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Le Ombre non Lasciano Tracce. Ladri di bambini
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E-book361 pagine5 ore

Le Ombre non Lasciano Tracce. Ladri di bambini

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Info su questo ebook

Esiste crimine più vile di quello di rapire bambini innocenti? Quando Giacomo Martini e Manuele Riccardi spariscono nel nulla, la paura si diffonde nel Paese come un’epidemia. E così l’incarico di condurre le indagini viene affidato al vice ispettore Rebecca Rei.

Non passa molto tempo, e il cadavere di uno dei presunti artefici dei sequestri viene ritrovato in un furgone. È stato ucciso, e le condizioni in cui versa sembrano la truce conseguenza di un macabro rituale. A prendere parallelamente forma è la pista del sadismo estremo, un sadismo che non riesce a placarsi neanche con la morte della vittima. Nonostante le indagini procedano senza sosta, i rapimenti e gli omicidi non s’interrompono. Ma è la strategia del killer a subire un cambiamento. Le nuove vittime, infatti, verranno scelte tra quelle figure che si stanno adoperando per la sua cattura e così toccherà anche a Rebecca pagarne le conseguenze.

Ma in una Roma atavicamente incapace di trovare pace, di smettere di farsi sempre del male e di farne a sua volta, questi inquietanti accadimenti non rappresenteranno altro che l’inizio di una vicenda che lascerà tutti i protagonisti profondamente segnati.
LinguaItaliano
Data di uscita21 mag 2018
ISBN9788827831182
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    Anteprima del libro

    Le Ombre non Lasciano Tracce. Ladri di bambini - Luca Improta

    Indice

    Introduzione

    Capitolo Uno

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo Sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Ventuno

    Capitolo Ventidue

    Capitolo Ventitré

    Capitolo Ventiquattro

    Capitolo Venticinque

    Ultimo

    Epilogo

    RINGRAZIAMENTI

    Luca Improta

    Le Ombre non Lasciano Tracce.

    Ladri di bambini

    Youcanprint Self-Publishing

    ISBN | 9788827831182

    Prima edizione digitale: 2018

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti  dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Copertina realizzata amichevolmente

    da Daniele Raele

    A chi si ostina a rimanermi vicino.

    Introduzione

    L’aria era tiepida, e l’immensa distesa d’acqua che si propagava davanti a lei mostrava respiri impercettibili che seguivano il costante dondolio delle onde.

    Rebecca se ne stava seduta sopra un telo di spugna, con la gonna tirata fin sulle cosce ancora pallide, a fissare lo spazio che conduceva all’orizzonte. Poco più avanti, sulla battigia, un bambino di circa cinque anni tentava di difendere strenuamente i confini del suo castello di sabbia dai flutti di morbida spuma che venivano depositati dal mare. Intorno a loro non c’era nessuno, ovunque si volgesse lo sguardo.

    «Simone, vieni, si sta facendo tardi. Dobbiamo andare.»

    In quei momenti, il sole aveva appena cominciato a tinteggiare i suoi raggi di un rosa tenue mentre un profumo delicato pareva propagarsi direttamente dal cielo.

    «Simone!» Ripeté la donna modificando appena il livello della voce con la speranza di sortire un effetto migliore.

    Fu così che, a quel richiamo più deciso, il piccolo alzò la testa e si lanciò in una corsa ciondolante verso la madre, lasciandosi poi avvolgere dall’asciugamano e dalle sue braccia. Ma, appena fu in grado, si divincolò dalla stretta voltandosi verso i ruderi stondati della sua costruzione.

    «Mamma, ma come fa il mare a sciogliere la sabbia?»

    Assecondando un gesto involontario, Rebecca sorrise, rivolse lo sguardo al cielo e si sfiorò il naso con la punta della lingua.

    Emise un colpo di tosse per obbligarsi a cacciare il piacevole groppo che stava ostruendo la sua voce e le emozioni che le confondevano la ragione e per cercare una risposta che fosse sensata.

    «Non la scioglie, amore mio. I granelli di sabbia sono i suoi figli. Te li ha lasciati per farti giocare e ora che avete finito, ha fatto in modo che tornassero a casa.»

    «Anche i pesci sono i suoi figli?»

    «Il mare ha un sacco di figli, Simone. Lo vedi quant’è grande?»

    «Sì, è vero, arriva fino al cielo.»

    Dopo averlo rivestito, lo fece sedere tra le gambe stringendolo a sé e baciandolo forte sulla guancia.

    «Dobbiamo tornare a casa. È quasi ora di cena.»

    «Io non voglio andare a casa. Voglio stare ancora con te, mamma. Mi racconti una storia? Mi racconti quella del bambino che libera il mondo delle favole dallo stregone cattivo?»

    «Se andiamo via ora, ti prometto che te la racconterò strada facendo.»

    Senza attendere oltre, Simone si alzò con uno slancio e un cipiglio da ometto e tese la mano alla madre.

    «Allora sbrighiamoci.»

    Le ombre che nascevano dai loro passi si allungavano sulla spiaggia come folletti dispettosi. Dopo aver sferrato qualche calcetto per tentare di staccarseli di dosso, Simone desistette sorridendo. Poi si fermò e si voltò alzando lo sguardo verso il viso della madre. Il sole di fronte a lui era diventato una gigantesca palla di fuoco che lo stava costringendo a serrare gli occhi.

    Come fosse stato colto da un impulso improvviso, si lanciò verso il collo della madre stringendola con tutte le forze che sentiva di possedere. Se ne staccò poco dopo. Attese di sentire il contatto della sabbia sotto i suoi piedi e arretrò di un paio di passi. A quel punto inclinò la testa di lato corrucciando la fronte per tentare di resistere alle fiamme luminose che gli ferivano gli occhi e assunse un’espressione che Rebecca non ricordava di aver mai visto prima.

    «Mamma, io voglio sempre toccarti.»

    Lei riuscì a rispondere solo dopo alcuni istanti.

    «Certo tesoro. Lo voglio anch’io.»

    «Bene! Perché se io non ti tocco sempre, poi il mio cuore muore.»

    Capitolo Uno

    L’incubo che arrivò le tolse il sogno di dosso con lo stesso strazio di un lembo di pelle strappato a forza dalla carne.

    Era notte fonda e il nero che penetrava dalle spire delle persiane avvolgeva tutti gli oggetti come una pesante coperta fredda.

    Rebecca si sforzò di aprire gli occhi ma sembrava che qualcuno, nella notte, le avesse cucito le palpebre con ago e filo di cotone. C’era qualcosa che la stava soffocando.

    «Simone!» Farfugliò improvvisamente tra soffi di respiro affannato.

    Rimase immobile per alcuni istanti ad aspettare che il sangue riprendesse la sua naturale fluidità, poi aprì gli occhi strappando a forza quei fili immaginari e si tirò su. Non doveva perdere altro tempo, aveva titubato fin troppo.

    Con lenti gesti calcolati afferrò la pistola dal cassetto del comodino e si diresse verso la camera accanto appoggiando delicatamente i piedi sul parquet. Sentiva il cuore battere all’impazzata e flettere il legno che scorreva sotto di lei.

    Benché tutto questo non avesse il minimo senso, sapeva che non avrebbe potuto fare altrimenti. Doveva verificare.

    Raggiunse l’uscio, si nascose dietro lo stipite e attese lo scorrere di alcuni respiri. Contò.

    Uno, due, tre. Ruotò su se stessa e con un gesto repentino si affacciò nella stanza facendosi precedere dal mirino della sua Beretta calibro 9. Rimase pietrificata nella posizione di fuoco.

    Non c’era nessuno. Dal chiarore soffuso emesso da una piccola lampada di cortesia, sistemata ai piedi di un letto, non emergeva nulla di anomalo. Suo figlio dormiva, abbracciando un supereroe di stoffa, mentre il resto della stanza era solo un cumulo di figure geometriche amorfe.

    Fissò intensamente l’immobilità della stanza per poi concentrarsi su quel piccolo corpicino. Aveva il suo stesso taglio d’occhi e i capelli di un nero vivido.

    Esitò ancora, quindi abbassò l’arma cercando di liberarsi dalla stretta che stava affliggendo i suoi organi e, solamente in quel preciso momento, si accorse che il braccio aveva cominciato a tremare.

    «Dio mio!» Disse muovendo solo le labbra.

    Restò sul posto qualche altro istante, poi si avvicinò al letto, scaricò l’arma e si distese accanto al bambino aspettando di addormentarsi con lui. Lo avvolse come se quella piccola creatura potesse scomparire da lì da un momento all’altro.

    «Capo, questa storia mi sta letteralmente sconvolgendo il sistema nervoso.»

    La mattina successiva, il vice questore Gilardini se ne stava seduto sulla grande sedia di pelle nera ad ascoltarla, mantenendo la solita posizione stravaccata. Continuava a fissarla negli occhi senza dire niente.

    «Com’è possibile che ci sia in giro qualcuno di tanto crudele da rapire delle piccole creature indifese? Non riesco proprio a crederlo. E in effetti, devo confessarti di non esserne ancora convinta.»

    Per tutta risposta lo vide scuotere dolorosamente la testa e perdersi in una pausa.

    «Vedi, Rebecca, dopo anni passati dietro questo schifo di scrivania, mi sono persuaso del fatto che ogni uomo abbia le stesse potenzialità del demonio. Ho visto talmente tanta merda da aver raggiunto l’inquietante traguardo per cui non mi meraviglio più di niente. Anzi, sempre più spesso mi trovo a passare il tempo a cercare di capire se l’inferno non si sia nascosto da qualche parte qui da noi. O addirittura dentro ciascuno di noi.»

    Non era la prima volta che esternava quelle sensazioni e, ormai, la rabbia impressa in quelle parole stava cedendo sempre più il passo a una preoccupante rassegnazione.

    Con un impercettibile contrazione piegò la penna che stringeva tra le dita e si tirò su.

    «Vieni, andiamo a fare il riepilogo di questa brutta faccenda così ti racconto le novità. Stenterai a crederci.»

    I due fecero il loro ingresso in una saletta nella quale spiccava un grande pannello di sughero fissato alla parete accanto a una lavagna. Appese a esso, le foto in formato A4 di due bambini di età compresa tra i cinque e gli otto anni e, accanto, una cartina topografica dell’Italia.

    «Okay, siediti pure, così comincio» ordinò il dirigente iniziando a sfogliare una cartellina ricolma di fogli e portandosi a ridosso del muro.

    Rebecca non poté fare altro che obbedire a quell’invito e così si sforzò di accomodarsi e concentrarsi; in quei frangenti si sentiva schiacciata perfino dall’aria e faceva fatica a muovere la testa. Non sapeva esattamente cosa le avrebbe raccontato il suo capo, ma era certa che si trattasse di qualcosa di estremamente sconvolgente. Conosceva fin troppo bene quel suo modo di comportarsi. Non si trattava di elencare dei semplici fatti, quanto piuttosto d’incastrare tasselli in un puzzle orrendo dalla forma insensata e spesso sconosciuta. Ogni volta che, per qualche motivo, se ne aggiungeva un pezzo nuovo, bisognava ricominciare tutto da capo.

    «Come ben ricorderai, Giacomo Martini è scomparso mentre stava giocando con alcuni bambini nell’aia della sua casetta di campagna alle porte di Foligno. Erano esattamente le quattro e un quarto di pomeriggio del due dicembre scorso. Le ricerche sono partite praticamente subito dopo la denuncia presentata dai genitori ma non hanno dato alcun esito e pare che nessuno si sia accorto di nulla.»

    «In effetti, la possibilità dell’allontanamento volontario, e di una successiva tragedia, mi è sembrata fin da subito quella più probabile.» Si fermò a riflettere. «Anche se devo ammettere che le tue prime sensazioni sono state di tutt’altro avviso.»

    Nonostante l’apparente fluidità, quelle parole dovettero costargli molta fatica. In effetti, da quando le avevano assegnato il caso, Rebecca lottava contro se stessa per mantenersi razionale e per assumere un atteggiamento professionale: si sentiva maledettamente coinvolta e non riusciva a essere lucida e distaccata come avrebbe voluto.

    Nella foto, Giacomo era stato immortalato in una buffa espressione come si stesse sforzando di resistere al solletico fatto da qualcuno nascosto all’obiettivo. Aveva la stessa età di suo figlio e quando Rebecca vide i visi dei due bambini sovrapporsi tra di loro in una sorta di morphing cinematografico, provò una fitta che sembrò farle esplodere il petto. Un’immagine che aveva lo stesso sapore venefico dell’incubo vissuto nella notte appena trascorsa.

    «Lasciami continuare Reby, non voglio perdere il filo,» aggiunse con tono gentile per riprendere il racconto subito dopo. «Come sai, circa un mese più tardi si è verificata una seconda sparizione ed è proprio in quell’occasione che ci è stato affidato il caso. Questa volta si è trattato di Manuele Riccardi, un bambino di otto anni scomparso all’uscita della scuola. È accaduto a Montepulciano, in Toscana e, esattamente come nell’episodio precedente, dalle ricerche non è emerso alcun tipo di indizio. Niente di niente.»

    «Capo,» lo interruppe lei, «devo riconoscere che sono da sempre stata convinta del fatto che le coincidenze, spesso, riescano a fornire più elementi degli stessi indizi, ma per arrivare a parlare di rapimenti mi sembra che ancora ci manchi qualcosa. Non ti pare?»

    Un lieve sorriso anticipò la risposta. Ammirava quella donna, visceralmente.

    «Senza dubbio, ma ricorderai che tu stessa mi hai riferito della presenza di un furgone bianco notato in giro per i due paesi poco prima delle sparizioni.»

    A Rebecca tornarono in mente le preghiere ricolme di lacrime e angoscia dei genitori dei bambini che la scongiuravano di riportagli i loro figli vivi. Erano spilli roventi che si conficcavano nella carne e provocavano un dolore insopportabile. Provò a scuotersi cercando una posizione più comoda sulla sedia.

    «Hai ragione, però si è trattato di testimonianze molto confuse. E poi la storia del furgone bianco era uscita sui giornali locali già in occasione della scomparsa del piccolo Giacomo per cui è più che probabile che nel primo caso si sia trattato di una coincidenza e, nel secondo, di suggestione collettiva.» Nonostante fosse perfettamente a conoscenza delle statistiche a riguardo, Rebecca non riusciva proprio a contemplare il fatto che si potessero rapire dei bambini.

    «Non lo credo, Reby, almeno non più.» Alzò lo sguardo puntandolo direttamente verso gli occhi della donna. «Alle prime luci di questa mattina abbiamo ritrovato il mezzo.»

    Le parole uscite dalla bocca dell’uomo sembrarono solidificarsi improvvisamente nell’aria per poi frantumarsi e spargersi sul pavimento.

    «Cosa?!» Rebecca aveva alzato il tono della voce senza accorgersene. Era allibita. Non se l’aspettava.

    «Ne siamo quasi certi. All’interno del cassone sono stati rinvenuti alcuni oggetti che potrebbero appartenere a uno dei due bambini o, forse, a entrambi. Stiamo verificando. La risposta dovrebbe arrivare a momenti. E quelli della scientifica stanno procedendo alla comparazione delle impronte digitali.»

    «Ma come è possibile?!»

    Ora i visi e le preghiere dei genitori dei bambini, stipati in un angolo della sua memoria, avevano cominciato a muoversi vorticosamente intorno a lei con la forma di una tromba d’aria. La stavano graffiando con artigli affilati.

    La scongiuro! Lei non può immaginare cosa si prova a perdere un figlio.

    Visi straziati dal dolore che diventavano il suo dolore.

    Si prenda tutto. Si prenda la mia vita ma la supplico, riporti a casa mio figlio.

    Lo capisce che così la mia vita non ha più alcun senso?

    «Rebecca…» Paolo Gilardini usò un tono deciso come se potesse vedere il vortice che aveva divorato la donna e volesse provare a fermarlo. «…le novità, purtroppo, non sono finite qui.»

    Attese che lo sguardo di lei si posasse da qualche parte lì intorno e riprese.

    «Abbiamo anche trovato il conducente del furgone. Morto stecchito. Anche lui nel cassone posteriore. Sgozzato da parte a parte, presumibilmente con un grosso coltello.»

    «Oh, merda! Non ci posso credere! Non può essere!» Sentì il viso contrarsi formando rughe profonde che sembravano essere state tracciate col vomere di un aratro. Si scosse tirando su lo sguardo. «Cristo Santo, capo, ma che cazzo succede?!»

    «Purtroppo, non lo so, Reby. Non ne ho la più pallida idea.»

    Il trillo del telefono spezzò l’interrogativo e il silenzio che si era creato.

    «Pronto?»

    Dopo alcuni istanti di una conversazione che procedeva a monosillabi, il dirigente chiuse la telefonata e si alzò di scatto.

    «Okay Rebecca, preparati, dobbiamo andare. Hanno confermato le impronte.»

    I due uscirono dagli uffici della Direzione Generale Anticrimine della Polizia di Stato a sirene spiegate e raggiunsero la strada provinciale 12b, che costeggia il lago di Bracciano, addentrandosi poco dopo in una via sterrata tra le località di Anguillara Sabazia e Trevignano Romano, a ridosso del parco regionale. Il cordone istituito dalle forze dell’ordine appariva imponente fin dai primi metri.

    Sebbene l’auto del dirigente facesse fatica a farsi strada tra rovi spinosi, avvallamenti che sembravano scavati dagli artigli di grossi animali e personale al lavoro, i due riuscirono a parcheggiare non molto distante dal luogo del ritrovamento. Senza esitare scesero avvicinandosi al furgone, quando un giovane in divisa gli si parò davanti. Appariva ancora visibilmente turbato e faceva fatica a trovare le parole e a dare un senso alla frase che apparisse logico. Sulle spalline spiccavano i gradi di assistente di polizia.

    «Buongiorno signor questore,» tentennò «le devo subito dire che in vita mia non mi è mai capitato di vedere niente di simile.»

    «Okay, ora cerca di calmarti e raccontami che cosa abbiamo.»

    Dopo aver ingoiato i residui di vomito che ancora gli sporcavano i lembi delle labbra, il giovane respirò a fondo e riprese.

    «La vittima si chiamava Riccardo Pagnotti, romano, 47 anni. Piccoli precedenti per spaccio, sfruttamento della prostituzione e atti di libidine.» Si concesse una minuscola pausa. «Per cominciare, gli hanno aperto la gola in due come fosse un cocomero.»

    Stava balbettando e sudando visibilmente per lo sforzo.

    «Va bene così, per ora è sufficiente. Andiamo a dare un’occhiata.»

    L’esitazione e la smorfia di agitazione che segnò il viso del giovane lo innervosirono vistosamente ma l’arrivo del dottor Spina tolse tutti dall’imbarazzo.

    «Ciao principessa.» Sorrise appena, quindi tagliò corto andando dritto al punto. «Brutta, bruttissima faccenda, capo. Gli hanno tagliato la gola nel bel mezzo di un rapporto sessuale, probabilmente nell’acme dell’eccitamento, poi hanno aspettato che morisse dissanguato e alla fine, per ringraziarlo, con lo stesso coltello gli hanno asportato i testicoli infilandoglieli in bocca.»

    «Oh, merda!»

    Rebecca non disse nulla ma sentì la contrazione del suo stomaco provocarle un flusso acido che le riempì il petto fino a bloccarle del tutto il respiro.

    Una volta terminato il breve racconto e senza perdere altro tempo, i tre si avvicinarono al furgone stando attenti a rispettare i numerosi segni tracciati sul terreno e fermandosi appena fuori dell’abitacolo.

    La scena che si presentò davanti ai loro occhi era orribile. Il corpo, disteso sul piano del mezzo, sembrava galleggiare in un invaso di sangue nonostante una coperta fina lo dividesse dal metallo, mentre la gola presentava un taglio scuro e profondo che pareva penetrare nel collo dello sventurato per quasi i due terzi del diametro. Si potevano notare senza fatica brandelli di carne sanguinolenti e monconi di vene apparire ai margini della lacerazione. Gli occhi erano rimasti vivi e sbarrati, probabilmente a causa dell’incapacità di comprendere che cosa stesse accadendo nella confusione delle emozioni simultaneamente provate mentre, dalla bocca rimasta forzatamente aperta, spuntavano masse scure dalla forma ovale ricoperte di sangue solidificato. L’uomo indossava ancora i vestiti, laddove i jeans erano rimasti abbassati all’altezza delle cosce insieme alle mutande. Poco più in alto si poteva distinguere l’orrenda mutilazione subita dal suo organo genitale. Infine, appoggiato in un angolo, spiccava dell’abbigliamento intimo femminile mentre tracce di mani insanguinate dipingevano i laterali e la portiera del mezzo.

    Per alcuni istanti, il silenzio che fuoriusciva da quell’immagine si andò a confondere all’odore rivoltante del sangue che si propagava nell’aria, rendendo così la scena una fotografia surreale a quattro dimensioni. Il medico legale riprese la parola.

    «Adesso tenetevi forte. Dagli indizi ritrovati, dalla posizione del cadavere e dalla inclinazione della lama devo ritenere che l’autore di questa efferatezza sia una donna. Per cui è più probabile che il coltello usato non possa essere di quelli di uso comune. Ci sarebbe voluta troppa forza.» Si prese un tempo per riflettere. «Di primo acchito, potrei azzardare uno del tipo usato nella caccia grossa. Riescono a squartare intere parti di animali come si trattasse di carta velina. Il taglio mi è sembrato plausibile. Comunque, vi darò presto una conferma.»

    Prima che i presenti potessero lasciarsi sopraffare dallo stupore, un componente del gruppo E.R.T., Esperti nella Ricerca delle Tracce sulla scena del crimine, si era avvicinato a loro togliendosi la mascherina e abbassandosi il copricapo della tuta in tessuto bianco. Attese che il medico terminasse di esporre le sue conclusioni e ne approfittò per salutare.

    Paolo Gilardini tagliò corto. Il suo viso sembrava riempirsi di pieghe alla stessa velocità dei minuti che scorrevano sul quadrante del suo orologio.

    «Tu che mi dici, D’Ambrosio? Si tratta di una donna?»

    «Direi che ci sono buone possibilità che lo sia. Peso e altezza media. Più o meno uno e sessantacinque per circa 60 chili. Il tipo di capelli, insieme alla lunghezza e alla profondità e tipologia delle impronte trovate sul terreno non lasciano molti dubbi in proposito, così come il materiale organico depositato sul corpo di questo poveraccio. Le daremo le eventuali conferme appena effettuate le analisi, ma vedrà che non ci siamo sbagliati di molto.»

    Paolo Gilardini scosse lentamente la testa come se pesasse una tonnellata.

    «Cristo Santo, ma quale donna può essere così psicopatica da spingersi fin qui, scoparsi un uomo, tagliargli la gola proprio mentre raggiunge l’orgasmo e poi ficcargli in bocca le proprie palle?» Si fermò solo il tempo di riprendere fiato. «E qualcuno mi saprebbe dire che cazzo c’entra tutto questo casino col sequestro di poveri bambini innocenti? E anche, sempre che non chieda troppo, raccontarmi che fine avrebbe fatto questa maniaca strafatta?! Non sarà mica svanita nel nulla, suppongo. Con tutto il sangue che c’è in giro e che avrà avuto addosso, non sarà di certo stata nella condizione di salire su un taxi o su un pullman di linea come se niente fosse. O dico forse stronzate?!» L’intensità della voce aveva cominciato ad aumentare progressivamente all’incedere delle parole e alla fine si era trasformata in vere e proprie urla.

    «Per il momento possiamo solo avanzare l’ipotesi che avesse almeno un complice.» D’Ambrosio era stato talmente conciso e tempestivo con quell’intervento da bloccare i pensieri di tutti all’unisono. Proseguì senza incertezze. «In quella zona laggiù, abbiamo trovato le impronte di un'altra vettura sovrapposte a quelle del furgone.»

    «Oh, cazzo! Di male in peggio!»

    «È sceso solo il guidatore. Indossava scarpe con suola in gomma e questo rende più difficili le verifiche. Ma ciò non significa che non ci possano essere stati altri complici ad aspettare all’interno dell’auto o da qualche altra parte.»

    Quasi allo stesso modo di un attore in attesa del momento più propizio per entrare in scena, un uomo si avvicinò al gruppo col l’identica famelica eccitazione di una iena davanti a un cadavere putrefatto. Tito Agricola aveva poco meno di una sessantina d’anni, ma ne poteva dimostrare indifferentemente quaranta o cento. Il naso aquilino si muoveva nell’aria come se fosse sempre alla ricerca del tipico tanfo emanato da una tragedia, così da poterla riportare sulle righe del suo giornale. Le labbra apparivano perennemente umide.

    Tra i suoi colleghi era quello che riusciva ad arrivare immancabilmente per primo sulle scene dei delitti più efferati. Si trattava di un essere a dir poco ripugnante, non c’era che dire, ma sapeva fare molto bene il suo mestiere. In più occasioni le sue indagini avevano portato alla scoperta di indizi utili alla conclusione di casi apparentemente insolubili. Ed era per questo motivo che le autorità tendevano a tollerarne la presenza.

    «Buongiorno, comandante. A giudicare dal numero delle menti pensanti presenti, potrei dedurre si tratti di un caso piuttosto interessante.» Nel sorriso che seguì, sgranò gli occhi. Parevano due sputi in una terra rossastra.

    «E a te chi cazzo ti ha lasciato passare?! Giuro che se scopro chi ti fa le soffiate lo mando a dirigere il traffico.»

    «Via, questore, non faccia così. In fondo noi giornalisti non siamo altro che la migliore cassa di risonanza che abbiate per dare una spintarella alle vostre carriere. Non si dimentichi che per voi rappresentiamo pubblicità pura, e per giunta gratuita.»

    «Salvatore!» Chiamò l’assistente che per primo gli era andato incontro. «Porta via questo nostro illustre benefattore e tienilo lontano da qui finché non abbiamo finito.»

    Si prese una brevissima pausa.

    «Ritieni di farcela o pensi di dover andare a vomitare nei prossimi minuti?» Ogni volta che si trovava di fronte a un caso difficile, l’umore del dirigente tendeva a peggiorare in proporzione al ritrovamento di elementi che ne complicavano la soluzione. In questa occasione avevano raggiunto il livello massimo e le grinze del suo impermeabile sembrava si fossero adeguate a quelle che ne avevano riempito il volto. Molte volte l’ironia dei suoi subalterni era arrivata a dubitare che il tessuto del soprabito fosse un’unica, lunga escrescenza della sua pelle.

    «Ciao dolcezza, temo di dover andare.» Disse il giornalista rivolgendosi a Rebecca e sfiorandola con uno sbuffo d’alito che sapeva ancora di whisky. «Ma perché non ti metti in proprio e ti unisci a me invece di tenere le tue belle chiappe sempre attaccate alle gonne del tuo paparino?»

    «E tu perché non vai a farti fottere?»

    Per niente colpito dall’insulto, l’uomo si riempì la bocca con un sorriso beffardo.

    «Sono convinto che con te, anche questa diventerebbe un’esperienza esaltante. Chiamami quando avrai deciso di sfidare la mia fragile mascolinità. Il mio numero dovresti ancora averlo da qualche parte.»

    Dopo l’interruzione, il vice questore Gilardini riprese la parola subito dopo essersi acceso una sigaretta.

    «Quindi, per riepilogare, come si sarebbero svolti i fatti secondo te?» Chiese rivolgendosi al vice ispettore D’Ambrosio.

    «Non c’è molto da dire, signore. Dopo aver parcheggiato, i due sono scesi. L’uomo si è diretto verso quell’albero a orinare mentre la donna si portava sul retro del furgone entrando nel cassone per andarsi a preparare. Una volta portato a termine questo scempio, lei deve aver cercato di darsi una pulita dal sangue con quegli stracci che sono lì in terra, ha atteso l’arrivo del complice e insieme sono saliti in auto e se la sono svignata. Devono essersi avvicinati esattamente in quel punto,» specificò indicando un marcatore numerato appoggiato sul terreno a circa cinque metri dal veicolo, «e poi hanno proceduto insieme fino all’auto.

    «E dei bambini, nessuna traccia?»

    «Niente di niente.»

    «È plausibile che possano averli presi in braccio avviandosi successivamente verso il lago?»

    «Stiamo ancora verificando, ma al momento non abbiamo trovato alcun elemento che ci conduca in questa direzione.»

    Rifletté.

    «Ora presumibile della morte?» Chiese rivolgendosi di getto al dottor Spina.

    «Per ora potrei dirti tra le tre e le quattro del mattino. Ti darò conferma dopo l’autopsia.»

    «Quindi potrebbero averli fatti sparire prima di combinare tutto questo gran casino. Ci sarebbe stato tutto il tempo. Salvatore!» Chiamò urlando e procedendo come si trattasse di un unico pensiero. «Manda una squadra di sommozzatori a perlustrare il lago. Se i ragazzini sono morti voglio saperlo subito.»

    Al sopraggiungere di quella tragica possibilità, la pausa si creò spontaneamente.

    «C’è altro che devo sapere?»

    Il sovrintendente dell’E.R.T., Alfredo Morici, s’affrettò a intervenire sperando di non essere investito dalle grida di una reazione violenta.

    «Abbiamo trovato due taniche di benzina sotto il sedile del passeggero. Erano ancora piene ed è inutile aggiungere che il furgone è alimentato a gasolio.»

    «Aspetta un momento» lo incalzò Gilardini. «E questo adesso che cazzo significa?»

    Nessuno si azzardò a rispondere.

    «Stai forse dicendo che questi due malati mentali avevano deciso in precedenza di dare fuoco al mezzo?! Ma se così fosse, allora perché lei ha fatto fuori il suo complice lasciandoci poi tutto a disposizione? Cristo, se continua in questo modo, finisce che divento pazzo anch’io!»

    «Forse una trappola.» L’intuizione di Rebecca ebbe l’effetto di catalizzare tutti gli sguardi su di sé. Attese un paio di secondi e riprese. «Probabilmente il modo più semplice per condurre la vittima in questa zona appartata e ucciderlo a proprio piacimento senza destare sospetti.»

    «E perché, poi, non bruciare tutto come pianificato?»

    «Con ogni probabilità perché hanno ritenuto che non ce ne fosse bisogno. Evidentemente i nostri psicopatici amici sono convinti del fatto che non si possa risalire a loro. Saranno di certo incensurati, sono pronta a scommetterci. In ogni caso, direi una prova di forza o, quantomeno, un atto di presunzione.»

    Trascorsero altri minuti e al termine del conciliabolo successivo, il vice questore Gilardini si allontanò dal gruppo dopo essersi acceso

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