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Scrivilo sulla mia pelle
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E-book263 pagine3 ore

Scrivilo sulla mia pelle

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Info su questo ebook


Cindy ha una ferita che nasconde sotto la sua vita perfetta di professoressa universitaria.
Stratos brucia il dolore con l'adrenalina del suo lavoro di agente della CIA.

Ma un giorno queste due persone molto diverse sono costrette a vivere insieme. Riempiono le lunghe notti invernali con qualcosa di insolito per due estranei, come la lettura di romanzi erotici ad alta voce. È così che finiscono per scoprire che hanno nelle loro mani la possibilità di riscrivere la propria storia. Una storia di desiderio, vero amore e nuove opportunità.

"Era strano, ma quando non c'era un libro tra me e Stratos, la nostra comunicazione cambiava completamente. Il libro era come il ponte che ci permetteva di parlare dei sentimenti, delle sensazioni, di condividere il sesso più selvaggio nel modo più sicuro. Non ci siamo toccati, se non con gli occhi. Abbiamo condiviso sguardi che erano più che carezze".

LinguaItaliano
Data di uscita27 ago 2021
ISBN9781667411262
Scrivilo sulla mia pelle

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    Anteprima del libro

    Scrivilo sulla mia pelle - Anaïs Wilde

    Serie Dioses Griegos

    SCRIVILO SULLA MIA PELLE

    ––––––––

    Anaïs

    Wilde

    Qualsiasi forma di riproduzione, distribuzione e trasformazione di quest'opera è vietata senza l'autorizzazione del titolare della proprietà intellettuale della stessa.

    Copyright © Anaïs Wilde 2016

    CAPITOLO UNO

    Tutto iniziò con una chiamata. Due squilli e la mia mano alzò il cellulare per visualizzare sullo schermo il nome del professor Matthews, un collega e amico da dieci anni.

    Cindy, esci subito di casa!

    John?

    Esci, non fare domande, corri! Esci.

    Mi avvicinai istintivamente alla porta, senza sapere perché lo stavo facendo. Le parole del mio amico non avevano alcun senso, ma sembrava angosciato.

    Per le scale di emergenza disse con la voce spezzata No usare la porta.

    Sentii qualcosa come uno sparo con il silenziatore dall'altra parte del telefono e corsi sul retro del mio appartamento. Quando aprii la porta della stanza dove si trovavano le scale di emergenza, la prima cosa che pensai fu quanto poco mi piacesse quella stanza. Ero stata sul punto di non comprare quell'appartamento per via della vista di quella camera, che d'altra parte, me ne servivo solo per conservare esami, appunti e cose che non usavo. Tutto quello che si riusciva a vedere da quella finestra era la struttura metallica delle scale di emergenza e , dall'altro lato, il muro di mattoni dell'edificio di fronte.

    Odiavo il fatto che essendomi costato un occhio della testa quell'appartamento, avesse una stanza che affacciava sul vicolo. Mi ritrovai a pensare disordinatamente a tutto questo, immaginando perché John mi avesse ordinato di uscire di casa e chiedendomi perché gli avessi dato retta, quando un rumore di vetri che si rompevano mi fece cadere il cellulare di mano.

    Spari, si. Quello che si sentiva nel mio salotto erano spari, e non uno né due, ma una raffica che non avrebbero lasciato nulla dietro di sé. Aprii la finestra di quella odiata stanza quanto più velocemente le mie mani tremanti me lo permisero e uscii sulle scale di emergenza del mio appartamento al ventunesimo piano. Guardando giù sentii il terreno che svaniva sotto ai miei occhi. Soffrivo di vertigini da quando ero bambina. Semplicemente non riuscivo a sopportare le altezze. In un'occasione ero svenuta dalla paura. Era stato qualcosa di molto imbarazzante, ai tempi dell'università, durante un'escursione in montagna. Stavamo camminando lungo una scogliera e... Una nuova raffica di mitragliatrice fece rompere altri oggetti nel mio salotto.

    Le mie mani si aggrapparono con forza alla struttura metallica della scala e cominciai a scendere più velocemente che potevo, cercando di concentrarmi nel guardare solo avanti. Ma che diavolo stava succedendo? Non riuscivo a capire.

    L'immagine del mio amico John Matthews morto nel suo appartamento assalì la mia mente e iniziai a sudare, fui presa da un'irrefrenabile voglia di piangere e dovetti mordermi forte la lingua per evitare che le lacrime mi salissero agli occhi. Nel frattempo continuavo a correre. I tacchi sottili dei miei stivali si incastravano di tanto in tanto nelle grate degli scalini. Avevo le mani umide di un sudore nervoso che stava cominciando a bagnare tutto il mio corpo.

    Non mi ero mai resa conto di cosa significasse un'altezza di ventuno piani fino a quel momento. Le scale sembravano non finire mai. Dopo un po guardai di nuovo giù. Di nuovo la sensazione di vertigini, l'abisso che mi perforava lo stomaco. Ma, ancora in preda al panico, mi resi conto che ero sempre più vicina al suolo.

    Ce la puoi faremi dissi in un sussurro.

    Gli ultimi tre piani furono i più complicati, poiché dovetti sganciare diverse rampe di scale che rimanevano appese e si muovevano ad ogni passo che davo. Non erano agganciate alla facciata come le precedenti, ma erano semplicemente come una scala di quelle che usano i pittori per raggiungere il soffitto. Ma molto peggio, perché non avevano appoggio a terra. Quelle maledette rampe di scale erano agganciate soltanto alla parte superiore.

    Fantastico mi dissi Proprio quello che mi ci voleva.

    Se già mi sembrava poco sicuro quello che stavo facendo, scendere gli ultimi metri mediante qualcosa che sembrava così fragile non era certo la cosa più saggia da fare.

    E cosa sarebbe stato saggio, eh, Cindy? Dimmi, cosa sarebbe stato saggio? Rimanere sotto la raffica di proiettili?

    Stavo parlando con me stessa a voce alta.

    Molto alta. Quello non era un buon segno. L'avevo letto in uno studio pubblicato quel mese sulla rivista Science. Il dottor Brown...O era White? Si, probabilmente era il dottor White dell'Università del Michigan. Dovevo riguardare l'articolo per verificare il suo nome. Uno specialista in disturbi psicologici derivati dallo stress. Nel momento in cui i pazienti iniziano a parlare da soli è l'indice di una rottura che...Il mio piede perse l'appoggio e, per un secondo, tutto il peso del mio corpo rimase in balia alla forza delle mie mani. Sentii un abisso aprirsi nel mio stomaco. Qualcosa che saliva e scendeva dentro di me. Una bolla di paura salirmi su per la gola e scendere di nuovo nel mio stomaco.

    Con le braccia tremanti, cercai a tentoni il gradino sotto i miei piedi. Si, eccolo. Continuai a scendere.

    Il mio tacco destro sfiorò qualcosa di duro, diverso dalle scanalature che avevo calpestato negli ultimi interminabili minuti.

    Ero arrivata al suolo!

    Volevo alzare le braccia in un gesto di vittoria, ero riuscita a scendere ventuno piani sulla facciata di un edificio nonostante le mie terribili vertigini. Mi fermai a pensare che forse ad una delle finestre ci fosse qualcuno. Non ero una scolaretta da potermi permettere un gesto del genere. Avevo un prestigio, un'immagine da curare. Ero molto rispettata nel mondo accademico. Ero in quei pensieri, quando lo stridio di alcune gomme mi fecero girare di colpo. Il muso di un auto nera entrò nel vicolo. Scesero due uomini e, senza avere il tempo di reagire, uno di loro mi bloccò avvolgendomi in modo che le mie braccia rimanessero immobilizzate contro il mio stesso corpo.  L'altro estrasse una pistola. Sorvegliava entrambi i lati del vicolo.

    In un attimo mi vidi dentro l'auto, sul sedile posteriore, vicino all'uomo che mi aveva presa.

    Che cosa...?

    Non avevo finito di formulare la mia domanda quando l'uomo mi spinse violentemente la testa verso il basso per costringermi ad abbassarmi.

    Degli spari colpirono l'auto, che presumo fosse blindata, poiché non attraversarono la carrozzeria.

    Quello che era al volante si mosse tra le strade di Manhattan ad alta velocità, svoltando in curva in un modo tale che fu un vero miracolo che non investimmo nessun pedone.

    Avevo cantato vittoria troppo presto per non aver investito nessuno. La nostra macchina salì sul marciapiede entrando in uno dei viali e mandò per aria un chiosco di hotdogs. Salsicce, pane, senape e cipolla fritta si spiaccicarono sul vetro.

    Il conducente si limitò ad azionare il tergicristallo per rimuovere gli ostacoli che gli riducevano la visibilità.

    Chi siete? Dove mi state portando? Hey, non puoi guidare con più attenzione?

    C'era anche un chiosco di fiori lì, ci urtammo contro con una fiancata. Guardai indietro, la donna che lo gestiva ci rimproverava con le braccia alzate.

    Vuoi che ci ammazziamo? gridai colpendo l'uomo al volante con un pugno.

    L'uomo che era accanto a me si limitò a tirarmi indietro con la calma di un monaco buddista. I miei occhi lo osservarono per la prima volta. Sulla trentina, carnagione scura, occhi castani e capelli scuri. Certamente attraente, che non poteva passare inosservato. Mascella ben definita e naso dritto. Mi fissò così intensamente  che mi girai.

    Sono altre le persone che vogliono ucciderti.disse il conducente.

    Puoi lasciarmi al prossimo angolo, grazie dissi seccamente, pensando che avrei preso un taxi per tornare a casa.

    L'uomo accanto a me rise.

    Cosa c'è di così divertente?chiesi infastidita.

    Quindi vuoi che ti lasciamo al prossimo angolo, eh?

    Esattorisposi, incrociando le braccia per mostrare la mia indignazione.

    L'uomo aveva un leggero accento. Le sue erre erano un po più marcate del normale, e la sua intonazione leggermente cantilenante.

    Hey, Philip disse al suo amico con un tono chiaramente beffardo Quanto pensi che durerà se la lasciassimo scendere ora?

    Dieci minuti?rispose il conducente guardando il suo amico dallo specchietto retrovisore ma senza rallentare un po'.

    La macchina sbandò.

    Guarda avanti, per amor di Dio!

    Quindi è anche una bigotta disse il conducente con disprezzo.

    In realtà... stavo per spiegargli che ero agnostica. Che la mia eccellente preparazione accademica mi impediva di credere in questioni che non avessero una solida base scientifica a sostenerle, che...Alla fine decisi di stare zitta, dato che nessuno di quei due uomini sembrava aver finito il liceo.

    Non ti lasceremo andare, piccola disse il conducente.

    Come osa chiamarmi così?

    A volte odio questo lavoroesclamò il mio accompagnatore guardando fuori dal finestrino mentre sospirava rumorosamente.

    Come ho già detto, potete lasciarmi al prossimo angolo.insistetti.

    In realtà volevi che ti lasciassimo circa quaranta angoli fa commentò il conducente.

    Almeno l'uomo che era a fianco a me aveva la decenza di darmi del lei.

    Beh, stavo tra due cafoni e non sapevo nemmeno perché.

    Qualcuno aveva distrutto il salone di casa mia, probabilmente dal tetto dell'edificio difronte,e non avevo nemmeno un indizio che mi permettesse di capire il motivo.

    E, a quanto pare, il mio amico, il professor John Matthews...

    Sapete cosa è successo al professor Matthews?chiesi.

    A chi?chiese il conducente.

    Sarà l'altro tizio. Quello di cui si occupava Charlie.

    Il conducente parlò attraverso una radio incorporata nell'auto, scambiando parole in codice.

    Confermato disse, come se stesse parlando del tempo. E' deceduto.

    Come...Come, deceduto?Cosa gli è successo? la mia voce lasciò trasparire la mia preoccupazione e incredulità.

    E' mortodisse il mio accompagnatore, guardandomi un istante e volgendo di nuovo lo sguardo verso il suo finestrino.

    Il mio respiro iniziò a diventare irregolare. E' vero che avevo sentito un suono simile a uno sparo con silenziatore. Anche se conoscevo quel suono solo perché l'avevo visto nei film e nelle serie. Nel momento in cui lo sentii al telefono, pensai che qualcuno avesse ucciso John. Ma poi lo esclusi. Oh, si, penso di averlo già escluso. Queste cose non succedono nella realtà. Non a noi. Non a due professori universitari. Eravamo brave persone, , non avevamo niente a che fare con il crimine organizzato. O...Mi portai la mano alla bocca. I miei occhi si spalancarono al punto che credetti mi sarebbero fuoriusciti dalle orbite. John!Oh John!

    Sentivo che mi mancava l'aria. Stavo aspettando i risultati da uno studio medico. Era molto probabile che fossi asmatica. Non dalla nascita, ovviamente, ma c'erano buone possibilità che avessi sviluppato un'asma nervosa e, naturalmente, sapendo che il mio collega, il mio amico...Che John era morto. Comunque questo non mi avrebbe aiutata affatto.

    Iniziai ad ansimare, aprendo la bocca nel disperato tentativo di far entrare più aria.

    E ora cosa le succede?chiese il conducente.

    L'uomo che era a fianco a me mi guardò e scrollò le spalle.

    Non ne ho idea. Sarà per il suo amico.

    Ma mi stavano lasciando così?Era chiaro che avevo bisogno di cure mediche urgenti. Se non mi avessero portata in ospedale sarei potuta morire. Mi sentivo stordita e mi faceva male la testa. Mi mancava l'ossigeno, sentivo la mancanza di ossigeno nel sangue. Urlai. Un suono lungo e continuo che poi si trasformò in una raffica di urla isteriche. Non riuscivo a smettere di urlare. Non volevo fermarmi. Avevano ucciso il mio amico e, probabilmente io sarei stata la prossima. Con gli occhi offuscati dalla paura osservai i due uomini. E se fossero i miei carnefici? Tremavo in modo violento mentre gridavo, tentando in tutti i modi di afferrare la portiera della macchina per aprirla. Ma il mio accompagnatore mi tratteneva circondandomi la vita con un braccio, e mi rimetteva a sedere ogni volta. Io non mi arrendevo, era meglio cadere rotolando per strada, rompermi una gamba o altro. Dovevo lottare per la mia vita.

    Fai qualcosa, dannazione urlò il conducente al suo amico Mi sta innervosendo.

    Questo mi afferrò per le spalle, come  se cercasse il mio sguardo per parlarmi e farmi ragionare, ma si beccò un bel graffio sul viso. Stavo per prenderlo a schiaffi, quando afferrò la mia mano e mi schiaffeggiò con l'altra. Mi tappai la bocca dalla sorpresa e smisi di tremare. Misi una mano sulla guancia dove mi aveva colpito, fissandolo incredula. Non mi aveva colpito con forza. Ero sicura che se quest'uomo, se l'avesse voluto, mi avrebbe spaccato il labbro  senza quasi alcuno sforzo. Aveva misurato le sue forze, mi aveva colpita più per sorprendermi che per ferirmi.

    Guardai fuori. Eravamo in autostrada e aveva iniziato a piovere. Ottobre era sempre stato un mese con un tempo avverso nella zona di New York. Il cielo si era oscurato, malgrado fosse primo pomeriggio. Enormi nubi incombevano su di noi e davano alla strada un aspetto sinistro. Gli alti pini che fiancheggiavano entrambi i lati della strada mi fecero pensare ai film di serie b in cui le vittime vengono abbandonate lontano dalla città dopo essere state molestate e deturpate.

    Mi avrebbero strappato i denti e le impronte in modo che la polizia non avrebbe potuto riconoscermi? Sapevo quel che dicevo, il professor Matthews e io avevamo scritto un libro a riguardo. La mafia russa, su cui avevamo indagato a fondo, era un'artista nel distruggere tutto ciò che potesse portare all'identificazione dei cadaveri.

    La paura mi aveva paralizzata. Sapevo che dovevo uscire da quella macchina il prima possibile, ma farlo in maniera isterica, come avevo tentato prima, non era il modo migliore.

    Quegli uomini non sembravano assassini, ma erano armati, mi stavano portando da qualche parte contro la mia volontà. Non poteva finire bene. Dovevo lottare per la mia vita.

    Forza, andiamo!

    Urlavo nella mia mente, ma la paura si era impossessata del mio corpo. Sapevo di dover raccogliere tutte le mie forze. Dovevo mostrarmi calma in modo che l'uomo che stava dietro con me avrebbe guardato fuori e poi mi sarei mossa rapidamente, aprendo la porta e gettandomi fuori dall'auto.

    L'auto svoltò nel bosco e percorremmo un sentiero sterrato per una ventina di minuti. Il mio piano non sembrava più così realizzabile, poiché eravamo lontano da tutto e, procedendo così lentamente, si sarebbero fermati e mi avrebbero presa prima che riuscissi a scappare.

    Ci fermammo davanti a una rete metallica, e due uomini grossi come armadi aprirono, dopo aver osservato attentamente il conducente. In fondo c'era una specie di hangar, ancora oltre, una pista di atterraggio e un piccolo aereo.

    CAPITOLO 2

    Scendi disse l'uomo che aveva viaggiato a fianco a me.

    I miei occhi si soffermarono sui suoi. Sentii il mio labbro inferiore tremare. Il mio stomaco mi faceva male per la paura. L'autista parcheggiò l'auto e con riluttanza mi aprì la portiera, facendo un gesto buffo con la mano, come se fosse un cavaliere che mi lasciava passare. Non appena vidi la portiera aperta e l'uomo che si allontanò leggermente, lo spinsi con forza e iniziai a correre.  Non avevo dato molti passi quando, come era già successo nel vicolo, mi  afferrò lo stesso uomo. Mi prese tra le braccia e mi sollevò in aria.

    Devo davvero essere io a farlo?chiese al suo amico, come se fosse disgustato della situazione.

    Sentii il suo respiro caldo vicino al mio orecchio mentre parlava, e il profumo della sua colonia.

    Camminava con me tra le sue braccia come se fossi più un semplice pacco. Devo dire che, sebbene fossi piuttosto magra, non ero esattamente una donna leggera, poiché mi piaceva fare esercizio, avevo una buona muscolatura ed ero piuttosto alta.

    Gli affondai i talloni negli stinchi. 

    Cazzo!sibilò l'uomo a denti stretti. Stai ferma, per favore!

    Mi sorpresero i suoi modi, soprattutto comparandolo con l'uomo che aveva guidato e con un terzo che si avvicinava a noi camminando come un cowboy dell'ovest. Sì, quello che veniva verso di noi camminava con le gambe arcuate, come se fosse appena sceso da un cavallo.

    Chiede perché deve essere luidisse il conducente al nuovo arrivato, indicando con la testa chi mi teneva in braccio. Poi entrambi gli uomini si misero a ridere.

    Porca puttana, Stratos. Non ricordo nemmeno quanto tempo ha passato dicendo che voleva tornare a casa, e ora che ti mandiamo...

    Non così, Mike. Non così  ribadì.

    I due uomini che ci osservavano si misero a ridere di nuovo.

    Cerca di divertirti disse il nuovo arrivato, guardandomi dall'alto in basso. Nonostante tutto.

    L'uomo che mi teneva in braccio emise un grugnito.

    Mettimi giù!gli ordinai, cercando di sembrare abbastanza sicura di me stessa, come la situazione avrebbe permesso.

    Hai intenzione di scappare?

    Le nostre facce si girarono nello stesso momento e ci ritrovammo a pochi millimetri di distanza. Lo sguardo di quell'uomo era uno dei più penetranti che avessi mai visto.

    Non lo so risposi, rimproverandomi mentalmente per la mia onestà.

    Che cos'era tutto questo? Ero diventata improvvisamente una scolaretta impaurita? Per un istante mi sentii così insicura, così imbarazzata, come quando ero adolescente. Quando ero solo  una bambina con un corpo senza forme, con gli occhiali e incapace di badare a me stessa.

    Allora temo che dovrò portarla in braccio fino all'aereo.

    Quale aereo?Perché?Non hai il diritto...! Mi mancavano le parole , ma lo compensavo agitandomi come un pesce agganciato all'amo.

    Dannazione, Stratos, ti aspetta un bel viaggetto!disse l'uomo che aveva guidato, dando una forte pacca sulla spalla al suo amico. Mi dispiace per te, amico. Devi essere impaziente di tornare a casa per sopportare tutto questo. E non solo il viaggio, ma anche quello che viene dopo. Che donna isterica.

    Hey! mi lamentai Stanno parlando di me.

    Esattointervenne il terzo uomo. Parliamo proprio di lei. Quando si sarà tranquillizzata, le spiegheremo cosa sta succedendo.

    L'uomo che mi teneva in braccio mi poggiò a terra davanti ai gradini del piccolo aereo militare che attendeva sulla pista, ma le sue braccia continuarono a circondarmi. Era pronto a reagire in pochi

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