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Doppelbanger: Edizione italiana
Doppelbanger: Edizione italiana
Doppelbanger: Edizione italiana
E-book265 pagine3 ore

Doppelbanger: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Bacia abbastanza ranocchi e prima o poi uno di loro si trasformerà in un principe… giusto?

Gina e Jeffrey si incontrano durante una crociera ai Caraibi, lei è una trentacinquenne abile cacciatrice di ragazzi single, lui… troppo vecchio, troppo biondo, troppo rigido e troppo papà!

Dopo Boomerangers torna Heather M. Orgeron con il secondo volume della divertente, ironica e sexy serie Cajun Girls.


A trentacinque anni, Gina Bourque è un’abile cacciatrice. Se un ragazzo è single, sui vent’anni, con i capelli scuri e gli occhi marroni, c’è una buona probabilità di trovare il suo nome sul libretto nero di Gina.
Jeffrey Ryan non avrebbe mai immaginato che a quasi quarant’anni si sarebbe ritrovato vedovo e padre single. Ma eccolo qui, ad arrancare in questa cosa chiamata vita con due figlie che osservano ogni sua mossa.
Quando Gina e Jeffrey si incontrano durante una crociera ai Caraibi, scocca la scintilla e non in senso positivo. Lui è troppo vecchio. Troppo biondo. Troppo rigido. Eppure lei è attratta da lui come una falena è attratta dalla fiamma. Lei è troppo esuberante. Troppo impertinente. Troppo selvaggia. Ma dentro di lui accende qualcosa che Jeffrey non riesce a ignorare.
Sappiamo tutti cosa succede quando si gioca con il fuoco.... qualcuno finisce per bruciarsi.
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2023
ISBN9791220706018
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    Anteprima del libro

    Doppelbanger - Heather M. Orgeron

    1

    GINA

    Amo gli uomini. Gli uomini giovani. Quelli che non cercano altro che un po’ di divertimento. Perché io non sono altro che puro divertimento. Sono ciò che molte persone in questo buco di città definiscono una cougar, una pantera. Che importa, lasciamo che i ficcanaso parlino. Non mi scopo il marito né il paparino di nessuna. Gli uomini mi piacciono liberi, preferibilmente con un bel cazzo e abbastanza esperienza da sapere come usarlo.

    Non è che abbia qualcosa contro i ragazzi della mia età o gli uomini più anziani. È solo che non voglio accasarmi. Mai. Inoltre, è raro incontrare trentacinquenni che alla mia età sono ancora single e hanno voglia di mettere radici. Sono una conquistatrice vagabonda.

    Non è una questione di difficoltà a legarmi con qualcuno, e contro i bambini non ho nulla. Semplicemente, non posso averne. E questo crea qualche difficoltà con tutta la questione del mettere radici. L’ultima cosa di cui ho bisogno è che un ragazzo si innamori di me e rinunci al suo sogno di una famiglia numerosa per poi covare risentimenti verso di me per il resto della nostra miserabile esistenza. Non ho tempo per rotture simili.

    La mia non è una storia strappalacrime e non voglio che nessuno mi compatisca. Non dirò che la situazione mi sta bene, questo no, ma l’ho accettata. Tanto vale vedere il lato positivo di ogni cosa, e nel mentre divertirmi un po’. Ho forse torto?

    A causa del mio orologio biologico, che con mio grande rammarico non è fuori uso come i miei inutili organi di riproduzione, sono molto legata ai miei nipoti acquisiti. Io e la mia migliore amica Spencer li abbiamo cresciuti insieme, poi lei due anni fa ha sposato il suo fidanzatino del liceo, Cooper. In questo preciso istante al loro – nostro – nido stanno per aggiungersi due bambine. Mi sto recando all’ospedale con i suoi gemelli quindicenni, Lake e Landon, e il loro fratellino di quattro anni, Kyle, chiamato Selvaggio, per conoscere le loro nuove sorelline.

    «Zia Gigi?» dice una vocina curiosa dal sedile posteriore.

    «Sì, Kyle?»

    «Come hanno fatto le mie sorelle a entrare nella pancia della mamma?»

    Oh, merda.

    Non importa come rispondo, so che finirò per mettermi nei guai. Del sudore freddo mi imperla la fronte e il cuore comincia a battermi all’impazzata.

    Proprio quando sto per mettermi nella fossa da sola, Landon interviene salvandomi. «Papà ha messo dei piccoli semi, che si chiamano spermatozoi, dentro gli ovuli nella pancia della mamma… e sono cresciute due bambine.»

    Tirando un sospiro di sollievo, lancio un’occhiata al mio eroe adolescente che se ne sta nel sedile del passeggero. «Grazie, Landon.»

    «Di niente, zia Gina.» Lui scuote il capo e increspa le labbra nell’accenno di un sorriso.

    «Ci sono entrato così anche io nella pancia della mamma?» gli domanda Selvaggio, e Landon si schiarisce a fondo la gola.

    «Beh, no… Perché, sai che Cooper ti ha adottato, no?»

    Guardo Kyle annuire nello specchietto retrovisore.

    «Beh, un uomo di nome Alex ha messo il suo sperma nell’ovulo della mamma e tu sei cresciuto nella sua pancia.»

    Sul visino di Kyle compare un’espressione di consapevolezza. «E fammi indovinare… quello stronzo di Tate ha messo i suoi spermatozoi negli ovuli di mamma e siete cresciuti voi?»

    I ragazzi scoppiano in una risata isterica e io mi mordo le labbra per evitare di fare altrettanto. Probabilmente dovrei rendere subito noto che c’è un motivo valido per cui tutti chiamiamo Kyle Selvaggio.

    «Beh…» Una risata soffocata mi sfugge dalle labbra. Con la mia piccola Audi faccio manovra per parcheggiare vicino all’ospedale. «Credo che nessuno di noi contesterà il tuo ragionamento logico.»

    Le domande continuano anche mentre navighiamo per i corridoi alla ricerca del reparto di maternità. La conversazione è dolce e innocente, finché Kyle non sgancia la bomba atomica: «Ma, zia, come hanno fatto tutti quegli uomini a mettere i loro semi nella pancia di mia madre?»

    Ho la gola secca e all’improvviso faccio fatica a camminare. Mi strofino il viso con una mano.

    «Sì, Gigi,» mi incoraggia Lake deliziato dalla situazione. «Come hanno fatto tuuutti quegli uomini a mettere il loro sperma dentro mamma?»

    Stringo gli occhi in due piccole fessure. «Per me sei morto,» ringhio.

    Lake e Landon mi camminano a fianco con le braccia incrociate sui loro petti appena muscolosi, in attesa della mia rovina. Sento i loro occhi azzurri che mi bucano le guance. «Beh… vedete… gli spermatozoi sono immagazzinati in piccoli… compartimenti chiamati… testicoli, e quando un uomo vuole fare un figlio con una donna, di solito sua moglie, può… spararglieli nella vagina con il pene… come una pistola ad acqua.»

    Ridono a crepapelle e dalle loro malefiche bocche di adolescenti partono degli sputacchi. Stronzi. «Non chiedetemi mai più una cosa del genere, mai più. O giuro su Dio che…» sibilo, poi mi rendo conto che ci siamo fermati proprio davanti alla stanza di Spencer. Supero i ragazzi che ancora se la ridono e spingo la porta prima che Kyle possa fare altre domande.

    Mi vengono gli occhi lucidi non appena entriamo. La mamma di Spencer, la signora Elaine, siede sul divano ricurva sul piccolo fagotto rosa che tiene tra le braccia. Nelly, la madre di Cooper, se ne sta accanto a lei nella stessa identica posa, con in braccio l’altra piccoletta. Mi chino per baciare le gemelle sulla loro minuscola fronte, poi raggiungo la mia migliore amica. «Sei bellissima, Spence. Come ti senti?»

    «Benissimo, male e sono stravolta. Ma direi che è una meraviglia.» È euforica, nonostante le occhiaie.

    «Selvaggio, amico mio!» esclama Cooper alzandosi dalla poltrona reclinabile nascosta nell’angolo accanto al letto. È splendente, un papà orgoglioso a tutti gli effetti.

    «Ehi, papi. Ti sono mancato?»

    «Certo che sì.» Coop fa il giro della piccola stanza d’ospedale per prendere la mano di Kyle e conduce i tre ragazzi verso il divano blu, dove le nonne fanno gli occhi dolci alle gemelle. «Ragazzi, vi presento le vostre sorelline: Abigail ed Emmaline.»

    Mi siedo sul bordo del letto della mia migliore amica, osservando le prime reazioni dei ragazzi alle nuove bambine, e sento la sua mano fredda che stringe la mia. Il cuore mi esplode nel petto. Spence merita questa vita, questa famiglia, questa felicità, più di chiunque altro.

    «Che ne pensi, piccoletto?» domanda Spencer mentre aiuto Kyle a salire sul letto per sedersi accanto a lei.

    «Fai attenzione, Selvaggio,» dico. «La pancia di mamma è molto gonfia perché le bambine sono appena nate.»

    «Penso che sono a posto, ma preferivo dei bambini maschi. Ce n’erano alcuni in quella grande finestra mentre cercavamo la tua stanza, mamma.» Gli occhi di Kyle si fanno enormi. «Forse qualcuno vuole delle femmine e possiamo a cambio?»

    «Oh, tesoro. Non farmi ridere. Mi fa male tutto,» dice Spence con una risatina dolorante. «Non scambieremo le tue sorelle. Tu e i tuoi fratelli… e tuo padre siete più che sufficienti per una famiglia sola.»

    Rassegnato, Kyle rilassa le spalle. «Va bene. Però prometti che altri ragazzi non ti sparano dello sperma nella vagima, okay?»

    Gli occhi di Spencer si allargano e sfrecciano per la stanza finché non si posano su Lake e Landon. «Cosa avete detto al mio bambino?»

    Oh, merda.

    «Non guardare noi,» dice Landon ridendo e alzando le mani in segno di resa. «È tutta opera della zia Gigi.»

    Cazzo. «Oh, e voi avete fatto il vostro!» Guardateli, come sono pronti a buttarmi sotto il tram.

    «Gina!» sussulta la signora Nelly. «Kyle ha solo quattro anni.»

    Da quanto sta ridendo, la faccia di Cooper ha assunto un colorito violaceo, mentre Spencer ha l’aria di una che potrebbe non rivolgermi mai più la parola.

    Dopo essere scivolata lentamente giù dal letto, mi dirigo verso la porta. «E questo è il nostro segnale per andarcene. Forza ragazzi. Salutate tutti con un bacio. Ho una grande sorpresa per voi.» Loro non lo sanno ancora, ma quando lasceremo l’ospedale andremo direttamente al porto di New Orleans per imbarcarci su una nave da crociera diretta ai Caraibi per una settimana. Ho pensato che sarebbe stato bello fare qualcosa di divertente per loro mentre le bimbe si godono tutte le attenzioni dei loro genitori. Per non parlare del fatto che Cooper e Spencer potrebbero approfittare di un po’ di calma per abituarsi alla vita con due gemelle appena nate.

    Proprio così: ho il cuore d’oro. È la mia boccaccia a mettermi nei guai.

    «Ripensandoci,» esordisce Spencer, agitandosi nervosa nel letto. «Forse questa sorpresa non è una buona idea.»

    Oh, diavolo, no.

    La signora Elaine lancia un’occhiataccia alla figlia. «Spencer Rose, davvero? Smettila. Ti comporti come se non conoscessi Gina da sempre. Te l’avevo detto che un giorno tutti quei paparini ti avrebbero raggiunta. Ebbene, eccoti qui.» Agita le braccia.

    «Vado a fumare una sigaretta,» annuncia il padre di Cooper, il signor Neal, prima di superarmi e uscire dalla stanza.

    «Mamma! Li ha tenuti da sola per un giorno. Un. Giorno. E guarda cosa ha fatto. Immagina i danni che potrebbe fare in una settimana.»

    Elaine la zittisce con un cenno della mano. «Non può fare niente di peggio di quello che hai già fatto tu, tesoro.» Dopo aver passato la bambina a Cooper, mi raggiunge vicino alla porta e si china per sussurrarmi all’orecchio: «Ignorala. Prendi i bambini e scappa, piccola. Divertitevi tutti.» Mi stampa un bacio sulla guancia, poi guarda sua figlia che sta ancora farneticando dal letto d’ospedale.

    «Mi ha appena dato della cattiva madre?» Spencer si porta la mano al petto e guarda Cooper, che sembra aver visto un fantasma.

    «Ah, no no… Non coinvolgermi nelle vostre…»

    «Quindi sei d’accordo con lei?»

    Oh, buon Dio del cielo. Devono essere gli ormoni della gravidanza. Mentre Coop rassicura la moglie sul fatto che è la mamma più meravigliosa che abbia mai camminato su questa terra, ordino ai ragazzi di salutarsi e di raggiungermi in corridoio.

    2

    JEFFREY

    «Ragazze, avete preparato le vostre cose? Siamo pronti ad andare?»

    La più piccola, Willow, scende di corsa le scale, i boccoli biondi che rimbalzano a ogni passo. «Non vedo l’oa di andale sulla nave, papà!» A tre anni mi guarda ancora come se fossi Dio sceso in Terra.

    «Non ci posso credere che mi fai fare questo viaggio senza Savana.»

    «È una vacanza di famiglia, Evangeline. E Savana non fa parte della famiglia.» Tanto, visti i suoi drammi adolescenziali, sembra che nulla di ciò che faccio vada bene.

    «Ma ci è molto vicina.» Alza al cielo i suoi grandi occhi color smeraldo, come quelli di sua madre, e si attorciglia una ciocca di capelli ramati attorno all’indice.

    «La nostra famiglia è composta da me, te e Willow.»

    «Sì, beh, la nostra famiglia fa schifo, allora. Ecco, l’ho detto! Se la mamma fosse ancora viva, capirebbe. Mi lascerebbe portare un’amica, o almeno il mio telefono!»

    Mi si chiude lo stomaco. Mi schiarisco la gola e cerco di risponderle senza sembrare esasperato. «Beh, non sappiamo cosa farebbe tua madre, tesoro, perché non è più qui e io sto facendo del mio meglio.»

    «In che modo allontanarmi dalla mia migliore amica e tagliarmi fuori dal resto del mondo per sette giorni è il meglio che puoi fare, papà?» Gli occhi le si riempiono di lacrime, scorgo la frustrazione pronta a esplodere.

    In momenti come questi mia moglie mi manca da morire. Lei saprebbe cosa fare. Come gestire questo casino ormonale che è nostra figlia. Avvolgo un braccio intorno alle spalle rigide della mia Vangie, la stringo a me e le bacio la fronte. «È solo per una settimana, bambina mia. Non è la fine del mondo, te lo prometto. Ora prendi le tue cose e cerca di sorridere un po’, d’accordo?»

    «Non è stupendo?» Do una piccola gomitata a Evangeline e le sorrido. Guardiamo la nave che lascia il molo dal ponte della nostra suite con balcone.

    Mia figlia alza le spalle, ma con la coda dell’occhio colgo un accenno di sorriso e so che sta già cominciando a superare il suo turbamento.

    «Somigli a lei quando aveva la tua età, sai?» Le parole mi escono di bocca senza pensarci. Cerco di non nominarla troppo spesso, ma la verità è che forse non ne parlo abbastanza.

    Evangeline sorride. «Mi manca tanto, papà.»

    Pensavo che perdere Jessica sarebbe stata la cosa più difficile da sopportare, ma mi sbagliavo. È guardare le mie figlie crescere senza di lei che mi uccide ogni giorno sempre di più. Con Evangeline è ancora più difficile perché era abbastanza grande da ricordarsi di lei. «Anch’io, Vangie.»

    «Mi dispiace di aver fatto i capricci prima di partire,» dice accoccolandosi al mio fianco.

    «Non preoccuparti… ci sono abituato.»

    Lei emette un sospiro indignato e all’improvviso ogni cosa torna in ordine. Per quanto lo possa essere nonostante l’enorme mancanza nella nostra famiglia.

    «È ora di fare festa, gente,» grida il nostro direttore di crociera Stan, battendo il microfono tra le mani in piedi sul palco al centro del ponte principale.

    «Pecché quell’uomo ha la gonna?» ridacchia Willow.

    «Si chiama kilt.» Evangeline alza gli occhi al cielo.

    «E pecché quell’uomo ha la tilt

    «È una gonna da ragazzo,» sussurro all’orecchio della mia bambina.

    «In Scozia…» comincia Vangie, poi si rende conto che da spiegare a una bambina sarebbe troppo complesso. «Non importa.»

    «Andiamo.» Sollevo Willow sulle mie spalle e mi dirigo verso la pista da ballo prima che Evangeline abbia la possibilità di rifiutare. Non esiste che rimanga da sola. «È ora di ballare un po’!»

    «Oh, mio Dio, papà. Da quando in qua si balla in pista?»

    Guardandomi alle spalle, sorrido al suo viso infastidito. «Da adesso.»

    Vangie si mette in fila accanto a me e comincia a ballare come una professionista mentre io inciampo nei miei piedi. «È davvero imbarazzante,» dice, ma la sua espressione raggiante racconta una storia diversa.

    «Rilassati. Qui nessuno ti conosce. C’è libertà nell’anonimato. Goditela.»

    Non riesco a credere alle cose che mi ritrovo a fare solo per vedere queste ragazze sorridere.

    3

    GINA

    Ahhh. Questa sì che è vita. Non so perché Spencer continui a dire che le vacanze con i ragazzi non sono rilassanti. Quella stronzetta ha sempre scelto la vacanza sbagliata, evidentemente. Zia Gina è pronta a mostrarle i trucchi del mestiere.

    «Grazie, Philip.» Sorrido con dolcezza al giovane ragazzo cubano che continua a portarmi bevande fresche. Il personale di questa nave porta il servizio al cliente a un livello completamente diverso. Prima che possa rendermi conto di aver bisogno di qualcosa, qualcuno se ne sta già occupando.

    Trovo strano, tuttavia, che la loro nazionalità sia incisa sui loro cartellini, proprio sopra il nome, e non posso fare a meno di pensare alle cause di discriminazione che questo comporterebbe in America. A pensarci bene, non credo di aver visto un solo dipendente americano. Non riesco a immaginare di dover servire altre persone per vivere, ma qui sono tutti molto accomodanti. Il lavoro sembra piacergli sul serio, quindi magari è meglio così.

    «Ci vediamo tra qualche minuto, Phil!» Lo seguo mentre si dirige verso il bar. Poi prendo il telefono e apro la fotocamera interna.

    Con la mano libera, cerco di dare volume ai miei capelli biondi. Poi sistemo le ragazze nel mio bikini rosa shocking, prendo il mio daiquiri dal tavolino, sfoggio il mio sorriso smagliante e scatto.

    Io: Buongiorno, amica mia! Come state tu e le mie bimbe? Vi siete già fatte una canna?

    Spencer: Ciao, troia. Non ancora. Magari domani.

    La sua risposta è quasi istantanea. Immagino si stia annoiando a morte, perciò per peggiorare la sua situazione allego il mio selfie. Sono una buona amica, lo so.

    Io: Peccato. Vorrei davvero che fossi qui a rilassarti insieme a me.

    Spencer: Gina, stai troieggiando davanti ai miei figli?

    Io: Sono i miei babysitter, stronzetta! Abbiamo passato qualche ora insieme in piscina, abbiamo pranzato e poi li ho spediti in camera fino all’ora di cena.

    Spencer: Non ubriacarti, e assicurati che non si sporgano troppo dalla barca. Come sta Selvaggio? Soffre il mal di mare? Si sta trovando bene?

    Io: Calmati, donna. Stiamo bene. Stiamo tutti bene. Vai a goderti le tue bambine. Io vado a prendere un po’ di sole. Ti voglio bene, amica.

    Proprio quando sto per mettere via il telefono, ecco che prende a suonare. Spencer deve imparare a rilassarsi un po’, penso mentre guardo lo schermo.

    Eeeeed ecco che mi sbagliavo. È Brent. Appiccicoso da morire.

    Brent: Ehi, bambolina. Ti va di venire da me? Ci rilassiamo un po’ (non) guardando Netflix?

    Alzo gli occhi al cielo. Non guardando Netflix? Terrificante.

    Ora, non fraintendetemi, sono abituata al gergo da millennial e al disagio perenne che comporta frequentare un ragazzo più giovane, ma Brent… Brent non sa quando smettere.

    Io: sono in vacanza con i miei nipoti. Mi dispiace.

    Brent: Che peccato. Facciamo un’altra volta? Quando torni?

    Io: Già. Non credo che succederà, Brent. Una notte e via per me significa letteralmente una notte.

    Brent: Va bene, allora… passa una bella vacanza, magari ci ribecchiamo quando torni?

    Non mi capita spesso di non riuscire a scrollarmi di dosso un ragazzo. Ho praticamente ridotto il mio processo di selezione a un metodo scientifico, e Brent rientra in tutti i parametri che mi sono imposta quando si tratta di scegliere gli uomini. Massimo venticinque anni, positivo. Drogato di palestra, positivo. Ho scoperto che gli uomini ossessionati dall’esercizio fisico non hanno molto tempo per altro, il che li rende dei candidati ideali. Studente universitario, positivo. Puttaniere, positivo.

    E poi ci sono le mie preferenze personali: capelli scuri, carnagione olivastra, occhi del colore del whisky… Diciamo che mi scopo dei tizi che sono l’uno il sosia dell’altro. Un’immagine di William Levy mi fluttua dietro le palpebre e stringo le cosce. C’è qualcosa in quell’uomo da telenovelas che mi fa impazzire. Se non vivessi in una delle città meno multietniche d’America aggiungerei alla mia lista saper parlare sporco in español.

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