L'ultima lettera di Einstein
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Tre storie intersecate grazie a dei viaggi astrali, narrate da Dunia, una donna della nostra epoca che nasconde un segreto fin dall’infanzia: quello di essere in contatto con altre due realtà femminili in diverse rappresentazioni temporali. Durante un viaggio a Stonehenge nel 2019 riceve un forte messaggio e, finalmente, accetta di rivelare quello che sa da sempre.
Dymfna è una sacerdotessa druida nel 54 a.C. durante lo sbarco di Cesare in Britannia. Vive una travolgente e pericolosa storia d’amore con un centurione, Flavio Aurelio, risvegliando in lui una conoscenza sopita e forzando la naturale evoluzione degli eventi.
Deena è una ricercatrice e abita il futuro distopico del 2190, dove la comunicazione è cerebrale, si vive sottoterra al riparo dal sole malato e l’alimentazione di sintesi poiché nulla nasce più sul pianeta, depauperato dalle generazioni precedenti. Viene coinvolta nel Progetto Connaissance, ultima possibilità di salvare la Terra, dall’uomo che ha amato e dal quale si è dovuta allontanare. Con lui dovrà collaborare per tradurre dei documenti inediti di Albert Einstein sui viaggi nel tempo, in una continua lotta tra sentimento e ragione.
Il romanzo racconta i percorsi individuali delle tre donne, inevitabilmente interconnessi, ma anche legati al senso di responsabilità del genere umano per la salvaguardia del pianeta.
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Anteprima del libro
L'ultima lettera di Einstein - Daniela Cicchetta
Tavola dei Contenuti (TOC)
Introduzione di Paolo Restuccia
Dunia – Stonehenge – anno 2019
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
Deena – Parigi – anno 2190
Dunia – Roma – oggi
Deena – Parigi – anno 2190
Daria – Roma – oggi
Deena – Parigi – ora
Dunia – Roma – ora
Deena – Parigi – ora
Dunia – Roma – ora
Deena – Parigi – ora
Dunia – Roma – ora
Dunia – Roma – ora | Deena – Parigi – ora
golem
daniela cicchetta
l'ultima lettera
di Einstein
©
2022
Miraggi edizioni, Torino
www.miraggiedizioni.it
In copertina: Insieme, disegno di Valentina Di Noia.
Progetto grafico Miraggi
Finito di stampare a Borgoricco (PD) nel mese di maggio
2022
da Logo srl per conto di Miraggi Edizioni
su Carta da Edizioni Avorio Book Cream
80
gr
Prima edizione digitale: maggio
2022
isbn
978-88-3386-218-7
Prima edizione cartacea: maggio
2022
isbn
978-88-3386-219-4
Ora egli è dipartito da questo strano mondo
un po’ prima di me. Questo non significa nulla.
La gente come noi, che crede nella fisica, sa che la differenza tra passato,
presente e futuro è solo una persistente e testarda illusione.
Albert Einstein
Ascoltami, c’è voluto
mezzo secolo di vento
per mettere insieme
quello che ti sto
dicendo.
Franco Arminio, Cedi la strada agli alberi
Questo libro è dedicato a te.
Introduzione di Paolo Restuccia
Il libro che hai in mano può essere letto in diversi modi. Come un romanzo d’avventura che si sviluppa lungo tre epoche, come la storia di alcune donne in misteriosa sintonia tra loro o come una profezia sul nostro futuro.
La storia si muove da Stonehenge poi si sviluppa tra la Britannia esplorata dagli antichi romani, il nostro tempo presente e la Parigi del 2190. Storia, attualità e fantascienza si uniscono in queste pagine attraverso una narrazione capace di farci sospendere l’incredulità e accettare le sorprendenti visioni che s’intrecciano nella trama.
Sullo sfondo si staglia la figura di un geniale scienziato del xx secolo. A un certo punto della storia umana la scienza, la cultura umanistica e l’antica sapienza esoterica sembrarono cominciare ad avvicinarsi intorno al pensiero di Albert Einstein. Più che dalle sue teorie, che rimasero comunque accessibili solo agli studiosi, tutti noi siamo stati conquistati dalle conseguenze che sembravano avere sulle nostre idee, sulla concezione del tempo, sulla visione del mondo.
Per leggere L’ultima lettera di Einstein non hai bisogno comunque di conoscere la relatività, la teoria delle stringhe o la fisica quantistica. Ti basta essere abbastanza sensibile da comprendere che al di là del mondo apparente che tutti conosciamo potrebbe esistere una realtà più complessa che tiene insieme temporalità e percezioni diverse. E sono innumerevoli i riferimenti nell’immaginario che possono venirti in mente, dal Vagabondo delle stelle di Jack London a film come Interstellar e Matrix.
Se poi leggerai tra le righe, che in questo romanzo vengono scritte
da Einstein, allora potrai trarne perfino qualche insegnamento per il futuro.
Insomma Daniela Cicchetta ti guiderà in un viaggio tra mondi lontanissimi e attualità contemporanea, lasciati trasportare.
Dunia – Stonehenge – anno 2019
triangoloConfusa nella moltitudine, persa nell’ansia di arrivare al cerchio magico, mi guardai attorno. La pianura era avvolta nella nebbia; dall’orizzonte si sollevava un rumore di percussioni divenuto presto un mantra. Il freddo umido attraversava gli abiti all'alba di un solstizio d’estate che avrebbe superato i trenta gradi. Mi fermai, sollevai il copricapo color sacco e scaldai le braccia strofinandole come in una stretta.
Qualcosa sull’erba bagnata attirò la mia attenzione. Vicino ai miei piedi giaceva una piuma di corvo, nera quanto la notte. La conservai nella tasca del cappotto comprato la mattina al mercatino dell’usato di Shoreditch. In mezzo a quella confusione avevo sentito un richiamo e, tra abiti anni Cinquanta e camicie sbiadite dal sapore rivoluzionario dei Settanta, lo vidi appeso su una stampella solitaria. Incuriosita, avevo carezzato un cappotto di spugna pesante con disegni arcaici che evocavano qualcosa nella mia mente. Istintivamente lo avevo tolto dalla gruccia per indossarlo, guardandomi intorno con l’aria di chi sta facendo qualcosa di nascosto. Sembrava proprio della mia taglia; voltandomi in cerca di uno specchio incrociai lo sguardo di un uomo con i capelli lunghi e i lineamenti squadrati.
«Deve andare a Stonehenge, stanotte?» poi, senza attendere risposta: «Le sta bene».
L’avevo guardato fisso, «Quanto costa?», mi era uscito dalle labbra.
«Quello che vuole,» aveva risposto monocorde «è suo, lo sapevo già». Mettendolo in una busta di carta presa da dietro il bancone, me lo aveva consegnato senza contare i soldi stropicciati sfilati dalla tasca.
«Sarà una bella esperienza, vedrà.» Avevo annuito e me ne ero andata senza voltarmi, confusa.
Ora, in quella profonda umidità, il cappotto mi stava scaldando; più mi avvicinavo al punto d’incontro, più brividi inspiegabili attraversavano il corpo. Strinsi la piuma nella tasca e seguii al buio il sentiero tracciato da un’infinità di passi che avevano preceduto i miei.
Prima di arrivare al cerchio di pietre ne intravidi uno di erba più scura, sembrava tirato da un compasso tanto era perfetto nel curvare. Come misi i piedi all’interno, le labbra cominciarono a muoversi e la lingua prese a sbattere ripetutamente sul palato dando forma a un suono che sembrava un grido di guerra, o d’amore. Si voltarono a guardarmi, in quel luogo si assisteva a tutto, donne vestite di purezza, adornate sul capo da corone di fiori, guerriere dalle corna di rami, disegni antichi su volti pallidi, uomini che danzavano verso la meta. All’improvviso non vidi e non sentii più nessuno, camminai a passo spedito tagliando in due la folla. Le persone si fusero come burro morbido lasciandomi passare, non chiesi permesso né scusa a quelli che urtai nell’avanzare, decisa, intonando un canto che sapevo di conoscere. Lo sentivo implodere dentro profondendo un’indicibile serenità mentre arrivavo nel centro esatto della struttura megalitica.
Questo è quello che raccontò mio marito l’indomani, io non ricordavo nulla: il freddo, le ore d’attesa, le persone che mi circondavano. Non mi ero nemmeno resa conto del tempo trascorso, eravamo arrivati sul posto alle due, notte piena, e l’alba era sorta alle quattro e cinquantadue. L’unica cosa che rammentavo erano alcuni volti sparsi nella folla, occhi che avevo incrociato riconoscendoli, con i quali non avevo cercato un contatto fisico. Non era importante sapere a chi appartenessero ora, erano anime antiche disperse nella schiera di turisti richiamati da un evento che sarebbe stato riportato da tutti i media mondiali: l’alba del solstizio d’estate 2019 a Stonehenge. È così che parlarono di folklore, di antiche tradizioni, druidi e riti, di pietre posizionate a cerchio, nebbia, sole, di folli canti e percussioni incessanti, dell’odore della marijuana, di Hare Krishna, meditazioni in gruppo, delle buffe vestizioni.
Non parlarono di quello che avevo sentito. Nemmeno io ci riuscii, in verità, mi sembrava impossibile che tutto avesse trovato l’incastro in una sola notte. Come in un puzzle senza un’immagine di riferimento, vidi ogni più piccolo tassello adattarsi alla perfezione a un disegno che non avevo ancora compreso e che era sempre stato lì, sotto i miei occhi.
Avevo ricevuto già tanti messaggi, questo è vero, ma non ero mai riuscita a interpretarli presi singolarmente: ora quel cerchio sussurrava qualcosa che non faticavo a comprendere.
Tenni quel segreto per me, non volevo essere presa ancora per pazza, come quando a sette anni fui portata da uno strano medico che mi mise una calotta dalla quale uscivano tanti fili colorati, mentre guardavo i miei genitori e inghiottivo ciò che avevo cercato di condividere con loro.
Per paura di essere nuovamente fraintesa, quelle vite le avevo serbate gelosamente, erano cresciute con me, in uno spazio senza tempo dove potevo viaggiare da una all’altra.
Finalmente, in quel cerchio mi sentivo a casa.
Il sole apparve in mezzo ai tre monoliti centrali, la nebbia cercò di nasconderlo: la sua forza primordiale aprì un varco dissolvendo l’umidità per nascermi dentro, mentre i miei occhi cambiavano colore.
Dymfna – Britannia – anno 54 a.c.
triskelIl sibilo sottile della freccia perforò la densità della nebbia, l’uomo la sentì passargli accanto.
Provò a seguirne la traiettoria ma avvertì solo lo schiocco con il quale si conficcò in qualcosa di ravvicinato.
Volse rapidamente la testa perdendo lo sguardo nella coltre, la visibilità era quasi nulla, non ne conosceva la provenienza e non sapeva cosa fosse andata a colpire, forse aveva mancato il bersaglio. Forse il bersaglio era proprio lui.
I muscoli guizzarono reattivi e Flavio Aurelio impugnò istintivamente la spada, ma una fitta nell’incavo delle ginocchia lo fece cadere carponi. Cercò disperatamente un appiglio nei radi ciuffi d’erba mentre le mani gli slittavano in avanti, in quella che non sapeva essere solo l’attesa di un nuovo colpo, questa volta scagliato sulla schiena. Sprofondò con la faccia nella melma e sentì subito il peso di un piede all’altezza delle scapole.
Tentando di divincolarsi, mangiò terra e acqua e quando volse un poco la testa per scrollarla dal fango vide la sagoma di un serpente trafitto, il lungo corpo ancora si muoveva cercando di sfuggire a quella fine imminente. Il piede nemico si spostò con forza dalle scapole alla nuca affondandogli la guancia e l’occhio sinistro nel terreno, mentre le braccia si dimenavano in preda alla smania di afferrare la spada che qualche istante prima impugnava fiero.
La ritrovò quando si piantò minacciosa a pochi centimetri dal suo naso.
Immediatamente dopo avvertì qualcosa di ruvido circondargli i polsi e stringerli insieme, provò a far scivolare la corda aiutandosi con la poltiglia viscida che li ricopriva, ma ricevette un calcio nel fianco. Si contorse e prese a ruotare lateralmente sul corpo per cercare di allontanarsi da quella figura che non riusciva ancora a distinguere.
Gli bruciavano gli occhi, li teneva strizzati intravedendo una sagoma possente; i contorni si andavano delineando ma la sua mente non voleva proprio accettare quell’immagine: un mantello marrone, calzari di cuoio e una chioma fulva.
«Una donna!» urlò mentre si contorceva, contratto dal secondo calcio che lo presa in pieno addome. La tosse sembrò spaccargli la gola, così asciutta da rubargli il fiato, sputò un grumo di sangue incollato al palato, la mascella dolorante. Subito dopo svenne.
Quando riprese i sensi aveva la vista appannata, non riusciva a comprendere se si fosse risvegliato o se stesse sognando, nulla di familiare lo circondava: a fatica intravide un fuoco e una figura di spalle, tentò lentamente di sollevarsi ma una fitta e un conato di vomito lo costrinsero a ricadere dolorosamente sul tavolato.
Ansimando provò a scacciare un’ombra che vedeva avvicinarsi minacciosa, contrasse i muscoli del collo e arricciò i lineamenti in attesa di un dolore improvviso, ma percepì solo il fresco di una stoffa inumidita che lo detergeva dalla terra e dal sangue. Lo faceva con delicatezza, non poteva essere la