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Il modo più sbagliato per amare
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Il modo più sbagliato per amare
E-book352 pagine5 ore

Il modo più sbagliato per amare

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Info su questo ebook

Il vero amore può nascere da una bugia?

Autrice bestseller del New York Times

Ci sono cose che non si dimenticano. Il giorno del tuo matrimonio, per esempio. Soprattutto il momento in cui tua sorella vomita sopra il bouquet e confessa di essere incinta… del tuo fidanzato. Volevo solo fuggire. Nascondermi fino a quando le mie ferite non si fossero chiuse. E così mi sono ritrovata in una strana città nel letto di un affascinante sconosciuto. Per un momento mi ha fatto dimenticare quella che avrebbe dovuto essere la notte del mio matrimonio. Ma poi, incapace di tornare indietro ad affrontare la mia vita ormai a pezzi, ho deciso di rimanere. Mi sono finta mia sorella, così da poter avere il suo lavoro a Jackson Harbor. E ho accettato di occuparmi di una bambina di sei anni. Ma non potevo certo immaginare che suo padre fosse l’uomo misterioso con cui avevo trascorso la notte, il dottor Ethan Jackson. Ho sperato che Ethan non scoprisse mai il mio segreto. Speravo che per lui non fosse così importante. Ma più gli stavo vicina e più mi innamoravo. Ignoravo che ci fosse, oltre al mio segreto, qualcos’altro in grado di dividerci per sempre.

«Bellissimo, emozionante e intenso. Questo libro ha tutto quello che si può desiderare da una storia d’amore.»

«Un libro che scalda il cuore, ti fa sorridere e persino versare qualche lacrima.»

«Il modo più sbagliato per amare è un romanzo commovente e sexy con momenti strazianti, altri di umorismo sfrenato e dei personaggi indimenticabili.»

Lexi Ryan
è un’autrice bestseller di «New York Times» e «USA Today«. Le piace leggere, guardare i tramonti, bere un buon bicchiere di vino e fare passeggiate lungo la spiaggia. Vive in Indiana con suo marito, i due figli e il loro cane. Il modo più sbagliato per amare è il primo libro pubblicato dalla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mar 2019
ISBN9788822732354
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    Anteprima del libro

    Il modo più sbagliato per amare - Lexi Ryan

    2252

    Titolo originale: The Wrong Kind of Love

    Copyright © 2018 by Lexi Ryan

    Traduzione dall’inglese di Elena Rubechini

    Prima edizione ebook: maggio 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-3235-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Lexi Ryan

    Il modo più sbagliato per amare

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Epilogo

    Nota dell’autrice

    Playlist

    Ringraziamenti

    Per i miei fratelli Eric, Aaron, Danny e Josh

    1

    Nicole

    Non sono mai stata una che va a correre; nessuna maratona, nessuna gara di mezzo fondo e neppure quelle fun run che piacciono ai bambini piccoli. Non ambisco nemmeno a cominciare in futuro. Eppure ieri notte ho sognato di correre più a lungo, più lontano e più veloce di quanto abbia mai fatto. Ho sognato di correre così forte che mi bruciavano i polmoni. Oggi mi sposo.

    Sono sicura che è una coincidenza.

    Il mio futuro cognato canticchia in fondo alla navata, le dita che danzano sulle corde della chitarra acustica, e il mio promesso sposo muove la testa a ritmo. Quello stesso marito che forse, molto probabilmente, non mi sta tradendo. Non mi farebbe una cosa del genere. Credo.

    Respiro ma l’aria è satura per l’umidità e per le troppe persone. La wedding planner ha sistemato questa tenda dalla parte opposta rispetto a dove si tiene la cerimonia, in modo che nessuno mi veda prima del grande momento. Lì per lì pareva un’idea geniale. Adesso mi sembra una camera di tortura.

    «Pronta per un ultimo scambio?», sussurro alla mia gemella.

    Veronica spalanca gli occhi. È bellissima con il vestito da damigella in pizzo color ciliegia e i capelli lunghi raccolti in una cascata di riccioli dietro la testa. «Uno scambio? Sei seria?»

    «No. Certo che no». Più o meno.

    In seconda media ci scambiammo tutto l’anno per vedere se saremmo riuscite a farla franca. Nessuno ci scoprì. Perché non farlo per la cerimonia? Perché non farlo… per sempre?

    Va bene, adesso sì che sto facendo la melodrammatica. Ma è il giorno del mio matrimonio e dovrei memorizzare ogni dettaglio, assaporare ogni attimo. Invece sono ossessionata da due frasi che ho sentito bisbigliare a Marcus al telefono, ieri mattina. Ero passata per fargli una sorpresa con le mie roselline alla cannella e bacon. Le faccio così perché tutto migliora con il bacon. La finestra della cucina era aperta, quindi ho visto Marcus con il telefono all’orecchio e l’ho praticamente sentito dire: «Un’ultima volta, amore. Ti prego. Non riesco a dimenticarti».

    O almeno è quello che credo abbia detto. Magari era: Un’ultima volta, Signore. Ti prego. Non riesco a vedere le parti. È vero che la seconda opzione non ha molto senso, ma vale lo stesso per quello che credo di aver sentito. Sta per sposarsi con me. Perché dovrebbe dire a un’altra donna che non riesce a dimenticarla? E cosa le chiederebbe di fare un’ultima volta?

    Tutte domande che avresti dovuto fargli prima di essere pronta a percorrere la navata, razza di vigliacca.

    «Non dovresti scherzare su queste cose», dice la mia gemella con una smorfia di disappunto. «Sei davvero fortunata a sposare Marcus. È… fantastico».

    «Lo so». Mi sforzo di sorridere. Perché lo so davvero. Supponendo che non mi stia prendendo in giro. Ma ho passato le ultime ventiquattr’ore ad ascoltare donne che mi spiegavano quanto fossi fortunata a sposare quest’uomo, come se avessi vinto alla lotteria. Stanno dicendo la stessa cosa anche a lui? Probabilmente no. Probabilmente lo stanno mettendo in guardia. È la tua ultima occasione per scappare, Marcus. Puoi avere di meglio di una ragazzina in affido che non voleva nessuno.

    Immagino che, vedendo la situazione dall’esterno, Marcus sia quello coraggioso e io quella fortunata. A meno che non sia un bastardo vigliacco, buono a nulla, bugiardo e traditore.

    «Non voglio che lo sposi tu, non intendevo quello», dico a Veronica. La voce mi diventa nasale come sempre quando mi metto sulla difensiva. «Solo non ho voglia che mi fissino tutti».

    Veronica serra le labbra in una linea sottile. Vorrei tanto che fossimo telepatiche come i gemelli dei libri e dei film. Voglio sapere cosa sta pensando. Vorrei che fossimo unite come lo eravamo un tempo, così da dirle quello che ho sentito – o credo di aver sentito – e sapere cosa ne pensa. Immagino che anche un amico farebbe al caso mio, ma ci sono amici con cui ridere e amici con cui piangere. Ho sempre fatto fatica ad averne del secondo tipo, non riesco ad aprirmi fino a quel punto.

    L’aria è pesante e c’è un sacco di gente. Forse non c’è abbastanza ossigeno per tutti. Ho sette damigelle d’onore – Veronica e tutte le cugine di Marcus tra i tredici e i ventotto anni – perché qualsiasi brava ragazza del Sud sa che più il corteo nuziale è grande, più il matrimonio sarà felice.

    Infilo la mano tra i teli della tenda attraverso cui ho sbirciato, nel tentativo di respirare.

    La madre di Marcus, Martha, mi strattona per il braccio tirandomi via dall’aria fresca e impedendomi di guardare il mio sposo forse infedele. «Ti vedrà qualcuno!».

    «È che fa caldissimo qui dentro». Il pizzo del vestito prude e mi sembra che ci siano quattromila persone a sedere fuori, anche se so che sono solo centodieci. Martha era molto a disagio per questo. «Quando mia nipote Kristen si è sposata c’erano centonovanta inviati», mi ha detto. «Adesso devo sorbirmi mia sorella che gongola».

    «È il giorno più felice della tua vita», dice Martha. Mi cinge le spalle nude con le mani fredde. «Non rovinarlo con una delle tue solite scenate».

    Mi sforzo di sorridere. Martha non è solo l’ennesima donna che pensa sia fortunata a sposare Marcus, è la fondatrice del club. Se voglio avere un buon rapporto con mia suocera, devo smettere di comportarmi come se fossi nel panico per quello che sta per succedere. «Sto bene».

    è una bugia.

    Sta andando tutto come previsto. Volevo sposarmi in autunno, così avrei pronunciato i voti con le foglie dai colori sgargianti come sfondo. Volevo la cerimonia e il ricevimento all’aperto, perciò ho scelto una data che cadesse dopo la fine dell’estate umida dell’Alabama, ma che non fosse troppo in là, in modo da anticipare la caduta delle foglie.

    Era un rischio, e nell’ultimo mese e mezzo i miei incubi erano pieni di pioggia e temporali. Ma oggi il cielo è celeste, e le nuvole bianche sono così spumose che mordendole si scioglierebbero sulla lingua come zucchero filato. E invece di fare incubi sui temporali, ho sognato di correre.

    Ho dato la colpa ai nervi, messi a dura prova dalle preoccupazioni logistiche legate al matrimonio: il meteo, il catering, i fiori. Ma ora che ci siamo e che è tutto a posto, se ho un nodo allo stomaco è solo a causa delle parole che Marcus potrebbe o non potrebbe aver bisbigliato al telefono.

    Perché non gli ho detto cosa ho sentito? Perché non ho chiesto spiegazioni?

    «Tutto okay?», chiede Martha. «Sei pallida».

    Allento la presa sul bouquet. Spezzerò i gambi se lo tengo più stretto di così. «Sto bene, Martha». Mi accorgo troppo tardi che sta parlando con Veronica e non con me. E ha ragione. Mia sorella ha una brutta cera. Ora che ci penso, non si sentiva tanto bene nemmeno qualche giorno fa. Ero così presa dalle mie paranoie che non ho pensato stesse covando qualcosa.

    «Devo aver mangiato del pesce gatto avariato ieri sera», dice Veronica.

    Aggrotto la fronte e la osservo. È come guardarsi allo specchio. Hai gli stessi capelli castano chiaro, lo stesso naso all’insù e la stessa faccia a forma di cuore. Ma oggi è pallida sotto il fard che le ha messo Raina, la cugina di Marcus. «Sei andata a bere con i ragazzi?».

    Marcus e i cugini hanno fatto il giro dei bar ieri sera, e so che avevano invitato le damigelle abbastanza grandi per bere e anche quelle che potevano spacciarsi come tali. Io non sono stata invitata essendo la brava ragazza di Marcus e tutto il resto. Con chi altro era Marcus ieri sera?

    Non riesco a dimenticarti.

    Il nodo allo stomaco si stringe.

    Tutti dicono di fidarsi dell’istinto, ma forse sono nata senza. Non c’è altra spiegazione per le mie storie passate.

    «Sono rimasta a casa», ha detto Veronica.

    «Se avesse bevuto con noi, a quest’ora il pesce l’avrebbe già vomitato», dice Kate, la cugina maggiore. «Gesù protegge coloro che si proteggono». Ingoia un paio di analgesici e beve un bel sorso d’acqua dalla sua bottiglia. «Qualcuno sa quanti shot di tequila ho bevuto?».

    Martha scuote la testa con sdegno.

    Il fratello di Marcus finisce la canzone e sua zia attacca con il Canone in re maggiore che tutti mi hanno detto essere la quintessenza della musica da matrimonio. Per qualche motivo mi fa pensare a un funerale, ma ho accettato di includerla nella cerimonia, perché non volevo che la famiglia di Marcus mi ritenesse una primadonna.

    «Volente o nolente, è giunta l’ora», dice Kate con un sorrisetto.

    «Certo che vuole», dice Martha. «Sta per sposare Marcus. Metà delle ragazze di questa città si caverebbe un occhio per essere al suo posto».

    Che immagine inquietante. Il nodo allo stomaco si è trasformato in dolore. Forse sono nervosa. Veronica è malata. Magari sto covando la stessa cosa che ha lei.

    Le ragazze tirano fuori gli specchietti dalle borse e si ritoccano il rossetto.

    Pensavo che il mio matrimonio sarebbe stato diverso. Pensavo sarei stata molto più emozionata che spaventata. Forse avremmo dovuto aspettare. Forse quello che diceva Veronica è vero: otto mesi di relazione non bastano per sposarsi.

    «Quando lo sai, lo sai», ha detto Marcus, e io sognavo questo giorno da quando avevo cinque anni. Più che altro sognavo quello che viene dopo – costruire una casa e una famiglia – e non sono mai stata brava a pazientare quando si tratta di quello che voglio.

    «Sicura di sentirti bene?», chiede Martha a mia sorella.

    «È tutto okay», dice Veronica. Non sembra così.

    «Probabilmente è nervosa per quel nuovo lavoro», dice Kate. «Come fai a trasferirti in un altro Stato il giorno in cui si sposa tua sorella?»

    «Oggi?». Guardo Veronica, che è intenta a studiare il pavimento come se stesse pensando sul serio di distendersi. «Parti dopo il ricevimento?». Sapevo che aveva accettato un lavoro in Michigan, ma avevo dato per scontato che partisse la prossima settimana.

    Alza lo sguardo per incontrare il mio e scuote la testa. «Devo andarmene prima per prendere l’aereo».

    La guardo. «È il mio matrimonio», sussurro smarrita. Come ha potuto decidere di partire oggi, senza nemmeno dirmelo?

    «Perché non vai in macchina se ti ci trasferisci?», chiede Kate. «Non ti serve?».

    Raina sbuffa. «Pensi che quel catorcio arriverebbe in Michigan? E comunque le danno un’auto in quel nuovo posto super che si è trovata».

    Guardo torva le damigelle. Non mi importa come ci arriva. Mi importa che se ne andrà nel bel mezzo del ricevimento.

    «Mi dispiace». Veronica si copre la bocca, chiude gli occhi ed esala un lungo e lento respiro.

    «Già è agitata, Nicole», dice Martha. Mia sorella le è sempre piaciuta di più di me, così come a tutti gli altri. «Non farla sentire peggio».

    «Hai bisogno di stenderti?», chiedo a Veronica. Non saremo collegate telepaticamente, ma non sono una di quelle spose mostro che trascinerebbero lungo la navata una ragazza indisposta senza farsi problemi. Anche se la ragazza che sta male è la mia gemella, e dovrebbe essermi accanto nel giorno più importante della mia vita.

    Martha tira fuori un fazzoletto dalla borsa, ci versa dell’acqua e tampona Veronica dietro al collo. «Ti sentirai meglio, una volta là fuori. Hai solo bisogno di un po’ d’aria fresca, ecco tutto».

    Veronica sfugge alle attenzioni di Martha. «Sto bene. Va bene». Mi guarda. «Mi dispiace».

    Scuoto la testa. «Non è colpa tua».

    La musica cambia.

    «Tocca a me», dice Martha. Mi bacia sulla guancia. «Sei bellissima».

    «Grazie», dico. Ma non mi sento bellissima. Mi sento come se tutte le insicurezze e i dubbi che ho mi si leggessero in viso. Come se stessi per percorrere la navata e tutti vedessero la scritta Non riesco a dimenticarti che mi scorre sulla fronte come su un teleprompter.  

    La madre di Marcus si infila nell’apertura sulla parte anteriore della tenda e cammina con grazia lungo la navata per raggiungere il suo posto in prima fila. Le damigelle la seguono a una a una; io sbircio attraverso i lembi e individuo il mio fidanzato all’altare, più bello che mai. È alto e asciutto, un po’ burbero ma con un lato romantico nascosto. Il suo migliore amico gli sussurra qualcosa e a Marcus spuntano le fossette, mentre il petto gli trema nel tentativo di reprimere una risatina. Gli angoli degli occhi nocciola si socchiudono. Buon Dio, è stupendo.

    E forse infedele. È possibile. Probabile.

    È il turno delle bambine che portano i fiori in un coro di Oooh, poi sta a me. Mio suocero, Dean, compare per accompagnarmi all’altare. Gli prendo il braccio e incrocio lo sguardo di Marcus. Il petto gli si alza e gli si abbassa e scuote la testa per lo stupore.

    Ora sì che mi sento bellissima.

    Ero davvero preoccupata? Credevo veramente che Marcus, il mio Marcus, potesse fare una cosa così terribile?

    Tiro indietro le spalle e gli sorrido: ecco il mio fidanzato forte e bravo, che molto presto sarà mio marito, il padre dei miei futuri figli. L’ansia che avevo in gola sparisce. Più tardi gli dirò quello che credevo di aver sentito e rideremo insieme di come la mia sfortuna con gli uomini mi abbia fatto pensare al peggio.

    Andrà tutto bene.

    Dean mi stringe il braccio quando arriviamo in fondo alla navata.

    «Chi dà questa donna in sposa a quest’uomo?», chiede il pastore Rickman.

    «In vece della madre, io», dice Dean e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Non so se sia perché mia madre non c’è, o perché sono grata alla famiglia di Marcus ed è una questione di minuti prima che ne faccia parte anch’io.

    «Grazie», dice il pastore.

    Dean prende posto e io mi giro verso Veronica per darle il bouquet, come ci siamo esercitate a fare.

    Mia sorella mi guarda e mi implora disperatamente con gli occhi. Fa una smorfia e al respiro successivo vomita sui fiori e sul suo vestito.

    Le bambine strillano.

    «Bleah!».

    «Che schifo!».

    «Oddio», dice Veronica guardando i fiori bagnati. «Mi dispiace».

    «Era proprio bello avariato quel pesce», dice Kate.

    «È così che si dice oggi?», fa Raina a voce un po’ troppo alta. «Quella è incinta».

    Gli ospiti rimangono a bocca aperta e io indietreggio. Lontano dall’odore di succhi gastrici. Lontano da mia sorella e dalla sua espressione sofferente, preoccupata e indifesa.

    Incinta? Ci siamo allontanate al punto che non mi ha nemmeno detto una cosa così importante?

    «V?».

    Annuisce in risposta alla domanda che non ho nemmeno formulato.

    È una buona notizia, no? Un bambino è sempre una buona notizia.

    Allora perché mi sento mancare la terra sotto i piedi?

    «Mi dispiace», ripete Veronica sempre guardandomi. «Mi dispiace».

    «Veronica?». Marcus è pallido. Il mio sguardo oscilla tra lui e mia sorella. Lui la guarda e lei fa altrettanto, mentre annuisce di nuovo piano. «Perché non me l’hai detto?».

    2

    Nicole

    «Devi ascoltarmi!», singhiozza Veronica.

    Esco dalla macchina e sbatto la portiera prima di salire di corsa in casa.

    Avevo attraversato la navata lentamente e, nonostante i miei dubbi, non immaginavo che l’avrei ripercorsa tanto in fretta nel senso opposto.

    Ho preso la borsa di Veronica dalla tenda perché era stata lei ad accompagnarmi lì. Sono salita in macchina e mi sono diretta a casa. Lei mi ha rincorso ed è montata sul sedile del passeggero mentre l’auto era già in movimento. Avrei dovuto spingerla fuori, ma dovevo pensare al nipote o alla nipotina in arrivo.

    Il bambino di Marcus.

    Per arrivare dal parco a casa mia ci si impiega meno di cinque minuti, ma mi è sembrata un’ora, e mentre stavamo sedute accanto in silenzio sentivo che la vita mi sfuggiva di mano.

    «Nicole!». Mi rincorre per le scale e penso di sbatterle la porta in faccia. Però sono troppo impegnata a cercare di uscire da questo maledetto vestito. Voglio liberarmi dal pizzo. Prude e non respiro.

    Da quanto tempo sapevo e ho fatto finta di non sapere? Da quanto tempo sospettavo e ho fatto finta di non sospettare?

    Ogni volta che Marcus andava in un’altra stanza per rispondere al telefono. Ogni volta che si sottraeva al mio tocco. Ogni volta in cui diceva che la prima notte di nozze sarebbe stata più bella se avessimo aspettato.

    Ma con mia sorella? No, nemmeno con tutta la mia sfortuna in amore, le mie insicurezze e le mie paranoie potevo immaginare una cosa del genere.

    «Non riesco ad aprire questa stupida cerniera!». Giro su me stessa come se quel movimento potesse aiutarmi ad afferrarla meglio.

    «Puoi smettere di dimenarti come una pazza e ascoltarmi, per favore?»

    «Aprimi il vestito!». Forse è una richiesta ridicola. Forse non dovrei proprio parlare. Ma mi apre l’abito, e quando lo sento scivolare via dalle spalle provo un piacevolissimo sollievo.

    «Non volevo che succedesse», dice con la voce rotta. «È stato un incidente».

    «Un incidente?». Parlo più piano adesso. Con più calma. Sono troppo stanca per una lite o forse so che questa non posso vincerla e basta. «Pensi che ti creda?»

    «Sai cosa intendo».

    «In realtà no. Non capisco come tu possa accidentalmente essere andata a letto con il fidanzato di tua sorella».

    «Non è sempre stato il tuo fidanzato».

    Cosa dovrebbe significare? Marcus mi ha fatto la proposta sei mesi fa. Stavamo insieme da due. Avremmo già dovuto essere sposati, a quest’ora, ma il pastore ha insistito che il fidanzamento durasse almeno sei mesi, visto che la frequentazione era stata molto breve. Le osservo la pancia ancora piatta prima di guardarla di nuovo negli occhi. «Da quanto tempo va avanti?».

    Si copre la bocca con la mano. «Sto per vomitare di nuovo».

    Rido ma il suono esce incrinato. «Non ci ho nemmeno fatto sesso io. È per questo che mi suggerivi di aspettare? Così da poterlo avere più a lungo nel tuo letto?». Esco dal vestito, che ha formato una specie di pozza intorno a me, e glielo tiro addosso, ma è così pesante che le sfiora a malapena il petto prima di afflosciarsi di nuovo in terra. «Prendilo!», urlo. Oh, guarda. La mia pazzia è tornata. «È tuo. Anche Marcus è tuo. Vuoi la mia vita? Pensi che sia perfetta? Prendila!». È come se non fossi in me e osservassi dall’esterno questa donna che dà di matto.

    «Non volevo», dice Veronica. «Sono innamorata di lui!».

    «Pensi che io non lo sia?»

    «Lo so». Singhiozza. «Lo so». Scuote la testa. «È per questo che ho accettato il lavoro in Michigan. È per questo che parto. Non volevo rovinare il tuo matrimonio».

    «Be’, è un po’ tardi ormai». Avrà il bambino di Marcus. Dovevo averlo io.

    «Partirò». Ha la faccia bagnata dalle lacrime e mi chiedo di sfuggita cosa ci sia di sbagliato in me, visto che è lei a piangere e io non riesco a sentire… nulla. «Sparirò dalla tua vita. Non dovrai vedermi mai più. Lascia che rimedi. Lasciami andare. È la soluzione migliore e anche l’unica».

    «No». Il momento di pazzia è passato. Sembro molto calma. Adesso che il vestito non cerca più di soffocarmi mi sento calma. «Andarsene non risolverà niente».

    Si mette una mano sullo stomaco. «Allora dimmi cosa può farlo».

    «Veronica!», tuona Marcus da fuori. «Veronica!».

    Chiudo gli occhi. Se una piccola parte di me pensava che si potesse salvare qualcosa, il fatto che lui sia lì per lei e non per me l’ha annientata. «Niente. Non si può sistemare una cosa così». Avrà il suo bambino.

    Mi sfilo l’intimo illibato che avrei dovuto indossare per la prima notte di nozze e che ora non voglio più avere addosso. Mi vesto in fretta, infilandomi un completino mutande e reggiseno nero per sostituire il bianco verginale che mi perseguita. Sopra mi metto una camicia di flanella, una gonna di jeans e degli stivali da cowboy.

    «Dove vai?», mi chiede.

    «Non lo so». Gli occhi sono fissi sul bagaglio pronto per la luna di miele alle Bahamas. Una settimana sulla spiaggia con il mio neomarito. Sarebbe stato davvero romantico.

    Voglio andarmene ma ho l’auto a casa di mia suocera.

    Non è più tua suocera.

    «Ho bisogno della tua macchina», sbotto.

    «Cosa? Sì, certo. Quello che vuoi».

    «Non chiamarmi». Mi carico il borsone sulla spalla e corro giù per le scale passando proprio accanto a Marcus.

    Sto uscendo dal parcheggio quando lui ritorna sul davanti. Non mi viene dietro. Alza la mano e mi rivolge un saluto fiacco. Coglione.

    Dove vado?

    L’unica cosa più deprimente di andare in luna di miele da sola è rimanere, quindi mi dirigo verso l’aeroporto. ’Fanculo Marcus. ’Fanculo Veronica. Vado al mare.

    Quando arrivo al banco della compagnia aerea, stringo la borsa con le mani che mi tremano e metto su un sorriso per la hostess. «Vorrei cambiare un biglietto».

    «Certo. Posso avere un documento?».

    Guardo la borsa e mi blocco. Non è la mia borsa. È quella di Veronica. E il documento è di Veronica.

    «Signorina? Un documento per favore?». La hostess alza la testa con aria cordiale mentre aspetta che glielo porga.

    Ho la borsa di Veronica. La mia è rimasta alla cerimonia. Insieme a tutte le decorazioni sui cui ho passato mesi e a tutti quelli che hanno sparlato di me per la maggior parte della mia vita.

    «Signorina, deve avere un documento per prendere il volo oggi», dice.

    Veronica non ha detto che il volo per il Michigan è stasera? Estraggo il suo documento dal suo portafogli dentro la sua borsa. «Non ricordo a che ora è».

    La donna scrive qualcosa al computer. Guarda la foto di Veronica, mi osserva e poi annuisce soddisfatta. «Parte tra due ore. Vuole l’incremento per la business class per il suo viaggio a Grand Rapids?».

    Grand Rapids, Michigan. Non so nemmeno che cosa ci sia a Grand Rapids. Non sono mai uscita dall’Alabama. Ma qualsiasi posto è meglio di qui.

    Tiro fuori la carta di credito di Veronica dal portafogli e la do alla hostess. «Volentieri».

    Sei ore dopo…

    «Sei un fuoco».

    «Lo sono sì». Mi sventolo la mano davanti al viso. «Hanno acceso i termosifoni a palla, vero?».

    Il ragazzo mi sorride e viene verso il mio sgabello. Secondo gli standard convenzionali è bello: ha la mascella definita, un grosso sorriso e capelli biondi e folti con la riga su un lato. Si avvicina così tanto che sento l’alito di whiskey. «Posso confessarti una cosa?».

    Inclino la testa di lato e il bar comincia a girare. La tequila è divertente. Perché non la bevo sempre? «Confessare cosa? Non sono un prete».

    «Non è quel tipo di confessione». Si chiama John… o almeno credo, ma magari è Giuda. Mia sorella dovrebbe chiamarsi Giuda. Come ha potuto tradirmi in quel modo? Come ha potuto percorrere la navata al mio matrimonio con il figlio del mio fidanzato in grembo?

    «Non riesco a smettere di pensare di entrare dentro di te», dice John distogliendomi dai miei pensieri. «Sarà bellissimo».

    Le cose sono degenerate velocemente.

    Ridacchio perché mi solletica l’orecchio con la bocca e poi ancora, perché è tutto così ridicolo. Insomma, è la sera del mio matrimonio e mi trovo in un bar in cui non sono mai stata, in una città che non avevo sentito nominare prima di oggi e un ragazzo conosciuto dieci minuti fa mi sussurra cose più sconce di quanto Marcus abbia mai fatto. Poi ridacchio ancora perché mi fa sentire bene e se smetto…

    Ho paura di cosa potrebbe succedere se smettessi di ridere.

    «Ti piace l’idea?». Si ritrae abbastanza da farmi vedere il sorriso.

    La risatina si trasforma in uno sbuffo. «No». Faccio cenno alla barista di versarmi un altro drink. Da quando ho cominciato a bere, non mi importa più di dove dovrei essere e in questo momento non voglio proprio preoccuparmi. Di niente, ma in particolare delle cose a cui non voglio pensare.

    La notte di nozze. Il Plaza Hotel. Marcus.

    Mi serve altra tequila.

    «No?». John mi squadra come se fossi un puzzle difficile.

    Allungo la mano e mi incupisco quando trovo il bicchiere vuoto. Faccio di nuovo cenno alla barista prima di girarmi verso di lui. «Sei tremendamente carino, John, ma non credo che siamo in sintonia».

    Mi prende la mano e la stringe. «Allora lascia che ti accordi».

    Mi guardo intorno per vedere se qualcuno ha sentito quello che ha detto – perché santo cielo – e incrocio lo sguardo di un uomo alto e moro poco dietro John. Gli rivolgo un sorriso smagliante ma

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