantastico. L’hai già visto migliaia di volte. Perché vuoi torturarti? Hai ottenuto recensioni entusiastiche. Come sempre.

    Taci, Peter, per favore—ed obbedisci. Lei gli rivolse un sorriso sdolcinato.

    Lui aveva ragione, però. Si stava davvero torturando. Aveva davvero ricevuto ottime critiche. Questa volta. Questa settimana. Non è mai possibile sapere con sicurezza quando il tuo piccolo regno si rovescerà e la corona sarà strappata dalle tue mani avide. C’erano tantissimi lupi che si facevano strada con gli artigli verso la vetta, con i corpi mezzi masticati delle meteore disseminati lungo la strada.

    Peter afferrò il telecomando proprio mentre Garrett entrava nella stanza, con tre barboncini che lo seguivano come modelle pettinate su di una passerella. È tutto pronto per la riunione. Domani alle tre. Oh, a proposito, stanno sudando alla NBC. Temono che tu possa passare ad uno degli altri network.

    Falli sudare, Garrett. Ora richiamali e cancella la riunione. Dì loro che è saltato fuori un imprevisto, e spostala a lunedì.

    Saranno furiosi.

    Lila si strinse nelle spalle. E a me che importa? È solo una farsa. Sanno che, alla fine, dovranno accettare il mio prezzo.

    Hai davvero intenzione di lasciare la tv via cavo? chiese Peter. I network pretenderanno che tu ripulisca il tuo spettacolo.

    Quando loro ripuliranno i loro, io ripulirò il mio. Senti chi parla. Inoltre, si tratta solo di soldi. Lila si voltò di nuovo verso Garrett. Chiama la mia manicurista, e dì al cuoco di non esagerare con l’aglio. Ho avuto lo stomaco in disordine per tutto il giorno.

    Garrett annuì e lasciò la stanza accompagnato dal suono degli artigli dei barboncini che ticchettavano sull’immacolato pavimento di marmo.

    Peter premette un pulsante sul telecomando e si spostò di lato. Lila guardò lo schermo, quindi si mise bruscamente seduta più dritta. Ehi, cosa mi dici di quegli inviti?

    Li ho inviati tutti questa mattina.

    Lei batté le mani. Ah, il gioco è iniziato.

    Peter sorrise. Aspetta che aprano la posta. Le espressioni sulle loro facce. Ooh...pensi che verranno?

    Non oserebbero dirmi di no. Non rinuncerebbero ad un weekend con la ricca e famosa Lila Carmichael neanche per sogno.

    Peter rilasciò un sospiro esagerato. Darei il mio rene destro per poter essere una mosca sul muro quel fine settimana.

    Ti offro qualcosa di meglio. Puoi essere il mio accompagnatore.

    Peter arrossì. Oh, Lila.

    Basta stronzate, Peter. Abbiamo molto lavoro da fare per prepararci. Questa non è una delle tue banali rimpatriate dove tutti stanno seduti e si abbandonano allegramente ai ricordi dei bei vecchi giorni—perché non ce n’erano. Dovranno desiderare di non essere mai venuti.

    Lila divenne pensierosa, quindi un sorriso si fece strada sul suo volto. Semplicemente ancora non lo sanno.

    CAPITOLO DUE  

    La neve colpiva la finestra della piccola camera di Della Roman dell’appartamento in arenaria rossa in Montague Street, a Brooklyn, New York. Della osservava il quartiere, dove la neve si accumulava ed il vento sferzava le nuvole freneticamente. I lampioni gettavano un bagliore inquietante sui marciapiedi ricoperti. Strizzò gli occhi per leggere i numeri luminosi della sua sveglia. Tre e un quarto.

    Con la sua gatta bianca acciambellata in grembo, Della leggeva e rileggeva la stessa pagina, ancora e ancora. Pettinò il pelo della gatta con un piccolo pettine ed accese un’altra sigaretta al mentolo.

    Era inutile—non riusciva a concentrarsi.

    Gettò il libro Meditare con Determinazione e barcollò fino al bagno, rabbrividendo sotto alla luce abbagliante. Perché insisteva a voler leggere fino ad addormentarsi quando non funzionava mai?

    Aprì l’armadietto con lo specchio e si trovò davanti una dozzina di bottiglie di farmaci prescritti, la maggior parte ormai vuota. Aprì il tappo del Valium e fece scivolare fuori una compressa, poi un’altra. Mentre mandava giù le pillole, incrociò il proprio sguardo nello specchio.

    Della si sforzò di osservare il proprio riflesso. Il suo volto era mortalmente pallido, con cerchi scuri sotto agli occhi a causa degli attacchi continui di insonnia. La sua pelle era secca e tesa, i suoi capelli neri unti e spettinati. Il mascara imbrattava le sue palpebre. Il suo aspetto rispecchiava la sua vita—un completo disastro.

    Come aveva fatto a finire così? A vivere con il suo spocchioso fratello e la sua noiosa moglie nella parte snob di Brooklyn. Barbie e Ken, era così che li chiamava alle loro spalle. Sempre così perfetti, sempre così di plastica. Amavano dire che vivevano secondo le regole. Della sbuffò. Che ci crepino con le loro regole. Quale gioia gli procurava la loro casa assolutamente immacolata? Osavano a malapena sedersi sulle sedie per paura di stropicciarle.

    E poi c’erano i suoi nipoti. Erano dei bravi bambini, ma erano così viziati. Era sicura che, crescendo, sarebbero diventati esattamente come i loro genitori, ed altrettanto noiosi. La trattavano tutti come una schiava. Della, tesoro, prepara i pranzi, vai a prendere i bambini, pulisci il tappeto.

    Suo fratello Edward la incoraggiava quando andava a delle audizioni, ma sapeva che in realtà la compativa. Lui ed il suo accondiscendente sostegno. Lui non aveva mai creduto che lei avesse del talento. Niente di quello che faceva Della era abbastanza buono. Era tollerata perché veniva considerata come manodopera a basso costo.

    Ritornò nel suo piccolo letto singolo e si infilò sotto alla trapunta patchwork. Che umiliazione, dover vivere nella stanza della domestica, con i rifiuti della precedente cameriera fissa portoricana disseminati ovunque—crocifissi in gesso, bottigliette mezze vuote di smalto viola per le unghie, spazzole piene di capelli aggrovigliati.

    Si portò la gatta fino al volto e la abbracciò.

    Oh, Principessa, tubò, accarezzando il pelo della gatta, quando riuscirò ad andarmene da questa prigione? Tu sei la mia unica amica, sai. Si accese un’altra sigaretta, lasciando cadere la cenere sul letto. Anche tu odi questo posto, lo so. Ma domani è il grande giorno. Finalmente abbiamo il nostro biglietto per andarcene. Andrò prestissimo a Manhattan per un’audizione. Questa volta sono certa che otterrò la parte. Jack Roland sta facendo i casting per la sua telenovela e sono sicura che si ricorderà di me. Bè, forse non con gli abiti addosso. Ridacchiò e la risatina si trasformò in un singhiozzo.

    Comunque, se anche non dovessi riuscire ad ottenere la parte, mi iscriverò a quel corso all’Actor’s Studio. Questa volta dico sul serio. Edward ha detto che pagherà lui tutte le spese. Che lo faccia. Lui può permetterselo.

    Della cullò la gatta fra le braccia ed accese un’altra sigaretta con quella mezza finita che stava ancora fumando. Non posso occuparmi per sempre dei suoi mocciosi. Inoltre, lui farebbe di tutto per liberarsi di me. Pensa che io non sia un buon esempio per i suoi marmocchi. Riesci a credere che mi abbia detto una cosa simile? Dannazione, queste pillole non funzionano. Devono essere diluite.

    Allungò una mano verso il basso, di fianco al letto, ed aprì la bottiglia di vino. Si guardò intorno in cerca di un bicchiere e, quando non ne trovò neanche uno, bevve direttamente dalla bottiglia. Dopo aver finito il vino, ritornò in bagno e prese altre due pillole.

    Di nuovo a letto, spense la sua lampada ed indossò le cuffie. Una musica soft filtrò nella sua testa e la calma voce del suo analista mandò la sua mente alla deriva. Immagina di essere distesa su di una soffice nuvola bianca. Non hai peso...

    Della chiuse gli occhi ed ascoltò. Il timbro della voce di Daniel iniziò ad eccitarla.

    Per tutta la notte attese con ansia di riuscire ad addormentarsi. Dopo aver riorganizzato i cuscini e districato le coperte per la centesima volta, afferrò il telefono e compose un numero. La segreteria di Daniel la rispose come faceva tutte le volte. Lui non era disponibile e lei avrebbe dovuto lasciare un messaggio.

    "Daniel. Sono di nuovo io. Ancora non riesco ad addormentarmi. Chiamami. Ho bisogno di te, e perché diavolo non sei mai disponibile?" Buttò giù il ricevitore con forza.

    Aveva iniziato a vedere il suo analista due anni prima. Niente aveva avuto effetto, fino alla notte in cui, alla fine, le aveva detto che lei aveva bisogno della terapia definitiva. Lei sapeva che andare a letto con il proprio analista andasse contro le regole, ma lo aveva desiderato sin dal primo giorno. Per un po’ avevano continuato con le loro sessioni di terapia settimanali, ma ultimamente si vedevano sempre di meno. E lei aveva bisogno della sua terapia per riuscire ad addormentarsi.

    Quando il sole illuminò il condominio sulla strada di fronte, Della iniziò finalmente ad appisolarsi, finché la porta della sua camera non venne spalancata, disorientandola.

    Lo sguardo di sua cognata si posò su di lei, stordita, a letto, quindi sembrò notare la bottiglia di vino vuota sul pavimento, le cuffie che pendevano ancora da un orecchio, il posacenere pieno di filtri di sigarette.

    Della sapeva che nella stanza c’era puzza di stantio.

    Margaret riusciva a contenere a malapena il proprio disgusto. Della, oggi pomeriggio, dopo il lavoro, ho una visita medica. Mi aspetto che tu torni a casa per prenderti cura dei bambini.

    Come risposta, Della mosse appena la testa.

    Mi hai sentita? Tornerò per le sei. Servigli la cena alle cinque. Ho messo del manzo macinato a scongelare.

    Della tentò di tirarsi a sedere. Principessa si stiracchiò e scese con un salto dal letto.

    E pulisci quella disgustosa lettiera del gatto. Sta appestando tutta la casa.

    Un po’ di tempo dopo, Della sentì la porta d’ingresso che sbatteva. Trovò l’orologio che era finito a terra. Dieci e mezza. Aveva dormito durante la colazione e la partenza dei bambini per la scuola. Ed aveva saltato la sessione di casting di Jack Roland.

    Fanculo l’audizione. Era un ruolo piccolo e pidocchioso, niente di che. Un paio di battute in una stupida soap opera era pari a zero. Lei aveva un aspetto orribile, comunque. Ultimamente non aveva mangiato molto e gli abiti le pendevano dalle spalle. Quel digiuno a base di succhi avrebbe dovuto darle più energie, ma era una barzelletta.

    Fece bollire delle uova e cercò di nuovo di contattare Daniel, e questa volta riuscì a collegarsi alla sua linea. Gli lasciò un messaggio perché la richiamasse, sottolineando il fatto che fosse urgente.

    Dopo aver mangiucchiato le uova, Della cercò qualcosa da indossare. L’armadio era un guazzabuglio di abiti sporchi sparsi sul pavimento. Non avrebbe saputo dire quali fossero quelli puliti. Raccolse un vestito e ne annusò il giromanica, quindi lo lanciò nuovamente a terra.

    Sospirò e si voltò per guardare fuori dalla finestra. La neve continuava ad ammassarsi in cumuli. Perché voleva uscire? La casa era vuota, suo fratello si trovava in ufficio, i bambini erano a scuola, sua cognata era al centro estetico.

    Della chiuse la porta dell’armadio e raggiunse il bagno per prendere dell’altro Valium. Questa volta ne avrebbe prese quattro. Se solo fosse riuscita a dormire, sarebbe andato tutto bene—poi avrebbe potuto occuparsi della propria prigionia.

    Si intrufolò di nuovo a letto ed accese una sigaretta, fumandone cinque prima di chiudere finalmente gli occhi e nascondere la testa sotto le coperte.

    Era rimasta poca luce diurna quando Stacy e Mark, infagottati in giacche, sciarpe e cappelli, risalirono le scale con passo pesante e suonarono il campanello.

    Sbrigati, disse Stacy, mi sto congelando.

    Forse il campanello non funziona. La porta è chiusa.

    Suona di nuovo. Zia Della dovrebbe essere a casa.

    Mark picchiò la porta con il pugno. Zia Della!

    Attesero, tremanti. Mark si voltò verso sua sorella. Forse si è dimenticata ed è uscita.

    Non dire così. Che cosa facciamo? Stacy iniziò a piangere. Voglio la mamma.

    Smettila, Stace. Piangere non ci aiuterà ad entrare. Forse dovrei provare la finestra.

    Mark si arrampicò sulla ringhiera in ferro battuto di fronte alla finestra, ma le sue gambe erano troppo corte per riuscire a superarla. Tornando a terra si graffiò le ginocchia.

    Mark, non farlo. Finirai per cadere!

    Stacy, stai zitta. Vuoi rimanere qui e morire congelata? Potrebbe succedere, sai. Bussò di nuovo alla porta.

    Stacy pianse più forte. Forse dovremmo chiamare la polizia o qualcosa.

    Con quale telefono, sciocca?

    Mark tentò nuovamente di arrampicarsi sulla ringhiera con rinnovata determinazione. Riuscì ad aggrapparsi al davanzale con la mano guantata e a sporgersi in avanti per spingere contro la finestra.

    È aperta. Forse riesco a spingerla. Così potremo entrare.

    I suoi guanti slittavano sulla superficie scivolosa della finestra, così li lanciò sul marciapiede. Stacy continuava a piangere e a colpire la porta.

    Della, Della, dove sei? piagnucolò fra i sussulti. Proprio in quel momento sentì uno schianto e si voltò per vedere il braccio di Mark che passava attraverso il vetro della finestra. Le schegge di vetro gli avevano penetrato la giaccia ed il sangue gli sgocciolava lungo le dita e sulla neve.

    Oh no! gridò Stacy. Mark, scendi!

    Colto alla sprovvista dalla vista del proprio sangue, Mark cadde dalla ringhiera e finì sul marciapiede. La porta del palazzo adiacente di aprì, ed una donna dai capelli grigi sbirciò all’esterno, la porta ancora agganciata con la catena.

    Che cosa state combinando voi due?

    Signora Peabody, Mark si è fatto male! Stacy scese le scale di corsa e raggiunse la donna. Mamma non è a casa ed abbiamo provato ad entrare, ma la porta è chiusa.

    La signora Peabody aprì la porta e fece entrare i bambini. Come ha potuto vostra madre lasciarvi così—a morire di freddo? Fasciamo quel braccio. Vi porterò all’ospedale e poi cercherò di rintracciare vostra madre. Andiamo, bambini—sbrigatevi.

    Della si rigirò nel letto e colpì il comodino con un polso. Si alzò a sedere bruscamente, sentendosi disorientata nella stanza buia. Gli sembrava di avere la testa piena di paglia. Si allungò per leggere l’orologio, realizzando che i suoi nipoti sarebbero dovuti tornare a casa da scuola da ore ormai. Per un attimo restò ad ascoltare l’ominoso silenzio che aleggiava nella casa, quindi, ancora stordita, scese inciampando dal letto ed accese una luce. La stanza iniziò a roteare. Si infilò i jeans e si allungò verso il telefono, quindi compose il numero della scuola elementare.

    Andiamo, andiamo, disse, ascoltando lo squillo interminabile. Rispondete, dannazione! Sbatté con forza il ricevitore, corse lungo il corridoio, quindi entrò in cucina, accendendo le luci.

    Mark? Stacy? Siete qui? Dove siete? Non fate i furbi con me o ve le suono.

    Uscì sulla veranda e spostò lo sguardo lungo la strada. La neve cadeva dal cielo scuro, i fiocchi sembravano gialli al bagliore dei lampioni. Mentre cercava le impronte, qualcosa che spuntava dalla neve sul marciapiede attirò la sua attenzione. Il guanto di Mark. Trattenne le lacrime. Quindi sollevò lo sguardo verso l’appartamento e vide la finestra rotta ed il sangue che striava il vetro.

    A Della si strozzò il fiato in gola. Rientrò di corsa e chiamò la polizia. Per favore, per favore aiutatemi!

    Un momento, per favore, disse la centralinista. L’attesa era insopportabile.

    Dannazione, i miei nipoti sono stati rapiti. È successo qualcosa. Per favore, aiutatemi!

    Si calmi, signora. Non posso aiutarla se mi stacca la testa a morsi. Iniziamo con qualche nome ed un indirizzo, d’accordo?

    Dopo aver fatto una ramanzina alla centralinista, riagganciò il telefono e si lasciò cadere sul divano. Iniziò a metabolizzare la realtà della situazione. La nebbia nella sua mente iniziò a diradarsi, lasciandola in uno stato di puro terrore. L’aveva fatta lei—questa cosa terribile. E qualunque cosa fosse successa ai figli di suo fratello, sarebbe stata tutta colpa sua.

    La polizia le aveva garantito che sarebbero arrivati subito, che lei sarebbe dovuta rimanere lì. Strinse i braccioli del divano, sentendo ogni secondo che passava con agonizzante lentezza. Insopportabile agonia.

    Della corse al bagno e cominciò a frugare nell’armadietto dei medicinali, questa volta svuotandosi l’intero contenuto della bottiglietta di pillole in una mano. Non si preoccupò neanche di leggere l’etichetta. Qualunque cosa stesse per prendere, non sarebbe stato abbastanza potente da aiutarla ad affrontare ciò che l’attendeva.

    Il rumore della porta che si apriva richiamò Della dal suo stato d’annebbiamento euforico. Dalla sua posizione sul divano della sala, le strane forme che si muovevano nell’oscurità si trasformarono in suo fratello e sua cognata. Quindi i suoi occhi si spostarono sul braccio bendato di Mark.

    Della riuscì a malapena a comprendere le parole che suo fratello e sua moglie gli urlavano contro. Come osi—sei una sgualdrina ingrata e fannullona!

    Altre imprecazioni, parole accompagnate da sputi. Lei li vedeva e li sentiva attraverso la nebbia. Le accuse la oltrepassarono fluttuando. Era spassoso per Della osservare le loro buone maniere crollare. Erano dei giganti che le incombevano sopra, la loro rabbia si riversava scrosciante su di lei. La loro ira assumeva forme grottesche, gigantesche palle di pelo, che le scivolavano addosso e cadevano sul pavimento.

    Una risata eruttò dalla sua bocca.

    Sua cognata smise di gridare e la fissò.

    Edward, ha perso la testa. Guarda i suoi occhi. È di nuovo sotto l’effetto di quelle droghe. Che Dio ci aiuti!

    Palle di pelo, mormorò Della, quindi rise di nuovo.

    La voce di Margaret stridette. Edward, perché sta parlando del suo gatto?

    Edward si voltò e guardò i suoi figli in piedi nel corridoio, intenti ad osservare ed ascoltare. Lui abbassò la voce. Andate in cucina. Io arrivo subito. Dopo che i bambini ebbero lasciato la stanza, lui si voltò verso Della, ancora stravaccata sul divano. Della continuava a ridacchiare, le lacrime che le scivolavano lungo il volto.

    Edward parlò a denti stretti. "Questa è l’ultima goccia, Della. Riesci a sentirmi? Ho sopportato il tuo...stile di vita troppo a lungo. Ho tentato di essere paziente. Dio sa se ci ho provato. Ma ora basta. Domani dovrai andartene. Dovrai cavartela da sola."

    Margaret gli tirò una manica. Edward, guardala. Non dovremmo portarla da un dottore?

    Ehi, se desidera uccidersi, per me non ci sono problemi. Ne ho avuto abbastanza. Sono stanco di essere responsabile per lei. Ha trentasei anni, ed io ho una famiglia di cui occuparmi qui. Non ho bisogno di tutto questo. Uscì infuriato dalla stanza, seguito dalla moglie.

    Della rimase distesa per quella che le sembrò un’eternità, fluttuando nell’oscurità. Prese coscienza del silenzio che regnava nella casa, quindi realizzò di essersi appisolata di nuovo. Ormai dovevano essere andati tutti a letto. Cercando a tentoni di aggrapparsi alla mobilia, ritornò lentamente nella sua camera e trovò il telefono. Questa volta il suo analista rispose.

    Daniel, sono io, Della. Ho bisogno di vederti.

    Della. La sua voce sembrava stanca. Pensavo di averti detto di non chiamarmi a casa a meno che non fosse una situazione di vita o di morte.

    Lo so. E lo è. Oggi ho mandato tutto a puttane. Ho rovinato davvero tutto.

    Non puoi aspettare fino a domani? Non abbiamo una sessione alle dieci?

    Sì, ma non possiamo vederci stasera? Ho bisogno di te.

    Della. Credevo ne avessimo già discusso. Pensavo avessimo deciso di attenerci al calendario.

    Oh, Daniel, non farmi questo. Sono un casino. Ho preso delle pillole. Troppe pillole. Per favore. Lei sapeva che stava implorando, ma era più forte di lei.

    Tu prendi sempre delle pillole. Finché non riuscirai a tenere sotto controllo il tuo problema con le droghe, non posso vederti fuori dallo studio. Hai ascoltato le registrazioni? Dovrebbero riuscire ad aiutarti a rilassarti.

    Non ho bisogno di quelle maledette registrazioni, ho bisogno di te. Ho bisogno che tu mi tocchi, e mi baci. Che tu mi stringa...

    Della. Basta così. Vai a dormire. Sono le due. Vai a dormire e domani mattina ti sentirai meglio. Fidati di me.

    Ma—

    Buona notte, Della.

    Della strinse il telefono ancora per un attimo, il silenzio che penetrava nell’immobilità della tarda notte. Quindi lo riagganciò con violenza e barcollò fino al bagno, dove aprì l’acqua per riempire la vasca. Mentre si spogliava, si osservò riflessa nello specchio con distacco. Quindi si calò nell’acqua calda e fumante.

    Era sorpresa da quanto potesse essere lenitiva una cosa semplice come un bagno. Immergendosi più a fondo, percepì il calore che penetrava nelle sue stanche ossa mentre faceva scorrere il filo della lama del rasoio sulla piega di un polso, e poi dell’altro. Mentre l’acqua nella vasca diventava da rosa a rossa, l’ultima cosa che vide fu la busta bianca e oro che aveva attaccato con il nastro adesivo all’armadietto dei medicinali che si staccava a causa dei riccioli di vapore e scendeva svolazzando come una colomba dal paradiso, per finire nelle sue placide mani bagnate.

    CAPITOLO TRE 

    Piegati un po’ di più—così, tesoro. Di più, di più.

    Jonathan Levin batté le mani con impazienza. Sentì qualcuno sghignazzare e dei mormorii sottomessi alle sue spalle. Silenzio, per favore. Facciamo un po’ di silenzio così riusciamo a concludere. Gente! Giriamo questa schifezza.

    L’aiuto regista sollevò il ciak a pochi centimetri dal petto dell’attrice. L’infermiera poco vestita si sporse sul paziente sul letto d’ospedale, la corta gonna alzata, le lunghe gambe divaricate.

    La mia posizione preferita, sussurrò qualcuno.

    Silenzio! disse Levin.

    "Buone maniere. Scena dodici, sei. Marcatore." Il segnale suonò. La luce rossa lampeggiò. Jonathan attese che ci fosse silenzio assoluto.

    Motore...partito. Azione.

    L’attrice parlò con un delicato accento meridionale. Andiamo, signor Barnes, dovrà cooperare un po’ con me. Prenda le sue medicine da bravo ragazzo. Ordini del dottore. Si sporse in avanti e colpì il carrello portapranzo del paziente, facendolo rotolare per il set.

    Jonathan agitò le braccia in aria. Stop. Stop!

    Dei sospiri esasperati si diffusero per la stanza. Jonathan strattonò la pesante catena d’oro che portava al collo. Il sudore gli colava lungo il petto, sotto alla camicia di seta italiana mezza abbottonata, inzuppandogli la cintura.

    Ti sei spostata dalla tua posizione, Priscilla. Di nuovo.

    La giovane attrice si mostrò a disagio. Ricontrollò la posizione dei propri piedi e si spostò di qualche centimetro. Il caldo era opprimente sotto alle luci calde. L’addetta al make up la raggiunse e le tamponò il volto. Un addetto agli oggetti di scena riposizionò in maniera letargica il carrello. L’intera troupe aveva rinunciato a qualunque sforzo per affrettare le cose.

    Facciamolo di nuovo, subito. Siamo già nell’ora d’oro. Muovetevi! Ignorò volutamente i brontolii della squadra. Si trovavano sullo stesso set hollywoodiano da quattordici ore—per la seconda volta, quella settimana.

    Jonathan ribolliva di rabbia. Troupe senza cervello, attori presuntuosi che pensavano di essere il dono di Dio al pubblico. E quella Priscilla. Un corpo fantastico, ma assolutamente priva di talento. La ragazza di un qualche pezzo grosso. Quando avrebbe potuto finalmente lavorare con dei veri attori?

    Dobbiamo caricare di nuovo, Jonny, disse il

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