Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Sette ballate di pianura
Sette ballate di pianura
Sette ballate di pianura
E-book152 pagine2 ore

Sette ballate di pianura

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sette storie padane che trovano il filo conduttore nello scorrere lento e immaginifico del Po nel suo tratto emiliano.
Racconti quotidiani di personaggi qualunque che, grazie a un evento inconsueto, vivono un momento magico che in qualche modo farà loro assorbire il profumo magico della pianura e nello stesso tempo si sentiranno protagonisti della loro vita. Come i tre ragazzi beat che si recano in bicicletta a una serata del Cantagiro, o ancora chi trova una ragione di vita guidando l’autobus tra i paesi della bassa ferrarese o i due ragazzi che assistono al passaggio veloce e signorile del Settebello da un casello ferroviario in disuso. Tra i diversi protagonisti non manca la biografia romanzata di Giovanna Daffini, la grande madre del folk italiano, che con la sua voce inondò di poesia e bellezza l’aria immobile dei piccoli mercati e fiere padane e lo stesso lento e maestoso corso del grande fiume..
LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2023
ISBN9788861559752
Sette ballate di pianura

Correlato a Sette ballate di pianura

Titoli di questa serie (5)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Sette ballate di pianura

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Sette ballate di pianura - Roberto Menabò

    Roberto Menabò

    SETTE BALLATE

    DI PIANURA

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    commerciale@giraldieditore.it

    info@giraldieditore.it

    www.giraldieditore.it

    Segui Giraldi Editore su:

    s_facebook Facebook

    s_twitter Instagram

    ISBN 978-88-6155-975-2

    Proprietà letteraria riservata

    © Giraldi Editore, 2023

    Foto di Antonio Boschi, WIT Grafica & Comunicazione

    www.antonioboschi.com

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    Alle strade di pianura

    che abbracciano l’orizzonte

    insieme alle nuvole

    Ritorni

    La Fiat 1100 D color carta da zucchero, pulita di fresco e con il livello dell’olio al massimo, viaggiava spedita e senza intoppi sulla A4. In quella rettilinea pianura verso Milano il signor Gino guidava l’automobile con tranquillità e sicurezza scrutando l’autostrada semi sgombra, dando veloci e fugaci occhiate allo specchietto retrovisore e all’indicatore della temperatura dell’acqua. Si sentiva un autista esperto e affidabile perché aveva la patente B già da quattro anni, senza contare i tanti chilometri bruciati a cavallo della rossa Gilera 150 che ora era ferma, inutilizzata nel garage di casa.

    Al suo fianco la signora Iole faceva da secondo autista, senza patente, con il viso da bracco tedesco puntato in avanti, esclamando, con la dovuta enfasi al marito:

    – Stai attento, c’è un camion davanti… guarda quella macchina vuole sorpassare… non stare così al centro della carreggiata…

    Nel frattempo, con la mano destra faceva ampi gesti come per fare comprendere meglio a suo marito la traiettoria giusta. Con la sinistra invece teneva impugnato il freno a mano, come raccontava alle sue amiche tutta orgogliosa e previdente.

    – Quando sono in macchina con il mio Gino, tengo sempre stretto il freno a mano così se vedessi un pericolo improvviso, lo tiro con forza!

    Mollava la presa solo quando accendeva una Nazionale al marito e gliela porgeva dolcemente sulle labbra, così non si sarebbe distratto e si sentiva più sicura.

    Sul sedile posteriore Flavio, con le gambe un po’ di qua e un po’ di là come sanno fare solo i ragazzi, divorava un giallo di Agatha Christie alternandolo a sguardi curiosi verso la campagna circostante che sembrava correre veloce al di là dei finestrini. Era la prima volta che leggeva una storia con Hercule Poirot protagonista. Era entusiasta di quell’omino inappuntabile, raffinato e un po’ vanesio che man mano stava scoprendo in modo scientifico l’assassino. Ma lasciamolo in pace! L’eccentrico belga stava rivelando all’incredulo e giuggiolone capitano Hasting alcuni indizi fondamentali per scoprire l’assassino.

    Per evitare la calura estiva di pieno luglio, la nostra famigliola si era svegliata alle cinque di mattina e un’oretta più tardi, dopo una lavatina veloce a turno nel bagno, un’ennesima controllata ai bagagli e le ultime raccomandazioni al figlio maggiore semi addormentato, era partita da Borgofranco, a due passi dalla Valle d’Aosta. I tre erano diretti giù, come racchiudevano in un semplice e piccolo avverbio, il loro paese d’origine nel Polesine, ricco della loro storia e di indelebili sentimenti.

    Era un appuntamento fisso e sacro: due giorni a Pasqua e una settimana in estate per corroborare la memoria. A dire il vero Flavio era nato in Piemonte ma si sentiva per emulazione veneto anche lui, perché in casa sua sembrava di essere nel rovigotto.

    Flavio sentì il tic tac, tic tac, tic tac della freccia di direzione mentre ormai Poirot stava invitando tutti i sospettati nel salone di circostanza. Il profilo geometrico dell’autogrill a ponte, che si intravvedeva piazzato nel mezzo di un rettilineo quasi infinito, diventava sempre più rassicurante ed invitante man mano che si identificava sulla sommità la silhouette rossa dei Pavesini. Appena Flavio vide l’insegna gli vennero subito in mente quei biscotti buonissimi, che non erano da tutti i giorni ma solo per le occasioni speciali.

    Fu colpito da suo papà che armeggiava con il cambio al volante e sentì, con un leggero scossone, la terza che si lamentava per i troppi giri, ma ormai la 1100 D stava entrando nella stazione di servizio accomodandosi con il cofano caldo tra una Fiat 1300 bianco latte e una sportiva Fulvia Zagato Rosso San Siro che sprizzava velocità anche se ferma.

    – Iole, andiamo a prenderci un caffè, Flavio vuoi qualcosa anche tu?

    Figuriamoci, anche se aveva divorato appena sveglio una biova intera con la marmellata di fragole e un bicchierone di latte, la sua fame di quattordicenne era incontrollabile e senza limiti. Già salendo le scale si era subito insaporito dell’aroma inconfondibile che emanavano i soffi delle macchine per caffè espresso e, contando sulla generosità che si ha quando si è in viaggio, chiese ai suoi, nonostante il caldo, un cappuccino e una brioche alla crema, quest’ultima scelta con cura dalla vetrina del banco del bar. Inzuppare e mescolare il sapore della sfoglia con la schiuma evanescente ricoperta di cacao del cappuccino, per il ragazzo era un’occasione quanto mai rara ma soprattutto era un’esperienza unica guardare dal tavolino le auto che sfrecciavano al di sotto, lungo l’autostrada. Gli pareva d’essere in uno dei film d’avventura visti all’oratorio, nelle domeniche pomeriggio con gli amici e si sentiva appagato e contento.

    Il viaggio continuò con i palazzi fitti e incollati di Milano e poi ancora autostrada fino a Verona quando imboccarono la statale che scendeva a sud-est o, come la chiamava suo padre, la strada bassa. Il caldo all’interno dell’automobile era un’invasione di sudore. Flavio, che dopo Bergamo aveva scoperto l’identità dell’assassino grazie all’acume di Poirot, era passato alla lettura di alcuni Tex rubati a suo fratello. Non sapeva più come stare seduto perché le cosce rimanevano attaccaticce senza scampo al sedile di finta pelle nonostante avesse provato tutte le posizioni possibili. Maledisse con calore i pantaloncini corti in terital di cotone rosso attorcigliati fino all’inguine che sua madre continuava a comperare al mercato del venerdì a Ivrea. Tutti sudavano nell’abitacolo, però mamma non voleva i finestrini aperti perché sosteneva che quell’aria che entrava frenetica e svolazzante facesse male alla salute. Aveva ceduto, soltanto dopo lunghe insistenze, sui due deflettori anteriori.

    Papà aveva il colletto della camicia madido e sfatto ma non ci faceva caso perché adesso il muso dell’automobile puntava verso il paese dell’infanzia, tra platani ombrosi e paracarri pitturati di fresco, sistemati per limitare il ciglio della carreggiata.

    I cartelli con i nomi dei comuni si succedevano lenti ma costanti. Come a ogni viaggio, quando apparve la scritta Bovolone, Gino e Iole ricordarono ad alta voce, e per l’ennesima volta, un episodio capitato loro in quel paese. Successe lo stesso quando superarono Villa Bartolomea, Castagnaro e infine Menà. La loro parlata lentamente riacquistava come d’incanto il dialetto e la cadenza puri e originari, senza essere stati imbastarditi da quindici anni di lontananza piemontese.

    Era ormai questione di un chilometro. Gli sguardi scrutavano con attenzione la strada attendendo di vedere una striscia d’asfalto diversa "Ghe semo", disse soddisfatto il signor Gino: erano entrati in provincia di Rovigo.

    La 1100 D sembrava correre su binari invisibili e sicuri. Fischiò come un treno rapido annunciando il suo arrivo a Baruchella. Girò a destra, passò sul ponte del canale e prese veloce a sinistra per Giacciano. Quando dopo neanche un chilometro arrivò alla chiesa, scese a destra, oltrepassò il camposanto, affrontò qualche curva stretta e insidiosa con sicurezza, come se a condurla fosse Nuvolari, e poi si trovò di fronte un rettilineo polveroso tra campi e fossati profondi. Al primo incrocio svoltò di nuovo a destra e dopo cento metri finalmente sentì i pistoni rallentare, la pressione dell’olio smussare e, stanca del lungo viaggio, sembrò voltarsi, compiaciuta di aver fatto il suo dovere.

    Erano arrivati a casa.

    Voci sopra le righe, abbracci, domande scoppiettanti, risposte mai finite e corse in bagno per fare pipì si susseguivano in un calderone anarchico di movimenti e gesti, inconsueti per una casa contadina abituata alla fissità delle regole. Fu Iole a riportare i piedi a terra quando si rivolse al figlio.

    – Corri in macchina a prendere le due borse grandi sul sedile posteriore, fa’ due giri e sta’ attento a non far cadere nulla.

    Fu così che Flavio qualche minuto dopo riversò sul tavolo della cucina, densa dei profumi coinvolgenti del pranzo domenicale, due scatole eleganti di torcetti al burro e biscotti di meliga, una confezione regalo della Polentina d’Ivrea, un vasetto di tomini sott’olio al prezzemolo, uno alle erbe e un altro senza etichetta, col peperoncino e aceto, comprati apposta a Chiaverano. Dall’altra borsa spuntarono tre bottiglie di Erbaluce e diverse tomette canavesane che, nonostante fossero avvolte in tanti strati di carta, riuscirono a sconfiggere la fragranza delle due galline arrosto e del risotto con i piselli che cominciava a cuocere lentamente dopo la tostatura.

    Poi qualche pensierino per nonna Anita, piccola, magra e ancora diritta come un campanile; per lo zio prediletto Alfio, abbronzato e aperto; per zia Wilma, timidona, di gran cuore; e infine due pacchetti di Alfa per Licinio, il papà di zia che camminava lentamente fischiettando e sputacchiando il tabacco che scappava dalla sigaretta senza filtro.

    Nel salotto le persiane erano socchiuse, il lumino sotto la fotografia dello zio Cesare – che guardava con i suoi occhi di ventenne una vita lasciata chissà dove nella ritirata in Russia – era sempre acceso come volesse dire: presente, ci sono anch’io. Sul tavolo ricco e sovrabbondante non mancava nulla. La tovaglia bianca era ancora intonsa e la bustina per l’acqua frizzante si stava sciogliendo lentamente nella bottiglia, mentre la caraffa di vino la guardava sdegnosamente. Il pranzo del ritorno era pronto e tutti erano a tavola.

    Usciamo un attimo, non stiamo troppo a curiosare in questa larga famiglia ritrovata.

    Nonostante fosse l’unico ragazzo nei paraggi, Flavio non si annoiava. Faceva lunghe passeggiate in bicicletta nella campagna circostante ricca di strade e stradine che si annidavano e si scioglievano. Era stato sistemato nella camera di suo cugino Renato che stava facendo il servizio militare a Casale Monferrato e lì aveva trovato delle collezioni quasi intere di Diabolik, Satanik, Kriminal e altri fumetti che leggeva avidamente nel dopo pranzo quando la calura era insopportabile, tralasciando senza pentimento alcuni romanzi che gli erano stati consigliati per affrontare la scuola superiore.

    Passava molto tempo anche in compagnia di Licinio. Era a suo agio con quel vecchio signore, quasi sempre dietro una nuvola di Alfa, dalla voce gentile che non si alterava mai e che lo trattava con rispetto. Licinio viveva in quella casa, che aveva comperato con grandi sacrifici, da tanti anni ma dopo che era rimasto vedovo, per non lasciarlo solo, gli zii si erano trasferiti nella sua casa anche perché era più spaziosa e accogliente, rispetto a quella in cui abitavano. L’unica a brontolare era nonna Anita che si sentiva in prestito e che non digeriva di essere nella casa di quel vecchio, come lo indicava lei. All’inizio di quella convivenza forzata era scostante e molto sulle sue ma visto anche il carattere socievole del consuocero, che non dava importanza ai suoi atteggiamenti, cominciò ad addolcirsi e ogni tanto a sorridergli.

    Dietro casa c’era un prato lungo e indefinito, un grande orto, un pollaio e un capanno di legno per i numerosi attrezzi tenuti lì in disuso da tanti anni ma che potevano ritornare utili in qualche occasione. In un angolo si alzava elegante anche un poderoso tiglio, sotto di cui erano piazzati una vecchia sedia impagliata e un piccolo sgabello che era stato usato per la mungitura delle vacche. Era il posto abituale dove il vecchio si sedeva per riposarsi un poco e fumare l’immancabile Alfa. Lì lo raggiungeva Flavio con il panino della merenda, per il piacere di prestare attenzione alle sue storie e ai suoi insegnamenti. Aveva così imparato a raccogliere, curare e innaffiare i fagiolini, i peperoni, e le zucchine insieme alle altre verdure tutte ben ordinate in filari. Era diventato esperto nel dare un nome ai vari cinguettii che sforavano dagli alberi del prato, e si muoveva con sicurezza nel pollaio a raccogliere con attenzione le uova, senza rischiare di romperle. Gli piaceva fare quei lavori

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1