Briciole di pane: Diario della mia prima vita
()
Info su questo ebook
Leggi altro di Franco Lissandrin
Che vita di m!: Facezie Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniNon lo dire a mio marito Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSniffate: Sniffate di humor Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCaos in ordine alfabetico: Il caos è meglio del traffico, funziona da solo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni30 secondi prima e dopo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
Correlato a Briciole di pane
Ebook correlati
Da parte di padre Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCercasi amore disperatamente Valutazione: 3 su 5 stelle3/5La Caverna Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIntelligente non praticante: Schegge bislacche di vita vissuta Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniParlami come la pioggia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniNavel Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL'occhio di gatto Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUna storia sbagliata Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSe_pararsi Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniRaven: The lunacy panic Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL'orologio Dei Sogni Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniI piccioni di Skinner Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLe cose a metà: Quando amare significa andare oltre Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniForse una sera: Storie di un'italiana Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniVolevo solo essere adorata Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLo sguardo oltre Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniAltro Tempo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniVuoti a perdere Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniTerranova: I segreti di una famiglia nascosti da un muro di omertà, patriarcato e onore Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUn limone in mezzo al mare: Quando cambia il punto di vista cambia la percezione Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniApparition Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniInverni e primavere Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIo come la fenice Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL'uomo dalle ali di carta Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPescatrice di voci Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniMai stata in ginocchio Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPesh Merga: il peso delle foglie Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniDial for G Garfagnana in Giallo 2017: I racconti di Barga Noir Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSole in fronte Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCerti capivano il jazz Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
Biografie e memorie per voi
Confessioni di uno psicopatico Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Il diritto di contare Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa Filosofia Della Libertà Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIpazia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniEnnio - Un maestro Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Lucrezia Borgia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCome io vedo il mondo Valutazione: 3 su 5 stelle3/5Life. La mia storia nella Storia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniChi ha Avvelenato Rudolf Steiner?: Biografia non autorizzata di un grande iniziato Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniShakespeare è Italiano Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniMaria Montessori, una storia attuale: La vita, il pensiero , le testimonianze Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLettere morali a Lucilio (Tradotto): Epistole scelte per la serenità nella vita Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniRino Gaetano: Segreti e Misteri della sua Morte - L’ombra dei servizi segreti dietro la morte di Pasolini, Pecorelli e Gaetano Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniBestiario maschile - clienti di una escort descritti dal vero Valutazione: 1 su 5 stelle1/5Le mie invenzioni (Tradotto): Autobiografia di Nikola Tesla Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUomini rappresentativi Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Malattia e filosofia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUniversi Paralleli: L’esoterismo nel pensiero di Leibniz per muoversi nell’infinito Valutazione: 5 su 5 stelle5/5A mani nude Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl diario segreto del Conte di Montecristo Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Black or White Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniInstagram Strategy 3.0: Il Manuale Completo Per Far Crescere il Tuo Profilo Tramite Le Strategie di Successo Aumentando Follower e Guadagni Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl mestiere di vivere: (Diario 1935-1950) Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLettere dal carcere Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSigismondo Pandolfo Malatesta controverso eroe Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLezioni di tango raccontate da una principiante Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCesare Pavese Il mestiere di vivere Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniEssere Andy Warhol Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIo faccio accadere le cose: Selfica, tecnologia del Terzo Millennio Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
Recensioni su Briciole di pane
0 valutazioni0 recensioni
Anteprima del libro
Briciole di pane - Franco Lissandrin
Introduzione
Seguendo le briciole dei ricordi della mia prima vita, provo a ricomporre in questo scartafaccio alcune istantanee, inchiostrate da didascalie, prima che sbiadiscano come fantasmi al ricatto della memoria.
1 - 1955
Il profumo del pane
Mi chiamo Franco. Quasi 7 anni. Età nella quale si contano anche i mesi.
Settembre 1955.
Agganciato alla mano della mamma, avevamo percorso parecchia strada dalla stazione delle corriere, con l’odore acre degli schizzi di vomito che mi ero esploso addosso nauseato dalle esalazioni di nafta del vetusto mezzo di trasporto.
Era il mio primo viaggio fuori paese verso una meta da incubo.
Papà, con la valigia di cartone marron, ci precedeva lungo il selciato sconnesso sotto i portici nei vicoli del quartiere Savonarola, nella città vecchia, districandosi in un labirinto di muri devitalizzati che assorbivano il rumore dei nostri passi scomposti. La luce ancora mattutina di quel fine settembre, frastagliata dai tetti e assorbita dalle finestre scure dei piani alti, perdeva vigore nel creare ombre disordinate.
Quel peso che mio padre passava da una mano all’altra conteneva solo cose elencate e numerate in una lista. Niente giocattoli e consolazioni dolciarie.
«…ti porto in collegio!» era il ritornello inquietante che mia madre poneva a chiusura di ogni rimprovero.
Nessuna parola poteva alleviare lo sgomento di un bambino turbato dalle ripetute minacce che aveva percepito come prossime alla materializzazione.
Non poteva essere solo intimidazione.
E non potevo oppormi a coloro che chiamavo mamma e papà.
I «No! Non voglio!» dei piccoli, a quei tempi, beneficiavano di scarsa considerazione e di nessun supporto pedagogico a causa di un metodo educativo ancestrale basato sulla velocità e sull’efficacia dell’impatto delle mani paterne o materne sulle guance dei pargoli petulanti.
Rimuginavo le cause della mia deportazione, i misfatti compiuti e le colpe che i gemelli (un paio di individui partoriti due anni e mezzo prima del mio turno) in combutta avevano scaricato sulla mia fedina penale.
Quindi due contro uno. E così le bugie entrarono a far parte del mio sistema immunitario, un’autodifesa naturale dai risultati deleteri, che non produssero alcuna attenuante per un castigo incombente e davvero smisurato.
Quel giorno tutti gli interrogativi su ciò che stava accadendo rimasero inghiottiti dall’angoscia e il sorriso sepolto sotto una maschera di tristezza.
Mio padre depose a terra la valigia; davanti ad un portone scuro. Alzò la testa per leggere la scritta sovrastante: ISTITUTO PER L’INFANZIA ABBANDONATA. In prima elementare avevo imparato l’abc, ora, a testa bassa, leggevo i miei sandaletti.
Strinsi forte la mano di mia madre per trasmetterle la paura che mi aveva piombato i piedi.
Dai miei genitori non venne pronunciata alcuna parola di conforto o di incoraggiamento mentre attraversavo quel confine che l’immaginazione non era mai riuscita a definire. Il cigolio del portone sbattuto con forza alle spalle gelò la cascata di lacrime che tenevo pronte per l’addio.
Davanti a noi apparvero in controluce due sagome inquietanti.
– Sono il direttore (Tegamino) – proferì la voce stridula e ruvida di un orchetto scheletrico e spelacchiato che mi scrutava dalla fessura tenebrosa delle sue valve oculari.
Il panico mi afferrò la gola e spense all’istante l’apparato sensoriale. Ansimavo in cerca di fiato. Sguardo assente, corde vocali afone, percepivo ronzii, non più voci.
Ora gli incubi prendevano la forma della disperazione e le ingenue fantasie allertate per la fuga non oltrepassavano i muri dell’androne.
Scosso sulla spalla, riconobbi la mano pesante da contadino di mio padre che mi scostava per cedermi alla seconda sagoma: un ragazzo magro con i pantaloni lunghi mi fece cenno di seguirlo afferrando la mia valigia.
(Riesumando questo episodio dalla discarica dei ricordi, non trovo il filo per cucire i brandelli del mio animo frantumato.)
Preso al guinzaglio dal tutore, afflitto, mi lasciai consegnare senza reagire.
Gli tenni dietro sulla rampa delle scale fino al piano superiore.
«Chiamami Trapletti». Proferì secco. Mi sembrava un ordine.
«Trapletti» ripetei con voce sommessa e tremula. Fu la prima parola a rompere i sigilli delle mie labbra. Un cognome buffo, quasi un soprannome. Lo registrai con un impercettibile ghigno di rabbia, un piccolo segnale di ripresa dal trauma. (Dichiarare il nome sarebbe stato troppo confidenziale. Lì, avere o essere chiamati con un cognome era motivo di orgoglio e di potere.)
«Tu sei il centotrentasette» e terminò l’appunto senza degnarmi di uno sguardo, allungando il passo. Lo seguivo.
Mi assegnò un’anta nella trafila di armadietti azzurrini, un letto in ferro color azzurrino, un posto fisso nel refettorio. Tutti con il numero 137.
Un pensiero mi accartocciò la fronte. Qualche giorno prima, a casa sul ripiano della Singer, avevo notato un nastro bianco con quel numerino rosso ripetuto di fila. Quindi mia madre sapeva tutto. C’era premeditazione. Io ero già il numero uno-tre-sette, come le mutande e i calzini.
Avrebbe potuto darmi delle spiegazioni, o rassicurarmi anche con bugie materne. Ora la realtà mi faceva più paura.
Non rividi più i miei genitori. Svanirono senza un saluto.
Nessuna raccomandazione.
Non una carezza.
Non una lacrima di ricordo da fissare nella mia mente.
Per un addio sarebbero state necessarie parole che non avrei capito.
Ciò che legava il dovere dei genitori verso i figli venne reciso come un cordone ombelicale. Forse ero troppo piccolo per conoscere quella verità nascosta.
La guida taciturna mi impose di seguirlo con un cenno dell’indice ad uncino, come stesse premendo ripetutamente il grilletto di una pistola virtuale. Lo tallonai fino a uno stanzino occupato da una sedia con le gambe lunghe e un tavolino con un attrezzo sul piano che riconobbi come la macchinetta per la tosatura degli scalpi. Venni rasato alla pari del resto del gregge. Semplice operazione anti pidocchi. Una prassi.
«Libero!» sentenziò poi scacciandomi via con un gesto della mano come una mosca fastidiosa. «Aria, smamma e fai come gli altri» aggiunse incornando l’aria con un breve scatto della testa a indicarmi la direzione del cortile.
Avevo messo piede in un nuovo mondo popolato da bambini e ragazzi sconosciuti.
Pantaloncini corti, capelli cortissimi, e un paio di curiosi per il nuovo arrivato. Sguardi sospettosi, come fossi un cane appena accalappiato e portato in gabbia a restringere il loro spazio vitale o ridurre la porzione di cibo. Non ostili, rassegnati. Dopo un’occhiata silenziosa si dileguarono bisbigliando e saltellando a confondersi nello sciame dei simili. Erano figli della stessa madre. Non quella. Della guerra. Orfani, dimenticati, abbandonati o non riconosciuti.
Sembravamo tutti uguali. Piccini da lontano, più alti da vicino.
Quelli piccoli piccoli, come me, giocavano emarginati per non farsi travolgere nel polverone dalle orde di segugi sguinzagliati sulle tracce dei palloni.
Nessuno mi chiese come ti chiami? che numero sei?
Ero un altro nessuno. Disperso tra dispersi. Ciascuno a difendere il proprio fardello di vita repressa.
Mi sentivo un invisibile nell’indifferenza del branco.
In disparte a guardare il niente, in attesa di qualcosa e sperando che nulla accadesse.
L’uno-tre-sette era solo uno di loro.
La prima notte
Respiravo l’odore del buio con la testa sotto il cuscino. Pensavo che il sonno potesse ricongiungere il corpo all’anima rimasta fuori. E domani mi sarei svegliato a casa nel mio letto. E poi la tazza di latte appena munto e l’ovetto ancora caldo, e poi fuori a giocare, e le rondini a volteggiare sotto il portico della stalla, e poi correre scalzo per i campi.
Masticavo il pianto mordendomi le labbra, in silenzio perché lì nessuno mi poteva consolare.
Quando non c’è via di scampo bisogna mettersi con la pancia in su come i pesci e farsi trasportare dalla corrente. Questo mi aveva insegnato Dino in prima elementare, il maestro, anche di vita.
Che altro fare? Vada come vada.
Respirare, respirare, uno sbuffo dopo l’altro. Il sonno mi prese in consegna dopo un lungo sospiro in mezzo a tanti fiati.
La disciplina
Semplici le regole: ubbidire e filare dritti senza fiatare.
Dalle 6 del mattino alle otto di sera i tempi venivano scanditi dalla campanella: erano ordini precisi e sequenziali, a iniziare dai compiti del mattino imposti come doveri fondamentali.
Imparai a scopare con la segatura umida, a pulire i cessi con spazzolone e disinfettanti, a preparare infinite tavolate allineando piatti e bicchieri di alluminio tutti ammaccati. A rifare la branda. A marciare in fila per due. Ammutolito fino a spegnere la voce.
Il resto delle giornate presero la forma di abitudine, quella che erode il tempo e consuma i giorni privandoli della propria vita.
La sera, dopo l’ultimo scampanellio, il silenzio ad aumentare il volume della notte.
Dalla disciplina al rigore
Nessuna leggerezza ammessa. Scherzi neanche a parole. Se veniva rilevata anche una ingenua furbata erano guai per il malcapitato. Niente rimproveri, solo punizioni a totale discrezione dei sorveglianti, quelli con le Braghe Lunghe.
La scala delle sanzioni inflitte spaziava dalla costrizione fisica ad iperattività prolungate o all’immobilità corporea a tempo determinato; un surrogato di fantasie perverse ispirate al 'Prontuario del Giovane Sadico'. Il tutto subìto nella totale indifferenza dei compagni, come se il lupo cattivo avesse scelto quell’altro al posto loro, impuniti, pervasi da un’intima soddisfazione per il pericolo scampato nonostante una mal celata rassegnazione.
Imparai in fretta, rimediando solo qualche scapaccione di striscio.
(I Braghe Lunghe erano ragazzi cresciuti in cattività, non più adottabili a causa dell’affacciarsi della peluria. Alcuni uscivano quotidianamente dall’istituto per imparare qualche mestiere, altri venivano selezionati e addestrati per fare rispettare l’ordine e la disciplina. Praticamente una vita di merda da scaricare addosso al prossimo. Capetti con innata propensione alla vessazione: presuntuosi con la mira di elevare lo standard di docilità degli affidati da conservare privi di identità caratteriale, qualità indispensabile nei fanciulli da esporre.
I più deboli pagavano il conto. E qualcuno riscuoteva.)
Un bambino triste fa tenerezza, e si piazza più facilmente. A volte succedeva che uno della mandria fosse additato dal Tegamino - il direttore -, e prelevato da uno dei Braghe Lunghe di turno. Dopo una ripassata in acqua e sapone, veniva scortato nell’androne per una rassegna da parte di una coppia di sconosciuti sorridenti e ben vestiti. Esaminavano l’esposto prima da lontano, a seguire lo squadravano davanti, dietro e di profilo, infine gli chiedevano il nome - il cognome sarebbe potuto diventare quello degli avventori - in cambio di una manciata di caramelle. Tornava poi a giocare con le tasche gonfie di felicità.
A me questa sorte non non fu mai concessa perché privo del requisito fondamentale: non ero orfano.
Anche la felicità creava sgomento.
L’assuefazione
La nuova esistenza si stava delineando, sotto un profilo intransigente, nel segno del sospetto e della paura. Dietro la paura si insinua l’odio, un sentimento di ostilità che prima non conoscevo. Ogni forma di libertà era di fatto negata. Quella fisica delimitata da muri in grado di disarmare la fantasia. Quella di parola a discrezione dei sorveglianti. Amicizie o solidarietà venivano sciolte sul nascere, considerate pericolose come aggregazioni sovversive. Per sopravvivere bisognava farsi più piccoli, muti, invisibili per eludere gli sguardi a punta dei Braghe Lunghe, il cui compito primario consisteva nel cancellare sorrisi e illusioni.
Parentesi gastronomica
Il vitto distribuito alla mensa, in genere non era contemplabile nella piramide alimentare.
Nessuna tentazione per la gola. Nutrirsi era un semplice dovere imposto per eludere la soglia della commestibilità. Di gusti ignoti al palato, dalla tracciabilità olfattiva sgradita, e da tenere sotto controllo visivo per individuare corpi estranei non omologati come alimenti per umani.
Menu ristretto e poche le variabili.
Eccone qualche assaggio.
- Il latte. Alimento base ottenuto chimicamente dalla mutazione di una polvere bianca collosa mescolata con acqua calda. Privo di indicazioni di filiera.
- Il pane. Surrogato del chewing gum. Ideale per imprimere il calco dentario. Senza data di scadenza.
- La sbobba (termine onomatopeico). Ammasso di stelline espanse in una brodaglia arricchita di varietà botaniche affogate con annessi fitofagi resi sterili da una prolungata cottura.
- Polpette. Grumi di poltiglia dal colore inquietante, composti di vari ingredienti amalgamati, materie in parte già transitate sui nostri piatti sotto altri aspetti e doverosamente riciclati. Merce poco adatta