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I segreti di Miss Victoria
I segreti di Miss Victoria
I segreti di Miss Victoria
E-book231 pagine4 ore

I segreti di Miss Victoria

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Info su questo ebook

Inghilterra, XIX secolo.

Victoria appartiene a una buona famiglia e, in quanto tale, dovrebbe preoccuparsi soltanto di fare un buon matrimonio. In realtà è interessata solo alla sua grande passione, il teatro, per il quale scrive testi sotto falso nome senza preoccuparsi delle possibili conseguenze. Quando però, a una rappresentazione, incontra Alistair Devlin e se ne innamora, inizia a capire l'importanza di avere una buona reputazione. Cosa succederebbe infatti se l'affascinante scapolo scoprisse che il misterioso e acclamato Mr. Valentine Lawe è in realtà Victoria Bretton?
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2018
ISBN9788858986882
I segreti di Miss Victoria
Autore

Gail Whitiker

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    I segreti di Miss Victoria - Gail Whitiker

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    No Occupation for a Lady

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2012 Gail Whitiker

    Traduzione di Elena Vezzalini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-688-2

    1

    Quando ci si reca a teatro, è importante abbigliarsi in modo adeguato, se non altro per evitare l’imbarazzo di non essere all’altezza, nel caso capitasse di trovarsi nel palco contiguo a quello di un personaggio importante. In fondo, non si può mai sapere quando un visconte in età da prendere moglie, o un qualsiasi altro buon partito, magari un conte, decida di assistere a uno spettacolo, e con tante fanciulle in cerca di marito non è certo il caso di lasciarsi sfuggire nemmeno un’occasione. Questa era la raccomandazione che Mrs. Bretton era solita fare alle sue figlie perché fossero sempre eleganti e si comportassero da vere signore.

    Guardando la propria immagine riflessa nello specchio, Victoria stabilì che era naturale che una madre ambiziosa la pensasse in quel modo. Mai sottovalutare l’importanza di presentare due figlie da marito nella migliore luce possibile, che si trattasse di una serata musicale, un ballo, o la prima di uno spettacolo all’elegante Gryphon Theatre. In realtà, secondo lei l’unico evento a cui valeva la pena di assistere era l’ultimo.

    Per sua fortuna, ciò che vide nello specchio la rassicurò: l’abito di seta color avorio era all’ultima moda e non era né troppo castigato né troppo audace, come aveva sottolineato zia Tandy, prima di prestarle la preziosa collana di perle e rubini le cui pietre scintillanti sfioravano la scollatura. I capelli, il cui colore una volta era stato paragonato al miele di trifoglio, erano stati raccolti in un’acconciatura raffinata dalle mani esperte della sua cameriera francese. Era in tutto e per tutto la fanciulla perbene che l’alta società avrebbe apprezzato.

    Cosa avrebbe detto la gente, rifletté allontanandosi dallo specchio, se avesse saputo cosa significava in realtà per lei quella serata?

    Nella casa silenziosa, discese la lunga scala che conduceva al vestibolo dal pavimento bianco e nero. La fiamma guizzante nei portacandele a muro e dei candelieri gettava una luce dorata e calda sull’elegante mobilio, mentre, appesi alle pareti, i ritratti dei nobili da tempo deceduti la fissavano: la loro espressione critica sembrava disapprovare in silenzio i suoi progetti.

    Lei non vi fece caso. Si preoccupava dei vivi, piuttosto.

    E poi quelli non erano i suoi antenati. I dipinti, come la casa, appartenevano al fratello di suo padre e alla moglie, un’eccentrica coppia di attori ritirata dalla scena che, oltre a possedere diverse abitazioni a Londra e dintorni, era proprietaria di un teatro. Nelle ultime due stagioni avevano gentilmente offerto la loro dimora, in modo che Victoria e sua sorella potessero fare il loro ingresso in società.

    Victoria aveva debuttato l’anno precedente, Winifred era in procinto di farlo; Mrs. Bretton si augurava che, entro l’anno, almeno una delle due figlie si sarebbe sposata.

    «Buona sera, Miss Bretton» la salutò il maggiordomo sulla porta. «James ha preparato la carrozza, vostro fratello è già uscito.»

    «Grazie, Quince» rispose lei, mentre si girava per permettere all’anziano servitore di sistemarle sulle spalle un mantello di velluto. «Sapete dove ceneranno i miei genitori e mia sorella questa sera?»

    «Credo da Sir Roger e Lady Fulton, signorina.»

    Già, il baronetto e sua moglie. Una coppia che, oltre a occupare un posto di rilievo in società, aveva due figli in età da matrimonio. Winifred, che sperava di conquistare il più vecchio dei due, non avrebbe certo perso l’occasione di trascorrere una serata con lui quando l’alternativa era un evento così volgare come una sera a teatro.

    Dopotutto, che cos’era la prima dell’ultima commedia di Valentine Lawe di fronte alla prospettiva di fare gli occhi dolci a Mr. Henry Fulton al di sopra del centrotavola d’argento?

    «Grazie, Quince» rispose Victoria cercando di nascondere la propria delusione. «Buona notte.»

    «Buona serata a voi, signorina. Ah, vostro padre vi augura... una serata fortunata. Ha detto che voi avreste capito.»

    Victoria sorrise e ringraziò. Bastarono poche parole, concise quanto misteriose, per risollevarle lo spirito. Caro papà, era suo alleato anche in quello.

    «Buona sera, Miss Bretton» la salutò il cocchiere.

    «Buona sera, James.» Sorrise al valletto che la aiutò a salire sulla carrozza.

    Laurence, suo fratello, era già seduto all’interno, immerso nella lettura di un libro. Era un giovane di bell’aspetto, o meglio... lo sarebbe stato con un minimo sforzo. La giacca di lana pregiata blu scuro, indossata su un gilet bianco, non gli andava a pennello come l’anno precedente, e i capelli folti e ricci scompigliati gli davano un’aria disordinata, anche se affabile.

    «Lasciami indovinare» gli disse Victoria mentre si sedeva di fronte a lui, «stai leggendo le Observations on Certain Antiquities di White o Travels in Egypt and Nubia di Norden?»

    «Nessuno dei due» rispose riponendo il libro. «Ho acquistato di recente una copia di Letters on Egypt di Savary, e pensavo fosse la lettura adatta per il tragitto verso il teatro.» Si tolse gli occhiali, che posò sul libro. «E tu? Sei pronta per ciò che ti attende?»

    «Penso di sì, anche se ammetto di essere nervosa» gli confessò. «E se non si presentasse nessuno?»

    «Non è possibile, zio Theo si aspetta di vendere tutti i biglietti.»

    «Lo zio è un ottimista.»

    «No, è un uomo che conosce il suo mestiere. È normale, dato che lo svolge da tanti anni. E per esperienza sappiamo che le commedie di Valentine Lawe incontrano sempre il favore del pubblico.»

    Victoria appoggiò la schiena ai cuscini di velluto, pensando che le sarebbe piaciuto nutrire la stessa fiducia. Anche se le tre precedenti commedie di Lawe avevano ricevuto le lodi della critica, non vi era la certezza che la stessa sorte attendesse i lavori futuri. Gli amanti del teatro erano notoriamente volubili: un giorno apprezzavano uno spettacolo, il giorno dopo lo criticavano. E considerato lo spirito satirico delle opere in questione, era assai probabile che qualche personaggio importante, ritenendosi il bersaglio delle frecciate dell’autore, si sarebbe dissociato proclamando la propria disapprovazione a chiunque lo avesse ascoltato.

    Non vi era più nulla da fare ormai. Nel giro di una mezz’ora il sipario si sarebbe alzato per la prima di A Lady’s Choice. Non le restava che sperare che suo fratello avesse ragione, e che lo zio sapesse il fatto suo.

    Come sempre, il traffico della città era molto intenso. Una fila interminabile di vetture a noleggio, carrozze, calessi e phaeton avanzava lungo la strada diretta ai vari intrattenimenti serali.

    Notando le lunghe teorie di carrozze davanti alle grandi dimore di Mayfair, Victoria si sentì sollevata all’idea che la sua destinazione per una volta non fosse un ricevimento mondano bensì il Gryphon, il più nuovo ed elegante teatro di Londra.

    Il vecchio edificio, che un tempo ospitava un magazzino fatiscente, era stato ristrutturato e decorato con pregiati marmi italiani, vetri di Venezia, broccati e sete provenienti dal lontano Oriente.

    Quanto alla natura degli spettacoli che metteva in scena, non era autorizzato a presentare delle tragedie, perciò il programma proponeva una scelta che andava dalle operette al burlesque. La sua reputazione, da quando era stato inaugurato non molto tempo prima, era quella di offrire un divertimento di qualità. Anche quella sera, con il debutto dell’ultima commedia di Valentine Lawe, non avrebbe deluso il suo pubblico.

    Correva voce che Sir Michael Loftus, critico teatrale del Morning Chronicle, sarebbe stato presente, e la sua approvazione era considerata parola divina.

    Quando finalmente la carrozza girò l’ultima curva, Victoria rimase senza respiro nel vedere il colore bianco dell’edificio che si stagliava contro il cielo che andava scurendosi. E la folla! A giudicare dalla fila di carrozze e landò che procedevano lentamente lungo la strada, una buona fetta dell’alta società aveva deciso di assistere alla prima.

    «Ci siamo quasi, Tory» disse Laurence quando la carrozza imboccò il vicolo che fiancheggiava il teatro.

    Lei si portò una mano inguantata al petto e chiuse gli occhi. «Non posso entrare, Laurie.»

    «Certo che puoi. Zia Tandy e io ti aspetteremo nel palco, e l’opera sarà un successo strepitoso. Così ha dichiarato zio Theo dopo l’ultima prova, e sai che non è da lui mentire.»

    Suo fratello aveva ragione, lo zio non era il tipo da alimentare false speranze quando la posta in gioco era così importante. Dalla reazione del pubblico quella sera era possibile capire se la commedia avrebbe avuto successo, quali ricavi vi sarebbero stati e l’influenza che avrebbe avuto sul futuro dell’autore.

    Se la prima fosse stata un fiasco, poteva addirittura segnare la fine di una carriera.

    «Porta i miei saluti alla compagnia» le chiese Laurence mentre la carrozza si fermava. «Di’ a Victor che mi aspetto un’ovazione in piedi, e a Miss Chermonde che sia chiamata alla ribalta almeno tre volte.»

    «D’accordo, ma non posso assicurarti che ti prestino ascolto» rispose Victoria quando lo sportello si aprì e James abbassò la scaletta pieghevole.

    Poi restò sola. In piedi in mezzo alla strada, osservò la carrozza che si allontanava e inspirò a fondo un paio di volte per ricomporsi. Sicuramente gli attori stavano facendo lo stesso. La paura del palcoscenico era parte integrante della frenesia della sera della prima, ma quando il sipario si fosse aperto lo sfarfallio nello stomaco si sarebbe placato e tutti avrebbero fatto il possibile per offrire la migliore prova della loro carriera. Il pubblico non era disposto ad accontentarsi.

    E nemmeno zio Theo, pensò mentre bussava con discrezione a una porta senza targa.

    «Buona sera, Miss Bretton» la salutò l’anziano uomo che le aprì, «mi stavo giusto chiedendo se vi avrei vista questa sera.»

    «Buona sera a voi, Tommy. Ho pensato di scambiare due parole con lo zio prima dell’inizio dello spettacolo. È tutto pronto?»

    «Sì, signorina, come sempre.» Thomas Belkins fece un passo indietro per permetterle di entrare. «C’è stato un problema col fondale del secondo atto, ma l’abbiamo risolto, e Mrs. Beckett ha dovuto rammendare uno strappo nel costume di Mr. Trumphani.»

    «Come sta Mrs. Roberts?» domandò Victoria. «Ricordo che durante le prove non si sentiva bene.»

    «Non l’ho sentita lamentarsi, ma detto fra noi è una dura, e solo la morte la terrebbe lontano dal palcoscenico la sera della prima.»

    L’allegria di Mr. Belkins, che era in teatro da una vita, riuscì a calmarle i nervi. Dopo essere stato attore di una compagnia shakespeariana itinerante, lavorava dietro le quinte al Gryphon, dove sovrintendeva al complicato sistema di luci, funi e carrucole che creavano magici effetti.

    Accompagnata dagli auguri di suo fratello e di Tommy Belkins, Victoria Bretton, alias Valentine Lawe, entrò nel teatro preparandosi ad affrontare ciò che il fato aveva in serbo per lei.

    Alistair Devlin non era un habitué del teatro. Vi si recava se non trovava un passatempo più divertente, ma davanti all’alternativa di assistere a spettacoli messi in scena da attori che ritenevano a torto di saper recitare, o trascorrere la serata nell’atmosfera confortevole del suo club, non avrebbe avuto dubbi: molto meglio la seconda. Quella sera si era recato a teatro unicamente per compiacere il suo amico Lord Collins, che aveva insistito per mostrargli una giovane attrice che intendeva conquistare. Le sue ripetute richieste lo avevano alla fine convinto.

    «E non provare a dire che non è bellissima» gli intimò Collins mentre si accomodavano sulle sedie di legno dorato del palco.

    «Sono certo che è bella come l’hai descritta, e anche di più» rispose Alistair guardandosi intorno incuriosito. «Sei sempre stato un ottimo giudice di bellezza femminile.»

    «A proposito di bellezza, ti ho detto che Signy ha un’amica? Anche lei recita nella compagnia. Faresti bene a darle un’occhiata, dal momento che sei di nuovo disponibile.»

    «Ti ringrazio, Bertie, ma non ho nessuna intenzione di cercare una nuova amante» replicò Alistair, fissando i magnifici affreschi del teatro. «Quella che ho appena lasciato mi ha fatto conoscere un nuovo significato della parola vendetta

    Collins ebbe l’ardire di scoppiare a ridere. «Già, ho sentito dire che la magnifica Celeste è riuscita a mandare in frantumi due vasi assai costosi mentre fuggiva da casa tua.»

    «Costosi, dici? Ha intenzionalmente distrutto un cavallo Tang di valore inestimabile, e un vaso di Sèvres» mormorò Alistair. «Mia nonna Wilson non mi ha ancora perdonato.»

    Disgraziatamente, non era stata solo la deliberata distruzione dei cimeli di famiglia da parte di Celeste Fontaine a spingere Alistair a troncare la loro relazione. Il motivo era che gli aveva mentito, dicendogli che lui era l’unico uomo che frequentava, mentre in realtà il tempo che non trascorreva nel suo letto lo passava in quello di Lord Lansing.

    Quando le aveva fatto notare quel dettaglio insignificante, Celeste si era prodotta in un’esibizione degna della grande attrice Sarah Siddons. Era uscita di corsa da casa sua, con il risultato di mandare in frantumi le due preziose porcellane, e il giorno seguente gli aveva inviato una lettera feroce in cui gli diceva che, nonostante lo giudicasse un innamorato discreto, non poteva affermare altrettanto della sua abilità amatoria, che riteneva esser decisamente sopravvalutata.

    Quell’affermazione era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Alistair non era arrogante, ma si vantava della propria capacità di saper dare piacere al gentil sesso. Che una donna, che senza ombra di dubbio aveva goduto insieme a lui tra le lenzuola, si permettesse di prendersi gioco delle sue doti gli sembrava un’ipocrisia intollerabile.

    Era comunque riuscito ad avere l’ultima parola. Una settimana dopo, la cortigiana si era presentata alla sua porta con aria contrita dichiarando di essere amaramente pentita del proprio comportamento, e di avere ceduto alle avance di Lord Lansing in un momento di debolezza. A quel punto aveva battuto le ciglia e, mentre le lacrime scendevano dai suoi occhi colore viola del pensiero, lo aveva supplicato di perdonarla.

    Ma Alistair non si era lasciato commuovere. Dopo averle offerto il suo fazzoletto perché si asciugasse le lacrime, le aveva consigliato di tornare da Lord Lansing, o da chiunque frequentasse in quel momento, e di lasciarlo in pace. Se c’era una cosa che non tollerava era l’inganno.

    In quel momento, mentre stava per chiedere a Collins informazioni sullo spettacolo, la sua attenzione fu attratta da un movimento nel palco di fronte.

    Una giovane donna, che sembrava una farfalla alla luce del sole, era sbucata da dietro la tenda. Indossava un abito di seta color avorio che scintillava a ogni movimento, le braccia esili erano coperte da guanti aderenti che sfioravano i gomiti. I capelli, una soffice nuvola di riccioli dorati, erano raccolti sul capo. Alla luce tremolante delle candele, Alistair notò dei bagliori rossi sul décolleté.

    Dopo essersi fermata un istante per guardare i damerini e i giovanotti seduti in platea, la fanciulla si girò per rivolgere un sorriso alla donna e al giovane gentiluomo seduti nel palco.

    Fu quel sorriso che lo rapì. Innocente come quello di un bambino, giunse al fondo dell’animo di Alistair ricordandogli un tempo in cui la vita era più semplice e divertirsi non pareva così complicato. Sembrava che non esistesse luogo al mondo dove la giovane desiderasse trovarsi se non lì, per assistere allo spettacolo che stava per iniziare.

    Avvolta in seta e chiffon, aveva un viso che ricordava quello di un angelo ma il suo corpo sensuale richiamò alla mente di Alistair notti di passione trascorse tra morbide lenzuola, all’intimità di gambe profumate che lo avvolgevano attirandolo a sé.

    Purtroppo, dato che il primo gesto della fanciulla fu di prendere la mano del giovane che si era alzato in piedi per accoglierla, dubitò che avrebbe abbracciato il suo corpo. Con le teste vicine, i due cominciarono a parlare, e se era evidente che il gentiluomo non possedeva lo stesso stile non si poteva negare che tra loro ci fosse una certa confidenza.

    Fortunato lui, chiunque fosse.

    Un mormorio attraversò il pubblico quando un uomo alto e distinto raggiunse il centro del palcoscenico. Era vestito di nero dalla testa ai piedi, il lungo mantello e gli stivali lo facevano sembrare il protagonista di un romanzo di cappa e spada. Non era giovane, i capelli scuri e la barba erano brizzolati e le rughe del viso erano lo specchio di una vita intensa. Ma emanava un fascino innegabile, e quando sollevò una mano inguantata il silenzio cadde nel teatro.

    «Signore e signori, benvenuti al Gryphon. Mi chiamo Theodore Templeton, e sono qui per

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