In affari con la sposa: Harmony Destiny
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Barbara Dunlop
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Anteprima del libro
In affari con la sposa - Barbara Dunlop
1
Zach Harper era l'ultima persona che Kaitlin Saville si sarebbe aspettata che si presentasse davanti alla porta del suo appartamento. Alto, capelli scuri e sguardo freddo come l'acciaio, Zach era il motivo per cui stava facendo le valigie, la ragione per cui stava restituendo il suo appartamento a equo canone, la persona che stava obbligandola a lasciare New York City.
Fronteggiandolo, incrociò le braccia sulla sua T-shirt dei New York Mets di un blu ormai sbiadito, sperando che i suoi occhi arrossati per la crisi di pianto di poco prima fossero tornati normali e che le lacrime non le avessero lasciato rigate le guance.
«Abbiamo un problema» dichiarò Zach, con la sua voce secca e l'espressione distaccata. Aveva la mano sinistra richiusa attorno alla maniglia di una ventiquattrore di pelle nera.
Indossava un completo Grant Hicks e una camicia bianca perfettamente stirata. La sua cravatta rossa era in pura seta, e i gemelli ai polsini d'oro massiccio. Come al solito aveva un fresco taglio di capelli, il viso ben sbarbato e le sue scarpe erano tirate a specchio.
«Noi non abbiamo proprio niente insieme» gli disse lei, piegando le dita dei piedi nei comodi calzini che sbucavano da sotto l'orlo sfilacciato dei jeans scoloriti.
Era casual, non trasandata, si disse. Una donna aveva tutto il diritto di mettersi comoda in casa. Mentre Zach Harper non aveva nessunissimo diritto di mettere il naso in casa sua. Così fece per sbattergli la porta in faccia. Ma una mano scattò in avanti e glielo impedì.
Era una mano grande e abbronzata, con un polso notevole e delle dita affusolate. Niente anelli, ma un Cartier di platino con il quadrante tempestato di diamanti. «Non sto scherzando, Kaitlin.»
«Sto per caso ridendo?» Non gliene importava nulla dei problemi che l'onnipotente Zach Harper poteva incontrare nella sua vita privilegiata. Quel tizio non solo l'aveva fatta licenziare, ma l'aveva anche fatta bandire da tutti gli studi di architettura di New York City.
Lui lanciò un'occhiata alle spalle di Kaitlin. «Posso entrare?»
Lei fece finta di rifletterci su per un momento. «No.»
Poteva anche essere padrone in casa sua alla Harper Transportation e avere una certa influenza in gran parte delle stanze dei bottoni di Manhattan, ma non aveva il diritto di vedere la sua abitazione sottosopra. In particolare, la lingerie di pizzo che faceva bella mostra di sé davanti alla finestra.
Lui serrò la mascella.
Lei contrasse i muscoli della sua, restando dov'era.
«È una questione personale» insistette Zach, spostando la mano sulla maniglia della valigetta.
«Noi non siamo amici» sottolineò lei.
In effetti, erano nemici. Perché era questo che succedeva quando una persona ne rovinava un'altra. Non aveva importanza se la prima persona era affascinante, di successo, intelligente e ballava divinamente. Lui aveva perso ogni diritto a... be', a tutto.
Zach tirò indietro le spalle, quindi guardò in entrambe le direzioni lo stretto corridoio dell'edificio anni Cinquanta. La luce era fioca, la moquette usurata. Dieci porte si aprivano su quella particolare sezione del quinto piano. L'appartamento di Kaitlin era a una delle due estremità, accanto a un'uscita di emergenza e a un allarme antincendio protetto da una teca di vetro.
«Bene» le disse lui. «Allora facciamo pure qui fuori.»
Oh no, che non lo avrebbero fatto. Non avrebbero mai più fatto nulla in nessunissimo posto. Lei accennò ad arretrare per tornare nella sicurezza rappresentata dall'appartamento.
«Ricordi quella notte a Las Vegas?» le chiese lui.
La domanda la lasciò impietrita.
Non avrebbe mai dimenticato il party aziendale della Harper al Bellagio di tre mesi prima. Oltre a cantanti,ballerini, prestigiatori e acrobati che avevano intrattenuto un pubblico costituito da più di cinquecento facoltosi clienti della Harper Transportation, c'era un vistoso imitatore di Elvis che aveva convinto lei e Zach ad abbandonare la pista da ballo per partecipare a un finto matrimonio.
Al momento, era parso divertente, in sintonia con il clima scanzonato della festa. Naturalmente, il suo sense of humor quella sera era stato corroborato da diversi Martini. Ripensandoci bene, si vergognava un po' di tutta quella faccenda.
«Il documento che abbiamo firmato?» continuò Zach di fronte al suo silenzio.
«Non so di cosa tu stia parlando» mentì lei.
Infatti, si era imbattuta giusto quella mattina nella licenza del loro matrimonio per burla. Era infilata nel solitario e scarno album fotografico che stazionava nell'ultimo cassetto del suo armadio sotto diverse paia di blue jeans.
Era da stupidi aver tenuto quel souvenir. Ma l'esaltazione della serata trascorsa al braccio di Zach aveva impiegato qualche giorno a smorzarsi. E quando aveva messo via la licenza matrimoniale, quei momenti felici sulla pista da ballo le erano sembrati in qualche modo magici.
Assurdo, perché la settimana successiva lo stesso uomo le aveva distrutto la vita.
Adesso lui tirò un respiro corroborante. «È valido.»
Lei lo guardò, corrugando la fronte. «Valido per cosa?»
«Per il matrimonio.»
Kaitlin non replicò. Zach stava per caso suggerendo che avevano veramente firmato una licenza di matrimonio in piena regola?
«È uno scherzo?» gli domandò.
«Sto per caso ridendo?»
No, non stava ridendo. Ma, d'altra parte, Zach rideva raramente. Quella fatidica sera, come Kaitlin aveva avuto modo di apprendere in seguito, era stata un'eccezione per lui.
Una gelida sensazione le pervase lo stomaco.
«Siamo sposati, Kaitlin» le disse lui, fissandola gelidamente.
Non erano sposati. Era stata una burla. Avevano recitato una parte su quel palco.
«Elvis era autorizzato dallo stato del Nevada» disse Zach.
«Eravamo alticci» ribatté Kaitlin, rifiutandosi di credere a un'affermazione così insensata.
«Ha registrato il certificato.»
«Come fai a saperlo?» Il cervello le si mise in moto febbrilmente, calcolando tutte le possibili conseguenze.
«Me l'hanno detto i miei avvocati.» Lui lanciò un'eloquente occhiata alle spalle di Kaitlin, in direzione del suo appartamento. «Per favore, mi fai entrare?»
Lei pensò ai romanzi gialli che ricoprivano il divano, ai rotocalchi che debordavano dal ripiano del tavolino da caffè, all'estratto conto bancario e della carta di credito che rivelavano le sue abitudini in fatto di shopping dell'ultimo mese. Ricordò la rivelatrice confezione di ciambelle spolverate di zucchero e cannella consumata già per metà che si trovava sul banco della cucina. E, naturalmente, c'era la scatola della biancheria in piena vista nel sole pomeridiano che filtrava dalla finestra.
Ma, se lui stava dicendo la verità, non era cosa che potesse ignorare.
Kaitlin serrò i denti e si ordinò di dimenticare l'opinione di Zach. Cosa gliene importava se scopriva che aveva un debole per le ciambelle? Nel giro di qualche giorno sarebbe uscito dalla sua vita. Lei avrebbe lasciato tutto ciò che conosceva, ricominciando daccapo in un'altra città, forse Chicago o magari Los Angeles.
La gola le si serrò involontariamente al pensiero, e le lacrime minacciarono di tornare ad assalirla.
Kaitlin odiava essere sradicata. Aveva già ricominciato così tante volte, lasciandosi alle spalle la sicurezza e la normalità per essere sballottata da una famiglia affidataria all'altra. Era in quell'appartamentino da quando aveva iniziato il college. Ed era l'unico posto che l'avesse mai fatta sentire anche solo lontanamente a casa.
«Kaitlin?» la richiamò al presente lui.
Lei deglutì per eliminare il nodo che avvertiva alla gola. «Certo» gli disse con risoluta determinazione, tirandosi da parte. «Entra pure.»
Mentre lei chiudeva la porta, Zach notò il disordine imperante nell'appartamento. Non c'era un posto libero in cui sedersi, e Kaitlin si guardò bene dall'offrirsi di sgomberare una sedia. Tanto non si sarebbe trattenuto a lungo.
Sebbene si fosse imposta di ignorarla, lo sguardo le corse istintivamente alla scatola della biancheria. Zach seguì il suo sguardo, soffermando il proprio sul body color malva che le aveva regalato il Natale precedente l'amica Lindsay.
«Ti spiace?» chiese seccamente lei, marciando decisa verso la scatola per chiuderne i lembi di cartone.
«Niente affatto» borbottò lui, e le sembrò di cogliere una punta di divertimento nel suo tono.
Stava ridendo di lei. Perfetto.
I lembi del cartone tornarono ad aprirsi, e lei fu mortificata nel sentirsi arrossire. Comunque, si voltò verso di lui, ponendosi fra Zach e la biancheria sexy.
Dietro di lui, Kaitlin adocchiò la confezione aperta delle ciambelle. Ne mancavano tre, trasferite direttamente dal contenitore di cartone bianco ai suoi fianchi attorno alle nove del mattino.
Perfettamente tonico, Zach dava l'impressione di non avere un grammo di grasso addosso. Sarebbe stata disposta a scommettere che la sua colazione era consistita in frutta, cereali integrali e integratori di proteine. Il tutto probabilmente preparato dal suo chef personale coningredienti importati da chissà dove.
Lui appoggiò la valigetta precariamente su una pila di DVD che ricopriva il tavolino e aprì le serrature a scatto. «Ho fatto redigere dai miei avvocati i documenti del nostro divorzio.»
«C'era bisogno degli avvocati?» Kaitlin stava ancora sforzandosi di comprendere l'idea di matrimonio.
Con Zach.
Partendo da quel dato di fatto inconcepibile, la mente avrebbe voluto spaziarle in mille direzioni, ma lei la frenò prontamente. Poteva essere bellissimo, ricco e sveglio, ma era anche freddo, calcolatore e pericoloso. Una donna avrebbe dovuto essere matta per sposarlo.
Lui aprì la valigetta. «In questo caso, gli avvocati sono un male inevitabile.»
Kaitlin digrignò i denti di fronte a quello stereotipo. La sua migliore amica Lindsay non rappresentava affatto il male.
Per un attimo, si permise di immaginare la reazione di Lindsay a quella notizia. Chiaramente, sarebbe stata scioccata. Ma sarebbe stata anche preoccupata? Arrabbiata? O sarebbe scoppiata a ridere?
L'intera situazione era piuttosto assurda.
Kaitlin si passò i capelli dai riflessi ramati dietro alle orecchie, tormentando un orecchino di giada mentre le montava dentro un certo nervosismo. Quindi inclinò di lato la testa fino a ottenere l'attenzione di Zach. «Immagino che a volte quello che accade a Las Vegas ti segua fino a casa.»
Un muscolo gli si contrasse nella guancia, e la cosa non fu certo dovuta al fatto che l'avesse divertito la battuta. Kaitlin provò una perversa soddisfazione per averlo anche solo leggermente disorientato.
«Sarebbe d'aiuto se tu prendessi seriamente questa faccenda» le fece presente lui.
«Ehi, siamo stati sposati da Elvis.» Lei si aggrappò con determinazione a una risatina ironica.
Gli occhi grigi di Zach la fulminarono.
«E dai, Zach» lo blandì lei. «Devi ammettere che...»
Lui tirò fuori una busta manila. «Firma e piantala lì, Kaitlin.»
Ma lei non era disposta a lasciar perdere la presa in giro. «Devo desumerne che non ci sarà nessuna luna di miele?»
Lui rimase per un momento senza fiato, e ci fu qualcosa di familiare nel modo in cui lo sguardo gli corse alle labbra di Kaitlin.
Lei venne colpita da un improvviso quanto indistinto ricordo che la fece rinsavire di colpo.
Si erano baciati quella notte a Las Vegas?
Di tanto in tanto, aveva una fugace immagine di quella bocca sulla sua e le pareva di rammentare il calore e il sapore, oltre che la pressione, di quelle labbra piene e carnose. Immaginava di poter ricordare quelle braccia attorno alla vita, che la attiravano modellandola contro il corpo solido di Zach come se fossero fatti l'uno per l'altra.
In passato, lo aveva sempre attribuito a un sogno agitato, adesso però si domandava se invece non...
«Zach, a Las Vegas abbiamo...?»
Lui si schiarì la gola. «Cerchiamo di non divagare.»
«Giusto.» Lei annuì, decisa a scacciare quell'immagine nebulosa dalla mente. Se lo aveva baciato anche solo una volta, era il peggior errore della sua vita. Adesso lo detestava, e prima fosse sparito dalla sua vista, meglio sarebbe stato.
Allungando una mano, accettò la busta. «Ci abbiamo impiegato cinque minuti per sposarci, non c'è motivo per cui il divorzio debba richiederne di più.»
«Mi fa piacere che tu la veda così.» Lui fece un brusco cenno di assenso, e