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Momenti di vita: Ricordi e riflessioni
Momenti di vita: Ricordi e riflessioni
Momenti di vita: Ricordi e riflessioni
E-book178 pagine2 ore

Momenti di vita: Ricordi e riflessioni

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Info su questo ebook

Attraverso questo libro ho voluto ricordare quali sono stati i momenti, gli eventi e le situazioni che hanno inciso profondamente sulla mia vita, che mi hanno fatto crescere, maturare, che hanno modificato alcuni miei atteggiamenti, che hanno risvegliato emozioni, emozioni che non dormono mai… Gli anni ormai trascorsi sono strettamente legati a tre figure: ai nonni paterni Amelia e Sante e al loro figlio Giulio.

Ho dedicato una parte del testo anche alle riflessioni sulla scuola, istituzione nella quale ho trascorso la maggior parte della mia esistenza, e allo sport, in modo particolare alla ginnastica ritmica, che mi ha sempre appassionato. Ora mi lascio cullare dal “danzare del tempo”.
LinguaItaliano
Data di uscita21 nov 2022
ISBN9791222020518
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    Anteprima del libro

    Momenti di vita - Giuliana Bombonati

    Giuliana Bombonati

    Momenti di vita

    Ricordi e riflessioni

    © 2022 – Gilgamesh Edizioni

    Via Giosuè Carducci, 37 – 46041 Asola (MN)

    gilgameshedizioni@gmail.com – www.gilgameshedizioni.com

    Tel. 0376/1586414

    È vietata la riproduzione non autorizzata

    In copertina: Progetto grafico di Dario Bellini su indicazione di Giuliana Bombonati.

    © Tutti i diritti riservati

    UUID: aeb30d7c-268f-41b3-bd65-12e8fa06f9bc

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    La nascita

    Cervia

    I viaggi

    La ginnastica artistica e ritmica

    Camilla e Carolina

    Wall Street English

    Insegnare scienze motorie alla scuola primaria

    Ippoterapia

    L’incubo

    L’anno scolastico 2020-2021

    La scuola: docenti, studenti, genitori, dirigenti … ruoli e opinioni

    Bibliografia e sitografia

    Note

    Ringraziamenti

    ANUNNAKI

    Narrativa

    205

    A mio marito Sergio,

    dolce, generoso, paziente e disponibile.

    Ai nonni Amelia e Sante,

    per la loro lezione di vita, compresa tardi.

    Prefazione

    Attraverso questo libro ho voluto ricordare quali sono stati i momenti, gli eventi e le situazioni che hanno inciso profondamente sulla mia vita, che mi hanno fatto crescere, maturare, che hanno modificato alcuni miei atteggiamenti, che hanno risvegliato emozioni, emozioni che non dormono mai… Gli anni ormai trascorsi sono strettamente legati a tre figure: ai nonni paterni Amelia, Sante e al loro figlio Giulio. Ho dedicato una parte del testo anche alle riflessioni sulla scuola, istituzione nella quale ho trascorso la maggior parte della mia esistenza, e allo sport, in modo particolare alla ginnastica ritmica, che mi ha sempre appassionato. Ora, mi lascio cullare dal danzare del tempo.

    La nascita

    Nacqui il 2 febbraio del 1961, giorno della Candelora, in cui si commemora la presentazione di Cristo nel Tempio di Gerusalemme e la Purificazione della Beata Vergine Maria. La festa si chiama Candelora, perché si benedicono e distribuiscono ai fedeli le candele, che, secondo la Chiesa cattolica, significano luce, dissipano l’oscurità della notte e liberano dalla cecità del vizio.

    I miei genitori e i nonni paterni erano convinti che dovesse nascere un maschio, per questo avevano ucciso un gallo, come voleva la tradizione di quei tempi. Desideravano un nascituro di sesso maschile, perché erano già nate due femmine e per avere un maggiore aiuto nella conduzione dell’azienda agricola. La mia nascita è strettamente collegata al decesso di mio zio Giulio, che avvenne nel 1960 a causa di una leucemia fulminante; morì a soli ventiquattro anni, dopo essere ritornato dal servizio militare. I suoi genitori lo fecero visitare dal primario di medicina dell’ospedale di Mantova, il quale, senza nessun’ombra di dubbio, diagnosticò la terribile malattia. Dopo sei mesi, nonostante le cure effettuate, se ne andò lasciando tutti prostrati e in uno strazio profondo. Per colmare tale perdita, soprattutto il vuoto che aveva lasciato, i miei genitori decisero di mettere al mondo un altro figlio, ma venne alla luce una bambina, alla quale diedero il nome di Giuliana per ricordare lo zio. Mia madre raccontava che il nonno Sante fu ugualmente contento ed esclamò: «Meglio sia una femmina, così non farà la stessa fine di Giulio». Quando ero piccola, ho sentito ripetere così tante volte che mio zio era morto a 24 anni che, giunta a tale età, mi convinsi che avrei fatto la stessa fine, ma fortunatamente non successe nulla. Sin dall’infanzia questi avvenimenti mi crearono molta confusione e tristezza, infatti spesso pensavo: «Sono nata perché un parente è morto, non sono stata veramente desiderata». Solo quando fui adulta, chiesi apertamente alla mia mamma, che ormai era già anziana, se fossi nata per sopperire alla perdita di un parente e lei mi rispose in modo affermativo. Mi assicurò, tuttavia, che né lei, né il mio papà si pentirono di questo e mi vollero sempre bene. In effetti, devo riconoscere che non mi hanno mai fatto mancare nulla e hanno effettuato molti sacrifici per offrirmi un futuro migliore del loro.

    In famiglia mi sentivo l’ultima arrivata, quella che non veniva interpellata quando c’erano delle decisioni da prendere; questo, con il passare degli anni, generò in me un marcato senso di inferiorità e scarsa autostima. Di solito, in famiglia le mie opinioni e i miei pensieri non erano presi in considerazione; ciò mi rattristava molto. Diventai introversa e timida. Purtroppo, le sensazioni e gli stati d’animo che si provano nell’infanzia si protraggono per molto tempo. Di fronte a nuovi eventi, situazioni da affrontare, ero sempre titubante, mi lasciavo prendere dall’ansia e il quesito che martellava la mia testa era: «Sarò in grado di effettuare quella cosa?». È difficile superare questa situazione, lo riconosco, ma non impossibile. Per dimostrare a me stessa, ai miei genitori e alle due sorelle maggiori le mie capacità, dalla scuola media al corso parauniversitario dell’I.S.E.F, iniziai a studiare molto, a impegnarmi in modo costante e a eseguire più di quanto mi era richiesto. I risultati non tardarono ad arrivare, infatti fui la prima del mio corso a terminare l’I.S.E.F con il massimo dei voti: 110 e lode. Durante gli anni di insegnamento, parecchi colleghi, studenti, genitori e alcuni presidi mi fecero i complimenti per la tenacia dimostrata nel lavoro e per i risultati ottenuti. Alla fine dell’ultimo anno, poche settimane prima della pensione, la Dirigente, al termine di una riunione, mi disse: «Ha fatto un lavoro encomiabile, nulla da dire». Ho terminato la mia attività di docente nel 2021, dopo aver insegnato in varie scuole secondarie di primo e secondo grado e, in alcuni casi, anche nelle primarie, come completamento cattedra. A volte, ho svolto il ruolo di coordinatrice di classe e quello di referente della sicurezza. Nella scuola media del mio paese creai il gruppo sportivo di ginnastica ritmica, allenando ragazze non agoniste che, per ben cinque volte, si qualificarono alle nazionali, e, in un altro istituto, la squadra di duathlon, che si piazzò al quarto posto, dopo aver vinto le fasi provinciali e regionali. Oltre a questi successi, ci furono le vittorie dei campionati provinciali e regionali di corsa campestre, atletica leggera, nuoto, tamburello, pallavolo, che ottenni allenando i miei studenti durante il percorso scolastico. Nel giugno del 2014, mi iscrissi a un corso di inglese, presso la scuola di Wall Street Institute, dove diedi quaranta esami con successo e terminai nel dicembre del 2016.

    Quando attraversavo momenti difficili, in cui mi avvilivo se non riuscivo a raggiungere alcuni obiettivi, bastava leggessi le lettere che alcune alunne, colleghi o genitori mi avevano scritto per ritornare ad avere pensieri positivi e fiducia in me stessa. Da non sottovalutare sono stati gli incoraggiamenti, i suggerimenti, il conforto offerti da mio marito che ha sempre creduto in me. Riporto le parti delle lettere di varie alunne, compresi gli errori, e quelle di alcune colleghe:

    «Cara prof,

    non siamo mai riuscite a dimostrarle tutta la nostra ammirazione e approvazione nei suoi confronti. In questi tre anni abbiamo vissuto un’esperienza che ci ha fatto sentire forti, capaci di ottenere tutto ciò che desideravamo […] Per noi farla sorridere sembra sempre qualcosa di conquistato, quando ride ci fa sentire bene. Talvolta si è comportata superando i limiti dell’insegnante, ha saputo capirci, accontentare le nostre esigenze, consolarci nei momenti più difficili, mettersi nei nostri panni e ha sempre saputo comportarsi di conseguenza a seconda dei nostri diversi caratteri. Noi non dimenticheremo che c’è una persona che ammiriamo tanto, e che ha saputo costruirsi la vita che desiderava, lottando talvolta contro un destino avverso. Per noi la ginnastica artistica e ritmica è come l’aria: ci si accorge di quanto vale, quando comincia a mancare […]»

    «Buongiorno prof,

    Io le sono molto riconoscente e non ho proprio idea di come ringraziarla. Lei mi ha fatto realizzare il sogno più grande della mia vita; era da molto tempo che le volevo chiedere di entrare a far parte del gruppo sportivo ma ero convinto di non esserne all’altezza […] In lei, ho riscoperto una nuova prof. con tutte le caratteristiche più belle del mondo e sapevo che quando mi sgridava lo faceva solo per il mio bene e, comunque, non mi sarei mai sognato di smettere. Lei mi ha dato fiducia fin dal primo giorno, sono riuscito a emozionarmi e spero anche di aver emozionato! […] Grazie di tutto!»

    «Va un grazie speciale alla prof. che per un anno mi ha sopportata, perché dello sport un po’ imbranata e di questo le sarò molto grata perché, per me, speranzosa sempre è stata. A una donna seria e puntuale, senza la quale non avrei mai potuto immaginare di riuscire il volano a far volare. Insomma voglio ringraziare una donna che tanto per me ha voluto fare»

    «Cara Giuliana,

    Oggi vogliamo salutarti esprimendoti la nostra gratitudine per la preziosa collaborazione e il sostegno che ci hai dato in questi anni senza mai risparmiarti. Siamo contente per te che, finalmente, potrai dedicarti con passione e tranquillità alla tua disciplina. Ti auguriamo di trovare un ambiente sereno e accogliente. Ci mancherai moltissimo!».

    Mio zio morì nel 1960, un anno prima della mia nascita. Sfogliando l’album di famiglia, ho visto le sue fotografie, alcune delle quali relative al servizio militare: era alto, magro, con i capelli ricci, aveva un viso dolce, sempre sorridente che, secondo i miei nonni, somigliava al mio. In realtà non notavo quest’affinità, se non per i capelli: da piccola, infatti, anch’io avevo ricci. Probabilmente cercavano a tutti i costi di trovare dei tratti comuni, per poterlo ricordare meglio. La mia mamma spesso diceva che era bravo a scuola, aiutava i genitori nei campi e a volte, a differenza del mio papà, la portava a ballare. Era molto buono. Quando seppero della malattia, fu una tragedia per tutti. Mio nonno informò mia nonna della patologia del figlio solo negli ultimi giorni, per non farla soffrire tanto tempo prima. Penso sia stato molto difficile e doloroso non potersi sfogare con sua moglie, tenersi tutto dentro e soprattutto fingere. Per ricordare il figlio fece costruire una cappella molto grande nel cimitero di Governolo e il pavimento della chiesa dello stesso paese. Ultimamente mia sorella maggiore, sfogliando attentamente un album di famiglia, ha trovato la documentazione in cui si dice che mio nonno donò una somma di denaro all’ospedale Carlo Poma di Mantova, affinché si potesse acquistare un letto in più nel reparto di medicina. Per quei tempi era un evento eccezionale! Solo ora capisco che mio nonno era un uomo con una mente che spaziava verso il futuro…

    Come ho riportato in precedenza, si chiamava Sante, ma per tutti era Santin, forse perché basso di statura, in verità non ho mai chiesto il motivo. Aveva gli occhi di un azzurro intenso, magro, con radi capelli bianchi che, da giovane, erano neri. Aveva frequentato solo la prima elementare, a causa delle ristrettezze economiche della famiglia; poi iniziò a lavorare nei campi per aiutare i genitori. Non poté proseguire gli studi, ma sapeva leggere, scrivere, far di conto, capiva quando parlavano le altre persone e, a sua volta, si faceva intendere. Ancora giovanissimo, partecipò alla Prima guerra mondiale; conobbe, visse la vita di trincea e gli venne conferita una medaglia d’argento al valor militare. Nel documento che lo attesta viene riportato quanto segue:

    «Capo di una mitragliatrice, si manteneva calmo e sereno, durante otto ore di combattimento, sotto il reticolato nemico, dimostrando calma e ardimento ammirevoli. Contuso, restava ancora tra i pochi superstiti compagni, infondendo loro fede e coraggio. Monte Asolone, 24 giugno 1918».

    Mio nonno riferì che i pochi compagni che erano rimasti volevano arrendersi al nemico, ma lui rispose loro che se lo avessero fatto, li avrebbe uccisi; fortunatamente, dopo molte ore, un altro battaglione venne in loro aiuto e si salvarono. Come tanti giovani che parteciparono alla Prima guerra mondiale, riportò delle conseguenze dal punto di vista psicologico. Non sopportava il rombo degli aerei e noi familiari, durante i temporali, dovevamo preparare subito delle candele da accendere nel caso in cui togliessero la luce, in quanto il buio lo infastidiva molto. Il quadro che riporta il conferimento della medaglia d’argento da parte del Ministero della Guerra fu appeso nella sala; spesso, quando venivano a trovarlo conoscenti o parenti, lo mostrava loro, orgoglioso di quello che aveva compiuto. Di solito era taciturno, non rideva spesso; quando venivano le nipoti a cena, non sopportava

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