Seducente distrazione: Harmony Destiny
Di Mary Mcbride
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Mary Mcbride
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Anteprima del libro
Seducente distrazione - Mary Mcbride
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Magnate’s Takeover
Silhouette Desire
© 2008 Mary McBride
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-044-5
Prologo
Miei cari lettori, Halloween è alle porte e io ho in serbo un sacco di sorprese per voi. Per esempio, vogliamo parlare del nostro misterioso benefattore? Pare che abbia scelto la prossima destinataria della sua generosità, una ragazza, corre voce, del lontano Midwest.
Purtroppo, a parte la provenienza geografica, al momento non sappiamo altro di lei. Ma sono convinta che tra di voi c’è qualcuno in grado di fornire a riguardo qualche informazione in più e che magari freme dalla voglia di condividerla con noi. In tal caso, che dire? Aspetto una telefonata. Sono tutt’orecchi.
Sam Balfour sbatté il giornale sulla scrivania come se volesse schiacciare una mosca. «Questa donna è peggio di un cane rabbioso» inveì.
S. Edward Balfour IV, altrimenti noto come zio Ned, alzò lo sguardo dal proprio giornale. «Diciamo che è tenace. Ci farebbe comodo una così nella nostra squadra. Anche più di una.»
«La nostra squadra, come la chiami tu, rischia di essere smascherata a causa di questa arpia. La cosa non ti preoccupa minimamente?»
«No» rispose l’uomo senza scomporsi. «Ho altro a cui pensare. Tieni. Da’ un’occhiata a questo» disse, porgendogli un grosso libro. «E dimmi cosa ne pensi.»
Continuando a digrignare i denti, Sam sfogliò l’album di fotografie che ritraevano vecchi motel malandati nella zona del Midwest. «Belle foto» commentò, «se ti piace il genere.»
«Mi piace» replicò lo zio aprendo il cassetto della scrivania ed estraendo una cartellina che allungò al nipote. «Occupatene tu, vuoi?»
«Sei un pazzo, lo sai, a continuare con questo gioco.»
Lo zio si limitò a sorridergli. «Siamo tutti un po’ matti, in un modo o nell’altro. Leggi il fascicolo, poi fa’ in modo che il solito assegno venga consegnato alla signorina Libby Jost non più tardi di venerdì.»
Sam non poté fare a meno di sospirare, sconsolato. Eccoci, si ricomincia...
1
«Alla tua salute, magnifico edificio.»
Guardando fuori della finestra, Libby Jost sollevò il bicchiere di vino in un brindisi al mega-albergo di venti piani, da poco completato, che sorgeva sul lato opposto dell’autostrada, a ovest di St.Louis. Era autunno e gli alberi erano ormai quasi spogli, e persino al di là dell’autostrada le luci scintillanti dell’Halstrom Marquis si riflettevano come rubini in quel che restava del suo vino rosso.
«E salute anche a te, signor Halstrom, chiunque tu sia, se esisti davvero. Benvenuto tra di noi.» Ingoiò l’ultimo sorso, poi un sorrisetto stupido, non troppo da sobria, le giocherellò agli angoli della bocca. «Perché ci hai messo tanto?»
Poggiò il bicchiere vuoto, si alzò e immediatamente si rese conto di aver esagerato con i brindisi. Troppi per una persona che non era abituata all’alcol. L’ultima volta che aveva bevuto era stato l’ultimo dell’anno, qualche sorso di champagne per il brindisi di rito. Era decisamente fuori allenamento, concluse, e, immaginando che una boccata d’aria fresca non le avrebbe che giovato, pigiò l’interruttore collegato alle luci esterne e uscì.
Una volta fuori, Libby levò lo sguardo sull’insegna al neon con la scritta Completo che tremolava sopra la porta della piccola hall. Che tristezza, pensò. Dopo tutti quegli anni, era probabilmente un miracolo che la C, le due o e metà p riuscissero ancora a emanare una debole luce. La sola vista dell’insegna l’avrebbe gettata in uno stato di depressione fino a qualche mese prima, ma quella sera non aveva su di lei quell’effetto. Non la rattristava più perché sapeva che, nel giro di poco tempo, ci sarebbe stata un’insegna nuova di zecca e il vecchio Haven View Motel sarebbe tornato a essere pieno di clienti, come ai vecchi tempi.
Ancora una volta, come spesso accadeva nelle ultime settimane, rivolse un tacito ringraziamento all’anonimo Babbo Natale che le aveva inviato un assegno da cinquantamila dollari con il quale aveva voluto esprimerle i suoi complimenti per il libro di fotografie sui vecchi motel del Midwest pubblicato di recente.
Libby era innanzitutto una fotografa e lavorava da una decina d’anni per il quotidiano di St.Louis. Aveva ricevuto numerosi premi in passato, la maggior parte dei quali sotto forma di targhe o di riconoscimenti incorniciati, di solito accompagnati da lunghi e noiosi discorsi e da composti applausi. Una volta le era stato consegnato un assegno da duecento dollari per una foto del Gateway Arch avvolto nella nebbia, ma mai nulla di lontanamente vicino a cinquantamila dollari.
Quella somma enorme e inaspettata non solo la inorgogliva come fotografa, ma le avrebbe dato la possibilità di aiutare zia Elizabeth, la donna che l’aveva cresciuta dopo che i suoi genitori avevano perso la vita in un incidente stradale, quando lei era poco più che una bimba ai suoi primi passi.
Non era stata zia Elizabeth a chiederle aiuto. Non ce n’era stato bisogno. Non appena Libby aveva capito che non si trattava di uno scherzo e che l’assegno da cinquantamila dollari era autentico, si era presa un periodo di ferie dal giornale e aveva iniziato a fare progetti per la ristrutturazione del motel nel quale era cresciuta e che cadeva ormai a pezzi. Era sempre stato il sogno di sua zia e, dopo tutto quello che la donna aveva fatto per lei, si sentiva in dovere di aiutarla a tenere in piedi quel sogno il più a lungo possibile.
E giacché era in tema di ringraziamenti, ne rivolse uno anche all’Halstrom Marquis, che presto avrebbe inviato i suoi clienti in esubero dall’altro lato dell’autostrada, verso il ben più modesto ma dignitoso Haven View, una volta rimesso a nuovo.
Libby era decisa a far sì che il suo progetto diventasse realtà. Il misterioso benefattore le aveva offerto il denaro necessario per avviare i lavori. Si era preso il suo tempo per studiare bene la situazione e vagliare i vari preventivi, per spendere i soldi a sua disposizione in maniera oculata. E ora era pronta per partire.
Avanzando lungo il vialetto che serpeggiava per il cortile in rovina, notò che un lampione era spento. Accidenti. C’era sempre qualcosa per cui arrabbiarsi. Le lampadine esterne erano così costose, anche nei discount, e sembrava si fulminassero troppo di frequente ultimamente.
Pensò di non cambiarla, per il momento; tanto nessuno se ne sarebbe accorto. Non c’era l’anima di un cliente, per la miseria. Rivolse di nuovo lo sguardo al magnifico albergo di fronte e sospirò. La concorrenza era spietata. Girò sui tacchi e tornò dentro a prendere una scala e una lampadina nuova.
Non era stata un’idea fantastica, pensò Libby dieci minuti dopo, barcollando in cima alla scala nel tentativo di svitare la grossa lampadina fulminata e di avvitarne una nuova. Le pareva già di leggere il titolo sul giornale: Donna in stato di ebbrezza muore sotto un lampione.
E nel caso la situazione non fosse già stata abbastanza disastrosa così, lo fu sicuramente quando udì il rombo del motore di un’auto dietro di lei, i fari che illuminavano il parcheggio e le gomme che slittavano sulla ghiaia. Un cliente a quest’ora?, si chiese. Davvero molto strano. Il motel non registrava un cliente da tre, quattro settimane.
Provò a girarsi, per vedere chi fosse, ma i potenti fari la accecarono. Quando udì la portiera che si apriva e poi si chiudeva, il cuore le schizzò in gola, rendendole impossibile emettere alcun suono.
Non era affatto positivo. Anzi, era terribile. Poi, un mugolio strozzato le fuoriuscì dalle labbra.
Perse la presa attorno al grosso globo e la lampadina le sfuggì di mano, frantumandosi per terra. Stava per cadere anche lei e precipitare sui vetri quando una voce profonda le disse: «Stia attenta».
Due mani le cinsero la vita.
«Presa» aggiunse la voce. «Tutto bene. Ora, si rilassi e scenda dalla scala.»
Nel panico più totale, Libby cercò di divincolarsi e si tenne aggrappata saldamente al palo del lampione.
«Ma che cosa fa?» protestò lo sconosciuto, sorreggendola forte. «Molli quel lampione. Non si deve preoccupare, la tengo io.»
Cosa poteva fare, a quel punto? Libby trasse un bel respiro, lo trattenne, quindi sganciò le mani dal palo, chiedendosi se tutta la sua vita le sarebbe passata davanti, ora che stava per morire.
Fu come cadere nell’abbraccio di un enorme orso. Le membra che l’accolsero erano calde e protettive. Poi udì il vetro scricchiolare sotto i piedi del suo soccorritore, mentre muoveva diversi passi prima di metterla giù dolcemente.
Era salva, ma solo per poco. L’orso le puntò addosso il suo sguardo abbagliante. «Che diavolo ci faceva lassù in cima?» la rimproverò. «Ha rischiato di rompersi l’osso del collo, lo sa?»
Il cuore le batteva come un martello pneumatico. Si sentiva le gambe molli e le girava la testa. Ma invece del legittimo spavento, la colse una rabbia furiosa. «E a lei che cosa importa? Si tratta del mio osso del collo.»
L’uomo la fissava intensamente, come se volesse memorizzare ogni particolare del suo viso, ogni curva, ogni piega del suo corpo... oppure calcolare le calorie, nel caso gli fosse saltato in mente di sbranarla.
Con aria belligerante, Libby lo scrutò di rimando, notando che era troppo bello per essere un orso, con un paio di intensi occhi nocciola, la mascella dura come granito. Si sentì di nuovo barcollare e, nel tentativo di recuperare l’equilibrio, si avvicinò a lui