Matelda
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Matelda, ex promessa del nuoto degli anni ’40, trascorre la giornata del suo ottantaquattresimo compleanno dedicandosi alla preparazione della cena per la riunione di famiglia, ricorrendo a una cucina istintuale e ripercorrendo le fasi salienti della sua vita, inevitabilmente influenzate dalle trasformazioni sociali e culturali del secolo.
La sua passione per l’acqua, tre figli con i quali crescere in un’alternanza di desiderio di emancipazione e riconoscimento dei propri limiti, un marito a cui consegnare onestamente l’imperfezione del suo essere donna e moglie e, infine, una dirimpettaia detentrice di uno stile di vita ambito, saranno gli ingredienti base di una narrazione che porterà alla costruzione di un menù particolare.
Una storia coinvolgente che riconcilia le generazioni e che ci ricorda di come spesso si sia presuntuosi della propria giovane età o della propria saggezza e, magari, dimentichi o ignari della propria ribellione.
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Anteprima del libro
Matelda - Daniela Cicchetta
Tavola dei Contenuti (TOC)
Prefazione di Simon & The Stars
Matelda
Desideria
Pesce di Guerra
Federico
Dirimpettaia
La casa dei Limoni
La Parmigiana
Il pacco di Natale
Baby’s in black
Vittoria
Giuseppe
Milano
Giulia
Ma che freddo fa
Flavia
Le polpette al sugo
Società Romana di Nuoto
Disagi
Post it
2 Luglio 1994
Siamo noi
La Cena
Matelda
La magia di questa storia
Ringraziamenti
golem / romanzo
© 2017 Miraggi Edizioni
via Mazzini, 46, 10123 Torino
www.miraggiedizioni.it
Progetto grafico Miraggi
In copertina: Alessandra Salomone fotografata da Sergio Patamia
Finito di stampare a Città di Castello
nel mese di novembre 2017 da CDC Artigrafiche
per conto di Miraggi Edizioni
su Carta da Edizioni Avorio – Book Cream 80 gr
Prima edizione digitale: luglio 2018
isbn 978-88-3386-086-2
Prima edizione cartacea: novembre 2017
isbn 978-88-96910-33-2
Quelli che anticamente poetaro
l’età de l’oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro
(Dante Alighieri, Purgatorio, canto xxviii)
… non credere ai tanti tamburi di latta
del mondo normale,
se grideranno allo scandalo
mettiti a ridere perché sei speciale.
(Roberto Vecchioni, Due madri)
Prefazione di Simon & The Stars
Sin dalla prima volta che ho letto questa storia, mi hanno colpito moltissimo la sua delicatezza, la forza e la bellezza della sua protagonista e la grazia della scrittura.
Ma c’è anche un altro aspetto, molto più insolito se vogliamo, che mi ha toccato intensamente: la profonda e direi del tutto intuitiva comprensione del fattore tempo
.
Matelda ha 84 anni, e questa età mi ha fatto accendere immediatamente una lampadina. 84 anni, infatti, è il tempo necessario affinché il pianeta Urano compia un intero giro intorno al Sole. Allo stesso modo, nel nostro orologio interiore, 84 anni è il tempo che la lancetta-Urano impiega per percorrere l’intero quadrante con lo scopo di attuare il suo potenziale e tornare su se stessa pienamente espressa.
Urano è il simbolo dell’affermazione dell’unicità di ciascuno. È il Prometeo
dello Zodiaco, il titano che ruba il fuoco agli Dei per donarlo agli uomini elevandoli oltre la finitudine mortale
. In altri termini, è il simbolo interiore della liberazione dai limiti e dell’emancipazione da costrizioni e condizionamenti. È la parte incoercibile, geniale e creativa dentro ognuno di noi. C’è chi dice che siamo atterrati in questa dimensione per comprendere una determinata cosa e insegnarla agli altri e la natura del nostro Urano interiore racconta molto di questa cosa
.
Proprio per questo, 84 anni rappresentano una soglia di grandissima importanza nella vita di una persona. Certo, è la fase della maturità e della saggezza, ma c’è qualcosa che rende unica questa età, chi ha interpretato bene il senso della propria missione, chi ha seminato con cura e coltivato con amore, chi ha condiviso il frutto dei propri passi con i giusti compagni di vita, vede senza veli il senso profondo del percorso fatto attraverso la sua esistenza e, soprattutto, è pronto per un nuovo inizio.
A quell’età, per i fortunati ai quali la vita concede l’occasione, si parte per un nuovo viaggio di rielaborazione e profonda condivisione delle conquiste.
La protagonista della storia, inoltre, si chiama Matelda come colei che, nella Divina Commedia, accompagna Dante da Beatrice, colei che cammina lieve sulle acque del fiume Lete, colei che rappresenta il raggiungimento della felicità e della consapevolezza. Una Matelda metropolitana, una donna comune che impara a nuotare nel fiume della vita nel bene e nel male e che, grazie a una profonda rielaborazione dei propri limiti e delle proprie debolezze è finalmente in grado di raggiungere la serenità.
Queste sono solo piccole suggestioni personali che hanno lo scopo di offrire un secondo binario di lettura per questo gioiello narrativo.
Ad Alessandro Raco, con immenso amore
Matelda
Matelda aprì il frigorifero e mise sul tavolo tonde melanzane bianche con striature violacee, carnosi peperoni gialli, zucchine con i fiori ancora attaccati, succosi pomodori a grappolo, insalata iceberg in cespo e vasetti di vetro con sottaceti fatti in casa. Dal cestello vicino alla finestra prese una retina di patate e un sacchetto di carta pane con dentro delle grandi cipolle piatte. Poi dal pensile accanto al gocciolatoio prese l’olio, sale fino e sale grosso e anche pepe nero, peperoncino e qualche spicchio d’aglio.
Riempì il bollitore, si preparò un infuso di tè verde e osservò la tavola colma, ancora non sapeva cosa avrebbe cucinato per la cena ma così, intanto, si sarebbe potuta fare un’idea degli ingredienti; per pensare aveva bisogno di guardarsi intorno, di perdere tempo, del resto ne aveva quanto ne voleva.
Era il 21 giugno, solstizio d’estate, e dopo mesi di esilio volontario da qualsiasi emozione positiva quella mattina si sentiva carica di una strana frenesia. Guardava ogni cosa con un lieve sorriso sulle labbra, come se dentro di sé custodisse uno dei segreti più importanti da svelare, cosciente che, per una incomprensibile reazione umana, avrebbe abitato i pensieri di quelli che amava e di quelli nelle cui esistenze aveva lasciato una traccia del suo passaggio. Magicamente, per un giorno, sarebbe stata una ricorrenza e gli altri si sarebbero ricordati di lei pubblicamente, una sorta di termometro affettivo.
Era il suo ottantaquattresimo compleanno.
Conosceva già le conversazioni delle telefonate che le avrebbero colmato la giornata, piene di affettuose ovvietà e di battute scontate sull’età, conferma di quanto la vita le fosse passata addosso troppo velocemente, anche se non aveva mai dato retta a quel reticolato di rughe che le si era adagiato sul volto senza chiedere il permesso o a quell’insistente dolore all’anca che l’aveva costretta a tediose sedute di fisioterapia tre volte alla settimana.
Il mattino precedente il terapista l’aveva redarguita.
Signora, lasci andare la gamba e segua i miei movimenti dolcemente, alla sua età non dovrebbe muoversi così di scatto.
Non aveva replicato al biondino con il camice slacciato che lasciava trapelare un fisico atletico, a cosa sarebbe servito raccontargli che, se aveva bisogno di lui, era proprio perché aveva abusato della sua energia, non abbandonando la passione per il nuoto fino a qualche mese prima? Sicuramente ne avrebbe riso spavaldo di giovinezza, quindi aveva risparmiato il fiato.
Matelda guardò fuori stringendo la tazza bollente tra le mani, le piacevano i quadri astratti che il sole estivo, filtrato dalle piante del cortile, dipingeva sul selciato. Pennellate indefinite di ombre e luce in movimento che sarebbero mutate con il passare dei minuti, stringendosi e allungandosi impercettibilmente verso ovest.
Il telefono prepotente la sottrasse al suo tè caldo e profumato.
Buongiorno mamma, buon compleanno! Tutto bene?
La voce squillante della figlia le diede una leggera sferzata al metabolismo ancora rallentato ma anche un sottile fastidio dettato da tanta vitalità mattutina.
Buongiorno Vittoria! Sì, sì, tutto a posto. Sto ancora facendo colazione, tu? Già in piedi alle otto?
Conoscendone l’incontinenza verbale cominciava a temere un risveglio traumatico.
Figurati, con tutte le cose che devo fare oggi! Devo accompagnare Lorenza alla visita di controllo del quinto mese, andare con Sabrina a ritirare il documento che ha rinnovato perché poi, altrimenti, siamo in ritardo con il Liceo. Glielo avevo detto che a questa cosa ci doveva pensare lei ma se non mi muovo io sembra sempre tutto complicato… Ah! E poi ti ricordi quel torneo di beneficenza che stavamo organizzando al circolo?
No, Matelda non lo ricordava assolutamente.
A chi pensi che abbiano assegnato il compito di coordinare la premiazione con tanto di cena per mercoledì? Prova a indovinare!
Matelda stava per dire qualcosa ma fu immediatamente sovrastata da nuove futili informazioni, si estraniò da tanta energia vocale e riuscì a cogliere solo la frase finale del suo interminabile discorso:
… più tardi pensavo di prenotare un ristorante per stasera, quanti siamo? Hai sentito Giulia?
No.
Replicò con tono imperativo Matelda.
Non l’hai ancora sentita?
No, non voglio andare fuori. Pensavo di fare una cena a casa.
Ma sei proprio sicura? Perché non ti riposi, magari vai a farti una piega e ce ne andiamo a mangiare qualcosa, che so… da Marinella, che ne dici?
La nostalgica Vittoria voleva mantenere la tradizione, proponendo il ristorante dove il padre e la madre la portavano sempre con i fratelli a ogni ricorrenza di famiglia, però Matelda non ci voleva tornare. Almeno non ancora. Quest’anno suo marito sarebbe stato per la prima volta l’unico assente, con lui il tempo era stato più severo.
Non ti preoccupare, mi sono già organizzata per la spesa e poi sono stata ieri dal parrucchiere, stai tranquilla, non ti farò fare brutta figura con i tuoi generi
e sorrise, staccando il telefono dall’orecchio e sistemandosi di riflesso i capelli con la mano.
Ma che dici, era per non farti stancare…
Non ti preoccupare, per me è un piacere, magari, dopo, se come al solito non devi scappare troppo presto, mi dai una mano a risistemare la cucina. Quello sì, lo accetto volentieri.
.
La sentì sospirare scocciata e sorrise, quella mattina poteva solleticarla come regalo, sua figlia non le avrebbe risposto in modo provocatorio, era comunque il suo compleanno e, quella moralità composta da perbenismo e tradizione, spesso persi e ritrovati nel corso della contraddittoria vita di Vittoria, l’avrebbero fatta graziare.
Va bene, allora io penserò al dolce, farò una torta di mele e cannella, so che non ti piacciono quelle tradizionali con la panna…
Veramente non mi piace nemmeno la cannella…
, pensò Matelda senza dirlo, Sì, grazie, tesoro, venite con calma, diciamo per le otto e mezza, non prima. Va bene?
Lei non amava fare i preparativi con gli ospiti itineranti per casa, anche se erano i figli. Aveva bisogno dei suoi tempi, iniziava svariate cose contemporaneamente e le portava a termine con calma, cambiando idea e programma diverse volte. Mai niente era come era stato pensato all’origine, era una sua peculiarità.
Sicura che non serve qualcosa? Fammi uno squillo, in caso.
Sicura, non ti preoccupare.
Mamma…
la voce di Vittoria era scesa di un paio di toni rispetto a quella usata nell’interminabile elenco di occupazioni … ti voglio bene. A stasera.
Anche io, Vittoria, a stasera.
Lo disse con il cuore colmo di un amore ribelle e protettivo allo stesso tempo, amava profondamente quella figlia che le scatenava emozioni contrastanti.
Chiuse il cordless, si carezzò dolcemente la parte posteriore del collo e tirò la testa all’indietro roteandola leggermente, fece un profondo respiro stiracchiandosi un po’ e guardò di nuovo fuori.
Era sabato e l’aria era silenziosa e calma, non si era svegliata, al solito, con il vocio stridulo dei bambini nel cortile adiacente, per questo era riuscita a dormire più del solito. Il suo appartamento si trovava al pianterreno di un antico stabile del Rione Monti e confinava con un asilo privato. Lei aveva sempre abitato in quella casa, ci era nata e, a parte un brevissimo periodo subito dopo il matrimonio, aveva poi continuato a viverci con la sua nuova famiglia.
Pensava spesso a quante volte i suoi piedi avevano percorso il selciato di quel condominio con numeri di scarpe crescenti, con la mano dei genitori, con quella di suo marito e poi con quella dei figli, con i passi veloci delle uscite e quelli stanchi dei ritorni. Aveva calpestato quei pavimenti con molteplici umori e intenzioni, ma non se ne era mai accorta mentre succedeva.
Quei ragazzini dell’asilo adiacente, invece, li aveva sempre notati. L’avevano emozionata da quando era piccola, poco più grande di loro, e li aveva spiati per una vita intera. Arrivavano intorno ai tre anni e frequentavano quella minuscola oasi di verde, racchiusa tra i palazzi, fino alla scuola dell’obbligo. Le sue mattine erano condite dai loro discorsi e spesso la distoglievano da ciò che stava facendo, erano conversazioni semplici ma di una razionalità incredibile, non conoscevano sovrastrutture e non erano condizionate dal cambio dei tempi; discorsi senza età che si ripetevano a ogni nuova generazione e che potevano esistere solo nell’ingenuità assoluta.
Tanti di quei ragazzi, di cui molti ormai maturi, le erano cari e, quando aveva compiuto ottanta anni, si erano presentati alla sua porta in gruppo eterogeneo per età, nascosti dietro un enorme mazzo di fiori. Era stata un’emozione grande che Giuseppe aveva ripreso con la telecamera, complice di quel regalo organizzatole dall’asilo.
Perché avevano avuto quel bellissimo pensiero per lei?
Continuava a chiederlo, ripresa sul video che aveva fatto Giuseppe, mentre si copriva il viso per non far vedere gli occhi rossi e facendo segno di no con le mani.
Da quando suo marito l’aveva lasciata sola, quel filmino di pochi minuti lo aveva rivisto centinaia di volte, si era affezionata alla registrazione curiosa partita dalle mani dell’uomo che aveva amato prepotentemente. Le piaceva come lui avesse indugiato sul suo imbarazzo, la tenera crudeltà delle inquadrature ravvicinate che avevano messo in evidenza le profonde rughe alimentate dalle espressioni ancora infantili. Come aveva fatto Giò a cogliere esattamente l’irrequietezza che lei sentiva dentro? Quella telecamera era stato il suo sguardo lucido su di lei, pensava Matelda, mentre la ripresa stringeva sul palmo delle sue mani agitate a diniego e si chiudeva sul primo piano della linea del cuore, perpendicolare a quella della vita che scendeva lunghissima verso il polso.
Dove sono ora i tuoi occhi? Come fai a guardarmi ancora?
chiese a voce bassa la donna, prima di spingere il pulsante del telecomando e lasciando sullo schermo il fermo immagine.
Secondo te, le anime, quando vanno in Paradiso, si riconoscono?
Non lo so
, le aveva risposto Giuseppe guardandola di traverso e accennando un sorriso sarcastico ma sei così sicura che andrai in Paradiso? Confidi nel tuo nome come passaporto? Mati, amore mio, non so dove andremo ma sono certo che ti riconoscerò per forza, finirà la pace anche in quel posto
.
Matelda sorrise al ricordo, era sempre stata una curiosa dell’animo umano e forse anche una donna atipica per i suoi tempi. Nata nel millenovecentotrentuno, aveva incoraggiato la libertà di espressione in tutti quelli che aveva incontrato lungo il suo lunghissimo percorso, che ora le sembrava una manciata di minuti.