Parla come Dante
Di Dario Pisano
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Prefazione di Claudio Giovanardi
A molti di noi è capitato spesso di esclamare, in qualità di invito a non perdere tempo con persone che non meritano la nostra attenzione, «Non ti curar di lor, ma guarda e passa!» (prima curiosità: la citazione è sbagliata! Dante scrive: «Non ragioniam di lor…»). E chi non conosce il verso «Amor ch’a nullo amato amar perdona», che tanta fortuna ha avuto nella musica italiana? Ma cosa significa? E quante volte abbiamo detto a un amico – pieno di guai fino al collo – «stai fresco»? Che cosa hanno in comune queste espressioni e le tante altre raccolte nel libro? La medesima paternità. Nascono tutte dalla penna di Dante Alighieri, il massimo genio linguistico della storia, il quale – con la sua Divina Commedia – ha incrementato vertiginosamente il patrimonio lessicale dell’italiano. Parla come Dante ospita una ricognizione dei più famosi ma anche dei meno noti versi di Dante entrati nella lingua quotidiana, per lo più usati da chi parla senza la consapevolezza della loro provenienza. L’ampia documentazione offerta in queste pagine è la prova del fatto che, se anche noi ignoriamo Dante, Dante non ignora noi, ed è sempre sulle nostre labbra, in ogni momento della «nostra vita»!
Quante volte, parlando, citiamo Dante senza saperlo? E siamo certi di citarlo bene?
Un libro che svela la presenza nascosta ma costante del sommo poeta nella nostra vita quotidiana
Hanno scritto dei suoi libri:
«Una bella esplorazione narrativa dei luoghi della Firenze di Dante.»
Ranieri Polese, Corriere Fiorentino
Dario Pisano
è nato a Roma nel 1986. Laureato in Filologia Romanza e dottore di ricerca, ora insegna Lettere nei licei. Ha collaborato con la RAI alla realizzazione di programmi dedicati alla divulgazione della poesia dantesca (Maratona Infernale e La Montagna Infinita). Ha pubblicato Dante nella poesia di Lorenzo de’ Medici, Nel mezzo del cammin di nostra vita e, per la Newton Compton, La Firenze segreta di Dante e Parla come Dante. Tiene numerose conferenze su Dante presso scuole, università e istituzioni culturali.
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Anteprima del libro
Parla come Dante - Dario Pisano
536
Prima edizione ebook: giugno 2021
© 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-5929-0
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per The Bookmakers Studio editoriale, Roma
Dario Pisano
Parla come Dante
Prefazione di Claudio Giovanardi
Newton Compton editori
A tutti i miei studenti,
di ieri, di oggi e di domani.
La cultura trasforma un giorno di lavoro
in un giorno di vita.
Indice
Prefazione
La fabbrica della lingua italiana
parla come dante
E quindi uscimmo a riveder le stelle
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Fa tremar le vene e i polsi
Qui si parrà la tua nobilitate
Io era tra color che son sospesi
L’amico mio, e non de la ventura
Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate
Che fece per viltade il gran rifiuto
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa
Vuolsi così colà dove si puote
Or incomincian le dolenti note
Amor ch’a nullo amato amar perdona
Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria
La bocca mi basciò tutto tremante
«Colui che la difesi a viso aperto»
Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto
Ed elli avea del cul fatto trombetta
Considerate la vostra semenza: fatti foste a viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza
Capo ha cosa fatta
Là dove i peccatori stanno freschi
Poscia, più che il dolor, poté il digiuno
Libertà va cercando ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta
Che perder tempo a chi più sa, più spiace
Ahi serva Italia, di dolore ostello
Oh vana gloria de l’umane posse com’ poco verde in su la cima dura se non è giunta da l’etati grosse!
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Pon giù il seme del piangere e ascolta
Oh insensata cura dei mortali quanto son difettivi silogismi quei che ti fanno in basso batter l’ali
Che saetta prevista vien più lenta
E lascia pur grattar dov’è la rogna
L’aiuola che ci fa tanto feroci
Bibliografia
Prefazione
Tra i filologi e i paleografi si è soliti distinguere i copisti per professione dai copisti per passione: questi ultimi, durante il Medioevo e anche oltre, trascrivevano le opere dei classici per puro diletto, per amore della letteratura e dell’arte, spesso raggiungendo risultati eccellenti nel loro faticoso lavoro. Vorrei trasportare questa doppia possibilità tra i cultori di Dante, distinguendo i dantisti per professione dai dantisti per passione. Dario Pisano detiene certamente il primato tra coloro che viaggiano inesausti nelle terzine della Commedia e nelle pagine delle altre opere dantesche, al solo fine di restituire agli altri almeno una parte della gioia inesauribile che gli deriva dal confrontarsi quotidianamente col multiforme lascito del più importante autore (non solo poeta) dell’intera nostra tradizione letteraria. Questo è, a mio avviso, il presupposto da cui dobbiamo muovere nell’addentrarci in questo bel volume.
L’idea è quella di un regesto dei versi della Commedia che sono entrati a far parte del linguaggio comune e che tutti usano, magari ignorandone la provenienza. Non si tratta di una pura curiosità, ma piuttosto della dimostrazione della popolarità
di Dante, mai più raggiunta da nessuno scrittore dopo di lui. I trenta adagi danteschi passati in rassegna nel volume sono oggetto di una particolare cura da parte di Pisano, il quale, forte di una conoscenza onnivora della letteratura italiana (e anche di altri lidi), ci consente di ricostruire il percorso del verso citato sia da un punto di vista intertestuale, sia nel suo depositarsi nella memoria comune. Tale impianto è già perfettamente chiaro nel commento al verso che apre la raccolta: «E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno, xxxiv, 139), per il quale Pisano chiama in causa Leopardi, Pascoli, Elsa Morante, Catullo, Sant’Agostino, Ungaretti, tutti testimoni scelti per far capire come la potenza immaginativa di Dante sia affondata nel passato classico e cristiano da un lato, ma abbia anche la capacità di irradiarsi splendidamente nel futuro dall’altro. Secondo Pisano, infatti, Dante, col suo libro-mondo, rappresenta il cardine attorno a cui tutto ruota, lo specchio che restituisce ogni piega dell’umanità, il rimedio medicamentoso più efficace contro la malinconia della finitudine umana. Ecco, con la Commedia, Dante si è innalzato oltre il tempo, ha sconfitto la morte, se è vero che il suo culto (con l’importante apertura verso la dimensione popolare, estranea ad altri grandi poeti, per esempio a Petrarca) è ancora vivissimo a settecento anni dalla fine del viaggio corporale del poeta.
Non è il caso, in queste brevi note prefatorie, di soffermarsi sui singoli versi messi a lemma. Sarà il lettore, com’è giusto, a scoprire gli affascinanti e spesso insospettabili percorsi in cui il curatore lo conduce con grande levità di scrittura. Merita invece una considerazione proprio il modo in cui questo libro è stato scritto. La scommessa di Pisano, pienamente centrata, è quella di istruire rinunciando ai fardelli della saggistica accademica, senza però abbassare la qualità scientifica delle affermazioni e dei commenti. La densa introduzione che apre il volume è ricca di dati e di spunti di riflessione sulla figura di Dante, non solo come poeta, ma anche come filosofo, scienziato, teologo e dialettologo. Pisano è ben attento ad analizzare Dante iuxta propria principia et tempora, senza cioè cedere mai alla tentazione di attualizzarlo a tutti i costi; egli sostiene, giustamente che definire Dante attuale
è riduttivo, perché la dimensione che gli compete è quella della sempiternità. In tale quadro profondamente radicato nella dimensione storica, assume particolare rilievo la discussione sul locus communis (veritiero) in base al quale Dante è il padre della lingua italiana; la sottolineatura dell’importanza della scelta del volgare per la Commedia e la riflessione sui motivi che spinsero Dante in tale direzione; la ricostruzione delle fasi alterne della fortuna di Dante, che dopo l’immediato successo (la Commedia fu un vero best-seller ante litteram), conobbe lunghi periodi di oscuramento, sino a rinascere impetuosa nel corso del Novecento, grazie anche al grande lavoro di marketing
di autori stranieri come Pound, Eliot, Borges, per non citarne che alcuni.
Non mancano, infine, considerazioni puntuali, seppur di necessità sintetiche, sulla lingua e lo stile della Commedia, tema al quale chi scrive è particolarmente sensibile. Dopo aver ricordato la vocazione multilingue del divin Poeta
(uno dei motivi che lo resero indigesto al cardinale Pietro Bembo), Pisano si sofferma giustamente sul Dante onomaturgo. La lingua italiana neonata non poteva soddisfare le esigenze espressive di un poeta impegnato a sondare realtà figurali e concettuali inaudite; la vastità dell’opera, inoltre, lunga 14.233 versi, richiedeva un bagaglio fornitissimo di parole ed espressioni, che la lirica amorosa precedente non era in grado di procurare. E quindi Dante fece da sé. Il suo modello creativo prediletto è senza dubbio quello della parasintesi, ovvero dell’aggiunta contemporanea di un prefisso e di una desinenza verbale a una parola di base, che in genere è un nome o un aggettivo. Ma la potenza sperimentatrice di Dante andò oltre e si servì di basi formate da numerali (incinquarsi ‘dividersi in cinque parti’, immillarsi ‘moltiplicarsi per mille’); da pronomi personali (inmiarsi ‘entrare in me’, intuarsi ‘entrare in te’); e persino da avverbi (indovare ‘trovare collocazione nello spazio’, inforsarsi ‘essere in dubbio’). Gli echi di questi originali usi danteschi arrivano fino ai nostri tempi: l’impiego dei verbi parasintetici è una caratteristica, solo per fare qualche nome, di Pirandello, Montale e Luzi. Ma alla disinvoltura con cui Dante maneggia codici linguistici diversi e si fa creator spiritus di nuove parole corrisponde, sul versante dello stile, l’ampia tavolozza dei registri nelle tre cantiche, da quello sublime del Paradiso a quello (spesso) triviale dell’Inferno. Riporto, a comprova di tale vertiginosa escursione, le due terzine proposte da Pisano come vertici estremi di registri opposti, ovvero la celeberrima preghiera alla Vergine che apre il canto conclusivo del Paradiso («Vergine madre, figlia del tuo figlio / umile e alta più che creatura / termine fisso d’etterno consiglio») e quella del canto xxviii dell’Inferno, 25-27 con la descrizione di Maometto («Tra le gambe pendevan le minugia; / la corata pareva e il tristo sacco / che merda fa di quel che si trangugia»). Davvero mirabile che tanta potenza immaginativa e tanta ampiezza di scelte espressive si siano concentrate in un uomo solo.
Questo libro, che si offre alla lettura di un’ampia