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101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita
101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita
101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita
E-book376 pagine3 ore

101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita

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Info su questo ebook

Tra storie, curiosità e leggende metropolitane, ecco a voi 101 itinerari che vi sveleranno il volto inedito di New York. Quella dei fumetti di Spiderman, delle gonne svolazzanti e dei tacchi a spillo di Sex and The City, o quella dell’elegante Audrey Hepburn di Colazione da Tiffany: non esiste angolo di questa città che non sia stato fotografato, filmato, descritto nei versi di una canzone o nelle pagine di un romanzo. Palcoscenico naturale dalle mille anime, la città che non dorme mai è simile a un’allucinazione. Potete passeggiare teneramente mano nella mano a Central Park e poi gustare una raffinata creazione culinaria a Dumbo, sfoggiare i vostri acquisti d’alta moda sulla Quinta Avenue e poi prendere parte a uno stravagante party nell’eclettico Meatpacking District, godervi le visionarie performance sulla spirale del Guggenheim Museum o stupirvi di fronte alle trovate degli artisti di strada che si esibiscono sotto la metropolitana. Che preferiate stare a naso in su a Manhattan a contemplare il Chrysler Building, oppure seduti su una panchina a Brooklyn Heights ad ammirare i grattacieli da lontano, che decidiate di esplorare i sotterranei della Grande Mela alla luce di una torcia o di vivere i quartieri della città più multietnica al mondo, questo è il libro che fa per voi. Una New York tutta da scoprire, in 101 imperdibili esperienze.

New York come non l'avete mai vista!

Ecco alcune delle 101 esperienze:

Cercare i propri antenati a Ellis Island
Contemplare New York al tramonto dalla terrazza dell’Empire State Building
Ruotare il gigantesco cubo di Astor Place
Festeggiare il Capodanno cinese a Chinatown
Pattinare al Rockefeller Center
Girare tra i Flea Markets del Lower East Side durante il weekend
Scatenarsi al Radio City Music Hall
Passare una notte nella stanza di Dylan Thomas al Chelsea Hotel
Andare in kayak sullo Hudson River
Fare una corsa sull’ottovolante di Coney Island
Scoprire l’arte contemporanea al Whitney Museum


Gianfranco Cordara

vive tra Milano e New York, è giornalista e sceneggiatore. Nel corso degli anni si è dedicato alla scrittura creativa come autore di fumetti, cartoni animati, fiction televisive e saggi. È docente del corso di Scrittura del fumetto presso l’Università Cattolica di Milano. Attualmente è Global Creative Director, responsabile dello sviluppo di progetti editoriali e digitali.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854134195
101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita

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    Anteprima del libro

    101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita - Gianfranco Cordara

    INTRODUZIONE

    Ci sono cinque cose da sapere su New York.

    New York è una vertigine.

    In qualsiasi direzione la si osservi, questa città sfugge al controllo dello sguardo: che gli occhi corrano attraverso il canyon di Fifth Avenue o si alzi il naso fino alla cima argentata del Chrysler Building, che ci si volti verso gli infiniti quartieri residenziali del Queens o si giri la testa verso la ragnatela di cemento del New Jersey, che ci si avventuri con una torcia nei suoi tormentati sotterranei o si passeggi teneramente mano nella mano a Central Park, New York è più simile a un’allucinazione che a una città.

    Ma la vertigine diventa insostenibile se provi a guardarci dentro: la sua geografia umana è enigmatica come la ricerca del Graal. Ogni boroughs, ogni quartiere, perfino ogni blocco di New York rappresenta un’entità autonoma che rispecchia nello stesso tempo il tutto della città. A volte, ritornando a New York, si ha l’impressione che lo spazio si sia modificato, come se esistesse una dimensione che lo rende imponderabile: una strada che si ricordava più larga ora è più stretta oppure il quartiere coreano ha lasciato il posto a quello etiope.

    E c’è una sensazione che non puoi mai toglierti di dosso: che New York sia troppo alta per essere vera. Il torcicollo dei primi giorni lentamente diventa un’abitudine, un ritorno all’infanzia, quando si camminava sempre con il naso all’insù: ma il nostro cervello non riesce ad abituarsi all’idea che possano esistere palazzi che sfidano il cielo con tanta noncuranza. Così tanti, e così vicini.

    New York è una vertigine. Buttate via le mappe e le guide turistiche, quindi. Non vi serviranno.

    New York è esattamente come la immaginate.

    Anche se non ci siete ancora stati, New York l’avete già vista. Fantasia e realtà qui si confondono: non esiste angolo di questa città che non sia stato fotografato, filmato, descritto nei versi di una canzone o nelle pagine di un romanzo. E, per uno strano gioco di specchi, sembra che la New York dei film di Woody Allen si rifletta in quella dei fumetti di Spiderman e in ogni altra New York possibile: una sovrapposta all’altra, e tutte invariabilmente vere.

    Questo genera nei visitatori poco accorti strani effetti di déjà vu: padri che trascinano la famiglia fino a Coney Island sulle tracce dei guerrieri della notte, fidanzate che abbandonano i compagni davanti al MoMA e si rifugiano da Manolo Blahnik per sentirsi Carrie Bradshaw per un po’, stormi di liceali in gita scolastica che si accalcano sulle gradinate del Met a mangiare yogurt come Blair e Serena, le protagoniste di Gossip Girl. New York è il gigantesco set cinematografico del nostro immaginario collettivo: qui le categorie di vero e falso si mescolano, si confondono e si annullano.

    Come cantava Frank Sinatra, «se ci riesci qui, puoi riuscirci ovunque»: e questa è l’unica cosa sensata da fare appena si arriva. Scegliere il proprio copione, calarsi nella parte e aspettare che le quinte di Broadway si aprano, le luci del palcoscenico ci investano, il rumore del pubblico faccia partire l’adrenalina della prima canzone. Anche se si rimane per un solo weekend.

    New York la conoscete già. Provare a visitarla è inutile, si può solo viverla.

    A New York il tempo non esiste.

    Che passiate un weekend con vostra moglie, una settimana con i figli o un mese da soli alla ricerca di voi stessi, vi renderete conto che per qualche misterioso motivo la vostra percezione del tempo sarà sconvolta e ribaltata. Niente triangolo delle Bermude, con orologi che impazziscono o effetti di deriva tangenziale da velocità della luce, no, una cosa semplice che io chiamo le Tre leggi del tempo di New York.

    La prima legge dice che a New York è temporalmente tutto possibile: ci sono giorni in cui potrete visitare quattro musei in una mattina e altri in cui per attraversare il Greenwich Village farete notte. Non cercate una spiegazione. Adeguatevi.

    Per quanto il vostro soggiorno possa durare, la seconda legge dice che vi sembrerà di essere arrivati ieri e di andarvene domani. E questo per tutti i giorni in cui sarete lì. Come se New York non vi volesse veramente trattenere e vi ricordasse in ogni momento che siete solo di passaggio.

    Ma la terza legge è quella che preferisco: appena lasciata New York, vi sembrerà di esserci stati per tutta la vostra vita e, nello stesso tempo, di non aver visto nulla. Vi renderete conto di aver perso almeno metà delle cose che vi avevano consigliato, ma sarete in grado di consigliarne altrettante di cui nessuno avrà mai sentito parlare.

    A New York il tempo non esiste, perché New York, in fondo, è viva. E il tempo le scorre nelle vene come a noi mammiferi scorre il sangue.

    New York non è l’America.

    E questa è la quarta cosa da tenere bene in mente. Se andate a New York, evitate di dire di essere stati in America: se gli Stati Uniti sono una regola, questa città è l’eccezione. New York non si sente americana, così come non ostenta le sue radici europee e non coltiva il suo futuro asiatico e latinoamericano.

    Per questo è odiata dal resto dell’America almeno quanto è amata dal resto del mondo. È l’unica città al mondo che è uguale solo a se stessa. La mia New York sarà diversa dalla vostra New York, da quella del vostro compagno o di vostro padre: non ho mai sentito due persone dire la stessa cosa di questa città, eppure tutti, dopo esserci stati, comprendono la sua anima come se fosse un segreto che non si può condividere nemmeno tra iniziati.

    È una città facile che si apre a tutti, ma non si concede davvero mai a nessuno. Ed è una città difficile: l’unica città americana in cui la Fifth Avenue non è dopo la Fourth Avenue. Una città in cui nessuno vi darà l’indicazione giusta, ma tutti si offriranno di accompagnarvi fino a dove dovete andare. Una città che non chiede passaporti o raccomandazioni: arrivate, fate quello per cui siete venuti e andatevene.

    New York non è l’America. Se la volete davvero, noleggiate una macchina e attraversate il Lincoln Tunnel. L’America inizia nel New Jersey. Ma questa è un’altra storia.

    Ma ora basta parlare. È ora di iniziare il nostro viaggio: 101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita. L’ordine non conta, dovreste averlo già capito, ma lo spirito con cui le affronterete sarà decisivo. Come dite? L’ultima cosa da sapere? Be’, quella la scoprirete leggendo.

    G.C.

     1.

    Cercare i propri antenati a Ellis Island

    Dove: Ellis Island Immigration Museum (vaporetto da Battery Park).

    Quando: una giornata di pioggia.

    Con chi: soli.

    Colonna sonora: Immigrant Song, Led Zeppelin.

    Immaginate di aver passato due settimane nella cabina di terza classe di un transatlantico: e dimenticatevi che ci fosse DiCaprio a farvi compagnia. Improvvisamente, una mattina, la nebbia si dirada e dall’oblò delle latrine intravedete la Statua della Libertà. La porta dell’America si spalanca di fronte a voi: tutti i vostri sogni, chiusi in una valigia di cartone, improvvisamente stanno per aprirsi… quando la nave svolta leggermente a destra e attracca in un’isoletta vicina a Lady Liberty. Benvenuti a Ellis Island. Il vostro incubo è appena cominciato.

    Per più di cinquant’anni, dal 1892 al 1954, questo palazzo marroncino e bianco, insieme alle catapecchie che lo circondavano, è stato la soglia d’ingresso negli Stati Uniti. Quindici milioni di immigrati sono passati attraverso l’Isola delle lacrime e, oggi, almeno un terzo degli americani possono rintracciare le loro origini nei poderosi archivi digitali che sono a disposizione dei visitatori.

    Ellis Island, nei ricordi di chi ci è passato, è simile a un girone infernale, nel quale solo i più forti sono riusciti a sopravvivere: come se la nascita di una nazione avesse bisogno di una mitologia di sangue da cui fare emergere il futuro. Ma la realtà, per una volta, è diversa dalla leggenda: il tempo di passaggio medio variava da due a cinque ore (più o meno gli stessi tempi che ci vogliono all’Immigration del JFK nelle ore di punta…), e solo il 2 per cento degli immigranti furono rimandati indietro, quasi sempre per motivi di salute molto gravi.

    Ellis Island era una porta aperta per tutte quelle anime stanche che sognavano di ricostruire una vita nella terra delle opportunità: ogni oggetto che vedrete nella Baggage Room è un pezzo di memoria, in cui la Storia si incrocia con le tante piccole storie degli immigranti, che avrebbero fatto grande questa nazione.

    Scorrete i nomi della Registry Room, per cercare i vostri antenati, o solo qualcuno che porta il vostro stesso cognome: oppure leggete semplicemente i nomi delle persone, delle navi, le date d’arrivo, e liberate la fantasia, aprite la mente e ascoltate le voci che arrivano dai duecentomila nomi scritti sull’American Immigrant Wall.

    Perché quello che sentirete, girando per i corridoi e i grandi stanzoni dell’Immigration Museum, non è la disperazione: è una grande tristezza per il mondo che ci si lasciava alle spalle, unita al gusto unico della speranza per quello che si sarebbe trovato poco più in là, a Manhattan, l’isola in cui tutto era possibile.

     2.

    Atterrare al JFK e passare in fretta l’Immigration

    Dove: Queens.

    Quando: arrivando e partendo da New York.

    Con chi: compagni di viaggio.

    Colonna sonora: Leaving On a Jet Plane, John Denver.

    La prima volta in cui sono atterrato al JFK era anche la prima volta che mettevo piede in America. E il JFK era l’America, anche se solo per quattro ore, il tempo di prendere un volo per San Francisco. Ma il primo aeroporto di New York è spesso il porto di entrata privilegiato per tutti i turisti che arrivano negli Stati Uniti e sono costretti a passare sotto le forche caudine della temutissima Immigration , una moderna Ellis Island con aria condizionata e rilevatori di impronte digitali.

    Nel momento in cui scenderete dall’aereo, dovrete avere pronti tre fondamentali documenti:

    - un passaporto con microchip elettronico che potrete ottenere seguendo le indicazioni dell’ufficio passaporti della questura di vostra competenza;

    - l’ESTA, ovvero l’Electronic System for Travel Authorization, un documento che vi consentirà di evitare il visto, a patto che arriviate a New York per turismo o per affari, con un biglietto di ritorno già emesso e con l’intenzione di rimanere meno di novanta giorni;

    L’ESTA costa quattordici dollari e si può tranquillamente acquistare online con carta di credito al sito ufficiale del governo americano, https://esta.cbp.dhs.gov/esta/. Ha due anni di validità. Ricordate di portare con voi una copia o semplicemente il numero di registrazione;

    - il foglietto blu che vi sarà dato in aereo per le formalità doganali. Compilatelo in anticipo e, se avete dubbi, chiedete al personale di assistenza.

    Una volta scesi, preparatevi a una delle code più lunghe e meglio organizzate della vostra vita: una trentina di diversi box di accesso, disciplinati da lunghi serpentoni divisori e da burberi agenti della dogana che vi terranno ordinati e organizzati come i cowboy facevano con le mandrie nelle pianure.

    Scordatevi di essere italiani. Niente cellulari: anche nel remoto caso in cui prendessero, sono vietati. Niente tentativi di passare da una fila all’altra. Niente impazienza, alzate di voce o schiamazzi vari. Portatevi da leggere o chiacchierate tranquillamente con il vostro compagno di viaggio.

    Poi, una volta ritirati i bagagli e passata la dogana, finalmente potrete dirigervi verso la città.

    Avete tre opzioni: lo shuttle del vostro hotel o una limousine (ma dovrete averli prenotati prima), la metropolitana (aggiungete almeno altre due ore al vostro piano di viaggio), oppure un classico cab newyorkese, il mitico taxi giallo, che per quarantacinque dollari vi porterà a Manhattan. Chiedetegli di prendere la 495, la strada che attraversa il Queens e che, a un certo punto, sbuca davanti allo skyline più famoso del mondo, con l’Empire State Building che emerge altezzoso al centro.

    Senza questo rito, io non mi sento di essere arrivato a New York.

     3.

    Fotografare la Statua della Libertà dal traghetto per Staten Island

    Dove: New York South.

    Quando: pomeriggio.

    Con chi: amici.

    Colonna sonora: Freedom, Wham!

    La Statua della Libertà è una metafora fatta di pietra e metallo: simbolo dell’America, di New York, di un sogno, un progetto, un miraggio che uomini di mondi diversi provavano a ricreare in una terra nuova. La Statua della Libertà che illumina il mondo, questo il vero nome di Lady Liberty , dal 28 ottobre 1886 fa bella mostra di sé al centro della baia, più piccola di come la potreste immaginare, di fronte agli sterminati grattacieli di Manhattan.

    Alla sua base, una poesia di Emma Lazarus incisa nella pietra vi farà venire la pelle d’oca: «Datemi le vostre stanche, povere e confuse genti, che anelano a respirare la libertà». Una dichiarazione di intenti che fa il pari con la dichiarazione di indipendenza scritta nel libro stretto nella mano sinistra.

    Nella destra, ovviamente, la leggendaria fiaccola, che proietta la luce della libertà, ai piedi la catena spezzata della tirannia, sulla corona i sette raggi che rappresentano i sette continenti.

    Tutto in Lady Liberty è simbolico, e retorico, in qualche modo: e non si può capire che cosa significhi a meno di ricordare che gli Stati Uniti sono l’unica nazione moderna figlia di una rivoluzione. Francia e Russia, le altre due grandi culture rivoluzionarie, sono passate attraverso fasi di reazione che ne hanno placato lo spirito messianico. Gli Stati Uniti no.

    Parlate con qualsiasi americano e lo spirito dei minutemen (il nome dato ai membri della milizia delle colonie americane, che dovevano essere pronti per la battaglia con un preavviso di un minuto) è ancora lì: la voglia di cambiare il mondo e farne un posto migliore non è finita con Washington e Jefferson.

    Avete due possibilità per vedere Lady Liberty, rimasta chiusa per anni dopo l’attentato dell’11 settembre: il tour organizzato dal National Park Service, che vi porterà in traghetto da Castle Clinton fino a Liberty Island per tredici dollari. Avrete anche la possibilità di prenotare per salire sul piedistallo, il limite è di tremila persone al giorno, e addirittura fino alla corona, dove il limite è di sole duecentoquaranta persone. Insomma, se siete davvero interessati a vivere l’esperienza della libertà dovrete organizzarvi bene, e per tempo.

    Se invece siete arrivati all’ultimo minuto e quello che vi interessa è solo uno scatto ravvicinato con la vostra macchina fotografica, allora avete un’alternativa completamente gratuita. Andate al Whitehall Terminal, zona sud di Manhattan, e prendete lo Staten Island Ferry, il traghetto che collega le due isole di New York. Non costa nulla e passa di fronte a Lady Liberty. Fate questo breve viaggio nel pomeriggio, per vedere la statua illuminata dalla calda luce del tramonto. E capirete come un simbolo può diventare il collante che tiene insieme una nazione…

     4.

    Aggirarsi tra le misteriose lapidi del cimitero della Trinity Church

    Dove: 205 Hudson Street.

    Quando: mattina presto.

    Con chi: amico appassionato di storia.

    Colonna sonora: Yeat’s Grave,

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